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IL GIORNALE DELLE EGADI - DICEMBRE 1998

FRAMMENTI PER LA STORIA DELL'ISOLA DI MARETTIMO

di Gino Lipari

Ricostruire la storia dell'isola di Marettimo dall'origine fino ai nostri giorni è cosa assai ardua. 
Anche se già conosciamo alcuni elementi che ci permettono di azzardare diverse ipotesi (ci riferiamo a quei pochissimi ritrovamenti di manufatti archeologici che l'isola finora ci ha restituito). Sappiamo che l'isola era frequentata nel neolitico. Sappiamo che lo fu in periodo punico e romano per quanto ha raccontato Polibio e per la emergenza archeologica in località Case Romane. 
Ma non sappiamo con esattezza quale attività svolgessero queste antiche presenze su di un'isola posta in mezzo al Mediterraneo e conosciuta dagli antichi geografi. Marettimo quindi rimane ancora un'isola tutta da scavare. Scarsa infatti è stata finora l'attenzione dello Stato per una ricerca archeologica che ci darebbe la possibilità di tracciare la storia antica di Marettimo. 
I piccoli frammenti di questa storia, che faticosamente si tenta di cucire, si devono all'intraprendenza di alcuni giovani marettimari che hanno dato vita ad una associazione. Associazione che in questi anni ha contribuito a stimolare gli Enti pubblici per la valorizzazione nel senso culturale dell'isola. 
Aspettando che la Soprintendenza di Trapani si compiaccia a dar inizio ad una massiccia campagna di scavi archeologici a 360 gradi, ci limitiamo nel frattempo di tracciare alcune tappe della storia medievale e moderna di Marettimo che è legata a quella delle altre isole dell'arcipelago. 
Nel secolo XVI Gio' Francesco Pugnatore, nella sua "Historia di Trapani" descrivendo le isole Egadi e parlando di Marettimo dice (anche in riferimento a Plinio il Vecchio) che l'isola era denominata dai latini Sacra. 
Sacra perché in essa, come del resto nelle altre piccole isole che sorgevano tra Marettimo e la Sardegna chiamate Are (e l'autore cita anche Virgilio), i Fenici vi esercitavano i sacrifici in onore dei loro Dei. Poi queste isole, a causa di un terremoto furono inghiottite dal mare . Così come Plinio anche il Pugnatore esalta poi le qualità naturalistiche dell'isola dove si produceva una grande quantità di miele la cui abbondanza scorreva come un fiume tra le rocce e poi si perdeva in mare. 
A causa delle scarse possibilità di esplorazione, contrariamente alle nostre attuali conoscenze, dice che l'isola era "senza alcuna acqua da bere fuori di un rivo che alla meridionale sua falda nel mare continuamente trascorre e senza pur alcun ricetto di vascelli fuor d'uno che alla detta acqua è vicino, ma tuttavia ancor mal commodo". 
Tuttavia precisa: "E però si tiene che ella non fosse di Cartaginesi abitata, benché nei susseguenti secoli vi fosse fatto presso al mare et accanto al rivo dell'acqua già mentovato un oratorio a S. Simone dedicato". 
Il riferimento, a nostro avviso, è chiaro. Il Pugnatore si riferiva all'attuale chiesa esistente in località Case romane che venne edificata dopo la cacciata dei Goti da parte di Bellisario nel periodo in cui la Sicilia orbitava nell'ambito dell'impero romano d'oriente. 

