Intorno alla sua vita si hanno pochissime notizie e sono quelle date esclusivamente dal Breviario Romano. Di lui non si conosce la provenienza così come non si ha alcuna notizia dei suoi genitori, è noto però il luogo del martirio avvenuto ad Amasea, antica città dell'Asia Minore, avvenuto intorno al 306, durante l'ultima persecuzione di Diocleziano, successivamente detta "l'era dei martiri", a causa dell'elevato numero di vittime che provocò l'editto.

Arruolatosi nelle milizie romane, sotto Galerio e Massimiliano Imperatore, ebbe l'ordine, insieme agli altri compagni di prostrarsi alla dea Cibele, madre di Giove. Tutti si rifiutarono e Teodoro, che ricopriva il ruolo di comandante, dovette comparire davanti ai giudici dove professò la sua fede in Gesù Cristo. La speranza che avrebbe quanto prima rinunciato al cristianesimo spinse i giudici a rinchiuderlo in prigione, ma Teodoro non ebbe il ben che minimo tentennamento, anzi, approfittando di una breve dilazione che gli fu concessa, incendiò il tempio della madre degli dèi.

Ricomparso davanti ai giudici, gli fu promessa la carica di pontificato massimo in cambio di un suo ravvedimento, ma le lusinghe non riuscirono a farlo cedere, e Teodoro, che non aveva negato di essere stato l'autore dell'incendio, fu condannato al rogo.

Il prefetto della legione, alla quale Teodoro apparteneva, gli voleva bene, lo stimava molto e gli avrebbe commutato la pena se avesse rinunziato alla fede in Cristo, ma egli non volle assolutamente cedere. Accettando la sentenza, con grande meraviglia dei suoi compagni di milizia, sfidò i più fieri tormenti fino ad essere denudato e messo sul rogo.

Proprio mentre le fiamme consumavano il suo corpo egli cantava lodando e benedicendo il Signore.

Una pia matrona di nome Eusebia ne raccolse i resti mortali e avvoltili in un lenzuolo li seppellì con grande fede e venerazione.