CELIACHIA

Un problema teologico-pastorale

  Nei primi mesi del mio ministero episcopale alla guida della Chiesa di Dio che è in Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti una sera mi telefonò una signora della diocesi chiedendomi un incontro.
Fissammo l’appuntamento per il giorno dopo. Tema del colloquio fu la celiachia. La signora mi chiedeva la celebrazione della S. Messa per i celiaci della diocesi e della provincia di Benevento.
Devo confessare  la mia ignoranza. Per la prima volta sentivo la parola celiachia e percepivo il problema pastorale che vi stava dietro: persone che non possono mangiare il pane perché intolleranti al glutine ( = sostanza proteica comune ai cereali fatta eccezione per il mais e il riso) e quindi l’impossibilità di fare la comunione con l’ostia normale.
D’accordo con la signora decidemmo la data della celebrazione eucaristica consacrando ostie con poco glutine, fatte in casa dalle mamme dei ragazzi e delle ragazze, in modo da conservare la natura di pane.
La mattina della celebrazione, nella cronaca locale de “Il Mattino” (12 dicembre 1999), leggevo: “Durante la celebrazione della S. Messa di stasera, alle ore 17,  nella cattedrale di Sant’Agata, officiata dal vescovo diocesano mons. Michele De Rosa, la somministrazione dell’eucarestia sarà gluten-free, avverrà cioè con ostie prive di glutine”.
Il trafiletto de “Il Mattino” fu ripreso, senza accertarsi della veridicità delle affermazioni da Celiachia – Notizie .
Questo ha indotto don Silvio Santovito, nella stessa pagina del medesimo numero di Celiachia, a scrivere, anche egli pigliando per buona una notizia che andava verificata: “Pur avendo la Chiesa cattolica espresso il suo parere a riguardo, c’è difformità di comportamento che alcuni vescovi e sacerdoti adottano quando si trovano davanti a un celiaco. In Inghilterra i sacerdoti usano le ostie di mais, in una diocesi della Campania il vescovo (vedi art. a lato) ha distribuito durante la Messa l’Eucarestia con ostie senza glutine, alcuni parroci consacrano senza difficoltà queste ostie. Questa difformità di comportamento ci fa comprendere che non tutti condividono o ritengono giusta e valida la posizione della Chiesa” .
Più correttamente, ammesso che queste notizie corrispondano a verità, parlerei di ignoranza del problema. Infatti alcuni vescovi mi hanno telefonato chiedendomi chiarificazioni  e i documenti del magistero.
Non c’è motivo per andare contro le disposizioni della Chiesa che non sono frutto di chiusura delle autorità ecclesiastiche, come spesso si dice quando non se ne condividono le decisioni, ma scaturiscono dalla volontà del Signore di cui la Chiesa deve essere fedele custode.
Ma prima di parlare della dottrina della Chiesa in proposito, facciamo il punto della malattia celiaca.
 