In quel tempo nella vicina Trapani cominciarono a stabilirsi alcune comunità greche ed assieme a queste alcuni monaci dell'ordine di San Basilio sottoposti all'Archimadrita della città di Messina. A Trapani, questi religiosi, edificarono una prima chiesa sotto il titolo di Santa Sofia ed un loro monastero. 
I monaci fino al periodo arabo presero a frequentare, in osservanza alla regola, le isole Egadi, allora disabitate, per i loro esercizi di romitaggio. 
Ma le prime notizie documentate si hanno nel medioevo. Quando cioè Giordano, figlio del Conte Ruggero libera Trapani dalla dominazione araba (1076). 
In quel tempo le isole Egadi assieme ai diritti di pesca (e quindi le tonnare la cui decima veniva riservata alla istituenda Chiesa mazzarese) vennero dai Normanni, in cambio dei servigi resi, concesse in feudo alla nobile famiglia degli Abbati di Trapani capostipiti del Santo Alberto che è l'attuale Santo patrono della città.
Iniziano le prime presenze umane legate ad attività economiche volute dal signore delle Isole. A Favignana e Formica la pesca del tonno.
A Levanzo si impianta una vigna mentre Marettimo, in considerazione della distanza e della vegetazione ivi esistente, viene utilizzata quale fonte di sfruttamento energetico per la città demaniale. 
Nel 1172 la baronia delle isole Egadi figura ancora sotto la signoria di Benedetto Abbate lo stesso che assieme a Giovanni da Procida, Alaimo da Lentini, e Gualtiero da Galtagirone doveva diventare uno dei principali artefici della rivoluzione del Vespro siciliano. 
 

Le isole divennero poco redditizie a causa dei frequenti contagi di epidemie che colpivano quelle sparute presenze umane che per conto del barone erano dedite alle attività economiche.  Addirittura nel 1347 un'epidemia denominata "morte nera", diffusa da alcune galee genovesi provenienti dal Levante, costrinse quei pochi abitanti ad abbandonare le Isole ed a sospendere ogni attività. 
 

Marettimo: Case Romane

 

In quel tempo la vicina città di Trapani venne evacuata e gli abitanti si rifugiarono sulle colline. Ma dopo le vicende del Vespro, il feudo delle Egadi, doveva sfuggire dalle mani della famiglia degli Abbati che alleatesi con i Chiaramonti, nell'ambito delle lotte baronali per il regno di Sicilia, ostacolò l'ascesa al trono di Sicilia dei re Maria e Martino. La famiglia degli Abbati ebbe da questi due monarchi, nel 1389, confiscato il feudo delle Egadi, che venne affidato ai giurati della città di Trapani con l'ordine reale di spendere la metà delle entrare derivanti dagli utili ricavati dalle isole per la custodia del castello della città. 
Ma se gli Abbati pagarono la loro imprudenza con l'espropriazione del feudo, Alaimo da Lentini, pagò invece con la propria vita. Catturato a Messina con i suoi nipoti venne trasportato a Marettimo e all'interno di un sacco venne gettato al largo di punta Troia. Così le Egadi ritornarono, anche se indirettamente, ancora una volta sotto il possesso della famiglia degli Abbati. 
Infatti nel 1392, Allegranza, figlia di Nicolò Abbate sposa Matteo Moncada che riceve dal re quale dono di nozze le isole Egadi. Ma per il fallimento poi di questo matrimonio le isole ritornano nuovamente alla Regia Corte e sotto la gestione dei giurati di Trapani. Il 24 marzo del 1397, per disposizione reale, il feudo delle Egadi viene concesso ad Aloisio Carissima che lo mantiene fino al 1405, anno in cui lo stesso lo cede in dote alla figlia che sposa Benedetto Rizzo. In tale occasione il re concede al signore delle Egadi il titolo del marchesato. 
Nelle isole iniziano i primi timidi tentativi di edificazione edilizia. 
Ma la vita per quei sparuti abitanti cominciava a diventare molto difficile e pericolosa. Nel 1546 infatti sotto il regno di Giovanni Ferdinando le isole vengono ancora evacuate stavolta non per epidemie ma per la minaccia della guerra di corsa la cui attività ostacolava i traffici marittimi e vi era il pericolo di essere catturati e come schiavi venduti in Barberia. 
La Corona di Spagna per fronteggiare la guerra contro i Turchi e rendere più sicure sia le città demaniali che i traffici marittimi del Mediterraneo, rivisitò le difese murarie della città di Trapani e di conseguenza decise di dotare di guarnigioni reali le isole (che erano divenute covo dei più pericolosi pirati) quali avamposti verso il mare. Leggendarie furono le imprese del pirata Dragut le cui gesta rimasero, nel corso dei successivi secoli, nella memoria della gente. Nelle famiglie trapanesi per fare spaventare i bambini e tenerli buoni si diceva: "accura, accura, u Mammaddrau", (trasformazione popolare derivante appunto dal pirata Mohamet Dragut). 
Marettimo era naturalmente luogo ideale per organizzare le imboscate soprattutto alle navi che transitavano al largo e fra le isole. Giovanni Ferdinando da Valois, marchese di Pescara e Viceré di Sicilia, attirato dall'utile che si poteva ricavare dalla pesca del tonno e da quella del corallo nonché dalla messa in coltura delle terre delle isole, per la somma di 4000 scudi, acquistò le isole per mano del Barone Riccio... 
 


