In questa pagina troverete le notizie sul Santo che protegge il vostro rione. Queste sono prese da fonti Cristiane pubblicate su internet da volenterosi fratelli. Per approfondimenti rivolgetevi a loro che saranno sicuramente felici di darvi ascolto. Prossimamente i prefetti completeranno la loro pagina con notizie interessanti che riguardano il rione. Buona lettura.
| Sant'Antonio | San Gabriele | San Benedetto | San Marco | San Giovanni Battista | ||
| S. Michele Arcangelo settembre |
San Francesco ottobre |
Santa Cecilia novembre |
Santa Lucia dicembre |
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| SAN GABRIELE 1-S.Gabriele dell 'Addolorata, al secolo
Francesco Possenti, nacque in Assisi dal goveratore Sante
e da Agnese Frisciotti il 1 marzo 1838; fu l'undicesimo
di tredici fratelli. Rimasto orfano di madre a 4 anni, fu
educato accuratamente dal padre coadiuvato dai fratelli e
sorelle più grandi. S. Gabriele
dell'Addolorata, al secolo
Francesco Possenti, nacque ad Assisi il 1 marzo 1838 in una aristocratica e numerosa famiglia. Il
padre che ricopriva la carica di governatore dello Stato
pontificio, lo avvio' a ricevere una educazione culturale
e sociale assai completa. Le cronache descrivono il Santo
come un giovane di bell'aspetto, brillante in societa e
molto colto. A diciotto anni, in seguito a una visione in
cui la Madonna lo invito' a farsi religioso, entro' come
novizio nel convento dei Passionisti di Morrovalle (MC), e dopo aver compiuto gli
studi filosofici a Pieve Torina (MC) nel 1859 giunse a Isola del Gran Sasso, per completare in quel ritiro la sua
preparazione teologica prima di ricevere gli ordini
sacerdotali. Notizie dal sito del Convento e da Giubileo 2000 Abruzzo |
| La vita di Santa Cecilia Di Cecilia non sono a noi pervenuti gli atti del martirio e nessun documento che provi storicamente le fasi più salienti della sua esistenza. Nonostante ciò Cecilia è una delle figure più significative del primo cristianesimo. Il più antico documento che ci perviene dalla tradizione cristiana è circa del V secolo: la Passio Sanctae Ceciliae. La passio presenta Cecilia come una ragazza che viene data in sposa ad un giovane pagano di nome Valeriano. La notte successiva alle nozze Cecilia rivela al suo sposo di aver fatto voto di castità, donando la sua illibatezza a Cristo. Gli rivela inoltre di essere protetta da un angelo di Dio. Cecilia invita quindi Valeriano a convertirsi e a purificarsi alla fonte perenne della grazia, perché possa anche lui vedere l'angelo che diverrà anche suo protettore. Valeriano si lascia convincere da tanta fede e si reca al terzo miglio della via Appia dove i poveri gli indicano dove trovare il vecchio e santo papa Urbano, nascosto tra i sepolcri. Valeriano viene così istruito nella fede e dal santo papa riceve il battesimo cristiano. Torna quindi da Cecilia e la trova assistita dall'angelo, il quale porge loro una corona di rose e gigli e al quale Valeriano chiede la grazia della conversione di Tiburzio, suo fratello, che lui stesso accompagnerà dal papa Urbano per ricevere il battesimo. Valeriano e Tiburzio si adoperarono al servizio della Santa Chiesa per il pietoso ufficio della sepoltura dei martiri messi a morte dal prefetto di Roma, Turcio Almachio. Fu Almachio che, istigato dal suo assessore Tarquinio Lacca, sentenziò la condanna a morte dei due fratelli che vennero decapitati al quarto miglio dell'Appia non prima di aver convertito molte persone al cristianesimo, tra le quali anche un funzionario romano di nome Massimo. Almachio ordina di uccidere anche Massimo, che Cecilia fa seppellire assieme a Valeriano e Tiburzio in un nuovo sarcofago sul quale è scolpita una fenice, simbolo della resurrezione. Almachio vuole quindi impossessarsi dei beni dei due fratelli e manda a prendere Cecilia, la quale viene interrogata e condannata a morte. La condanna prevedeva di farla morire ustionandola per immersione in liquidi bollenti, ma lei ne esce illesa. Visto che il supplizio non aveva dato l'esito voluto, Almachio dà disposizione che venga decapitata e sebbene il carnefice la colpisca tre volte, Cecilia sopravvive ancora tre giorni durante i quali riesce a distribuire tutti i beni ai poveri e chiede al papa Urbano di consacrare la sua casa mettendola a disposizione della Chiesa. Urbano, aiutato dai suoi diaconi, seppellisce Cecilia nel luogo in cui si seppellivano i vescovi, i martiri e i confessori della fede Cristiana. Questa è la storia che la tradizione cristiana ci ha trasmesso e alla quale si sono ispirati i pittori che hanno affrescato le pareti della chiesa di S. Cecilia (Bologna), sia nelle scene in primo piano, sia negli episodi narrati in secondo piano, come il battesimo di Tiburzio nella quarta scena o Valeriano che chiede ai poveri dove trovare il papa Urbano nella seconda scena. Dalle ambientazioni, ma soprattutto dalla presenza di uno dei protagonisti della storia, S. Urbano, si dovrebbe collocare il martirio di S. Cecilia negli anni che vanno dal 222 al 230, anche se di documenti attendibili non si è in possesso. Attualmente S. Cecilia è nota come protettrice della musica, ma questo si deve ad una interpretazione, avvenuta attorno al secolo XVI, di una parte della passio nella quale si narra che, durante i festeggiamenti nuziali, S. Cecilia in cuor suo cantava al Signore di renderla immacolata e di non confonderla. Tale testo risulta infatti adattato ed utilizzato nel passato come antifona alle lodi e ai vespri nella memoria di S. Cecilia. Nella liturgia attuale, per la memoria di S. Cecilia il 22 novembre, troviamo ancora un riferimento al canto nella orazione: "Ascolta, Signore, la nostra preghiera e per intercessione di S. Cecilia, vergine e martire, rendici degni di cantare le tue lodi." |
| Brevi cenni
