Vicenda, devozione, arte


All'iniziale divieto di venerazione pubblica, emanato dall'autorità ecclesiastica diocesana, seguì qualche eccezione se sul luogo dell'apparizione fu eretto un capitello.
Successivamente, tale capitello venne incorporato tra le due parti di un vero e proprio oratorio, mèta di tanti pellegrinaggi.
Provenivano non solo da Santa Lucia ma anche da località limitrofe, tra cui Sarano, S. Michele di Ramèra, Mareno di Piave, Susegana, Colfosco, S. Pietro di Feletto.
Nelle vicende di questa chiesa sorta sul campo di Ramoncello è documentato l'intervento dei conti di Collalto, signori dei castelli di San Salvatore e di Rai, nella cui giurisdizione erano compresi le ville e i regolati di Colfosco, Susegana e Santa Lucia. Senz'altro erano indotti da devozione ma, tra le prerogative comitali era compreso il dovere di provvedere alle cure spirituali dei sudditi. Inoltre i conti detenevano il diritto di juspatronato che dava loro facoltà di nominare rettori, parroci e mansionari nelle chiese soggette alla loro potestà feudale.
Stando ad un documento dell'Archivio diocesano di Vittorio Veneto, la fondazione della chiesa va fatta risalire al conte Rambaldo di Collalto (1509- 1576), benefico fondatore di altre chiese e monasteri tra cui quello dei frati carmelitani dell'Osservanza di Rai.
Di certo però si ha il lascito disposto il 15 gennaio 1628, dalla contessa Bianca Maria che dotò la chiesa già eretta di un beneficio, dei quale fu investito il sacerdote fiorentino don Lorenzo Malecchi con l'obbligo di celebrare alcune Messe, secondo i Legati.
(Dalla scarsa documentazione affiorano i nominativi di alcuni successori come don Antonio (non meglio identificato) nel 1633 e don Gregorio Roberti nel 1634.
Per lasciti alla chiesa dei Ramoncello il Maschietto informa che sono pure citati nei Legati i sacerdoti Antonio Bianchi e Tiziano Bardini, ma non specifica se essi furono mansionari, cioè sacerdoti dediti al servizio religioso dei Santuario stesso.
Dai testamenti e registri della chiesa del Ramoncello, dispersi successivamente, il Morando riporta notizie di donazioni e lasciti. Egli cita la donazione di Gregorio Pulit in data 29 marzo 1610; quella di Joanne Soligon dei 5 maggio 1634; il lascito per ragion di legato di Antonio Dionesi, il quale devolve alla chiesa dei Ramoncello in perpetuo campi due e quarti uno di terra arativa in tre pezze. Nomina pure il testamento dei notaio Pietro Puliti, dei 18 aprile 1670, che lascia un campo di terra da canevo.
Le note del Morando riportano inoltre la notizia di un contratto di permuta fra i comuni di Susegana-Colfosco e S. Lucia, redatto il 14 febbraio 1698, avente per oggetto alcune terre della Madonna di Ramoncello.
La serie dei mansionari, interrotta per mancanza di notizie dalla metà dei secolo XVII alla fine dei secolo XVIII, riprende con don Vincenzo Nardelli citato nelle relazioni dei parroci di Santa Lucia degli anni 1805 e 1819.
Dallo stato di beni e fondi di proprietà del beneficio semplice sotto il titolo della E. V. dei Ramoncello, redatto pare dopo il 1832 a cura dei mansionario don Antonio Vasilicò e riportato dal Maschietto, risultano 14 campi (all'incirca) di terra ai quali pare aggiunto mediante contratto d'acquisto un altro piccolo luogo arativo con casone. Altri due casoni con ortazze in campagna di S. Lucia derivavano da don Tiziano Bardini, benefattore forse mansionario.
In merito ai legati od obblighi di Messe da celebrarsi annualmente in perpetuo dal Rev. Sig. Cappellano della chiesa della B. V. del Ramoncello, altra nota archiviale riportata dal Maschietto fa menzione dei lascito di Francesco Favero consistente in due calvèe di frumento per tre Messe da celebrarsi nelle feste della Annunziata, Assunta e Natività della E. M. V., più altre due Messe nel mese di dicembre, per le quali i suoi eredi dovevano corrispondere al Cappellano L. 14 cadauna.
Nella stessa nota sono pure riportati altri obblighi che il Mansionario era inoltre tenuto ad osservare relativamente alla celebrazione di messe da requiem, in suffragio delle anime dei suoi predecessori, con ricorrenza settimanale e mensile.
Al riguardo esiste anche un decreto dei Vescovo Bernardo Antonino Squarcina (1 821/1841) in data 6 aprile 1833 con il quale concede al mansionario diacono Antonio Vasilicò di trasferire in giorni feriali le messe festive, e questo con il consenso dei parroco di Santa Lucia don Matteo Chiesurini: data la scarsità di preti.

