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A IL PANTECO - Settembre 1995

Gli antichi usarono pietra e ingegno per costruire la civiltà dell'abitare a Favignana 

di Rosanna Pirajno

Panorama invernale di Favignana

In questa nostra civiltà massificata, dove mode e tendenze nascono, si diffondono e spariscono per circostanze occasionali e imprevedibili che non hanno alcun legame con la storia e le tradizioni dei luoghi, ci siamo disabituati a riflettere sulle origini dei modi di abitare che i popoli hanno adottato da paese a paese. Solo gli studiosi si interrogano ormai sulle ragioni che hanno indotto le comunità, insediatesi in un territorio per conquista o trasmigrazione, a costruire le proprie case in un modo anziché in un altro, a usare determinati materiali edilizi e a disporli secondo sistemi e accorgimenti costruttivi che conferivano al prodotto finito, o meglio all'insieme delle costruzioni innalzate, forme riconoscibili per appartenenza a una determinata cultura o civiltà. 
Eppure chiunque sa riconoscere una baita (piccola costruzione con le falde del tutto fortemente inclinate) da un dammuso (costruzione dalla particolare copertura curviforme) e li sa collocare geograficamente senza esitazioni: al nord, dove c'è molta neve, la baita; al sud, dove c'è prevalenza di siccità, il dammuso. Ragionando su questi due fattori climatici - la nevosità e la siccità - sarà allora facile scoprire i motivi delle due diverse forme di copertura: le falde inclinate fanno scivolare via la neve che si accumula sui tetti; le volte curve lasciano scivolare l'acqua piovana nelle canalette perimetrali che la trattengono, consentendo che la lenta evaporazione ceda frescura al locale sottostante. 
Un sistema semplice ma ingegnoso, quest'ultimo, che si suppone inventato dalle popolazioni arabe che per circa due secoli, dal IX all'XI a. C., dominarono certe regioni della Sicilia, dove attecchì stabilmente al punto da ritrovarlo ancora usato ai nostri giorni, come nell'isola di Pantelleria. 
Il dammuso, che in origine stava a indicare la particolare forma di copertura di un vano, divenne più tardi sinonimo dell'intera costruzione, sicché si parla correntemente del "dammuso di Pantelleria" per indicare un tipo di costruzione diffuso in quell'isola, piccolo edificio a pianta quadrata dalla spessa muratura in pietrame che mantiene all'interno una piacevole frescura. 
 


Se le popolazioni che colonizzarono quella regione si diedero tanta cura nel climatizzare i loro ripari domestici, vuol dire proprio che il clima doveva essere assai secco e la temperatura media piuttosto elevata. Sono considerazioni come queste che spiegano molti dei segreti, degli accorgimenti tecnologici, della geometria delle forme architettoniche che si attribuiscono alle diverse civiltà formatesi sulla terra, talché la civiltà dell'abitare rappresenta un tassello essenziale per la conoscenza del nostro passato, da mettere insieme alla storia, ai miti, ai rituali che compongono il patrimonio culturale di un popolo. 
Prima di questo secolo le piccole isole intorno alla Sicilia erano scarsamente popolate, in buona parte perché le continue scorrerie piratesche cui erano soggette le rendevano pericolosamente inospitali, in parte per le dure condizioni di vita che si prospettavano ai coloni a causa del clima arido, della mancanza d'acqua dolce, della terra dura e sassosa, della distanza dalla terraferma che costringeva a una faticosa autosufficienza. 
Eppure si ha notizia di presenze umane a Favignana fin dal 1184, quando il viaggiatore arabo Ibn Gubayr notò da Trapani la presenza di un castello sulla sommità del monte di S. Caterina. Nel 1640 due ingegneri militari, incaricati di redigere una mappa delle strutture difensive della Sicilia, giunti a Favignana annotarono: "L'isola di Favignana è abondante di legna e d'acqua; ha porti e quanto ha di bisogno un'armata ancor che potente, della qual impadronendosi l'inemico, può danneggiare tutta la Sicilia. 
E' lontana 12 miglia da Trapane; ha di circunferenza miglia 18. Nel piano verso Trapane ha il forte di S. Jacopo; il forte di S. Leonardo che sopra sta al porto; nel monte il castello di S. Caterina, che guarda anco la parte dell'isola verso maestro e tramontana. Nella prima frontiera dell'isola verso Trapane vi è la Cala Rossa, importantissima difesa da ponente, libici, mezzigiorni e sirocchi; e non ci è nel canale, tra Sicilia e l'isola, più securo posto di questo, potendosi i vascelli ben coprire con l'eminenza delle rocche et havendo grandissimo fondo.
 
  


E nella ripa di Cala Rossa sono da due a tre passi di fondo: qui sarebbe necessaria una torre di guardia, la quale anco difenderebbe la Grotta dello Rais, che entra 20 canne, la cui bocca non è più che 4 canne in circa et ha dentro 4 passi di fondo. Difenderà anco che non si possa far acquata nella fronte verso S. Nicola. Nella Cala di S. Leonardo che segue ci è il suo forte che la difende. 
Il forte di S. Jacopo è situato nel piano d'essa isola e difende tutta quella campagna et alcune cale et il porto di S. Leonardo che gli è di rimpetto. Ha questo forte di S. Jacopo sopra di sé bonissime piazze, et all'intorno è circondato dal suo fosso con la sua controscarpa e la strada coperta col suo parapetto et il suo ponte. 