storici sulla figura e l'opera di Sant'Antonio abate. Brano tratto da Biblioteca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia università Lateranense, Roma, 1962, vol. II, pp.106-114 ANTONIO abate, santo, detto anche il Grande, è il patriarca del monachesimo, famoso uomo di preghiera, celebrato lottatore contro i demoni, guaritore di infermi e direttore di anime. Nacque intorno al 250 a Coma (lodierna Qemans), località posta sulla riva occidentale del Nilo presso Eracleopoli, nel medio Egitto, da una famiglia cristiana di floride condizioni economiche. Alla morte dei genitori, avvenuta intorno al 270, Antonio, ancora giovane, vendette le sostanze paterne, collocò la sorella presso pie donne, assicurandole i mezzi necessari al sostentamento, e distribuì infine ai poveri tutto quanto gli restava. Si ritirò in un luogo vicino al suo villaggio per condurre vita eremitica, tutta dedita al lavoro, alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, dapprima alle dipendenze di un santo monaco, in seguito in completa solitudine. Il demonio cominciò subito a tentarlo in diversi modi, ma Antonio gli resistette sottoponendosi a penitenze sempre più rigorose. Dopo poco si trasferì in un antica tomba scavata nel fianco di una montagna, la cui ubicazione era nota solo ad un amico fedele. Anche qui subì da parte del demonio terribili sevizie e così crudeli da restare tutto contuso. Nel 285, quando ormai aveva trentacinque anni, interruppe qualunque relazione umana ritirandosi ad est, verso il mar Rosso, fra le montagne di Pispir. Si stabilì presso una fonte dove era un vecchio castello abbandonato, nido prediletto dai serpenti. In questo luogo era vietato laccesso a chiunque, persino allamico fedele che gli gettava i viveri al di sopra delle mura di cinta. Qui, alcuni anni dopo, diffusasi la fama delle sue virtù, molti solitari si posero sotto la sua direzione dando origine a due monasteri: uno ad oriente del Nilo presso le montagne del Pispir, laltro sulla riva sinistra del fiume. Qui verso il 307 ebbe la visita del monaco S. Ilarione. Al tempo della persecuzione di Massimino (311) lasciò la solitudine per recarsi ad Alessandria a servire e a incoraggiare i confessori della fede. Costretto dallindiscrezione del popolo, che il suo soggiorno alessandrino aveva maggiormente incuriosito, e anche dal desiderio di trovare una più completa solitudine, stabilì di addentrarsi nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto). Si unì ad una carovana di mercanti arabi e per tre giorni e tre notti camminò verso il Mar Rosso. Si fermò presso una montagna distante trenta miglia dal Nilo (Coltzum), dove trascorse gli ultimi suoi anni e da qui si recò a visitare il primo eremita S. Paolo. I monaci del Pispir non tardarono a ritrovarne le tracce e si organizzarono per recargli una esigua scorta di viveri che il santo, a suo tempo, integrò con i frutti del suo orto che spesso le fiere o i demoni in aspetto di fiere devastavano, fino a quando il pio eremita ingiunse loro di allontanarsi in nome di Dio. Alcuni mesi prima della morte tornò nuovamente ad Alessandria per combattere gli Ariani. Una quindicina di anni prima, aveva concesso a due suoi discepoli, Macario ed Amathas, di raggiungerlo e di far vita comune con lui. Poco prima della morte predisse loro la sua fine imminente con la proibizione di manifestare ad alcuno il luogo della sua sepoltura e ciò per sottrarre la sua salma agli onori. Morì il 17 gennaio 356 e in tale giorno e ricordato nei martirologi e nei sinassari. Fu amico di S. Atanasio, che difese ed aiutò nella lotta contro gli ariani, per il quale si reco due volte, più che centenario, ad Alessandria a perorarne la causa, e dallimperatore Costantino, al quale scrisse numerose lettere per il richiamo di Atanasio ad Alessandria. Fu in relazione inoltre con S. Ilarione, con S. Paolo eremita, con Didimo il Cieco. La sua vita è un tessuto di prodigi, di lotte col demonio, che lo resero uno dei santi più venerati del mondo cristiano. Antonio è liniziatore della vita anacoretica, cioè della vita di solitari dimoranti nel medesimo luogo ma non legati da regole. Mentre gli asceti più sperimentati si ritiravano a far vita assolutamente appartata (eremiti), i più giovani vivevano in gruppi sotto la direzione di un anziano, occupando ognuno una propria cella, separata ma vicina alle altre. Delle opere di S. Antonio è rimasta una sola lettera autentica indirizzata allabate Teodoro e ai suoi monaci. Le sette lettere ricordate da S. Gerolamo sembrano perdute, poiché le sette pervenute in latino probabilmente non si possono identificare con queste. Sono da rifiutarsi come apocrifi tutti gli altri scritti, assai numerosi, editi sotto il suo nome, come lettere, sermoni, regole e alcuni trattati. Le istruzioni che Antonio dava ai monaci, tranne quelle conservate da S. Atanasio, sono perdute. Il culto di S. Antonio cominciò, per
certi aspetti, durante la sua vita Antonio. S. Girolamo (Vita
Hilarionis) attesta, infatti, le preoccupazioni del
santo perché un certo Pergamo, ricco signore
dellEgitto, si riprometteva di trasportarne il
corpo nella sua proprietà per erigergli una chiesa. S. Eutimio, abate in Palestina (+ 473), ne fece celebrare la festa il 17 gennaio e fu presto imitato da Costantinopoli. In Occidente la festa appare segnata al 17 gennaio nel Martirologio Geronimiano e in quello storico di Beda. Fu venerato in modo particolare dal popolo, il quale faceva ricorso a lui contro la peste, contro i morbi contagiosi e contro il cosiddetto " fuoco di S. Antonio ". La popolarità del culto incrementò una ricca iconografia, favorì la pia consuetudine di imporre il suo nome ai bambini e quella di intitolargli ospedali, confraternite, chiese, oratori, edicole. Il luogo della sepoltura di Antonio era ancora sconosciuto quando Atanasio ne scriveva la Vita. Verso il 561 sotto limperatore Giustiniano fu scoperto il suo sepolcro per mezzo di una rivelazione. Le reliquie, trasportate ad Alessandria e deposte nella chiesa di S. Giovanni Battista, verso il 635, in occasione dellinvasione araba dellEgitto, furono rilevate e portate a Costantinopoli. Di qui, nel sec. XI, passarono alla Motte-Saint-Didier in Francia, recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa. La chiesa costruita per accoglierle fu consacrata dal papa Callisto Il nel 1119. In seguito (1491), furono traslate a Saint Julien presso Arles. La Vita di Antonio fu scritta da S. Atanasio, che cita persino un intero discorso, in cui è riassunta la dottrina ascetica del santo anacoreta Antonio Lopera fu scritta nel 357 secondo alcuni, nel 365-73 secondo altri, e tradotta in latino nel 388 da Evagrio di Antiochia. Questa Vita, la cui autenticità è ormai indiscussa, ha fissato gli aspetti e i caratteri più frequenti della letteratura agiografica monastica, esercitando uninfluenza grandissima soprattutto in occidente. S. Agostino, nelle Confessioni (VIII, 6, 14), nota il bene che ne ricavò al momento della conversione. Lopera diffuse largamente la conoscenza della vita monastica, diede lavvio ad una abbondante letteratura di esaltazione della medesima. In essa il ruolo dei demoni, tentatori e tormentatori, è alquanto esagerato, come è troppo accentuata la tendenza al meraviglioso. S. Atanasio, servendosi dellespediente caro ai retori (inserzione di discorsi), riesce ad illuminare pienamente la spiritualità del suo eroe. Riflessioni sulla vita di S. Antonio abate. Il senso di una scelta cristiana A cura di Giuseppe Daraio Il viaggio che conduce Antonio e quanti
con lui rivolsero, fra la fine del III secolo e
linizio del IV secolo, la loro attenzione verso il
deserto è un profondissimo desiderio di conversione.
