RITIRO PARROCCHIALE 21.12.02

COMPETENZA E DIALOGO

Con questo tema da lui proposto nel ritiro, culminato con le relazioni dei gruppi di studio, il Parroco, Reverendissimo D. Romano, ha gettato dei grossi massi di granito sui quali consolidare e proiettare le strutture portanti dell’edificio mistico di Cristo della porzione di popolo di Dio che vive in Villanova.

La notevole portata ascetica e sociale del progetto che ha la grazia di Dio d’essere tracciato dal carisma, dall’elevato grado di preparazione, dall’esperienza, dalla pazienza e dal ritmo squillante della tromba di un presbitero che sa suonare molto bene e guidare la carica, è stato un dono di grazia per il folto numero dei partecipanti, ma sarebbe meritatamente dovuto andare a beneficio di una ben più ampia assemblea.

Vero è però il fatto che l’intenzione di D. Romano era quella di sensibilizzare i discepoli vicini per farli apostoli verso i meno a ridosso o i lontani.

Le relazioni dei gruppi di studio hanno dimostrato che, in questa direzione, l’obiettivo è stato centrato.

Il relatore (D. Romano) ha esordito con una riflessione sul significato di competenza e il valore insito in questa. La competenza non è l’esercizio di un potere esclusivo, una prerogativa da custodire gelosamente per paura che qualcuno la porti via. Non è un bene da invidiare, da sottrarre all’altro per farlo proprio, in forza di un interesse materiale o psicologico quale il prestigio. Non è una poltrona da accaparrare, da scaldare ed essere a sua volta riscaldati vita natural durante. La competenza di uno va responsabilmente sintonizzata con quella degli altri. Le singole competenze sono i tasselli di un mosaico di servizio agli altri; al consorzio umano societario, fatto di credenti e non credenti; alle membra del corpo mistico di Cristo; agli uni e agli altri tendendo a chi più ha bisogno dell’appoggio materiale, morale e spirituale, attraverso il dialogo. Il rapporto dialogico è il propulsore delle opere. Il dialogo è un gesto testimoniale che, accompagnato dalle opere, si traduce in segno di salvezza. Il dialogo, di conseguenza, in virtù dello spirito di chi lo promuove, e dal quale è accompagnato, ha un valore associabile al sacramento. Possiamo affermare che assume almeno un valore sacramentale, cioè richiama, riporta e prelude al sacramento.

Dio, per primo, attraverso la sua parola, ha voluto instaurare con l’uomo un rapporto dialogico, Padre – figlio. Un rapporto comunionale, esistente all’interno della Santissima Trinità e che ha voluto ulteriormente perfezionare, venendo a contattare l’umanità nel suo soggiorno temporale, incarnandosi in un uomo che nella sua natura umana non è uguale, m simile a Lei, Gesù, che per, mezzo della terza Persona della comunione trinitaria, da divino ha assunto secondariamente la condizione di figlio d’uomo nel ventre di una collaboratrice umana "unica", creando fra Lei e la Trinità quasi un contesto quasi unico, per via del fatto che la natura di Gesù non è solo umana, ma e soprattutto, soprattutto, divina. Egli è il Cristo, seconda Persona dell’unica divina trinità, il Figlio naturale di Dio, nato da Lui prima di tutti i secoli, cioè, in ogni caso, preesistente in Lui e con Lui, dunque, come afferma la professione di fede della Chiesa, Dio vero da Dio vero, cioè unico Dio col Padre e con lo Spirito Santo. Di conseguenza, il dialogo iniziato da Dio Padre è un dialogo perfetto fra il divino e l’umano. E’ un dialogo di libero scambio fra due o più individualità, nella loro diversità, situato all’interno di un unico piano di servizio: la salvezza dell’uomo su invito divino che traspare in tutta la sua luce nel pretesto di bere, usato da Gesù con la Samaritana per indurla e guidarla alla salvezza conquistandola senza costrizione (cfr. la scheda oggetto dello studio dei gruppi partecipanti al ritiro). E’ un servizio che l’Altissimo esercita in favore della sua creatura. E’ un gesto di Dio, che l’essere umano, essendo stato creato ad immagine del suo stesso Creatore, deve recepire nel suo reale significato: non c’è salvezza senza comunicare salvezza. Allora il dialogo è "comunicazione"!