MARETTIMO NATURA 5: 
UNO SCRIGNO BOTANICO


Tre fattori principali determinano l'ambiente vegetale, la flora e la fauna dell'Isola di Marettimo: 1. La totale montuosità, con altezze che sfiorano i m 700 e rocce calcaree di tipo carsico depositatesi su uno zoccolo dolomitico. 
2. Una relativa abbondanza d'acqua risorgiva, a differenza delle altre due isole. 
3. La lunghissima condizione di insularità, che isola ben 600.000 anni prima di Favignana e Levanzo ogni specie vegetale e animale dall'habitat continentale. 
Ciò produsse la conservazione di talune specie, l'estinzione di altre, la specializzazione di altre ancora alle modificazioni del clima. 
 

  

La storia naturale di Marettimo è quindi affascinante. 
Già se ne accorsero i due massimi studiosi dell'Ottocento che si interessarono dell'Arcipelago delle Egadi: Gussone, che tra il 1832 e il 1834 scrisse una Florae Siculae Synopsis, e Lojacono, che compose la sua Flora Sicula tra il 1888 e il 1908. 
Ma nel 1956 fu pubblicato l'importante studio L'Isola di Marettimo nell'Arcipelago delle Egadi e la sua vegetazione, frutto delle escursioni che due scienziate toscane vi avevano compiuto nel decennio post-bellico: ELEONORA FRANCINI e ALBINA MESSERI. 
 


E' come una bella e interessante storia che le due studiose ricostruirono partendo dall'osservazione della vegetazione rupestre di Marettimo, ricca di piante speciali, endemiche, e di alcune del tutto assenti in Sicilia, ma presenti sulle coste laziali e toscane... 
Gli endemismi più tipici e interessanti di Marettimo vivono sulle rupi impervie e inaccessibili, dove gli animali e più tardi l'uomo non potevano distruggerli. 
Essi sono: Bupleurum dianthifolium, Scabiosa limonifolia, Dianthus rupicula, Seseli Bocconi, Iberis semperflorens.
Le specie che non si trovano in Sicilia e che quindi provengono dall'antichissima colonizzazione pontica sono: Brassica macrocarpa, Scilla Hughii, Daphneoleifolia, Erodium maritimum, Periploca angustifolia, Glaucium corniculatum, Parietaria cretica, Lagurus ovatus vestitus, Thymus serpyllum nitidus, Statice minuta tenuicola, Satureja puticulosa cymulosa, Senecio leucanthemifolius incrassatus... 
Le rupi di Marettimo sono dunque un prezioso orto botanico salvatosi soltanto grazie alla loro inaccessibilità. 
Ma la flora dell'isola copre, oltre alle rocce verticali, coi suoi 600 tipi di piante, ogni metro di superficie. 
La gariga, cioè l'associazione vegetale più semplice, copre la maggior parte dell'isola. Vi prevalgono Elichrysum pendulum e Satureja fruticulosa, cui si uniscono Rosmarinus officinalis, Euphorbia dendroides, e oltre i 100 metri, Erica multiflora, Cistus incanus, Ruta chalepensis. 
Non appena il terreno si fa meno impervio e più fertile, alla gariga succede la splendida macchia predominio del Lentisco - che nel lato nord-occidentale dell'isola raggiunge i 3-4 metri di altezza... 
Una macchia più bassa copre i fianchi della montagna e ne fanno parte, oltre alle specie suddette, il Senecio cineraria, la Globularia alypum, la Ruta chalepensis.... 
Ai piedi di Pizzo Falcone ed in località "craparizza" esistono ancora esemplari di Quercus ilex, resti dell'antica lecceta che sicuramente ricopriva gran parte dell'Isola. 
A sud-est e nel versante ovest si estendono alcune pinete di Pino d'Aleppo che al tempo delle due studiose toscane non erano state ancora impiantate. 
Oggi sono delle bellissime zone boschive curate dalla forestale. Presso la fonte "Pigna" sulla strada che porta al Castello di Punta Troia, esiste ancora una colonia originaria di Pino d'Aleppo (Pinus Halepensis), che le nostre guide indicano come residuo di una popolazione più ampia quando più umido era il clima. 
 