Questa parola nel suo significato etimologico greco e
latino esprime il desiderio e lesigenza di cambiare
radicalmente la propria vita, di rivolgerla verso il
Signore Gesù incontrato e riconosciuto nel Suo essere
Creatore, Salvatore, Senso autentico della propria vita e
della storia delluomo. Testi tratti dal sito del Santuario di S. Antonio Abate Località Fosso Magno - Grottole (Basilicata) |
RIONE SAN FRANCESCO Parrocchia San Giuseppe Artigiano LA VITA DI S. FRANCESCO San Francesco nasce in Assisi nel 1182, da famiglia benestante e vive i primi anni della sua vita nella ricchezza. A venti anni combatte contro Perugia in difesa della sua città nella battaglia di Collestrada ed è fatto prigioniero. Alcuni anni dopo desideroso di diventare cavaliere, parte alla volta della Puglia per combattere, ma giunto a Spoleto, una visione ed una voce misteriosa lo fermano, torna ad Assisi e per lungo tempo riflette; inizia così il periodo che lui stesso chiama "della conversione". Nel 1206 si reca pellegrino a Roma, alla tomba di S. Pietro, scambia il ricco vestito con quello di un mendicante e si mette egli stesso a chiedere lelemosina. Tornato nella sua terra si occupa interamente dei poveri e dei lebbrosi. Un giorno, mentre prega nella chiesetta di S. Damiano, il Crocifisso gli dice: "Francesco, va e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina". Solo un anno dopo innanzi al vescovo di Assisi, rinuncia a tutti i beni, restituendo a suo padre perfino le vesti che aveva indosso esclamando: "dora in poi potrò dire liberamente Padre nostro che sei nei cieli e non padre Pietro di Bernardone". Stabilisce la sua dimora presso la chiesetta di S. M. degli Angeli (Porziuncola). Nel 1209 in occasione della festa di San Mattia, si fa spiegare del sacerdote il brano del vangelo che riguarda la missione degli apostoli e al termine della spiegazione esulta con gioia esclamando: "questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore". Dà così esecuzione al suo intento e con altri giovani che seguono il suo esempio fonda la "Fraternità Francescana". Nel 1210 in aprile, da Innocenzo III a Roma, con i suoi primi compagni, ottiene a viva voce lapprovazione della Regola. In precedenza il Papa aveva avuto una visione del Laterano crollante e riconobbe in Francesco il piccolo religioso che lo sorreggeva. Nella notte del 28 marzo 1211, accoglie nella chiesetta della Porziuncola, la giovane chiara fuggita dal palazzo del padre e la riveste dellabito Francescano. Ha così inizio il 2° Ordine o Delle Clarisse. Nel 1212 a Roma, incontra Giacomina dei Settesoli che rimarrà affezionata al santo e sarà presente anche alla sua morte. Nel ritorno, ad Alviano, per predicare fa tacere le rondini e promette una regola di vita per tutti. E la prima idea per il 3° ordine. Dal 1213 al 1218 predica il vangelo in molti luoghi e città dItalia e compie viaggi apostolici in Francia e Spagna. Ogni anno, riunisce ed invia nelle varie nazioni dEuropa, in Marocco e Siria, i frati, perché facciano conoscere la parola del vangelo. Nel 1219 si reca in medio oriente tra i crociati e sconsiglia di dare battaglia; non ascoltatolo subiscono una tremenda sconfitta. Incontra allepoca il sultano dEgitto che gli consentirà insieme ai suoi compagni di visitare i luoghi santi della Palestina. Nel 1221 con il cardinale Ugolino prepara il "Memorial Propositi", ritenuta la prima regola dei penitenti Francescani. Con frate Leone e frate Bonizio, nel 1213, si ritira a Fontecolombo (Sinai Francescano) per stendere la nuova regola dellordine che Onorio III, il 29 Novembre, approva con la bolla (Solet Annuere). Nel Natale dello stesso anno a Greccio, alleste il primo Presepe (Betlemme Francescana). Nel settembre del 1224, sulla Verna (Calvario Francescano), riceve le stimmate. Nel 1225 dopo una notte di sofferenze compone "Il Cantico delle Creature" e il 3 ottobre 1227 in Assisi a S. M. degli Angeli, allora del vespro, muore. Il 25 maggio 1230, dalla chiesa di S. Giorgio, il suo sacro corpo viene traslato nella nuova Basilica eretta in suo onore. Papa Gregorio IX il 16 luglio 1228, lo iscrive nellalbo dei santi. Da Papa Benedetto XV nel 1916, è proclamato patrono dellAzione Cattolica e nel 1939, da Papa Pio XII unitamente a S. Caterina da Siena viene proclamato patrono primario dItalia. Da Giovanni Paolo II nel 1979 è proclamato patrono dellecologia. Per altri episodi salienti non menzionati ci scusiamo, ma la sua grandezza in ogni ordine è tale che descriverla anche sinteticamente non è alla portata umana. Primo rione a scendere sul WEB è quello di San Francesco: Colgo l' occasione per invitarti il 4 ottobre alla processione, in onore di S. Francesco, con partenza dall'altare del Santo alle ore 19, subito dopo vi sarà la S. Messa. Domenica 6 non ci saranno feste di tipo folkloristico ma un momento di preghiera. Cordiali saluti Il prefetto del rione S. Francesco Salvatore Varvaro |
| SAN BENEDETTO A Subiaco il primo nucleo abitato cominciò
forse al tempo di Nerone nella zona detta ora Pianigliu.
Quando vi giunse San Benedetto la popolazione era già
cristiana; la chiesa parrocchiale era probabilmente
dedicata a San Lorenzo e il parroco, che ebbe tanta
triste parte nella vita del nostro Santo, si chiamava
Fiorenzo. La vita monastica vi era conosciuta. San
Gregorio ricorda il monastero non lontano da Subiaco, i
cui monaci invitarono San Benedetto come loro superiore,
e quello vicinissimo allo Speco, governato da Adeodato, e
al quale apparteneva il monaco Romano. San Benedetto Continua nel sito dei benedettini: |
| SANTA
LUCIA VERGINE E MARTIRE Ø LA PERSECUZIONE DI
DIOCLEZIANO Numerosi sono i devoti che vengono a
peregrinare fino alle Reliquie della Santa Siracusana.
Alcuni giungono persino dal Nord-Europa, altri
dallAmerica. Ma spesso la pietà non si appaga nel
visitare lUrna o nel recitare delle preci. Vuol
conoscere da vicino la Santa protettrice degli occhi. Esaurita la « Vita di S. Lucia » del
compianto prof. don Enrico Lacchin (valoroso docente di
storia dellarte nel Seminario Patriarcale),
sè pensato di prepararne una di nuova, che pur
nella brevità tenesse conto degli studi più recenti
compiuti dallagiografia. La non lieve fatica venne generosamente
portata a termine dal carissimo prof. don Antonio Niero
(insegnante nel Seminario). Una piccola ricerca nel nostro archivio
parrocchiale diede modo di inserire nel testo alcune
stampe illustrative. Possa ora questo piccolo libro sulla vita di
S. Lucia correre nelle mani di molti per accendere nei
cuori quella luce soprannaturale di cui la nostra Martire
era mirabilmente dotata. Don Aldo Fiorin Parroco dei Ss.
