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DA IL PANTECO - Aprile 1994

Amare riflessioni di un consigliere comunale di Favignana 

di Pietro Torrente

 

Credevo di avere idee chiare su come affrontare i problemi amministrativi in un piccolo Comune. Mi sono accorto, invece, che non bastano i buoni propositi individuali, né la chiara visione del modo nuovo di far politica, per avviare a soluzione tali problemi.
Occorre, necessariamente, che siffatta visione sia diffusa e condivisa da tutti i soggetti chiamati a operare all'interno del Comune; cosa questa difficilmente verificabile, stante l'attuale crisi in cui versa la nostra società. Credevo inoltre che la gestione di un Ente pubblico non fosse diversa da quella di un'azienda privata, almeno per quanto riguarda l'impegno, la trasparenza e l'efficienza organizzativa.
Fu quindi per me una doccia fredda quando, nel congratularsi con me per l'elezione a consigliere comunale, un'impiegata mi disse: "In verità il Comune è nostro, voi siete di passaggio". Come non avvertire in quella frase e in quel cordiale sorriso, fatto di indulgente comprensione per il mio entusiasmo fuori posto, il richiamo a una visione più realistica del rapporto esistente fra burocrazia e politica?
Ancor più esplicito è stato, poi, un altro impiegato, che la sa lunga sulla vita dei Comuni: "Non creda di trovarsi in un'azienda privata. L'efficienza organizzativa nel privato può ottenersi con relativa facilità, poiché in esso non sono presenti quei condizionamenti che nell'ambiente pubblico sono normali".
 

Pure le positive esperienze manageriali, acquisite nel corso di tanti anni, mi hanno fatto sperare di poter dare un valido contributo all'opera di rinnovamento, richiesta da più parti.
Mi proponevo di agire con perseveranza, in umiltà ma con fermezza, e senza derogare da quella deontologia professionale che deve sempre contraddistinguere qualsivoglia attività realizzativa.
 

Non un entusiasmo sciocco e sconsiderato ponevo, quindi, alla base del mio impegno amministrativo, bensì quello che nasce dalla sperimentata validità del proprio modo di operare e dalla consapevolezza che l'esigenza collettiva coincide con il proprio progetto politico.
Vocazione di servizio, rigore di assoluta indipendenza valutativa, apertura al confronto, fermezza nei convincimenti conclusivi, ecco i valori qualificanti che ho dato alla mia presenza in Consiglio comunale; valori che ritengo siano da considerare validi sia nel privato che nel pubblico.
 

Ciò malgrado, dopo quasi due anni di sterile attività, è triste per me oggi dover ammettere che le considerazioni fatte dai due amici "comunali" non sono né avventate né peregrine, ma sono sicuramente frutto di attente riflessioni, fatte su una realtà politica e amministrativa che, allo stato, sembra oltremodo difficile poter cambiare.
 

Difficile, perché una cultura clientelare, presente da tempo in tutti i partiti, si è ormai trasferita e radicata in certe strutture burocratiche, determinando così un perverso processo di simbiosi che privilegia interessi particolari mentre trascura interessi più vasti e fondamentali. 
 

I dosaggi politici, le rotazioni delle cariche, gli "agreements", concordati fra i vari gruppi nel momento stesso delle loro aggregazioni, nonché le compiacenti mute intese ed i compromessi che si stabiliscono fra politici e burocrati, sono le più tipiche manifestazioni di un sistema che di democratico conserva soltanto la beffa di una enunciazione.
In siffatta miscela di interessi corporativi e statuizioni non scritte, gli scontri, i compromessi, le alleanze estemporanee, che ricorrentemente si determinano all'interno del Comune, fanno strame dei buoni propositi di rinnovamento conclamati nel momento della ricerca del consenso in sede elettorale.
 

Nella vita di tutti i giorni è facile, allora, constatare che spesso l'azione amministrativa procede a "spinta", con accelerazioni e rallentamenti dovuti alla discontinuità dell'impegno, ovvero alle interazioni delle contingenti posizioni in campo.
 

Ma l'evento che maggiormente traumatizza l'attento osservatore è quello che rivela a volte un'assoluta mancanza di trasparenza nella conduzione di programmi vitali per la comunità. Anche se spesso non è facile riconoscere con immediatezza chi commette l'imprudenza di far venir meno tale trasparenza, non vi è dubbio che, quando pretestuosamente si sottraggono al pubblico dibattito i problemi della collettività, non si può affermare che c'è chiarezza nell'azione amministrativa (leggi Piano regolatore).
 

Tutto ciò finisce, quindi, per promuovere un processo induttivo che forse non sempre va verso corrette conclusioni, ma determina comunque una profonda demotivazione in quanti si erano illusi di considerare il Comune come "la casa di tutti, aperta a tutti".
 

Evidentemente le spinte rinnovatrici presenti nel Paese non hanno ancora la forza di dare piena validità a tale ottimistico concetto politico. Rinviamone allora la realizzazione a tempi migliori, sperando che la necessaria maturazione socio-politica, attraverso cui dovrà passare l'opera di rinnovamento, non comporti costi molto alti per la nostra comunità.

Favignana, 21 febbraio 1994