DSC

II TAPPA

"Le torri di Babele"

Dedica e introduzione

Dedica

"I miei occhi giacciono in fondo al mare nel cuore delle alghe e dei coralli" . (Giuseppe Impastato, 31 gennaio 1943 – 8 maggio 1978).

Dedico questo mio modesto lavoro a Giuseppe Impastato, facendo mie le parole di una lapide posta a Tivoli in sua memoria e onore: "A Giuseppe Impastato e a tutte le vittime della mafia che, con il loro sacrificio hanno dato corpo e anima alla democrazia del nostro Paese".

Sicuramente Giuseppe, insieme con Padre Puglisi e molti altri testimoni dell’ascolto della chiamata alla santità che, insita nella grazia sacerdotale, profetica e regale, propria del battesimo, nelle cui acque muoiono e, riemergendo, risorgano i credenti in cristo Gesù, è rivolta ad ogni uomo, dall’alto del Regno guardano gli afflitti, continuando la loro opera mediante la preghiera, rivolta al Padre misericordioso, per i giusti e per la redenzione dei malvagi.

Il loro impegno gratuito non può essere ignorato. Sarebbe ingiusto. L’indifferenza equivarrebbe ad un omertosa complicità con i loro carnefici. Tutti dobbiamo pregare con loro e, chi può faccia qualcosa in più secondo i beni e i carismi elargitici dalla Spirito Santo del Padre e del Figlio.

Al di là della preghiera, il mio impegno è quello di sensibilizzare, attraverso il sito della nostra parrocchia, almeno i navigatori di internet. Per questo, appena possibile, mi unirò a loro, nel Signore, con un modesto lavoro che, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, studierà il fenomeno mafioso, anche con qualche riferimento agli altri del sud Italia, camorra,’ ndrangheta, sacra corona unita, non perdendo di vista il fatto che queste particolari e potenti forme malavitose dal nostro Paese si sono ormai estese a quasi tutto il mondo.

 

 

INTRODUZIONE

"Le Torri di Babele"

Testimoniare il Vangelo nel quotidiano non è semplice. Gesù stesso fu il primo a non avere vita facile. In nome del Padre dovette sottoporsi ad ogni genere di privazione, subire umiliazioni e violenze. I suoi però, a parte qualche umano dubbio suscitato dall’invidia di satana, compresero, a ragione della coerenza del Maestro nel vivere, primo fra tutti, ciò che Egli predicava, e lo seguirono convinti, fino al punto d’imitarlo anche nel martirio.

Alla luce della fede e di queste prove documentate, i battezzati dovrebbero, in effetti, essere avvantaggiati rispetto ai primi seguaci di Cristo e a quelli che continuarono la sua missione nella Chiesa primordiale. La testimonianza dovrebbe essere atto spontaneo di ogni cristiano. Tuttavia la fragilità umana e la mancanza di un reale ascolto della Parola e l’ignoranza (fatta salva una relativa minoranza che vive in buona adesione con le Beatitudini e un'altra parte che vive nell’indifferenza) della Dottrina Sociale della Chiesa (da ora in avanti DSC) sono alla base di certi comportamenti contrari alla morale evangelica, tenuti dal resto dei battezzati.

La Chiesa, ben consapevole di questo limite che testimonia una mancanza di raccolto dei frutti intrinseci con la Dottrina sociale, iscritta nella Buona Novella annunciata da Cristo, che in Gesù si fa carne per venire come uomo fra gli uomini, nella loro società, ha sempre continuato, sull’esempio del Figlio dell’uomo, ad insegnare questa materia attraverso il suo Magistero. I documenti che contengono e divulgano i contenuti morali-sociali della DSC diventano progressivamente più incisivi di pari passo con le necessità storico-temporali sempre in aumento, per il naturale processo di sviluppo culturale e tecnologico, facente parte del divino disegno creativo, dei popoli nel tempo. Questa maggiore capillarità che investe in modo più specifico le esigenze dei settori più diversi in relazione alla crescita della popolazione della terra oltre che della cultura e della tecnologia, sopra dette, ha inizio con la Rerum Novarum di Leone XIII (1891) e prosegue in continuazione con le altre encicliche dei suoi successori fino ai nostri giorni in cui Papi particolarmente illuminati, come Giovanni XXIII, Paolo VI, e Giovanni Paolo II, hanno fornito e tuttora forniscono una dovizia d’insegnamenti e indicazioni di Dottrina sociale al mondo intero senza distinzioni etniche e religiose, pur riconoscendo l’atteggiamento incoerente di alcune religioni con i valori morali che predicano. Forse però, queste hanno qualche attenuante per la non sempre voluta, mancanza di conoscenza del Vangelo. Viceversa le inadempienze di noi cristiani sono molto più gravi, perché mettono in evidenza la sottovalutazione della responsabilità che comporta la grazia d’essere illuminati nel riconoscimento del Cristo, il Figlio di Dio, Dio come il Padre e con il Padre e lo Spirito Santo e seconda Persona della SS: Trinità che si è incarnata, con tutte le conseguenze del caso, tranne il peccato, per la salvezza dell’umanità. Per questo il presente studio parla, più che altro, dei cattivi comportamenti dei cristiani, anche perché, appartenendo anche noi immeritatamente a questa schiera, il problema ci tocca da vicino.

