DSC

VIII TAPPA

Etica del capitalismo

Etica del capitalismo. Capitalismo e profitto.

"Quando si parla di antinomia (*) tra lavoro e capitale, non si tratta di concetti astratti o di forze anonime operanti nella produzione economica. Dietro l’uno e l’altro ci sono gli uomini, gli uomini vivi, concreti… " (Laborem Exercens, 14).

(* opposte interpretazioni di una legge).

"La Chiesa ha rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi moderni, al comunismo o al socialismo (CFR. RN 3-9). Peraltro essa ha pure rifiutato, nella pratica del capitalismo, l’individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano (cfr. Centesimus annus, 10; 13; 44). La regolazione dell’economia mediante la sola pianificazione centralizzata perverte i legami sociali alla base; la sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché – esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato – (C.a. 34). E’ necessario favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune" (CCC 2425)".

"Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano… Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno…Quando fu di ritorno… fece chiamare i servi a cui aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato" (Lc 19,12-15; cfr. Mt 20,15-28).

Matteo presenta questa parabola come un’allegoria del giudizio finale. Luca invece se ne serve per richiamare la responsabilità dei cristiani nel tempo presente. I due intendimenti, apparentemente diversi, non si distaccano l’uno dall’altro. La responsabilità economica affidata ai dieci servi non è fine a se stessa; non mira cioè all’arricchimento personale di natura egoistica, ma ha soprattutto un fine sociale morale escatologico, connaturato col bene della società dei fratelli, visibile con la condivisione dei beni descritta negli Atti degli Apostoli, il cui soddisfacimento dei bisogni è un diritto esercitato attraverso l’economia che non può essere ostacolato dall’egoismo di singoli individui privilegiati:

"Lo sviluppo delle attività economiche e l’aumento della produzione sono destinati a soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto e la potenza; essa è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell’uomo nella sua integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi, l’attività economica deve essere esercitata nell’ambito dell’ordine morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegni di Dio sull’uomo". (CCC 2426). "E’ uno stretto dovere di giustizia e di verità impedire che certi bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano" (CA 34).

L’economia, che dovrebbe eticamente tenere conto di queste necessità, non può essere slegata dal capitale, sia di natura finanziaria, sia mediante l’apporto di beni materiali e sia di ordine naturale, come l’apporto dello sforzo del lavoro umano: "Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre, l’opera della creazione sottomettendo la terra (cfr. Gn 1,28; GS, 34; CA, 31)" (CCC 2427); (cfr. LE 11-14; PP; MM 121; 91; QA 54; 57-60; 101; MM 63).

La Chiesa e la sua Dottrina sociale non demonizzano il capitale dato che il suo impiego è utile o addirittura indispensabile alla realizzazione dei programmi del diritto al lavoro e della produzione dei beni necessari alla sopravvivenza e all’evoluzione personale, professionale, culturale, scientifica e tecnologica, nel pieno rispetto dei valori morali cristiani, dei figli di Dio su questa terra. La Laborem Exercens, 13 (1981) di Giovanni Paolo II, a novant’anni dalla Rerum Novarum di Leone XIII, ammonisce che il ruolo del capitale non è primario rispetto al lavoro umano, ma sta all’opera dell’uomo fatto a immagine di Dio, come, nel progetto della creazione divina, la natura è sottomessa al dominio dell’uomo per il soddisfacimento dei bisogni vitali suoi singolari e dell’intera comunità. L’uomo, lavorando a qualsiasi banco di lavoro, sia esso relativamente primitivo oppure ultra-moderno, può rendersi conto facilmente che col suo lavoro entra in un duplice patrimonio, cioè nel patrimonio di ciò che è dato a tutti gli uomini nelle risorse della natura, e di ciò che gli altri hanno già in precedenza elaborato sulla base di queste risorse, prima di tutto sviluppando la tecnica, cioè formando un insieme di strumenti di lavoro sempre più perfetti: l’uomo al tempo stesso subentra nel lavoro degli altri ( cfr. Gv 4, 35b-38:"Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro.").

