Da un'aula all'altra

da Camminiamo Insieme - anno 20, n.34 del 27/4/2003

 

 

Sto imparando la verità del detto biblico: "chi sta in piedi veda di non cadere".

La prima aula di apprendimento è la mia vita con il suo sommare ore e ambienti, persone e situazioni con un risultato di reazioni emotive, riflessioni, stati d'animo, giudizi, prese di posizione, attese, indifferenza e sopportazione. Se rimango nell'aula della mia esperienza finisco per diventare metro per me stesso, ora scarso ora abbondante, sicuro della mia misurazione, maestro a me stesso. Nel mondo bisogna entrarci e non stare sempre a guardarlo dalla finestra della mia aula.

Ho provato a trasferirmi nell'aula della vita di altri. Durante una confessione o un dialogo mi capita di essere chiamato dentro una gioia o un'amarezza, un fallimento o un successo, un perdono o un rancore, un giudizio o un proposito, una difesa o un'attesa. Non mi sento di valutare, dall'alto della mia cattedra o dalla mia finestra, il mondo di un'altra persona: è particolare e unico.

La frase della bibbia proposta all'inizio ritorna a farmi attento a quanto già Papa Giovanni proponeva con il suo stile semplice e chiaro: la condanna dell'errore, ma la salvezza di chi sbaglia. E' inizio di sapienza e principio di indiscutibile prudenza avere la coscienza del proprio limite e delle possibilità, tutt'altro che remote, di sbagliare e cadere anche più gravemente. Non è tanto questione di non sbilanciarsi troppo, ma di umiltà.

Stare nell'aula di altre situazioni personali non è solo questo. Ricordo la concretezza dell'apostolo Giacomo che, di fronte al bisogno di altri, ci ammonisce di non dire, dopo qualche consiglio: "va in pace!". Penso sia saggio arrivare a piccoli gesti di condivisione, come una preghiera, stringere la mano, incontrare con la premura di un saluto cordiale, aiutare per quanto possibile. Sono piccoli segni che dicono prossimità. Se poi, nel momento difficile per la salute, si riesce ad esprimere una vicinanza tale da far dire: "questa è veramente un'amica", allora si può star certi di non essersi intromessi in un'altra vita, ma di accompagnarla.

La prudenza ha accumulato su di sé tutta una sapienza popolare che si è fissata nei proverbi chiaramente segnati dall'urgenza di pazienza, buon senso, ponderazione, equilibrio. Sono certamente virtù, però stanno sulla difensiva. Si può essere valorosi anche sulle mura di una città, ma la prudenza è una virtù che non teme di misurarsi anche in campo aperto, sapendo prendere posizione contro la trasgressività, la sfacciataggine, la sfrontatezza, la superficialità, la temerarietà. Questo stare contro non significa essere aggressivi, ne passare all'azione spavaldi, si finirebbe per sconfinare nel campo dell'avversario usando gli stessi metodi. Mi spiego con un esempio, anche perché non solo gli esempi di persone virtuose trascinano, ma addirittura convincono aprendo spazi impensati. Ci sono persone la cui presenza porta una tale dignità da creare clima, ambiente al punto che anche chi normalmente prevarica se ne guarda dal farlo. Ho sentito testimonianze sorprendenti di figli nei confronti dei genitori: "si vogliono così bene e si rispettano al punto da coinvolgermi in questo clima che non ammette storture", di amici che al bar cambiano linguaggio per l'arrivo di uno che "non puoi far sentire a disagio".

Abbiamo bisogno di dignità personale semplice e autentica che convinca più di tante parole: le parole volano gli esempi trascinano.

E la persona saggia è una luce fra le tante penombre di dubbi e incertezze.

don giorgio

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