Alcuni comportamenti hanno radici profonde quanto la storia della Torre di Babele. Il desiderio del potere, ad esempio, alla fine reca conseguenze anche nefaste come quelle del racconto biblico e quelle delle Twin Tower, ultimo dei simboli di questo atteggiamento dell’egoismo umano. Non si vuole emettere un giudizio indiscriminato di condanna del potere, che di per sé comporta il dovere di servire la società di tutti i figli di Dio, insito nell’avere ricevuto da Dio, che libera l’oppresso e ordina il rispetto dell’altro, la dignità d’essere sua immagine. Questo studio critica negativamente il senso del potere ad ogni costo come concepito dagli Acab e Gezabele di ogni tempo (cfr. 1Re 21,1-16) e covato da persone che sono state messe in stato di sudditanza da coloro che del potere hanno un’idea acabiana che può provocare ingiustificate ritorsioni selvagge. Ci troviamo allora in presenza di responsabilità paradossali: il peccato dell’abuso di potere; il peccato di chi opera la vendetta; l’ulteriore peccato di chi, avendo usato male il potere, ha suscitato il desiderio di vendetta della sua vittima.

La vendetta, soprattutto quella sanguinaria, ha origini che risalgono alla storia di Caino e Abele, e non è una caratteristica esclusiva di un popolo piuttosto che di un altro. Anche la storia italiana antica e recente è purtroppo segnata di sangue, e purtroppo ci sono segnali che non lasciano presagire un futuro prossimo del tutto roseo.

Tutto è perduto? "Nella speranza noi siamo stati salvati…Il perverso continui ad essere perverso… il giusto continui a praticare la giustizia… Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere" (Rm 8,24; Ap 22,11 . 12).

A buon diritto l’incontro interreligioso di Assisi del 25 gennaio 2002 va definito come un atto ufficiale della Dottrina sociale della Chiesa, aperto a tutti gli uomini di buona volontà, culminato con le promesse e l’abbraccio di tutti i rappresentanti delle grandi religioni, è un segno che la Speranza è sempre vicina e a portata di mano del mondo.