Il lavoro dunque distingue l’uomo dal resto delle creature. Egli è un essere sociale a cui il capitale, al pari della terra e degli altri esseri viventi, è un mezzo a lui sottomesso, a disposizione delle sue mani, per produrre i beni necessari al soddisfacimento dei suoi bisogni. Dio ha chiamato l’uomo alla vocazione del lavoro, perché sia visibile in lui il dominio, datogli dal Creatore, sulla terra per trasformare la natura adattandola alle proprie necessità, per realizzare se stesso e la vita della propria famiglia, oltre che nei bisogni materiali, nella cultura e nell’educazione (cfr. Gn 1,26).

Nell’epoca dello sviluppo industriale, in contemporanea, si è manifestato un conflitto tra il mondo del capitale e il mondo del lavoro, cioè tra il gruppo ristretto, ma molto influente, degli imprenditori, proprietari e destinatari dei mezzi di produzione, e la più vasta moltitudine di gente che è priva di questi mezzi, e che, invece, partecipa al processo produttivo esclusivamente mediante il lavoro.

La DSC ricorda che detto conflitto, non limitandosi ad una lotta con metodi esclusivamente ideologici, ma anche politici, rischia di cadere nel conflitto armato, spesso condotto con mezzi tecnici dagli effetti disastrosi quanto inimmaginabili, non solo nell’immediato ma anche nel tempo.

La DSC, a questo punto, richiama l’attenzione sul principio di priorità del lavoro sul capitale nei confronti del capitale riguardante direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il capitale, essendo l’insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l’esperienza storica dell’uomo. "Quando nel primo capitolo della Bibbia sentiamo che l’uomo deve soggiogare la terra (Gn 2,5-6), noi sappiamo che queste parole si riferiscono a tutte le risorse, che l’uomo visibile racchiude in sé, messe a disposizione dell’uomo. Tuttavia tali risorse non possono servire all’uomo se non mediante il lavoro. Così col lavoro rimane pure legato sin dall’inizio il problema della priorità: infatti, per far servire a sé e agli altri le risorse nascoste della natura, l’uomo ha come unica risorsa il suo lavoro. E per potere fare fruttificare queste risorse per il tramite del suo lavoro, l’uomo si appropria di piccole parti delle diverse ricchezze della natura: del sottosuolo, del mare della terra, dello spazio. Di tutto questo egli si appropria facendone il suo banco di lavoro. Se ne appropria mediante il lavoro e per un ulteriore lavoro" (LE 12).

Alla luce di questa verità, si vede chiaramente che, ferma restando la priorità del lavoro umano, capitale e lavoro sono inseparabili nel processo produttivo.

L’uomo deve lavorare per il fatto stesso che il Creatore glielo ha ordinato, sia per il fatto della sua stessa umanità che deve crescere, sia per riguardo al prossimo, in primo luogo la propria famiglia, sia riguardo alla società, alla quale egli appartiene, sia all’intera famiglia umana, di cui è membro, essendo erede del lavoro d’intere generazioni e insieme coartefice del futuro di coloro che verranno, dopo di lui, nel succedersi della storia. Il lavoro è dunque un dovere che è proprio dell’uomo libero e per tanto è anche una sorgente di diritti fondamentali della persona, creata da Dio a sua immagine, il cui rispetto è fondamentale per la pace nel mondo (cfr. Pacem in terris), sia all’interno dei singoli Paesi e società, sia nell’ambito dei rapporti internazionali (LE 1; 4; 9; 10; 11; 12; 13; 16; cfr. RH 14;. GS 1544; 1545; 1618; 1426; 1546; 394; 1405; 1411; 1521; 1428; 1454; 1493; 1538; 1547: 379; 394; 1535).

In un contesto sociale di lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione, "Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dallo Stato e dalle forze sociali, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società.

La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda: quando un’azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti" (CA, 35).

Questo incoraggiamento del "profitto – remunerazione, premio del rischio, frutto dell’efficienza, dell’impiego adeguato dei fattori produttivi, del debito soddisfacimento dei bisogni umani… dimostra il suo favore verso un capitalismo, che mentre persegue il profitto, consente la crescita dell’uomo e dei popoli della terra"

(Mario Toso, ordinario di filosofia sociale e preside della facoltà di Filosofia presso l’Università salesiana di Roma).