Geremia e Lucia Docente di S. Scrittura nel Seminario
Venezia, Chiesa dei Ss. Geremia e Lucia, 22 novembre 1965
Sul finire del III secolo (anno 281?) nacque a
Siracusa S. Lucia. La città natale era famosa per essere
stata fiorente centro di vita greca prima e poi
dimportante commercio, intimamente legata alle
vicende delle guerre puniche: conquistata da Roma nel
212 a. C. assolse una funzione notevole tra le città
della provincia di Sicilia. Diffusosi il cristianesimo in età apostolica
per merito del vescovo S. Marziano, inviato a Siracusa da S. Pietro stesso secondo la tradizione, ospitò
lapostolo S. Paolo per tre giorni nel viaggio
verso Roma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli. La
fede di Cristo, nonostante le varie persecuzioni, si era
potuta diffondere notevolmente: quando nacque S. Lucia
la colonia cristiana era assai numerosa con le sue chiese
e le sue catacombe cimiteriali. Secondo la tradizione, la famiglia della nostra
santa era di nobile stirpe e ricca di possedimenti
terrieri: ci è lasciato il nome della madre: Eutichia;
del padre è detto che morì quando Lucia era
quinquenne appena. Probabilmente egli poteva chiamarsi
Lucio, data la norma romana di porre alle figliuole il
nome del padre. Anche la famiglia forse era già
cristiana se consideriamo il nome imposto a Lucia,
tipicamente cristiano secondo qualcuno, ispirato al testo
paolino « siete figli della luce ». Lucia significa
senzaltro Luce per il dotto Tillemont. Cresceva bella e buona la bimba siracusana,
sotto lo sguardo vigile della madre: soprattutto era
bella nella modestia del portamento, onde la madre già
pensava per lei la soluzione di un felice matrimonio. Invece Lucia aveva ben altro proposito nella sua
vita: si era consacrata perennemente al Signore con voto
di verginità. Neanche la madre fu a conoscenza di
questo. Soltanto un insieme di circostanze fortuite
resero manifesta la sua consacrazione al Signore. Alla vicina città di Catania, ogni anno
solevano andare in folla i cristiani per venerare il
corpo della vergine martire S. Agata, morta per la fede
di Cristo nel 231, durante la persecuzione di Decio. I
miracoli, che avvenivano presso il suo sepolcro, ne
avevano diffuso la fama in tutta la Sicilia cristiana. Il 5 febbraio del 301, festa della Santa,
tra i pellegrini cerano anche Lucia ed Eutichia sua
madre. Da oltre quarantanni Eutichia soffriva di
gravi emorragie, per le quali nessun rimedio era stato
utile: ormai aveva perduto ogni speranza di guarire. In quel giorno, durante i sacri misteri, fu
letto il tratto evangelico, che narrava lepisodio
dellemoroissa: una malattia identica alla sua. Il
testo evangelico fu compreso bene dalle due donne. Una
fiducia insperata di poter guarire provò Eutichia e
viva fede ebbe Lucia nella potenza miracolosa di S.
Agata. Lemoroissa era guarita appena aveva
toccato la veste del Signore: la madre di Lucia
sarebbe stata risanata se invece avesse toccato il
sepolcro della santa martire. Così Lucia suggerì a sua
madre. Sul far della sera, quando tutti ebbero lasciato
la chiesa, le due donne rimasero nella penombra in
fiduciosa preghiera accanto al sepolcro di S. Agata. Le
loro parole alla Santa erano di intensa richiesta di
guarigione. A lungo però non poterono pregare ché il
sonno ebbe il sopravvento e Lucia si addormentò
profondamente lì nella penombra della chiesa, accanto al
sepolcro della martire catanese. Nel sonno le parve di aver presente una visione
nitida: schiere e schiere di angeli circondavano la
vergine S. Agata, che sorrideva a Lucia e
le diceva: « Lucia sorella mia, vergine di Dio, perché
chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere ? Infatti
la tua fede ha giovato a tua madre ed ecco che è
divenuta sana ». Quando Lucia si svegliò, rivelò alla madre la
visione serena e le parole risanatrici di S. Agata. Era
guarita la madre. Inoltre era questo il momento opportuno
.di farle conoscere il suo voto di verginità. Così in
realtà fece. Nessun rammarico mostrò la donna per
questo proposito santo: anzi le disse che ogni sua cosa
personale, dopo la morte, le sarebbe stata lasciata. Il momento era adatto per Lucia per suggerire
alla madre propositi di maggiore perfezione, giacché
manifestava così vivamente il distacco dai beni della
terra; onde la consigliò di vendere tutte le sue
sostanze e darle ai poveri. Per allora Eutichia non fece alcun progetto, ma
poi, ritornate, a Siracusa, Lucia riprese ancora a
parlarle dellideale di perfetta povertà. Ben
presto si decise di vendere i suoi beni e distribuire il
ricavato ai poveri, seguendo gli esempi della primitiva
chiesa di Gerusalemme. Una tale elargizione se era esemplare nella
fervente comunità cristiana di Siracusa, destava
senzaltro lo stupore dei pagani, per i quali i
beni di questo mondo erano le cose migliori della vita.
Ordinariamente un gesto del genere era sintomo evidente
di fede cristiana: solo i seguaci di Cristo giungevano a
disprezzare i beni della terra al punto da venderli e
darli ai poveri. E così pensò uno a cui molto
interessavano i beni di Lucia: un giovane del quale la
tradizione non ha conservato il nome e che desiderava
vivamente di farla sua sposa. Dalla madre di Lucia volle sapere perché la
figliuola vendeva le vesti preziose e gli ornamenti;
per quale ragione distribuiva il ricavato ai poveri, alle
vedove ed ai ministri del culto cristiano. Eutichia diede
una risposta evasiva, che per il momento lo rese
tranquillo. Ma in seguito il sospetto che Lucia fosse
cristiana divenne certezza: visto fallire il suo
desiderio di averla come sposa, poiché ella lo aveva
respinto, decise di denunciarla al prefetto della città
come cristiana e di conseguenza fossero applicati a lei i
decreti imperiali. LA PERSECUZIONE DI DIOCLEZIANO Allora per la chiesa cattolica non erano tempi
tranquilli: limperatore Diocleziano nel vano
tentativo di arrestare linevitabile crisi
dellImpero romano stava attuando varie riforme,
da quella amministrativa a quella economica, fiducioso
di riportare lo Stato romano ai tempi migliori. Nel suo
vasto piano di rinnovamento generale, anche la riforma
religiosa doveva avere la sua importanza, come riforma
delle coscienze: il culto imperiale doveva essere il
veicolo di penetrazione interiore del senso della
romanità e della potenza dellimpero.
Approfittando di un complesso di circostanze, emanò i
suoi editti di persecuzione contro i cristiani il 24
febbraio del 303. Fu la più feroce persecuzione la
sua, soprattutto nelle province, dove funzionari
zelantissimi la applicarono ciecamente. Lattanzio (de
mort. persec. 10) ha scritto pagine celebri sulla furia
di codesta persecuzione.