Da "EGADI MARE e VITA" di Gin Racheli


RICORDI


Una serata di gennaio, fuori scroscia la pioggia caduta da nuvoloni grigi che attraversano veloci un cielo ancora dipinto dagli ultimi raggi del sole invernale. 
Sulla parete, accanto alla scrivania, le tinte vivaci di alcune gigantografie danno un po' di colore a questa giornata sfocata e stimolano la mia mente satura dei problemi del vivere quotidiano. 
Il colore prevalente è l'azzurro con tutte le gradazioni dal celeste del cielo estivo al blu del mare profondo. 
Sono le immagini fotografiche di Marettimo, aspetti diversi dell'isola ritratti qualche tempo fa. 
Nei momenti di pausa mi sorprendo ad osservare, quasi inconsciamente, quelle immagini che evocano il ricordo di avvenimenti piacevoli. 
Le ore trascorse sul mare alla ricerca di spazi esclusivi, i momenti dedicati alla pesca, al nuoto, agli scherzi sull'acqua. 
E' la nostra umanità che si ritrova in un'atmosfera serena e giocosa che coinvolge un po' tutti, grandi e piccoli, genitori e figli insieme. 
Là in quella terra circondata dal mare siamo tutti riuniti come in una grande famiglia e questo affettuoso stare insieme ci rende più liberi ma più disponibili. 
La montagna ci sta a guardare dall'alto delle sue serre scoscese come ha osservato da sempre il succedersi degli avvenimenti, il ricambio delle generazioni, l'avvicendarsi dei suoi abitanti. 
Famiglie che sono emigrate lontano per continuare a vivere e conservare il ricordo dell'isola natia. 
Famiglie che sono rimaste e godono di questo tesoro. 
Famiglie che sono scomparse, si sono consumate lentamente. 
Il tempo sembrava essersi fermato per la zia ultra centenaria, la sua vita non sembrava avere una fine. 
Era sempre là, estate dopo estate, coricata sul suo lettino, sempre più minuta, più evanescente. 
Era ormai una componente essenziale dell'ambiente isolano. 
Un inverno la portò via. 
Poco tempo dopo scomparvero i suoi familiari più intimi. 
A Marettimo di essi, forse, non si parla più. Ma che pensieri mi vengono in mente! 
 


Sarà la stanchezza dopo una giornata di lavoro o la nostalgia di un'epoca passata, epoca in cui la vecchietta ancora energica ed operosa, con un fazzoletto nero sulla testa, accudiva, così esile e debole in apparenza, ad un grande forno a legna da cui sapeva tirar fuori pani fragranti e saporite schiacciate. 
E con amore le offriva generosamente, lei che viveva con grandi economie, a parenti e vicini. 
Ricordi!
 

Giuseppe Vetri


Marettimo, rimani come sei, selvaggia come me, 47 anni di vita all'estero e la mia completa libertà non mi sono bastati per sganciarmi da questo male indefinibile. 
Ho visitato mezzo mondo (per modo di dire) ma te Marettimo vedo in tutti quei luoghi. 
Dicono che gli scogli sono tutti uguali. 
Non è vero. I tuoi sono la mia proprietà interiore, il mio approdo di riferimento. 
Mai ho potuto sognare così come lo faccio da te. 
Tutta questa naturalezza mi entusiasma come quando vivevo da te, forse più di prima. Il mio timore è di trovarti cambiata ad ogni mio ritorno. 
Oggi i tempi ci costringono a rincorrere il progresso, tu Marettimo non stravolgere troppo la tua fisionomia affinché io continui a trovare in te le mie radici. 
 

Concettina Spadaro