1.  Malattia celiaca   

La celiachia, intolleranza permanente al glutine e a proteine affini – contenute in orzo, frumento, segale e avena – è una malattia multifattoriale,dovuta cioè a più fattori. Afflige l’1 per cento della popolazione europea con prevalenza massima, nel nostro Paese, di 1:94 in Sardegna.
E’ caratterizzata da un danno intestinale permanente nella quale sono coinvolti fattori genetici e ambientali. La scomparsa della tolleranza immunologica nei confronti del glutine nei soggetti celiaci è geneticamente determinata e correlata a modificazioni dei geni appartenenti al sistema di istocompatibilità (HLA), cui potrebbe essere legata l’azione di fattori concomitanti - quali interventi chirurgici gastrointestinali, gravidanza, infezioni virali - in grado di potenziare la risposta immunitaria al glutine.
I sintomi tipici – diarrea cronica, distensione addominale e ridotto accrescimento – sono dovuti a lesioni del piccolo intestino. L’infiammazione crocica, la scomparsa dei villi intestinali e il conseguente appiattimento della mucosa danno luogo a sindrome di malassorbimento, causa di ridotto assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K ), ferro , acido felico e calcio.
I quadri clinici sono molteplici e possono variare dal completo benessere alla grave crisi celiaca. Si parla infatti di forma attiva, tipica e atipica, forma silente e forma latente, la cui ampia variabilità istopatolgica e sintomatologica spesso è causa di diagnosi ritardate o addirittura mancate.
La terapia nutrizionale della celiachia consiste nell’esclusione del glutine dalla dieta in modo permanente. L’alimentazione prevede l’eliminazione di frumento, orzo, segale, avena e di tutti gli alimenti preparati con questi cereali.
Il celiaco e la sua famiglia possono trovare in natura quanto serve per impostare una dieta corretta e sana, utilizzando cereali permessi – riso, mais, grano saraceno e farine di riso, tapioca, castagne o fecola di patata – per la preparazione di pane, pasta e dolci.
Carni, pesci, latte, formaggio, uova e frutta sono naturalmente prive di glutine. Per quanto invece concerne pane, pasta e pizza oggi l’industria fornisce adeguate soluzioni con la produzione di farine e di alimenti preconfezionati, identificabili con una spina di grano barrata, simbolo di garanzia per l’assenza del glutine.
Secondo alcuni medici anche piccole tracce di glutine possono talvolta essere lesive nei confronti della mucosa intestinale.
“Il celiaco di conseguenza – conclude don Silvio Santovito nell’articolo citato – si vede escluso dalle possibilità di ricevere il corpo di Cristo”. “Si tratta – scrive ancora don Silvio – di un atteggiamento  che sa più di ipocrisia indifferente che di amore evangelico” .
 

2. Pane e vino nel valore simbolico eucaristico

Il problema posto così, a mio avviso, è mal posto. Serve soltanto a far passare le autorità ecclesiastiche - come scrive don Silvio -  come persone che impediscono al celiaco di incontrare il Signore Gesù nella e con la comunione.
Ma ve l’immaginate il Papa, un vescovo, un sacerdote che si accaniscono, ostacolano chi già dalla vita ha ricevuto un limite, un’intolleranza permanente che non gli permette di fare alcune cose che  i loro coetanei fanno spontaneamente?
E allora procediamo con ordine.
Il Battesimo è il seme. L’Eucarestia è il frutto, il centro della vita e della culto della Chiesa: “Per mezzo del Battesimo siamo resi conformi a Cristo (…). Nella frazione del pane eucaristico, partecipando realmente al corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra noi” .
Segno del Battesimo è il lavacro di rigenerazione; segno dell’Eucarestia è il convito, il banchetto, la cena.
Quando il sacerdote ci chiama all’altare – “Beati gli invitati alla cena del Signore” – Gesù ci dona pane e vino come simbolo o segno del suo corpo e del suo sangue e  si fa nostro cibo nella realtà del suo corpo. Il Vangelo in proposito non lascia dubbi: << Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo “Prendere e mangiate; questo è il mio corpo”>> (Mt 26,26).
S. Tommaso d’Aquino, nella famosa sequenza ( = canto ritmico cantato in alcune celebrazioni prima del vangelo) che la liturgia ci fa recitare nella solennità del “Corpus Domini”, scrive:

                                       “ Cristo lascia in sua memoria
                                          ciò che ha fatto nella cena.
                                          Noi lo rinnoviamo.
                                          Obbediente al suo comando
                                          consacriamo il pane e il vino,
                                          ostia di salvezza.
                                          Mangi carne, bevi sangue;
                                          ma rimane tutto intero
                                          in ciascuna parte” .


Incontriamo il Signore  - dice S. Tommaso riportando la dottrina cattolica - o mangiando il pane e bevendo il vino consacrati o solo mangiando l’ostia o solo bevendo il vino che con la consacrazione sono diventati corpo e sangue del Signore.
Questo particolare bisogna tenerlo presente perché ci interessa direttamente.
Ma qual è la normativa ufficiale per quanto riguarda l’uso del pane?
 