 

San Pietro
(Affresco, 1713)
San Paolo
(Affresco, 1713)


Riferisce il nominato parroco Santo Bidoli, nel 1805, che il beneficio semplice della chiesa acèfala della Madonna di Ramoncello, di giuspatronato delli NN. HH. Conti di Collato, è sostenuto dal molto rev.do don Vincenzo Nardelli che abita in S. Salvatore in Parrocchia di Susegana e unisce il suo stato di rendita nel foglio qui unito firmato di suo pugno.
Una lettera inviata al Vescovo da Defendente Bidasio degli Imberti procuratore dei Collalto, il 18 febbraio 1832, comunica la nomina di Mansionario della Chiesa del Ramoncello, che non ha mai avuto carattere di beneficio Ecclesiastico, conferita dai Conti al chierico Antonio Vasilicò, figlio di Domenico di Santa Lucia.
Il Vescovo Antonio Bernardo Squarcina ne prende atto e, con suo decreto datato 13 marzo 1832, concede la Mansioneria del Ramoncello al chierico Antonio Vasilicò a titolo di patrimonio per la sua ordinazione. L'arciprete Mazzer, nella relazione al Vescovo in data 29 settembre 1907, ricorda: Vi era il beneficio semplice addetto alla B. V. del Ramoncello redento dal Giuspatronato Collalto per la legge di soppressione. L'ultimo investito Don Antonio Vasilicò celebrava parte delle messe della Mansioneria. Ora è morto e non viene celebrata più alcuna messa.