LE TORRI DI BABELE

"Non c’è nessun giusto, nemmeno uno, non c’è sapiente, non c’è chi cerchi Dio! Tutti hanno traviato e si sono pervertiti; non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno. La loro gola è un sepolcro Spalancato, tramano inganni con la loro lingua, veleno di serpenti è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono a versare il Sangue; strage e rovina è sul loro cammino e la via della pace non conoscono. Non c’è timore di Dio davanti ai Loro occhi." (Rm 3,10-18).  
Il primo peccato dell’uomo. Potenza e benessere. Il senso del potere è la proposta lusinghiera che satana rivolge all’uomo in opposizione all’amore creativo di Dio. L’uomo, dimentico di ciò che ha già ricevuto, e alla ricerca di possedere sempre di più, sceglie la via del peccato in barba al comandamento dell’amore, che si perfezionerà nelle parole di Gesù, "non perché esso non fosse già contenuto nello Antico Testamento (cfr. Deut 6,5; Lev 19,18), ma per il nuovo modo In cui gli uomini devono amarsi (cfr. Gv 13,34-35)." (E. Colom; A. R. Luno: "Scelti in Cristo per essere Santi"). L’uomo d’oggi non è diverso da Adamo, se volutamente ignora ciò che Dio ci ha donato nel momento stesso della nostra creazione, prima d’ogni altra cosa assieme alla vita la libertà, per amore. Lui che ama tanto il suo figlio prediletto, generato non creato, della sua stessa sostanza, Dio con Lui e come Lui, in Cristo Gesù è venuto a testimoniare sulla terra l’immensità del suo amore elargitore gratuito, a noi suoi figli adottivi, di beni spirituali e materiali senza nulla chiederci in cambio, ma solo con la desiderosa attesa della nostra libera adesione alla sua persona? Rimanendo sacramentalmente nel suo amore mediante l’innesto comunionale col Figlio suo Cristo Gesù, che quotidianamente incontriamo attraverso la carità verso i nostri simili, soprattutto i più bisognosi della nostra attenzione. . Purtroppo, oggi, per certi aspetti più di ieri, l’uomo è impedito da questo incontro, rimanendo troppo spesso invischiato nello nell’edulcorato inganno del maligno. Il senso dell’onnipotenza, ossia del libero arbitrio, è alla radice del peccato dell’uomo. La tentazione di possedere ad ogni costo tutto ciò che più si desidera nella narrazione biblica è simboleggiata dalla figura del serpente che istiga l’umanità a disobbedire a Dio per diventare onnipotenti come lui e sottrarsi alle realtà con cui ci si scontra quotidianamente, i propri impegni, soprattutto quello di amare il proprio prossimo come Dio ama noi.
Per la natura fragile e peccatrice dell’uomo questo impegno è insopportabilmente pesante e duro, perché si tratta di dividere, con molte rinunce, come facevano i membri delle prime comunità cristiane descritte dagli Atti degli Apostoli, il proprio benessere con i fratelli, soprattutto con quelli che forse mai lo hanno conosciuto.
Il miraggio odierno della nostra società più progredita (evoluzione purtroppo tendente più verso il male che verso il bene) è invece quello di possedere sempre maggiore benessere, depauperando ulteriormente chi è già povero, anche a costo di privarlo del minimo indispensabile, necessario per progredire culturalmente, economicamente, e persino per la sopravvivenza.
In queste condizioni i ricchi diventano sempre più ricchi e potenti. La loro coscienza non rimorde, perché ritengono loro diritto, per la sicurezza personale e nazionale, avere in mano il potere sia economico sia bellico. Sul dorato ponte di comando sorvegliano che tutto e tutti siano a loro sottomessi anche di fronte ai loro capricci, al loro sollazzarsi. I loro svaghi non sono quelli dei comuni mortali. Nessuno deve permettersi di ritenere ingiusta l’offesa alla miseria che giunge dall’alto delle plance dei loro megagalattici yacht. Non c’è bisogno di andare molto lontano. Basta fare un giro per le più o meno rinomate località turistiche italiane, Capri, Ischia, Portofino, Costa Smeralda ed altre. Si vedono barche simili a transatlantici, qualcuno addirittura con uno o più elicotteri sul ponte. Sdraiati al sole, circondati da allegre compagnie, giacciono i potenti; non solo capi di governo e capitani d’industria, ma anche attori e attrici del cinema e della TV (la fonte è quella di un professore sardo, profondo conoscitore della storia antica e recente della sua terra, che mi ha dato autorizzazione verbale a citare il suo nome, ma non lo faccio fino a quando non mi perviene un suo scritto in proposito. D’altra parte, oltre il nome del calciatore Recoba, che si può leggere più avanti, ho ritenuto di non fare i nomi di alcuni personaggi sia per il rispetto della privacy (che a mio avviso non meriterebbero) sia, nel caso dei politici, per a motivo della neutralità, a mio avviso doverosa di chi ha in mano l’arma del mezzo d’informazione, indispensabile al rispetto delle idee etiche e politiche di chi si dispone a navigare nelle difficili acque agitate dalla penna di qualche benpensante che si ritiene un giusto.
A porto Rotondo (Costa Smeralda), un potente politico e imprenditore italiano (è preferibile non fare il nome non per reverenziale timore, perché la verità non deve creare paure in chi la vede, ma per non volere cadere in quello che qualcuno possa ritenere polemica politica) anni addietro ha fatto costruire sontuosissime super ville ("devo pensare anche al futuro dei miei figli, ha detto") più locali per alloggiare qualche centinaio fra guardie del corpo, segretari, assistenti e servitù. Per regioni non ben note, ha rivenduto una di queste super bicocche, al prezzo di sette miliardi di vecchie lire (siamo all’incirca ancora negli anni ottanta).
I padroni del mondo. Il territorio residenziale della Costa sta espandendosi (è in corso d’approvazione una legge regionale che autorizza lo sfruttamento di miglia di ettari) e tra le ville in costruzione un numero fra dieci e quindici le ha acquistate il noto asso del pallone Recoba (anche le pedate ad un pallone possono allargare la sfera dei super ricchi; alla faccia di quegli esili bambini che sono felici di potere tirare quattro calci ad una palla di pezza e carta). In queste località i parcheggi e i garages delle "ville" abbondano di Mercedes e Ferrari mentre molti uomini della terra si spezzano la schiena spingendo risciò e carichi pesanti per qualche pezzo di pane; e si possono ritenere già fortunati.