A Siracusa era prefetto della città (meglio era
correttore) Pascasio, succeduto da pochi mesi a
Calvisiano, che nellagosto del 303 aveva
condannato a morte il vescovo S. Euplo. Quando Lucia gli fu portata innanzi sotto
limputazione di essere cristiana, egli le ordinò
di sacrificare agli dei. Allora Lucia disse: Sacrificio
puro presso Dio consiste nel visitare le vedove, gli
orfani e i pellegrini, che versano nellafflizione e
nella necessità, ed è già il terzo anno da che io
offro a Cristo Dio tali sacrifici erogando tutto il mio
patrimonio. Pascasio linterruppe con senso
dironia: Va a contare queste ciance agli stolti
come te, poiché io eseguo i comandi dei Cesari e perciò
non posso udire siffatte stoltezze. Lucia disse: Tu osservi i decreti dei Cesari
come anchio curo la legge del mio Dio giorno e
notte; temi pure le loro leggi, mentre io riverisco il
mio Dio: tu non vuoi mancare di rispetto a quelli ed io
come mai oserò di contraddire il mio Dio? Tu
tingegni di piacere a loro ed io mi ingegno di
piacere a Dio: tu dunque fa come credi ti torna comodo ed
io opero secondo è grato allanimo mio. Pascasio continuò: Tu hai prodigato le tue
sostanze ad uomini vani e dissoluti. Presso i pagani, secondo quanto testimoniano le
apologie di Minucio Felice e Tertulliano, vigeva
laccusa che i cristiani praticassero riti
dissoluti come si notavano in altri culti misterici. Ma
Lucia subito smentisce Pascasio dicendogli: Io ho
riposto al sicuro il mio patrimonio e la mia persona non
ha gustato la dissolutezza. Pascasio soggiunse: Tu sei la stessa
dissolutezza in anima e corpo. Lucia rispose: Siete voi che costituite la
corruzione del mondo. Pascasio disse: Cessi la tua loquacità;
passiamo ai tormenti. Lucia replicò: E impossibile porre
silenzio ai detti del Signore. Pascasio riprese: Tu adunque sei Dio? Lucia rispose: Io sono serva del Dio eterno,
poiché Egli ha detto: quando sarete dinanzi ai re ed
ai principi non vi date pensiero del come o di ciò che
dovete dire, poiché non siete voi che parlate ma lo
Spirito Santo che parla in voi. Pascasio disse: Dentro di te cè adunque
lo Spirito Santo? Lucia rispose: Coloro che vivono castamente e
piamente sono tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in
essi. Pascasio disse: Ti farò condurre in un luogo
turpe e così fuggirà da te lo Spirito Santo. Anche per piegare altre vergini cristiane il
giudice romano spesso era ricorso a simili mezzi:
tantè vero che Tertulliano scriveva, con i suoi
tipici giuochi di parole, che esse temevano più il
lenone che il leone: la prova cioè contro la loro virtù
piuttosto che le belve feroci. Innanzi alla fermezza della santa di non
piegare agli ordini di Pascasio, questi raduna della
gentaglia per costringere Lucia ad obbedirgli. Ogni suo
tentativo riesce vano: neppure i soldati, neppure le paia
di buoi riescono a smuovere Lucia che sta immobile come
una roccia (lepisodio è narrato, tra gli altri,
con potenza darte da Lorenzo Bassano in una pala
della Basilica di S. Giorgio Maggiore di Venezia). Tutti codesti prodigi furono ritenuti da
Pascasio opera di magia, onde ordina che attorno a lei si
prepari il rogo e sì accenda la fiamma, secondo quanto
si usava contro i sospetti di arti magiche. Vengono tosto portate pece e resina, legname ed
olio; tutto viene gettato contro la Santa. Divampano le
fiamme,. ma lei non ne è toccata. Anzi dice a Pascasio:
Pregherò il mio Signore perché questo fuoco non si
impadronisca di me. Pascasio non si conteneva più dallira.
Allora alcuni dei suoi amici per impedire che fosse
ancor più deriso dalla Santa e gli sforzi suoi
risultassero del tutto vani, tirarono giù Lucia dal rogo
perché fosse finita con la spada.
Lucia comprese che ormai era giunto il momento
di confessare Cristo con il martirio: si pose in
ginocchio pronta a ricevere il colpo mortale. Prima però volle parlare alla gran folla che
nel frattempo si era radunata attorno a lei: disse che la
persecuzione contro i Cristiani stava terminando e la
pace per la Chiesa era imminente con la caduta
dellimperatore Diocleziano. Ricordò loro che
Siracusa lavrebbe sempre onorata così come la
vicina Catania aveva in venerazione S. Agata. Quando
ebbe terminato di parlare, venne il colpo mortale che le
recise il capo consacrandone la verginità con il
martirio. Era il 13 dicembre del 304, secondo quanto narra
la tradizione. Deposto il suo corpo nelle catacombe, che da lei
presero il nome, divenne il suo sepolcro ben presto
famoso richiamando i fedeli che ne ricevevano grazie
abbondanti. Fu subito la Santa per eccellenza dei
siracusani. In iscrizioni greche delle catacombe
siracusane, anche dopo un secolo dal martirio è detto
«la nostra santa Lucia ». Soprattutto è rimasta
famosa la iscrizione di Euschia venuta alla luce nel
1894 in escavi archeologici. Essa dice «Euschia la
irreprensibile, vissuta buona e pura per anni circa 25,
morì nella festa della mia Santa Lucia per la quale non
vi ha elogio condegno: (fu) cristiana, fedele, perfetta,
grata al suo marito di morta gratitudine». Allinizio del V secolo, data
delliscrizione, la Santa era ormai popolare:
Euschia, questa donna, muore giovane nel giorno festivo
della sua patrona, che nessuno può elogiare in maniera
conveniente giacché ormai tutti ne conoscevano vita,
virtù e prodigi. Secondo il breviario Gallo-Siculo sopra
il sepolcro di S. Lucia sarebbe stata innalzata una
basilica nel 310: addirittura sette anni dopo il
martirio ! Se la notizia è discutibile per questa data, si
può peraltro ammettere che la basilica sia stata eretta
non molto tempo dopo la sua morte: comunque prima della
citata iscrizione di Euschia. Il suo culto ben presto si diffuse fuori della
Sicilia stessa come documentano le stratificazioni più
antiche del martirologio Geronimiano: prova ne siano
linserzione del nome della Santa nel Canone della
Messa da parte di papa S. Gregorio Magno ( 604), la
devozione in Roma stessa, dove le vennero dedicate una
ventina di chiese e nellItalia settentrionale,
dove la troviamo effigiata a Ravenna in S. Apollinare
Nuovo nella processione delle vergini, in Inghilterra,
nella chiesa Greca, dove il Damasceno stesso compose la
liturgia in onore della Santa. Dopo le scoperte
geografiche del secolo XV, il suo culto si estende
particolarmente nellAmerica Latina,
nellAfrica, in alcuni luoghi dellAmerica del
Nord. Nella devozione popolare la sua vita si arricchisce
di particolari leggendari: il più famoso è quello di
credere che la santa stessa si sia levata gli occhi
inviandoli in un bacile di argento al giovane, che si
era innamorato del loro splendore affascinante oppure,
secondo la versione, accettata fra laltro anche
dallumanista Battista Mantovano, li abbia mandati
a Pascasio stesso, ma subito le siano stati rimessi con
improvviso miracolo, poiché S. Raffaele sarebbe sceso da
cielo a compierlo. Non sappiamo quando sia nata la leggenda (ma è
probabile di età umanistica), che presenta una
particolare somiglianza con episodi consimili
verificatisi nella favolistica indiana: forse si è dato
il caso di omonimia con unaltra Santa, che si
sarebbe tolta gli occhi per liberarsi da unincauta
persona, o meglio per un processo di etimologia popolare
del nome ravvisando il rapporto: Lucia = luce, oppure
come suggerisce il Delehaye, quale ex-voto di devoto
guarito. Di conseguenza, in base ai principi della pietà
popolare, S. Lucia fu invocata per proteggere la luce
degli occhi, cioè la vista. Forse, secondo quanto
insinua il dotto Garana, codesto rapporto è
antichissimo, come può risultare dalliscrizione di
Euschia del IV secolo, nella quale il nome della devota
nel valore di « ombrosa » può alludere ad affezione
morbosa della vista. Certo nellappendice
miracolistica, annessa al racconto della traslazione
veneziana del 1280 (ma giuntaci in un testo
quattrocentesco), sono documentati alcuni miracoli di
vista riacquistata. Una prova ulteriore è data da quanto
la tradizione afferma di Dante Alighieri, almeno stando
ai dati del figlio Jacopo, per cui il poeta sarebbe
guarito da grave danno alla vista subito per le lagrime
sparse in morte di Beatrice, dopo di aver invocato spesso
S. Lucia durante il male, onde lha collocata nel
secondo canto dellInferno, nel nono del Purgatorio
e nel trentatreesimo del Paradiso: non più dunque in
sola funzione allegorica, quanto invece come gesto di
riconoscenza devota. ICONOGRAFIA DELLA SANTA Il culto veneziano della Santa è provato tra
laltro dal Kalendarium Venetum del XI secolo, e poi
nei Messali locali del secolo XV, nonché nel Memoriale
Franco e Barbaresco dellinizio del 1500, dove è
considerata festa di palazzo, cioè festività civile. Sin dal 1107 sorgeva una chiesa in suo onore
allestremità occidentale del Canal Grande, forse
parrocchia nel 1182, dove poi nel 1313 riscontriamo con
sicurezza il corpo della Santa. In essa esisteva la
scuola a lei intitolata sin dal 1323, a cui nel 1703 fu
aggiunto un sovvegno. Ma in nessunaltra chiesa
veneziana notiamo scuole in suo onore, tranne a 5.