Con la nomina del mansionario Vasilicò, i conti di Collalto ebbero quindi una delle ultime occasioni di esercitare il diritto di juspatronato prima che le napoleoniche leggi di soppressione revocassero le prerogative comitali collaltine ed abolissero anche la Mansioneria del Ramoncello.
Ad onor dei vero l'esercizio di tale diritto non avvenne senza contestazioni. Per difenderlo i conti Collalto dovettero ricorrere ufficialmente presso la Cancelleria Ducale di Venezia. Nella notificazione inviata al Magistrato sopra Feudi ancora il 30 agosto 1674, a seguito di lunga contesa con le monache di Murano, essi rivendicano in S. Lucia il beneficio semplice della Madonna del Ramoncello tra le chiese soggette al loro diritto di nomina dei rettore o mansionario.
Sempre per l'esercizio dello Jus sulla chiesa di Ramoncello anche i rapporti dei Collalto con la Curia di Ceneda ebbero qualche incrinatura. Secondo una nota manoscritta dei Morando, la vertenza giunse a Roma presso papa Clemente VIII (1592/1605). Il Pontefice, supplicato dai conti di arbitrare una soluzione, avrebbe allora - con sua bolla - ordinato al Vescovo di Ravenna di accogliere il Santuario di Ramoncello sotto la protezione di quella diocesi in modo che l'investitura dei Mansionario dei Ramoncello non dipendesse da un'autorità locale Sebbene la ricerca di tale documento presso l'archivio della curia arcivescovile di Ravenna non abbia finora dato esito, tuttavia sembra che il fatto citato dal Morando corrisponda al vero. Ad attestarlo è lo stesso Vescovo di Ceneda monsignor Giambenedetto Falier (1792-1821) nella relazione di visita pastorale a Santa Lucia in data 11 ottobre 1804. In quell'occasione, probabilmente per le ragioni sopra esposte, l'agente dei Collalto impedì l'accesso alla chiesa di Ramoncello al canonico Leandro Graziani, vicario visitatore delegato dal Vescovo: in dicta Parochia sita est Ecclesia titulo B. M. V. de Ramoncello, quae visitata non fuit: dicitur enim exemptam a jurisditione Ordinarii tamquam commenda facta Archiepiscopo Ravennati uti decreta, vera plenitudine juris, sed minime ostensa fuerunt, ac propterea videnda...
Che si tratti comunque di una chiesa acèfala lo dichiara anche don Sante Bidoli (parroco di Santa Lucia nel 1805) nella sua relazione inviata al Vescovo il 19 luglio di quell'anno. A fine Ottocento la celebrità di questo Oratorio - annotava il Concini - è attestata non solo dal fatto dell’apparizione, ma ancora dalle molte grazie che in esso ricevettero e ricevono continuamente i fedeli che vi accorrono fiduciosi dalla parrocchia di S. Lucia e da altre limitrofe.
Ma già sessant'anni prima il Gaja precisava che al Santuario dei Ramoncello accorrevano in numero illimitato i fedeli... per raccomandarsi con preci ferventi alla protezione celeste della Eccelsa fra le Vergini che avea scelto quel luogo solitario a centro per la dispensa delle grazie di Dio e dei suoi favori.
E ancora che le pareti dei Santuario erano ormai letteralmente coperte di quadretti, grucce, ex voto, portanti il nome dei graziato e la data. Tali oggetti, che si possono chiamare testimoni delle grazie e dei favori elargiti da Maria, furono tolti dalle pareti allorquando queste, per cura di pietosi fedeli, furon restaurate e poi lasciati in abbandono.
La Madonna di Ramoncello -
concludeva - è ricca di oggetti d'oro e d'argento che vanno aumentando anche oggidì. Questo ci assicura che la devozione di Maria non è sparita...
".
Qui - riferisce nuovamente il Concini - nel corso dell'anno vi si celebrano molte messe di legati e molte per devozione speciale. Inoltre, nelle ricorrenti festività (Pasqua, Pentecoste, Natale) vengono cantati Vespri e Compieta.
È anche sua l'affermazione che già nel 1897 la festa commemorativa della Madonnetta viene celebrata la prima domenica di agosto con messa solenne, sermone, canto dei Vesperi, e gioiose manifestazioni esterne in onore della Vergine Immacolata.
Inoltre, i fedeli presenti in grande numero, provenienti da tutte le parti sono ammessi al bacio di una reliquia mariana.
Per la diffusione nella zona di una fervente devozione mariana, la chiesa del Ramoncello ha svolto dunque lungo i secoli un ruolo di evidente importanza, tanto da essere annoverata dalla pietà popolare tra i santuari mariani della diocesi.