Gli evangelizzati, iniziati alla fede, da affogati nel peccato ma riemersi dal bagno purificatore alla luce di Dio, hanno acquisito la competenza individuale e collegiale, come gli Apostoli, d’essere comunicatori. Tale competenza è legata al carisma, dono dello Spirito nel battesimo, d’essere ascoltatori attivi e non ricettori passivi de messaggio. Occorre acquisire la capacità di discernere tra buoni e cattivi messaggi, specie in quest’ora di tempesta messaggistica medianica mirata alla violenza impositiva dell’orientamento delle idee politiche e consumistico – commerciali fino alla soppressione del diritto alla spontaneità individuale. E’ un processo senza soluzione di continuità a causa della passività, indice del "ma lascia correre…", dell’accettazione colposa o colpevole del gradimento carnale della insana proposta.

Il dialogo appartiene ad ambiti preferenziali più o meno ristretti e tuttavia piattaforme di lancio verso obiettivi universali. Partendo dall’indole sociale dell’individuo e della famiglia "appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che di sua natura ha sommamente bisogno di socialità (S. Tommaso). Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere a tutte le sue vocazioni attraverso i rapporti con gli altri, i muti doveri, il colloquio coi fratelli. Dei vincoli sociali che sono necessari al perfezionamento dell’uomo, alcuni come la famiglia e la comunità politica, sono però immediatamente rispondenti alla sua intima natura, gli altri procedono piuttosto dalla sua libera volontà". (G.S. 92).

Una bella canzone di un CD di Amedeo Minghi, "Teledipendenti indifferenti" recita queste parole: "C’è la guerra. Com’è rassicurante stringersi tutti, fraternamente uniti attorno al telecomando, vedere lo scintillio del brillare degli scoppi in stereofonia delle bombe intelligenti che sanno dove colpire, ma non conoscono neppure il nome dei colpiti che muoiono". Che differenza c’è, per quelli che non siamo fisicamente coinvolti, noi o i nostri cari, fra la tragedia che si sviluppa sotto i nostri occhi e la finzione di un film? L’una e l’altra cosa ci emozionano o ci lasciano indifferenti su per giù allo stesso modo. Giustificazione: Sono cose più grandi di noi. Che colpa ne abbiamo; cosa possiamo farci noi? Nel mondo manca il dialogo che conduce alla pace, perché non siamo educati a dialogare. Lasciamo qualche spazio di tempo per donare il nostro ascolto e le nostre parole a chi ci lancia sguardi invocanti? O, anche nei condomini, ci chiudiamo la porta dietro le spalle, quasi fuggendo per timore d’incontrare colui che sta dietro la porta accanto? Che potrebbe rubare una briciola del nostro preziosissimo tempo? Il lavoro, l’accompagnamento dei figli a scuola, la spesa, il barbiere o il parrucchiere, il sarto, la partita, il cinema o il teatro, l’appuntamento con gli amici per mantenere un civile rapporto sociale? Dato che "La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, stirpe e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo" (G.S. 92). Ecco la risposta finale del Magistero della Chiesa ai nostri dubbi alla nostra linea di comportamento nei confronti del prossimo. Dal soddisfacimento di questa dichiarazione concilare della Chiesa nel mondo moderno sull’urgenza del dialogo dipende tutto, per la pace nei rapporti in famiglia e col vicino di casa e, in proiezione, anche fra le nazioni. La costruzione dell’edificio inizia con la posa della prima pietra, minuscola e apparentemente insignificante, destinata a scomparire nella terra sottostante la fabbrica e non essere più visibile.

Nel saluto dei riti di chiusura della celebrazione eucaristica che ha concluso la giornata di ritiro, P. Romano ha concluso: "mai più battersi il petto! A che serve senza amare attraverso il dialogo. Non stringetevi la mano per lo scambio liturgico del segno di pace senza poi risalutarvi fuori, cercarsi, parlarsi, scambiarsi il nome, sorridersi. Dialogare! Dialogare! Dialogare! Ed ora, durante il silenzio liturgico di ringraziamento conseguente all’esserci comunicati col Signore e fra noi, sussurratevi qualche parolina"!