Moisè, poiché qui sin dal 1313 esisteva una scuola per
i ciechi, onde fu naturale il culto alla Santa patrona
della vista. Prova più vasta dellimportanza della
Santa nella pietà veneziana è pure desumibile dalla sua
iconografia in pale daltare, per buona parte di
origine e sviluppo post-tridentino. Così si veda a S.
Marco (mosaici dei secoli XVI e XVII); nella pala con
la Vergine e Santi, di Giovanni Bellini a S. Zaccaria;
a S. Giovanni in Bragora in polittico di Iacobello del
Fiore; in quella di S. Nicolò, del Lotto ai Carmini; a
S. Giovanni Crisostomo, nella pala di Sebastiano del
Piombo; a S. Martino; a S. Elisabetta del Lido; a S.
Stefano nella pala dellImmacolata, del
Menescardi; a S. Giorgio Maggiore, di Leandro Bassano;
ai Tolentini, del Peranda; ai SS. Apostoli, di
Giambattista Tiepolo, ma soprattutto in chiesa, ora, a S.
Geremia in tele della demolita chiesa di S. Lucia. Tralascio le altre documentazioni iconografiche
nei musei e raccolte private veneziane, poiché ora non
sono più oggetto di culto; alla pari accenno solo al
vasto repertorio iconografico nella pittura veneziana e
veneta, fuori di Venezia, come, per fare un nome, in
Cima da Conegliano. Nellambito della diocesi, si
notino le storie della Santa in affresco del duomo di
Caorle, navata destra, di anonimo trecentesco, e la Santa
in pala di altare laterale nella chiesa di Oriago, di
anonimo settecentesco; in altare laterale nella chiesa di
Chirignago di anonimo neoclassico. Il tipo iconografico, sino al periodo post-tridentino, non sempre la dà con gli occhi in mano: a volte, come in Cima, tiene la lampada verginale fra le mani (poittico di Olera; pala di Lisbona); il motivo degli occhi sul bacile di argento, sebbene sia presente anche in fase pre-tridentina, è poi costante in quella post-tridentina. Il corpo di S. Lucia rimase in Siracusa per
molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu poi
portato nella basilica eretta in suo onore, presso la
quale, allinizio del VI secolo, fu costruito un
monastero. Nella minaccia araba per il suo sepolcro
nell878, dopo la conquista islamica della Sicilia,
il suo corpo fu nascosto in un luogo segreto. Nel 1039,
appena Maniace, generale di Bisanzio, riuscì a
strappare Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a
Costantinopoli, o come preda di guerra o, secondo
laffermazione della Cronaca del doge Andrea
Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e
Costantino. Invece secondo la tradizione francese, il
corpo della Santa fu levato da Siracusa nel corso del
secolo VIII da Feroaldo, duca di Spoleto, dopo la
conquista della città che lo recò a Corfinio, donde il
vescovo di Metz lo avrebbe trasferito nella sua città
episcopale. Indubbiamente qui si sviluppò un culto
attorno a codèste reliquie, sebbene, viene notato
giustamente, si tratti di unaltra martire
siracusana, di nome Lucia e confusa per omonimia con la
nostra Santa. La linea maestra della tradizione afferma
che il suo corpo fu tolto da Costantinopoli nel 1204 dal
doge veneziano Enrico Dandolo, dove lo aveva trovato
assieme a quello di S. Agata, ed inviato a Venezia.
Invece secondo una variante, documentata dal codice
secentesco, o Cronaca Veniera, della Biblioteca Marciana
di Venezia (It. VII, 10 (= 8607) f. 15 v.), esso sarebbe
stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata,
nel 1026, sotto il dogado di Pietro Centranico. Non
sappiamo lorigine della notizia e se derivi da
una fonte anteriore, per quanto un fondato sospetto
induca ad un errore meccanico di amanuense, che ha letto
1026 per 1206, cioè gli anni della traslatio ufficiale.
