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DA IL PANTECO - Gennaio 1995

Le liriche dialettali dei fratelli Giangrasso 


di Giovanna Guccione

Vent'anni fa, nel marzo 1974, veniva stampata la prima e unica edizione di Acqua ri puzzu, volume di poesie dialettali dei fratelli Giangrasso.
Il libro, pur pregevole, ha subito la sorte di questa nostra terra negli ultimi vent'anni: abbandono e oblio. 
Eppure avrebbe meritato miglior sorte perché, come scrive Nicola Lamia nella prefazione, «In tutte le liriche avverti una ricchezza di sentimento che non viene mai meno, anche se si esprime in modo diverso, con una lacrima o con un sorriso, sotto il velo dell'allegoria o con una spontanea esplosione d'affetto, nella nostalgica rievocazione del passato o nella vivace rappresentazione di paesaggi, di ambienti, di figure caratteristiche colte nella realtà di quel mondo isolano così caro e presente nel cuore dei quattro fratelli poeti.».
Acqua ri puzzu è opera pregevole non solo per i sentimenti che racchiude, ma anche per la musicalità del verso e l'uso sapiente del dialetto siciliano. 
Le liriche dei quattro fratelli Giangrasso sono un profondo sospiro verso la semplicità del paese natio, Favignana, e verso la pace della campagna. Vi è in esse la beatitudine contemplativa di chi guarda con affetto le occupazioni tranquille e gli spettacoli sereni di un piccolo paese dove la caccia, la pesca, un gabbiano con un'ala stesa, una grotta, due cani che giocano, un somaro che fa le bizze, sono sufficienti a dare la beata felicità a chi, per esigenze di vita, si è dovuto allontanare dal proprio paese. 

 

Un sentimento vivo, semplice e insieme intenso, serpeggia nella poesia dei fratelli Giangrasso, eredi della migliore tradizione dialettale siciliana: campi e contadini, barche e pescatori, tortore e cacciatori compaiono sulla scena tali e quali appaiono all'esperienza comune. Tutta la natura si anima in una sfera tenera, domestica, quasi umile, mentre il poeta emette un sospiro di sollievo nel muoversi e parlare come in un paradiso perduto e poi riconquistato.  Il senso di queste liriche è tutto in una lettera scritta da Vito al fratello Aurelio nel 1955, là dove egli dice: «Ho riletto tutte le poesie, di tutti. Per me, per noi, esse rappresentano la nostra esistenza stessa...». E più avanti: «Non solo apparteniamo ad altra generazione, ma Favignana - che si affaccia presuntuosa in ogni nostro scritto - appartiene soltanto al nostro spirito...».
Il segreto dei loro versi consiste proprio nella nostalgia per un mondo che va scomparendo: è il mondo delle "mangiate" di ricci al Faraglione, dei campi di mais ondeggianti al vento, delle rane gracidanti nelle vasche delle senie contadine, delle lunghe file di cavatori diretti alle cave di tufo. Un mondo semplice, fatto di sentimenti essenziali dove sono sconosciuti il consumismo, il traffico, la televisione, l'affarismo politico che cominciavano a fare la loro comparsa già alla fine degli anni Sessanta. Ci piace ricordare i fratelli Giangrasso non solo come autori di poesie, ma anche come uomini colti, capaci, onesti che fanno onore a queste nostre isole e che, perciò, non vanno dimenticati.