Intervista a… ARTURO MANENTE, anni 82, 
Compagno di scuola di don Vincenzo


   Sono stato compagno di scuola di don Vincenzo nei primi anni delle elementari. Poi lui si è ammalato, è andato all’Ospedale al Mare e ha perso un anno. Insegnava la maestra Miceli, che era molto severa: se ci comportavamo male dovevamo mettere le mani sul banco e ci dava delle bacchettate sulle dita con una “canavera” [canna di bambù]. Don Vincenzo era un bambino tranquillo, per niente spavaldo. Quando eravamo un po’ più grandi, tutte le sere andavamo in Patronato. Facevamo catechismo e poi ci divertivamo insieme. D’inverno si faceva teatro, con Ferruccio Conte che preparava le scenografie (è scomparso di recente a Dese, a più di novant’anni). Recitavamo “El sior Todaro brontolon”, “Braccio di Ferro”, “Occhio di Falco” e tante altre opere. In Patronato don Vincenzo teneva “ea caponera”: una specie di mobile in legno, con tanti scomparti, che conteneva “ossi da morto” (biscotti intrecciati, simili ai “zaeti ”), e altri dolciumi. Il ricavato della vendita andava a favore dell’associazione.

I primi tempi della parrocchia

    Ricordo bene gli inizi nell’appartamento di Via Altinia: era spoglio, con poche sedie. Ma abbiamo fatto anche l’Esposizione del Santissimo. La domenica, nell’atrio dell’asilo, eravamo più in largo. Lì ho “risposto messa” tante volte e mettevo la legna nella stufa per scaldarci. Quelli di S. Andrea un po’ ci criticavano: ”Cosa serve un’altra Chiesa a Favaro? Bastava quella vecchia! Ricordatevi comunque che la terra ve l’abbiamo comperata noi!”. Quando don Vincenzo stava per fare il suo ingresso come parroco gli abbiamo detto: “Alle feste a don Romano Lazzarato baciavamo l’anello. Tu sei il nostro parroco, ma dov’è il tuo anello?”. E abbiamo fatto una raccolta di offerte e gli abbiamo donato l’anello. Per quanto riguarda la nuova chiesa io ero d’accordo per usare le pietre “faccia a vista” speciali, non quelle comuni. Per risparmiare hanno poi usato le seconde. Le dovevano almeno lucidare, ma hanno aspettato tanti anni prima di farlo.

Amico da una vita

   Sono amico da una vita con don Vincenzo e abbiamo sempre parlato tanto assieme. Lui ha un carattere più mansueto del mio, io sono più “scalderino”: tante volte gli facevo notare le cose che secondo me non andavano nella vita di parrocchia, e lui mi rispondeva di avere pazienza, che sì, per certi versi avevo ragione, ma che bisogna anche capire il punto di vista degli altri. Nessuno si aspettava da lui tutte le opere che ha realizzato: sembrava malato, fragile. Ad esempio il bellissimo mosaico dell’altare. Quando parlo con i miei amici dico loro: “Ma quale delle altre chiese vicine ha un mosaico così grande e bello?”. Ha fatto tante cose buone per gli altri … e ha pensato poco per sé stesso!

I Cappellani

  
Mi ricordo bene don Bruno Frison, un prete vivace, moderno, anche nel modo di vestire. A qualcuno non andavano bene certi suoi atteggiamenti, ma io vedevo che i giovani in particolare gli erano molto attaccati. Semmai ho avuto qualche resistenza per la “messa-beat ”, con le chitarre elettriche: mi si capisca, io ero nel coro della parrocchia di S. Andrea, cantavo la “Messa Eucaristica ” e la “Secunda Pontificalis” del Perosi!  Don Lucio Cilia era proprio un bravo pretino. Mi dispiaceva che passava poco tempo in parrocchia e l’ho fatto notare a don Vincenzo. Ma lui mi ha spiegato che il Patriarca aveva dei progetti per don Lucio e che intanto lo faceva studiare teologia a Padova. Don Michele Somma è rimasto per tanti anni con noi. Andava molto d’accordo con don Vincenzo e anche ora li vedo molto legati. Don Roberto Mariuzzo mi sembrava perfino troppo tranquillo. Per scherzare lo chiamavo: “Piovan!” e lui si metteva a ridere. Un giorno mi ha risposto: “Adesso mi puoi chiamare “Piovan” sul serio!”. Ho scoperto così che l’avevano nominato parroco di Marano.