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L'Enciclica del Papa "Evangelium Vitae"


IL CANTICO DELLA VITA


Evangelium vitae, il Vangelo della vita, è il titolo dell'undicesima enciclica di Giovanni Paolo II. L'ha promulgato sabato 25 marzo, festa dell'Annunciazione del Signore, una data significativa. Con l'annuncio dell'Angelo a Maria il Figlio di Dio si incarna nel grembo della Vergine. 
E' la prima enciclica in assoluto sul terna della difesa umana. Il magistero ha spesso trattato l'argomento soprattutto nell'ultimo trentennio, dal Concilio in poi, e si sa quanto la difesa della vita stia a cuore a S.S. Giovanni Paolo II e come costituisca uno dei temi prioritari del suo insegnamento e del suo impegno. Ma finora mai un'intera enciclica era stata dedicata esclusivamente ad un terna così cruciale per il presente e il futuro dell'umanità. Questo spiega la lunga preparazione. 
A grandi linee, il ragionamento del Papa è questo: la vita è dono di Dio all'uomo, e pertanto è il primo valore e il primo diritto in assoluto, ed è "indisponsabile" nel senso che l'uomo non ha il diritto di eliminarla, ma ha il dovere di difenderla, valorizzarla, promuoverla. Questa impostazione nasce dal comandamento di Dio "non uccidere". Si intuisce così il motivo della condanna forte e solenne di ogni atto che rappresenti un attentato alla vita. 
L'aborto innanzitutto. Già il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes, condannò l'aborto volontario come "abominevole delitto". 
Un punto fermo nonostante la legalizzazione dell'aborto attuata da numerosissimi Stati. Anche l'eutanasia non è accettabile. Il Papa parla del "morire con dignità", difende la "vita al tramonto", condanna la soppressione dei malati gravi, ma anche l'accanimento terapeutico, le manipolazioni genetiche, l'inseminazione artificiale e altre deviazioni nel campo della bioetica. 
L'enciclica tratta anche della pena di morte. Il "Catechismo della Chiesa cattolica" la inserisce nell'ambito della legittima difesa: "difendere il bene comune della società", dice al n. 2266, "esige che si ponga l'aggressore in stato di non nuocere. L'insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte". L'enciclica segna una condanna morale più marcata della pena capitale. 

Statua di legno del S. Cuore nella Chiesa Matrice eseguita dallo scultore Giuseppe Obletter da Ortisei (BZ) il 10 luglio 1940 

 

Io mi pentu, io mi pentu 
c'aiu affiso a trarimentu 
aiu affisu un summu beni, 
chi pi' mia soffri cruci e peni. 
Varda, varda a cu aiu affisu,
a cu runa u pararisu,
a cu po', cu focu eternu, 
castigàrimi all'infernu.
Mai vogghiu piccàri chiù
v'u prumettu, o mio Gcsù. 
Prima, o Dio, vògghiu murìri 
e no turnariVi a trarìri.
O Maria, Matri r'amuri, 
cunsulati un peccaturi. 
Matri amanti e Matri pia, 
Vui sarvàti 'st'àrma mia.

C R E S C E R E

Crescere è una esigenza connaturata con la stessa condizione umana. 
E' un istinto quasi fisiologico, presente in ogni soggetto fin dai primi anni della sua esistenza. 
Il fanciullo guarda alla generazione che l'ha preceduto e desidera pervenire alle connotazioni di quest'ultima con ansia sempre crescente a mano a mano che prende coscienza della sua inferiorità rispetto a tali connotazioni sociali. 
L'ansia di crescere è avvertita in età prescolare in maniera inconscia e non quale convincimento razionale, frutto di una scelta operata per realizzare una particolare collocazione nell'aggregato sociale nel quale vive. 
L'insegnamento, la cultura danno al giovane i primi elementi di consapevolezza e nello stesso tempo allargano i confini del crescere. 
Come l'aprirsi di orizzonti sempre più ampi fa sorgere il desiderio di guardare ancora oltre, al fine di scoprire nuove realtà, così l'apprendimento porta il giovane a intuire nuovi traguardi oltre quelli osservati. 
Ecco, allora, nascere nel giovane l'esigenza (a questo punto consapevole) di procedere ulteriormente sulla strada di una maggiore conoscenza che porta all'arricchimento ed alla evoluzione dell'essere. 
Crescere, però, non è solo maggiore conoscenza. 
Sarebbe in questo caso una specie di equazione matematica definita esclusivamente sul piano individuale: maggiore conoscenza = maggiore crescita. 
La vera crescita passa, invece, attraverso piani individuali e sociali diversificati, realizzandosi quasi come una spirale a sviluppo verticale, che riceve impulso e si definisce per effetto degli apporti dei singoli livelli. 

Crescere deve, cioè, rappresentare per il singolo una evoluzione nell'ambito di un processo evolutivo più ampio, che si sviluppa, coinvolgendo più soggetti in un rapporto interattivo di ricerca e di presa di coscienza della realtà nella quale ogni soggetto si realizza. 
In tal modo considerato, il crescere non è mai delimitato da un traguardo finale, né sul piano individuale, né su quello collettivo ed acquista, inoltre, una valenza imperitura anche nel tempo. 
Crescere diventa un processo universale che, mentre coinvolge più soggetti nello stesso istante, lega in un divenire continuo tutta l'umanità. 
Tale processo realizza, pertanto, una "comunione" fra i soggetti che - in ogni tempo - ad esso hanno dato vita ed impulso. 
In qualsivoglia comunione sono spesso presenti elementi spirituali di condivisione e di partecipazione, ma sono soprattutto sempre presenti sentimenti di amore
Amore! Ecco un altro elemento universale insito nel processo di crescita. Con l'amore si può pervenire alla condivisione, sperimentando un confronto aperto, mentre la partecipazione nasce spontanea dall'esigenza di "godere" - in unità di spirito con gli altri - il patrimonio ideale che la condivisione realizza. 
Tali riflessioni ci portano al convincimento che occorre crescere in comunione e, quindi, in amore con il nostro prossimo. 
Solo così l'evoluzione del crescere ci avvicina a Dio, perché Dio è Amore. 
 

Pietro Torrente