E nella Cronaca Veniera lo si accettò, armonizzando il
fatto con il doge dellepoca. Certo è difficile una
precisazione storica di codeste reliquie, esente da
qualsiasi sospetto, almeno allo stato attuale delle cose;
per noi è prudenza elementare prendere atto della
presenza del suo corpo in Venezia sin dal 1204. Ma si
noti che in Venezia esisteva già una chiesa dedicata
alla martire nel 1167 e 1182, come lo provano
inequivocabili documenti, per cui è probabile che la
determinazione di trasferire le reliquie nelle lagune
sia stata originata dalla necessità di arricchire una
chiesa veneziana, come daltronde si verificò per
altri casi consimili. Comunque a Venezia il suo corpo fu collocato
nella chiesa di S. Giorgio Maggiore e determinò un
flusso di pellegrinaggi, che nel giorno della festa
(13 dicembre) assumeva proporzioni impressionanti,
nellandirivieni di imbarcazioni. Il 13 dicembre
1279 accaddero tragici fatti. Alcuni pellegrini morirono
annegati in seguito al capovolgimento delle
imbarcazioni per linsorgere di un turbine
improvviso. Il Senato, ai fini di evitare ancora consimili
dolorosi incidenti, decise che il corpo della Santa
fosse portato in una chiesa di città. Fu scelta la
chiesa di S. Maria Annunziata o della « Nunciata »
nellestremo sestiere di Cannaregio, dove furono
poste le preziose reliquie trasferite da S. Giorgio il 18
gennaio 1280 con una solenne processione. Nel 1313 fu consacrata una nuova chiesa dedicata
a S. Lucia, nella quale le reliquie della Santa furono
deposte definitivamente. Nel 1441 papa Eugenio IV dava questa chiesa, che
era piccola parrocchia, in commenda alle monache del
vicino monastero del Corpus Domini; nel 1478 invece papa
Sisto IV, dopo una vivace contesa tra il monastero della
Nunciata e la parrocchia, che a volte assunse fasi
davvero ridicole, concedeva chiesa e parrocchia alle
monache del monastero della Nunciata, che avanzavano
diritti contro quelle del Corpus Domini sul possesso del
corpo della Santa: la lite insorta fra i due monasteri fu
risolta in favore di quello della Nunciata, come si è
visto: però esso doveva sborsare ogni anno 50 ducati a
quello del Corpus Domini. Nel 1579 passando per il Dominio veneto
limperatrice Maria dAustria, il Senato
volle farle omaggio di una reliquia di S. Lucia. Con
lassistenza del patriarca Trevisan fu levata una
piccola porzione di carne dal lato sinistro del corpo
della Santa. Altre reliquie della Santa si trovavano a
Siracusa, recate nel 1556 da Eleonora Vega, che le
ottenne a Roma dallambasciatore di Venezia
così pure avvenne per alcuni frammenti di braccio
sinistro, recati ivi nel 1656 da Venezia, dal cappuccino
Innocenzo da Caltagirone. Reliquie ancora sono possedute
a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di
Vicenza e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio
Maggiore, dei SS. Apostoli, dei Gesuiti, dei Carmini. Allestero sono documentate a Lisbona nel
1587, con una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del
Belgio nel 1676; a Nantes, in Francia, nel 1667. Nel 1728
una parte dellurna fu donata a papa Benedetto
XIII. Una nuova chiesa, al posto di quella antica, fu
costruita tra il 1609 e il 1611, su schemi palladiani,
riecheggiante lattuale delle Zitelle, con due torri
campanarie in facciata. Per completarla, giravano per la città alcuni
incaricati dalle monache a raccogliere le offerte dei
fedeli con la cassella concessa dal Magistrato della
Sanità. Il 28 luglio del 1806, in seguito alla
soppressione napoleonica, chiesa e monastero furono
chiusi e le monache si rifugiarono in S. Andrea della
Zirada, portando con sé le reliquie della Santa. Poco
dopo, non potendo rimanere lì per ragioni di spazio, con
il consenso del Ministero del culto ritornavano ancora
allantica sede insieme con il corpo di S. Lucia. Nel 1813 il convento di S. Lucia veniva donato
dallimperatore dAustria alla b. Maddalena di
Canossa, che vi abitò fino al 1846, quando si
iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e per la
demolizione del convento. Per il momento la chiesa non fu
toccata. Invece nel 1860 dovendosi ampliare la stazione
ferroviaria, nella stolida furia distruttiva
dellepoca, fu abbattuta anche la chiesa di 5. Lucia
seguendo la triste sorte di tante altre chiese veneziane.
Vero è che minacciava rovina, fatiscente ormai di
secoli e di umane malizie. Si sarebbe potuto ripararla e
risolvere diversamente le esigenze della stazione
ferroviaria. Invece presi accordi con lAutorità
Ecclesiastica, si decise di trasportare il corpo della
Santa nella vicina parrocchiale di S. Geremia. Per la
traslazione, avvenuta l11 luglio 1860, intervenne
il patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e popolo della
città: sette giorni rimase il sacro corpo
sullaltar maggiore, poi fu posto su un altare
laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre
anni dopo, l11 luglio 1863, il patriarca
Trevisanato la inaugurava: essa era stata costruita con
il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S.
Lucia su gusti palladiani. Finalmente per la
generosità di Mons. Sambo, parroco di quella Chiesa
(che nel frattempo venne ad assumere la denominazione «
dei Ss. Geremia e Lucia ») su disegno dellarch.
Gaetano Rossi veniva preparato alla Santa un più degno
altare in broccatello di Verona con fregi di bronzo
dorato. Il 15 giugno del 1930 il servo di Dio patriarca
La Fontaine lo consacrava e collocava il corpo
incorrotto della Santa nella nuova urna in marmo giallo
ambrato, che lo sovrasta. Nel 1955 il patriarca Angelo
Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, volle che fosse data
più condegna importanza alle sacre reliquie,
suggerendo lesecuzione di una maschera
dargento, curata dal parroco di allora don Aldo
Da Villa. Infine, nellanno 1968, per iniziativa del
parroco prof. don Aldo Fiorin e la generosità di
benefattori, la Cappella e lUrna sono state
completamente restaurate. E nel suo tempio ancor oggi riposa la Martire,
meta venerata di tanti pellegrinaggi, con laugurio
inciso nella bianca curva absidale, che si specchia
sulle acque del Canal Grande:
INDICAZIONE
BIBLIOGRAFICA
Nella stesura della vita della Santa ci si è
attenuti al testo della Passio del codice greco
Papadoupolos, edito dal Gaetani (O. GAETANI, Vitae
Sanctorum Siculorum, Palermo 1637, pp. 114-115) e
ripubblicato da C. BARRECA, Santa Lucia di Siracusa.
Pagine storiche, Roma 1902. Per il suo valore critico si veda, oltre il
citato Barreca: O. GARANA, S. Lucia di Siracusa.
Note agiografiche, Archivio storico siciliano, I (1955),
pp. 15-22, in cui sono elencati altri codici greci
della Passio della Santa, finora ignoti, che possono
suscitare interessanti questioni sul tipo del suo
martirio. S. COSTANZA, Un « Martyrion » inedito di S.
Lucia di Siracusa, Archivio storico siracusano, III
(1957), pp. 1-53 dellestratto, il
quale pubblica una recensione medita della Passio, più
ampollosa della consueta e ricca di particolari
romanzeschi. A pp. 5-6 nota esauriente sulle fonti
della vita della Santa, con riferimento alla BHL e
BHG. Nella narrazione presentata ci si è voluto
astenere da ogni valutazione critica su elementi più o
meno favolosi di detta Passio: chi voglia conoscerne
laspetto critico può consultare utilmente: S.
Lucia di A. AMORE, Enciclopedia Cattolica, VII,
col. 1618 e relativa bibliografia, e G. RICCIOTTI, La
Era dei Martiri. Il cristianesimo da Diocleziano a
Costantino, Roma, 1953, p. 177. Tra le altre operette di divulgazione ricordo C.
