Intervista a… VITTORIO “NINO“ BOLZONELLA, anni 91


Don Vincenzo e la sua famiglia

  
Ricordo bene la famiglia di don Vincenzo: erano otto fratelli, due maschi e sei femmine. Abitavano in una baracca in Via Lazzaretto e poi in Via dell’Essiccatoio: era una zona di bassura, che andava talora sotto acqua. Ci passavo spesso quando mi spostavo, come si usava allora, “traverso campi”.
   Gli erano mancati presto il padre, la madre e una sorella. Conoscevo in particolare suo fratello Luigi : siamo stati richiamati insieme per la guerra di Abissinia. Lui poi è ritornato a casa come capofamiglia. Io invece la guerra l’ho fatta davvero e sono rimasto assente per circa 11 anni, compresa la seconda guerra mondiale, la prigionia in Africa e poi in India.

La terra della chiesa

   Conoscevo i proprietari della terra su cui è stata costruita la chiesa, i due fratelli Scaramuzza. La loro casa colonica era situata dove ora c’è la villa dell’ex medico condotto dott. Mariano Bazzarin, in Via S. Maurizio. Si chiamavano Gino e Annibale, figli di Adamo Scaramuzza. Erano proprietari di molte terre a sudovest di Via S. Donà, fino ad arrivare all’attuale Via Cavergnaghi. Altre ne possedevano a Favaro (Via Lazzaretto e Ca’ Colombara) e a Dese.

L’ingresso di don Vincenzo come parroco

   Quel giorno stavo facendo una riparazione d’urgenza alla muretta della casa del signor Alberto Bolzonella, nelle vicinanze della Chiesa. Una mia lontana parente, la signora Maddalena Bolzonella, che tornava dalla cerimonia, mi ha un po’ rimproverato perché ero lì a lavorare invece di partecipare di persona a quella giornata solenne. Mi ha raccontato che il dottor Mariano Bazzarin aveva fatto un caloroso discorso in Piazza e aveva anche consegnato a don Vincenzo un bellissimo anello.

I cappellani

   Mi ricordo l’ingresso di don Bruno Frison nel 1965. Stavo facendo il mio lavoro di muratore in una casa in Via S. Maurizio e mi ero fermato un attimo per osservare i lavori della nuova chiesa, che stava sorgendo lì vicino. E’ arrivato questo giovane prete e l’ho salutato. Mi ha risposto: “Lei è il primo parrocchiano di Favaro che incontro!”.
   Era un bel pretino, simpatico e sorridente. E intelligente: aveva un bel modo di parlare e di stare con la gente.