Un riconoscimento in tal senso si intravede nella concessione di un altare privilegiato, con annessa indulgenza a beneficio delle anime dei Purgatorio, concesso da Papa Pio IX il 4 agosto 1854. Il decreto pontificio ricorda anche l'avvenuta traslazione del cimitero dal sagrato della parrocchiale alla chiesa dei Ramoncello sitam prope novum Coemeterium in districtu Parochiae S. Luciae, in qua aliud altare privilegiatum non reperitur concessum...
Che la primitiva chiesa abbia risentito agli inizi dell'Ottocento dei sopraggiungere dei vari eserciti è ipotesi fondata.
Infatti quel tremendo 1805 fu caratterizzato da alterni passaggi degli invasori di turno austriaci, francesi e russi (questi ultimi venuti in ltalia come alleati degli Austriaci), che si accampavano anche nelle chiese.
Nel resoconto al Vescovo, il parroco Bidoli accenna alle deplorevoli condizioni di chiese ed oratori esecrati dalle devastazioni delle guerre, durante quattro lunghi anni.
Dalla descrizione e dalla lettura di alcuni brani dei diario di Gian Battista Graziani (1723-1803) si può cogliere come la chiesa acèfala detta della Beata Vergine del Ramoncello avesse potuto riportare dei danni.
La situazione ben presto migliorò e verso la fine secolo si ha notizia di restauri effettuati nel 1888, grazie all'apposito lascito disposto da monsignor Gian Battista Monti.
Durante la Grande Guerra (1915-1918) la chiesa fu adibita a sede di comando delle batterie antiaeree tedesche riportando nuovi danni, riparati ne 1922 su disposizione dell'arciprete Vittorio Morando. Ulteriori opere di risanamento furono compiute nel 1958. Queste ultime portarono alla riscoperta dell'antico capitello murato tra i due altari esistenti, che presenta tracce d vecchie e semplici decorazioni floreali attorno alla nicchia.
Con altri interventi, che impegnarono il successore don Severino Vidotto nel 1965, furono recuperati e puliti due affreschi risalenti all'anno 1715. Recenti opere per nuovi restauri sono seguite dall'attuale parroco don Oreste Nespolo.
Presentemente il Santuario si compone di tre distinti corpi di fabbrica, posti su differenti livelli. Il primo per chi vi giunge dalla via Mareno è l'attuale chiesa settecentesca dalla facciata di stile neoclassico, a pianta rettangolare e navata unica. Due aperture ai lati dell'altare orientato verso nord, discendendo alcuni gradini, consentono l'accesso al terzo corpo che consiste in una cappella a pianta ottagonale con volta a catino, illuminata da lucernario.
Nella parete nord è posto un altare in marmi policromi, rivolto a meridione, dove viene conservata la venerata immagine mariana.
Sui pianerottoli delle due gradinate si aprono gli accessi al corpo intermedio, riscoperto nel 1958, dove esiste il famoso antico capitello pure rivolto a meridione. Questa dovrebbe essere la parte originaria dei santuario, cioè la primitiva cappellina costruita sul luogo dell'apparizione incorporando il nominato capitello devozionale già esistente.
L'edificio si completa con un campanile costruito in pietra, superiormente completato in cotto e ricoperto a piramide. Alcuni fori murati sulla parte alta della torre in pietra lasciano supporre che la cella campanaria in cotto sia stata realizzata successivamente, forse sopraelevando il campanile all'epoca della costruzione settecentesca della chiesa. Si può anche ipotizzare che l'opera sia stata modificata con i restauri dei 1888 o comunque in tempi successivi alla costruzione in pietra che probabilmente doveva incorporare la cella campanaria. Il campanile è dotato di tre campane che furono benedette il 25 dicembre 1924 con i nomi: Carmela, Teresa e Santa Maria. Le precedenti furono asportate dai tedeschi il 23 gennaio 1918.
È probabile che la costruzione settecentesca dei primo corpo, costituito dalla presente chiesa, possa venire attribuita alla committenza dei conte Ferrante II di Collalto (1681-1747) così come lo è senz'altro la retrostante cappella ottagonale, nella quale sono state raccolte le sue spoglie.
Sul pavimento una lastra tombale conserva, intarsiato di marmo, lo stemma comitale interposto con l'incisione della seguente epigrafe:

 

D. O. M.
FERRANTIS DE COLLALTO
COMITIS & CINERES

OBIJT DIE XI JANUARJ
MDCCXLVII
AETATIS SUAE LXV

 

Fin dall'epoca del Morando che, favorevole al decoro della chiesa fu mecenate di artisti, il Santuario si arricchì di nuove opere d'arte. Nel 1951 il pittore Bepi Modolo eseguì la pala dell'Apparízione della Madonna del Ramoncello (olio su tela, cm. 150x100) per l'altare della cappella; nel 1972 dipinse il Crocifisso e l'Addolorata (affresco, cm.215x105) per l’altare della chiesa.

Di mano dello stesso Modolo La Resurrezione, eseguita a tempera nella volta che sovrasta l'altare della cappella. Al medesimo artista si devono pure i disegni per la Via Crucis - realizzata con identica tecnica - come fregio decorativo perimetrale all'altezza dell'imposta della volta, dagli allievi Giovanni Bisson ed Elio Poloni nel 1952.

Il Crocifisso
(Bepi Modolo, 1972)

Dal 1981 ad oggi il presbiterio dei Santuario è stato adornato con due nuovi dipinti su lunette: l'Annunciazione e la Resurrezione (olio su tela, cm. 260-110). Sono state donate ex voto rispettivamente dagli artisti Bruno De Giusti (santalucese residente a Sorocàba in Brasile) ed Elio Poloni.
Si ha notizia però che almeno fin dal secolo XVII nel Santuario esistevano alcuni dipinti. In particolare una raffigurazione della Vergine Maria col Bambino e i Santi Rocco e Sebastiano doveva essere di qualche pregio artistico se provocò discussioni nella pubblica riunione di vicínìo, tenuta il 31 maggio dell'anno 1633, sotto il grande albero vicino alla chiesa di Santa Lucia, per decidere il suo trasferimento dalla sede dei Ramoncello alla parrocchiale, E fu pure discussa la sua nuova collocazione sull'altare di jus del Comun, riservato al cappellano don Gregorio Roberti con relativo utile ed emolumento.
Due affreschi (cm. 134x66) raffiguranti san Pietro e san Paolo risalgono al 1715. La data è visibile sul fregio alla base del primo, posto alla sinistra dell'altare della chiesa.