3. Congregazione per la Dottrina della Fede

La Congregazione per la Dottrina della Fede si è pronunciata due volte su questo argomento.
La prima volta rispondendo  a due interrogativi:

<< L’ordinario del luogo può permettere la comunione sotto la sola specie del vino a quei fedeli, che sono affetti da “celiachia” e che per curarsi devono astenersi dall’ingerire il glutine presente nella farina di frumento e perciò anche nel pane eucaristico ?
R. SI

        L’Ordinario del luogo può permettere che il sacerdote, per i sopraddetti fedeli, consacri ostie speciali, nelle quali sia stato asportato il glutine?
R.   NO  >>
 

La seconda volta,  dopo un’ampia consultazione delle Conferenze Episcopali maggiormente interessate, la Congregazione ha approfondito lo studio sotto il profilo dottrinale sulla validità della materia eucaristica emanando la seguente normativa:

<<  La licenza di usare il pane con poca quantità di glutine
a. può essere concessa dagli ordinari ai sacerdoti e ai laici affetti da celiachia, previa presentazione del certificato medico.
b. Condizioni di validità della materia:
1. le ostie speciali “quibus glutinum ablatum est” sono materia invalida;
2. sono invece materia valida se in esse è presente la quantità di
glutine sufficiente per ottenere la panificazione, e non si siano  aggiunte materie estranee e comunque il procedimento usato nella loro confezione non sia tale da snaturare la sostanza del pane >>  .

La conclusione è che “per il celiaco, esclusa la possibilità anche minima di glutine nel pane senza la quale l’impasto diventa impossibile per la sua funzione di aggregante, l’unica soluzione è la comunione al calice, ovvero la comunione con la sola specie del vino” , che può avvenire o bevendo al calice o usando la cannuccia o usando il cucchiaino o intingendo nel calice una “cialda” preparata con sostanza non nociva al celiaco purché essa non richiami nemmeno lontanamente la forma dell’ostia eucaristica e sia ben chiarito che non è e non può essere consacrata ma viene usata come semplice supporto per comunicarsi alla sola specie del vino

4.  Le ragioni di una fedeltà

Le disposizioni della Congregazione per la Dottrina della Fede intendono salvaguardare la natura del pane e del vino, i due elementi scelti direttamente da Cristo e costantemente difesi e custoditi con estrema fedeltà dalla Chiesa contro pressioni e tendenze,  persino ereticali, che intendevano sostituire il vino con l’acqua e il pane con il formaggio e recentemente, nei Paesi di altra cultura, il vino con il tè e il pane con il riso.
La ragione di questa fedeltà alla volontà del Signore da parte della Chiesa è dovuta a tre livelli di significato del pane e del vino.
Anzitutto il livello “naturale” o umano. La tradizione ha messo in evidenza il fatto che tanto il pane quanto il vino sono doni di Dio, segno della sua benedizione e in pari tempo esigono il concorso o il lavoro dell’uomo. Non  sono doni naturali in senso stretto ma frutto dell’impegno e perfino dell’arte dell’uomo. Ci troviamo in piena coerenza con la rivelazione biblica e cristiana.
Il secondo livello è biblico. Pane e vino affondano la loro radice nell’intera tradizione biblica: non occorre citare i numerosi pasti con pane e vino. Per il pane è d’obbligo ricordare la manna con tutta la vasta risonanza biblica fino al capitolo VI del Vangelo di  Giovanni: Cristo pane di vita. Per il vino possiamo accennare, oltre ai semplici sacrifici e più vicino a noi le nozze di Cana (segno di letizia, di gioia, di ebbrezza, etc.), al simbolismo della condivisione e soprattutto al simbolismo del sangue, e quindi all’alleanza.
Il terzo livello è quello eucaristico e sacramentale: elementi scelti da Cristo per donare sé stesso come cibo e bevanda. Il pane spezzato e distribuito ( mangiare il medesimo pane) richiama la sua morte, la sua autodonazione. Il vino evoca il sangue, la condivisione del calice ( bere al calice è partecipare alla sua passione) in particolare rimanda alla sua morte con effusione del sangue per la remissione dei peccati. E’ difficile ridurli a semplici cibo e bevanda, anche se il pasto con pane e vino appartiene alla cultura dei Paesi mediterranei.
 

