home page  rubriche  |  la voce delle Egadi  |  coriandoli delle Egadi

I PALLAVICINO E LE ISOLE EGADI

L'11 Aprile 1640 la Regia Corte, sotto il governo di Filippo III, vendette le Egadi e le tonnare a Camillo Pallavicino per il prezzo di 500 mila scudi.
Nel 1688 la casa regnante ritenne opportuno rivedere il contratto di vendita delle isole fatto ai Pallavicino, specialmente per conservare il diretto dominio dei castelli e delle fortezze di Favignana e Marettimo.
A questi ultimi infatti attribuiva molta importanza per la difesa dell'isola, e nell'atto di transizione che ne seguì si riservò ogni diritto su di essi obbligando i Pallavicino a non fare concessioni enfiteutiche di terreni senza l'approvazione della Regia Corte. Questa clausola aveva per fine d'impedire che sorgessero fabbricati dirimpetto al castello di S.Giacomo che togliessero la visuale del mare e la libera via ai tiri dei cannoni.
In conseguenza di tale intento la nuova chiesa parrocchiale della Immacolata Concezione di Maria Vergine, attuale madrice, venne fabbricata all'angolo e non al centro della piazza.

Poiché il popolamento di Favignana era condizionato dalla disponibilità di terra coltivabile, i Pallavicino mediante costose opere di scasso, ne bonificarono buona parte del suolo, recintarono i terreni destinati a giardino ed effettuarono numerose cessioni a censo.
L’isola di Marettimo e quella di Formica furono lasciate incolte e disabitate, mentre a Levanzo venne realizzato un vigneto e furono costruiti magazzini ed un palmeto. L’operazione di popolamento ovviamente fu realizzata dai Pallavicino per poter reperire in loco le ciurme necessarie per la pesca dei tonni effettuata sino ad allora da personale stagionale reclutato dai gabellotti sopratutto a Trapani e Marsala.
I Pallavicino intorno al 1856 tentarono di vendere allo Stato le Isole Egadi, tuttavia ne rimasero legittimi proprietari sino al 1874 allorché con atto del 7 marzo le cedettero in vendita a Ignazio Florio il cui padre Vincenzo le aveva gestite come gabellotto.


IL RAIS

 

Nell'ambiente della tonnara il Rais è una figura quasi mitologica. 
Egli non è soltanto il capo della  "ciurma", ma è l'elemento umano più significativo ed il punto di riferimento di tutta la struttura organizzativa di pesca.
In qualsiasi organizzazione il capo rappresenta il vertice di una piramide, vertice al quale si perviene passando attraverso una serie di gradi intermedi di gerarchia. 
Al Rais, invece, fanno riferimento e si rivolgono direttamente tutti gli "addetti" della tonnara, senza passare attraverso un "iter burocratico" riscontrabile in qualsiasi altro settore di lavoro. 
Ciò perché il carisma, che è proprio del Rais, è tale che non ha bisogno di intermediari per essere avvertito in tutta la sua portata. 
Tale carisma non deriva, però, dagli atteggiamenti, o, se vogliamo, dai comportamenti che il soggetto assume, ma dalla stima che ispira negli altri e dal rispetto indiscusso che questi sentono di dovergli. 
E' cioè quello che in termini politici può definirsi un capo per elezione o meglio per acclamazione. 
E' pur sempre, però, un uomo della ciurma. Sta in mezzo ad essa, respira la stesso clima di agitazione che l'attività di cattura comporta, in essa si è formato e con essa si identifica nell'interesse che l'organizzazione persegue. 
Ecco perché il Rais non ha quasi mai nel tratto atteggiamenti imperativi tali da mortificare nell'intimo l'esecutore dell'ordine. Anzi il  "tonnaroto" che viene scelto dal Rais per fare un determinato lavoro si sente gratificato per questa scelta. 
Saper suscitare siffatta gioiosa operatività nei propri subalterni non è cosa di tutti i capi. 
Forse il Rais non ha nemmeno piena consapevolezza di quanto riesce a suscitare negli altri con i suoi comportamenti. 

Il Rais è generalmente un uomo semplice, affatto borioso, sempre disponibile ad intervenire  opportunamente nel caso uno dei  suoi collaboratori si trovi in difficoltà. 
La semplicità dei suoi gesti, l'umiltà  del suo comportamento nascono forse da un'altra consapevolezza:  quella che di fronte alla natura, di fronte al "Creato", l'uomo, il più illuminato che sia, è veramente ben poca cosa. 
Come sarebbe bello se tutti noi avessimo questa consapevolezza!  Allora, come il Rais, avremmo una vita interiore più serena e una disponibilità verso il nostro prossimo tale da risultare già di per se stessa per noi gratificante, indipendentemente dal merito che Dio vorrà accordare al nostro operato.
 

 

1922 - Due generazioni
di Rais Gioacchino Ernandes
ed il figlio Flaminio