Nella cappella inoltre esistevano altri due dipinti, forse ottocenteschi, raffiguranti l'Apparízione della Vergine di Ramoncello e Sant’Antonio con Sant'Elisabetta. Le due opere, ritenute dal Morando di mano dell'Andreetta di Ceneda, sono andate disperse durante gli eventi bellici dei primo conflitto mondiale.
Provenienti dalla vecchia chiesa parrocchiale e collocate sulle pareti di fondo della Cappella sono degne di menzione due statue in legno che raffigurano l'Immacolata e Santa Lucia. Queste opere vengono riferite dal prof. Giorgio Fossaluzza allo scultore Antonio Del Favero di Ceneda (1842-1908).
Di un certo interesse storico si presenta una pittura ad olio su tavoletta (cm. 18x13) che raffigura il volto di Maria. Il dipinto, di fattura popolare, è conservato con venerazione presso il Santuario di Ramoncello. Probabilmente è da identificare con quello ricordato sia dal Gaja che dal Concini nei loro manoscritti di inizio e fine Ottocento.
Il primo, nel 1834, lo descrive con esattezza: Una pittura che tutt'ora esiste nel Santuario di Maria, rappresenta un volto sereno, divinamente bello, dall'espressione tutta paradisiaca, con una piccola croce dorata in fronte.
Più particolareggiato il Concini indica, nel 1897, l'attuale collocazione dell'immagine, ritenendo quest'ultima addirittura la stessa lasciata dalla Vergine alla veggente Pasqua Zuccon, come vorrebbe la tradizione popolare: il primo (dei due altari) è dedicato alla Vergine quivi apparsa, il secondo alla Vergine stessa, ma senza titolo; in quest'ultimo è collocato, al di là della mensa e sotto la tela, il piccolo quadro dato da Maria per segnale a Pasqua Beni-Zucconi, il quale stà esposto ogni giorno ed è veneratissimo.
Senza dubbio si tratta di un dipinto che desta curiosità per la riproposta di una tipologia iconografica bizantineggiante come indica lo stesso velo della Vergine e che richiama pertanto l'icona russa, ponendo alcuni interrogativi sulla sua presenza in questa chiesa veneta. E' da ricordare che nel 1799 truppe russe erano accampate nei dintorni.
La teca a raggiera che custodisce questa immagine devozionale fa presupporre che essa venisse esposta alla diretta venerazione sulla mensa dell'altare e che fosse usata per consentire ai fedeli di porre il bacio sulla venerata immagine. Il Concini infatti accenna ad una Reliquia che nella solennità commemorativa della gloriosa apparizione della Vergine (I domenica di Agosto) si dà da baciare al po(polo) numerosissimo che vi accorre da tutte le parti; quel popolo di devoti festosi che il Gaja dice bramosi di ammirare il volto di Maria.
Poiché la tradizione orale parla di "traccia dell'apparizione",, (cioè di una prima immagine mariana rinvenuta fra i rami del frassino dalla folla di fedeli giunti sul posto), non è escluso che la prima immagine di Maria, posta sul luogo dell'apparizione per devozione popolare e andata perduta, sia stata successivamente sostituita. L'attuale potrebbe rappresentare l'ultima di queste testimonianze che hanno favorito e favoriscono la devozione mariana locale.
L'immagine fu perciò cara a generazioni diverse per ciò che essa rappresentava e veniva salutata, senza problemi, con un segno di croce.
A proposito di Fede e di Segni, il sociologo Ulderico Bernardi (L’Azione, 18-9-1988, pp. 29 e 39) scrive:
«Quest'ansia di popolare, d'imrnagini, di edicole sacre nel territorio di una comunità cristiana manifesta un desiderio fondo di non interrompere mai, nemmeno per distrazione, la comunione delle anime. Di non lacerare mai il senso della comunità; valore cardine dei vivere cristiano.
Questa è 'pietà popolare', senza forzature di analisi critica, di contrapposizioni dialettiche tra chiesa ufficiale, istituzionale, e spontaneismo dei credenti.
Nel segno di croce che saluta l'immagine santa si salda la comunione composta attorno al Cristo. E il suo volto, la sua bocca di Verità, le sue parole che ancor rimbombano nel Creato sfigurato dalla dimenticanza e immiserito ad 'ambiente', a 'territorio', affiorano sempre dentro alle immagini devote.
In tutti i paesi cattolici, ma anche nelle nazioni cristiano-ortodosse, è diffusa la presenza di edicole votive, di manufatti lignei o in muratura che ospitano modeste icone e hanno posto per un piccolo cero e per il vaso dei fiori.
Ci ricordano la continuità della tensione comunitaria nei popoli. Testimoniano che il 'segno' è gesto che si perpetua nella pietà, impressa nel colore, nei mattoni, nel ferro e nel legno, rinnovata nella fiammella dei lumini, accesa dalla freschezza dei fiori.
Questa volontà di perpetuare la memoria della comunità delle anime, così viva nel cattolicesimo e nell'ortodossia, dura con la memoria dei costume di ciascun popolo, la sua costituzione essenziale, l'Arca dei suoi valori di identità nel ricordo secondo forme proprie, specifiche, coerenti con la sua storia. La frequenza dei 'segni' di religiosità nell'ambiente proprio alle nostre culture rende manifesta come una proiezione speculare la fitta rete di solidarietà che abbraccia la terra e il cielo, santi e parenti, famiglie vive e defunte, avi e successori. L'affievolirsi dei 'segni' segnala la caduta di solidarietà e carità, richiama l'allentamento del senso di appartenenza comunitaria che per cerchi concentrici muove dal Primo Segno salvifico che è l'incarnazione dei Cristo la cui memoria riverbera in ogni 'segno' prodotto dalla pietà dei popoli, pienamente visibile quando si sappia superare la pura fisicità dell'oggetto o dei manufatto, così da cogliere il valore di testimonianza dell'invisibile, dell'inudibile, dell'indicibile, che si fanno chiare a chi guarda, sosta, prega con fede».

Da questo sguardo retrospettivo sulle vicende dei Santaurio di Ramoncello si evince un particolare interessamento di autorità civili e religiose, diocesane e parrocchiali.
Ma al di là della storia di pietre e di spazi, risultano soprattutto il fervore e la pietà popolari, scaturiti da un semplice atto di fede.

 


 

Il presente testo è tratto dal volume
"La Madonna del Ramoncello" di Innocente Soligon