5. Conferenza Episcopale Italiana

In risposta a una lettera (2.5.2000) dei presidente dell’Associazione Italiana  Celiaci al presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il card. Ruini rispondeva: “Ho dato incarico all’Ufficio Liturgico Nazionale di costituire un gruppo composto di persone esperte nei vari settori coinvolti, perché si studi adeguatamente il problema e si cerchino orientamenti per la nostra comunità ecclesiale rispettose sia delle persone che vivono la malattia, sia delle norme”.
Ci auguriamo, anzi auspichiamo, che il pane senza glutine possa essere riconosciuto come materia valida per l’Eucarestia, considerato il suo ricco simbolismo a differenza del mais.
A questo scopo bisognerà proseguire e approfondire la ricerca per verificare sia l’appartenenza o meno del glutine alla natura specifica del pane sia la sua eventuale sostituzione come aggregante per la panificazione corrente.
Nel frattempo bisogna seguire le norme della Congregazione per la Dottrina della Fede se vogliamo fare le cose validamente.
 

Conclusione

Concludendo, se me lo permettete, vorrei essere  sincero fino in fondo con voi e manifestare una mia impressione:  vedo troppo vittimismo in giro quando si parla di celiachia e comunione eucaristica. Nessuno nella Chiesa è contro i celiaci che già per conto proprio devono ogni giorno combattere contro l’intolleranza al glutine presenti in tanti cibi che quotidianamente troviamo sulla nostra tavola.
La Chiesa però deve innanzitutto rispettare la volontà del Signore il quale ha voluto che il pane e il vino, per il loro forte simbolismo, contenessero, dopo la consacrazione, il suo corpo e il suo sangue.
Piuttosto il problema, a mio avviso, è culturale.
Da parte del celiaco non deve esserci complesso di inferiorità se non può fare la comunione con l’ostia. Da parte degli altri non bisogna pensare al celiaco come a un ammalato ma come a una persona che, intollerante al glutine, fa la comunione soltanto con la specie  ( = aspetto, forma esteriore) del vino.
L’opera che sta davanti a noi è quella di far conoscere a tutti – vescovi, sacerdoti, fedeli laici – la natura di questa intolleranza perché possano avere l’approccio giusto con questo problema.
Mentre stendevo queste note è venuto a trovarmi un mio confratello, docente di teologia sacramentarla, e quindi dell’eucarestia, in uno studentato teologico. Gli ho detto che stavo scrivendo un articolo sul problema pastorale della celiachia. Mi ha guardato in faccia e mi ha detto: “La celiachia? E che cosa è”. Passando poi a computer il manoscritto di questo mio intervento ho notato che il esso mi dava la parola celiachia sottolineata in rosso. Cioè il dizionario dei personal computer non conosce questa parola.
Perciò parlavo di problema culturale, della necessità cioè che tutti sappiano che cosa è la celiachia e, per quanto riguarda la comunione, che tutti siano consapevoli che essa si può fare anche bevendo il solo vino consacrato.
E’ una prova forse, cari celiaci, che Signore vi chiede nella vostra vita. Ad altri chiederà sacrifici diversi.
Il necessario è che siamo convinti – questa è la realtà – che il Signore ama tutti con lo stesso amore e non sarà mai Gesù, né la sua Chiesa,  ad escludere dal suo incontro, nella comunione eucaristica,  le persone che egli ama.
Che se poi alcuni, per i motivi teologici suddetti, può fare la comunione soltanto con una sola specie eucaristica, con il vino cioè, non cade il mondo. L’importante è poterla fare.  E questo, in un modo o nell’altro, è possibile a tutti.
 

     + Michele De Rosa