S. R., La Gemma di Siracusa, Catania 1913, un
breve opuscolo, che dà una versione diversa del codice
Papadoupolos sulla morte della Santa, riferita, secondo
pure la lezione del Breviario Romano, per ferimento alla
gola; nonché G. MAINO, S. Lucia vergine e martire, Bari
1950. O. GARANA, S. Lucia, Siracusa
1958. A. SANTELLI, Santa
dei ciechi doggi: S. Lucia e noi, Roma 1958. O. GARANA, Recenti studi sul
martirio di S. Lucia in S. Lucia, Siracusa
1962, pp. 36-37. G. CINQUE, S. Lucia
vergine e martire, Napoli 1963. Sullorigine del particolare biografico
della enucleazione degli occhi si veda H. HERN, Een
indische wedergade van der legende der heilige Lucia, in
De Gids, 1917, III, pp. 531-40 e la recensione di
H. DELEHAYE in Analecta Bollandiana, XXXIX (1920-1921),
p. 162, nonché dello stesso Les légendes
hagiographique, Bruxelles 1955, p. 44; Cinq
le~ons sur la méthode hagiographique, Bruxelles
1934, p. 134. Per le questioni connesse con il nome si veda:
C. TAGLIAVINI, Un nome al giorno, Torino 1956,
p. 427. MARTIGNY, Dictionnaire des antiquités
chretiennes, Parigi 1887, p. 512. Per Pascasio, sul suo nome e problemi vari si
veda: P. ALLARD, Storia
critica delle persecuzioni, IV, Firenze
1923, p. 391 e segg. Per il 13 dicembre, giorno del martirio, si
veda: J. CARCOPINO, Salluste
et le culte des Ceréres et les Numides, Revue
historique, CLVIII (1928), p. 1 e
segg.: secondo lillustre studioso il 13 dicembre
non sarebbe ildies natalis della Santa, ma un giorno
scelto come sostituzione della festa pagana di Cerere,
che cadeva il 13 dicembre. Lusanza siciliana,
documentata oggi da O. GARANA, S. Lucia, Siracusa
1958, p. 89, di consumare ritualmente la « cuccia »,
cioè il grano nuovo cotto, nel dì della Santa, ne
è una convalida. Per la storia del culto si veda: P. FUIANI, Profili
della vita e del culto di Santa Lucia, Siracusa 1887,
p. 93 e segg. C. BARRECA, Santa Lucia, Roma
1902, p. 30 e segg. H. DELEHAYE, Les origines des
cultes des Martyrs, Bruxelles 1933, p. 310; e
dello stesso, Etude sur le légendier romain. Les
saints de Novembre et de Décembre, Bruxelles 1936,
p. 56. S. L. AGNELLO, Silloge di
iscrizioni paleocristiane della Sicilia, Roma 1953,
p. 66, dove risulta che lepigrafe di Euschia non
sarebbe in relazione (ma forse a torto) con S. Lucia. 5. L. AGNELLO, Recenti
esplorazioni nelle catacombe siracusane di S. Lucia,
Rivista di archeologia cristiana, XXX (1954), pp.
1-60. Sulla lipsanologia della Santa e storia del
culto a Venezia si rimanda a: Narrazione della traslazione del corpo di S.
Lucia da Siracusa a Costantinopoli e da Costantinopoli
a Venezia, Venezia 1626. F. CORNER, Ecclesiae
Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis
illustratae ac in decades distributae, VIII, Venezia
1749, pp. 333. E. ZANOTTO, Vita di S.
Lucia vergine martire, Venezia 1861, dove è
riportata la notizia, tra laltro, di Battista
Mantovano sullestrazione degli occhi. C. RIANT, Exuviae Sacrae
Costantino politanae, I, Ginevra 1877, pp.
184-186; 263-265; lI(de reliquiis in Italiam advectis:
ad Venetias), pp. 290-302. E. LACCHIN, La vita di S.
Lucia, Venezia, s. d. G. DAMERINI, Lisola
e il cenobio di S. Giorgio Maggiore, Firenze 1956,
pp. 92, 92, 95. G. IMBRIGHI, I santi nella
toponomastica italiana, Roma 1957, p. 26. Secondo
lAutore, S. Lucia ha dato il nome a 45 luoghi
italiani (più di ogni altra Santa), dei quali 19 in
Italia meridionale, 14 nella centrale e 12 nella
settentrionale. Tra questi, 8 si trovano nel Veneto, che
detiene il primato relativo tra le regioni italiane. O. GARANA, I Siracusani
rinnovano, « Corriere della Sicilia », 13 dicembre
1957. Lo studioso siracusano rifà la storia delle
reliquie della Santa possedute dai siracusani nonché
ricorda i vari tentativi compiuti dai suoi concittadini
per riavere da Venezia il corpo di S. Lucia, avanzando
proposte per ottenere una reliquia insigne. Ma soprattutto per il culto veneziano si rimanda
a: G. MUSOLINO, Santa Lucia a Venezia, Venezia
1961, con ricchezza pressoché completa di particolari
per le vicende storiche, per le reliquie, per
liconografia, sino agli aspetti folcloristici,
con aggiornamento bibliografico. Ora vi si aggiunga: G.
TRAMONTIN, A. NIERO, G. MUSOLINO, C. CANDIANI, Culto
dei santi a Venezia, Venezia 1965, in particolare:
pp. 198-199 (sulla lipsanologia, di A. NIERO); 229-230
(sul culto, di G. MUSOLINO); 323 per la festività
liturgica. Per altri luoghi ivi citati, si veda
lindice analitico dei santi, a p. 334. Tuttavia per liconografia si aggiunga: G. KAFTAL, Iconography
o/the saints in Tuscan painting, Firenze 1952,
coli. 643-646, ed ora dello stesso, I conography
o/the saints in central and south italian painting, Firenze
1965,nonché Cima da Conegliano, a cura di LUIGI
MENEGAZZI, Venezia 1962. Per lorigine e sviluppo del suo culto nel
Veneto si veda per il documento dell824, R. CESSI,
Documenti relativi alla storia di Venezia
anteriori al Mille, I, Venezia 1940, p. 75; per la diocesi di Vicenza si veda: G. MANTESE, La chiesa
vicentina: panorama storico, Vicenza 1962, p.
184; per la diocesi di Concordia: E. DEGANI, La diocesi di
Concordia, Udine 1924, pp.510, 333; per le diocesi di Verona e Treviso si veda: Rationes decimarum Italiae nei secoli XII e
XIV. Venetia- Histria- Dalmatia, a cura
di P. SELLA e G. VALE, Città del Vaticano 1941, p. XII e
n. 880. Per le regioni italiane nei secoli XII e XIV, si
veda: Rationes decimarum Italie nei secoli XIII e
XIV: Tuscia, Città del Vaticano, 1932; Aemilia, ib.
1933; Aprutium-Molisium, ib. 1936; Apulia -
Lucania - Calabria, ib. 1939; Sardinia, ib.
1943; Sicilia, ib. 1946; Latium, ib. 1946; Marche,
ib. 1950; Umbria, ib. 1952, ai
rispettivi indici di luogo. Inoltre alcuni articoli di carattere
divulgativo, ma validamente documentati, sulle vicende
delle Reliquie della Santa e del suo culto, si possono
leggere ne «La Custodia di Santa Lucia », periodico
edito dal Tempio dei Ss. Geremia e Lucia, Venezia. |
| San
Marco
evangelista Questo
nome legato a quel determinato Vangelo che noi
conosciamo, compare ben presto nell'intestazione
manoscritta del Vangelo stesso. Il testo in quanto tale
non lascia direttamente informazioni sull'autore. È
quindi alla tradizione successiva che dobbiamo fare
riferimento per avere qualche conoscenza in merito.
|