L’attenzione verso gli interessi di parte, che condizionano la politica del mondo del benessere, in questi Paesi supera anche l’attenzione per le disgrazie di casa propria, inducendoli ad accettare, anche autolesionisticamente, decisioni importanti come (ad esempio) quelle della CEE che, forse anche con la maleodorante accondiscendenza di qualche parlamentare, nella migliore delle ipotesi molto indulgente, impone dove e quando espiantare e piantare uliveti, vigneti; rallentare la produzione di grano, o di latte; stabilire quali nazioni della Comunità devono produrre un determinato tipo di vino (anche se con uve prodotte altrove), bloccando le caratteristiche tradizionali dei luoghi e dei produttori di secolare e riconosciuta esperienza e capacità (Basta recarsi in una biblioteca nazionale e sfogliare molti quotidiani di qualche tempo fa o effettuare ricerche via internet). In sostanza non si riconosce più la provenienza e il gusto di un prodotto spesso originario di una zona, ma recante il marchio DOC di un altro territorio, anche se v’è una realtà come quella dell’olio italiano, prodotto con un dosaggio medio che varia dal 15% al 30% (anche quando, com’è il caso dell’Olio Sasso, per diversi anni distribuito dalla industria farmaceutica Carlo Erba, come prodotto consigliato anche in un’alimentazione accuratamente salutare (mia esperienza diretta dovuta al rapporto di parentela stretta con persone che l’anno rappresentato fino adu una decina di anni addietro), viene falsamente dichiarato il 40-50%; ed è proprio in un’indagine televisiva presso la casa produttrice di questa marca che un microfono particolarmente sensibile ha registrato le voci di due tecnici che manifestavano la loro meraviglia di fronte alla dichiarazione del 40-50 piuttosto che il 15%, fatta da un responsabile della produzione) di olive italiane e il rimanente suddiviso fra olive greche, spagnole e tunisine (Notizie attinte da una trasmissione televisiva di alcuni mesi fa –inverno o primavera- fatta da un canale nazionale, non ricordo bene quale, ma, non certo una TV privata anche di questo si può effettuare un’indagine via internet). Questo soprattutto a danno dei lavoratori italiani (e poi viene detto che la disoccupazione è in calo). Mai a danno dei produttori ai quali interessa solo l’iscrizione all’albo dei produttori

La tentazione di salire sempre più in alto si impadronisce dell’uomo. E per via dei consistenti contributi. Per costoro il risultato è meno fatica e maggiori ricavi. D’altra parte, dobbiamo ammetterlo, in assenza di questo sistema un litro d’olio extra vergine italiano al 100% potrebbe essere venduto anche a prezzi oscillanti fra 30 e 60 euro.
Comunque sia, è probabile che da un momento all’altro, per un motivo o per un altro, mangeremo il Parmigiano inglese o tedesco.
Babilonia nel nostro tempo. Il senso del potere s’è impadronito in particolare del mondo occidentale e di alcuni uomini dell’oriente fino al punto di rispecchiare un ascolto delle parole di satana: Se voi mangiaste del frutto proibito, diventereste come Dio.

La torre di Babele è il simbolo del peccato più grande che è la tentazione di salire sempre più in alto fino di eguagliare la statura di Dio.

Il Creatore è messo alla stessa stregua di un inesistente dio pagano le cui caratteristiche esclusivamente umane consentono il suo raggiungimento con qualsiasi mezzo che consenta la scalata alla sua dimora materiale.

Segni della povertà.
Dalla torre di Babele agli edifici sempre più alti delle nostre metropoli, in contrasto con le capanne dei poveri.
L’uomo dei nostri giorni non è diverso di quello di Babilonia.
Edifici sempre più alti di ferro e cemento sono i simboli della superbia del principe degli idoli del nostro tempo, il dio denaro, innanzi tutto.
"Beati i poveri, poiché vostro è il regno di Dio".

"A chiunque ti chiede, da’ senza pretendere la restituzione, perché il Padre vuole che tutti siano fatti partecipi dei suoi doni. Beato colui che dà secondo il comandamento, perché è irreprensibile. Stia in guardia colui che riceve, perché se uno riceve per bisogno sarà senza colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere conto del motivo e dello scopo per cui ha ricevuto (Didachè, cap. I, 5).

A queste torri fanno contrasto piccole capanne di paglia e fango, nei casi migliori pietre e fango, che non sono semplicemente un simbolo, ma il segno della fame, delle malattie, della miseria, della morte di centinaia di milioni di persone, soprattutto bambini e anziani, armati solo di sofferenza e pianto.

L’abbandono, in altre parole la mancanza dell’amore degli uomini per i propri simili, si traduce nella schiavitù dello sfruttamento, per l’arricchimento di pochi eletti.

I poveri abbandonati, e ridotti in stato di schiavitù da ricchi che, insensibili al grido dei poveri, tutto prendono e nulla danno senza
pretendere la restituzione con gli interessi.