Sono in presidio di S. Jacopo 12 soldati, il castellano, un cappellano, un artigliere et un aggiutante. Nel fosso che circonda il forte ha nell'intorno, cavate sotto la controscarpa, molta habitatione di pescatori e d'altri, che attendono agl'esserciti dell'isola, i quali fanno numero e guardano ben il forte stando ivi con loro famiglie". 
Da questa lontana ricognizione si apprendono molte notizie rilevanti per la storia dell'isola. Innanzitutto, che possedeva in abbondanza alberi e fonti d'acqua dolce, una vasta campagna coltivata al punto da rendere necessaria la sua difesa, un certo numero di forti difensivi perché ritenuta di importanza strategica per la sicurezza della Sicilia. Infine che era abitata, oltre che dalla guarnigione militare menzionata, da famiglie di pescatori e "altri", di certo contadini e artigiani che risiedevano nella "molta habitatione" rilevata ma, purtroppo per noi, non descritta. Del resto il compito dei due succitati ingegneri militari era quello di annotare (e la fanno con molto scrupolo annoverando le manchevolezze e i punti deboli delle "fabriche" difensive) la posizione dei forti a cui si affidavano anche le abitazioni civili. 
Per indagare la ragione delle forme architettoniche delle abitazioni, ci tocca allora riferirci a quanto è pervenuto della tradizione costruttiva che ha gettato nell'arcipelago radici profonde, imponendo una tipologia edilizia che ha una sua ragion d'essere oltre che una leggibile connotazione formale. 
I ritmi di vita nell'isola dovevano essere ben lenti, le sue cadenze regolate dai cicli della natura e dal corso degli astri. Gli eventi naturali e le condizioni climatiche dettavano azioni e comportamenti, le risorse locali dovevano far aguzzare l'ingegno dei costruttori di case. Si spiega in tal modo l'ipotetico salto temporale che ci porta a considerare di origine araba la tipologia edilizia dell'isola, poiché gli arabi in Sicilia furono abilissimi nel coniugare l'ingegno costruttivo con le risorse locali, nello sfruttare ogni accorgimento per rimediare agli inconvenienti del sito, fossero i venti dominanti o la scirocco o la penuria d'acqua.
  


Le civiltà venute dopo provarono a perfezionare le loro invenzioni, adattandole ad altre esigenze e usi, ma non le abbandonarono del tutto poiché si erano dimostrate perfette nella strategia di combattimento dei mali endemici del sito. 
Perciò le strade strette con andamento a linea spezzata, più ristrette verso i bordi dell'agglomerato urbano, hanno la scopo di frenare l'entrata in città dei venti dal mare, che si frantumano fra i muri lisci delle case dalle avare e piccole aperture, fatte apposta per non disperdere la frescura interna e non lasciare entrare la calura. 
I tetti piani che formano il "lastracu" delle case, ammattonati solitamente di laterizi che si arroventano al sole, servivano d'estate a stendervi la frutta a maturare, i panni ad asciugare, l'estratto di pomodoro a essiccare; ma d'inverno raccoglievano l'acqua piovana e la convogliavano nelle capaci cisterne che si era provveduto a costruire sotto le case. 
Così l'acqua non mancava mai, e forse per questa presenza di cisterne, e di "gebbie" e "senie" che di sicuro abbondavano nella ben coltivata campagna, i due ingegneri trovarono Favignana ricca d'acqua. Ma una prerogativa distingue il paesaggio e l'abitato di Favignana dalle altre isole: il tufo conchigliare di cui è ricco il suo suolo pervade ogni cosa della sua presenza e nello stesso tempo della sua assenza. Perché sulle case il tufo si inerpica in forma di conci squadrati e regolari, di mensoloni sagomati a sostenere balconi, di oggetti sinuosi, di cornicioni o di geometrici attici, mentre nel suolo si inabissa nelle conche graffiate dagli attrezzi dei cavatori, nelle cave ormai inoperose, dove resistono i segni di una civiltà artigiana sulla via della scomparsa. Favignana un tempo si identificava con il suo tufo: ogni casa ne mostra le facce in piena vista e l'intonaco, quando c'è, si tinge di grigio e di bianco e di ocra, perché composto di polvere tufacea o laterizi. 
Quando gli uomini prendevano dalla terra tutto quanto poteva servire alla loro sopravvivenza, lo facevano senza farla soffrire perché sapevano che dalla distruzione delle risorse non ne avrebbero tratto vantaggio. 
  


E difatti, quando scomparvero i boschi che videro i nostri viaggiatori del Seicento, poiché del legname furono fatte navi e travi e legna da ardere, gli uomini e il paesaggio rimasero per sempre impoveriti di un bene impagabile per ogni loro necessità. Perciò l'abitato si presentava come sorto dalla terra stessa, una sua emanazione di pietra in forme squadrate e compatte, essenziali e funzionali alle necessità di riparo dall'inclemenza degli agenti atmosferici e dagli assalti nemici, che certamente non mancavano. 
Oggi molte cose sono cambiate, alcune certamente in meglio nel rendere meno dura la vita degli abitanti; ma quando soffia lo scirocco o la salsedine brucia ogni cosa, ancora e sempre verranno in nostro soccorso le antiche invenzioni dei costruttori arabi, che usarono la pietra e l'ingegno per costruire la civiltà dell'abitare a Favignana.