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Marettimo come Itaca per Vincenzo Consolo

Nella terra dei Feaci, dov'era approdato solo, lacero, nella reggia di Alcino, l'ignoto naufrago Ulisse, sollecitato dal re, rivela la sua identità. "Io sono Odisseo, figlio di Laerte, noto agli uomini / per tutte le sue astuzie, / la mia fama va fino al cielo" dice. E dice d'essere d'Itaca, che ad Itaca desidera ardentemente tornare, dopo tanti anni, dopo aver combattuto ad Ilio, dopo aver sofferto per mare tante peripezie, tanti disastri. Tornare in quella sua patria, in quella isola chiara nel sole, aspra, pietrosa, ma che alleva giovani valorosi. E conclude, commosso: "Non c'è niente al mondo di più caro per un uomo che la propria patria". Ed è vero questo per ogni uomo, per ogni ulisside di qualsiasi luogo, ma è ancor più vero, questo attaccamento al proprio luogo di nascita, alla propria terra, per ogni isolano. 
L'isola, nel suo essere luogo separato e concluso, nel suo costringere gli uomini a vivere insieme, a conoscersi e a sentirsi ognuno parte degli altri, sembra che esalti questo sentimento dell'appartenenza, dell'identità. 
L'ho sentito questo senso dell'isola, in me stesso, l'ho constatato, attraverso la storia, negli abitanti dell'isola grande, della Sicilia, ma l'ho visto ancor più acuto e inestinguibile negli abitanti di piccole isole, negli ulissidi che per necessità di vita o per altre avventure se ne sono allontanati, l'ho visto negli abitanti delle Eolie ed in quelli delle Egadi. 
L'ho visto negli abitanti dell'isola estrema, in questa aspra, luminosa, nutrice di avventurosi e valorosi uomini, in questa Itaca del Mediterraneo che è Marettimo. Visto in senso letterale, fissato cioè, lo straziante amore per la propria terra, sulla carta, nelle foto che cinque anni fa venivano a Marettimo esposte in una mostra dal titolo "Di qua e di là del mare". 
Le foto degli straordinari, unici credo, marinai marettimari che attraversando l'Atlantico andavano nella California del Nuovo Mondo a cercare, in quei mari e in quei fondali, fortuna, un avvenire più generoso per i loro figli. Abbiamo visto tutti quelle foto, abbiamo letto su quei volti in posa, l'amore per la famiglia lontana, l'amore per Marettimo, il desiderio in loro nei loro occhi, del ritorno nell'isola.

Sono tornato dopo cinque anni in quest'isola e vi ho ritrovato i giovani amici di sempre: Luigi, Vito, Nino... Ho ritrovato il loro forte senso dell'isola, della loro profonda appartenenza a questa terra, la tenace volontà in loro, attraverso l'Associazione C.S.R.T. "Marettimo", di difenderla dagli assalti devastanti della speculazione e del cinismo. 
In questo nostro tempo di perdita di identità, di smarrimento, di alienazione, la preziosa identità di Marettimo credo che sia un bene da difendere, da conservare. 
 

 

Lo scrittore Vincenzo Consolo, vincitore, con il libro "Nottempo, casa per casa", del premio Strega 1992

UTOPIE O REALTA' ?

di Pietro Torrente


Parlare in astratto può sembrare a volte un fatto puramente teorico. Toglie il privilegio di ancorare le argomentazioni a situazioni concrete ed a persone che tali situazioni hanno determinato nel bene o nel male. Pure a volte il discorso teorico evita la polemica e consente un eventuale dibattito sereno fra quanti guardano senza prevenzioni e senza presunzioni al normale sviluppo del pensiero. 
In un lontano passato ho parlato di "scuola aperta", forse anticipando i tempi ed esponendomi a qualche critica per la mia proposizione ritenuta "utopistica". Ho, successivamente, chiarito il concetto di "scuola aperta" nel senso che tale istituzione deve sapere accogliere quegli apporti didattici che la società riesce ad esprimere anche fuori dell'ambito scolastico. 
Ho creduto e credo nell'attività di ricerca monografica, di sperimentazione, di dibattito, di diversificata interpretazione della storia, di nuove e libere forme di presentazione delle discipline tecniche all'interno di una scuola ordinata, disciplinata e saggiamente guidata su un binario di programmazione propositivo, differenziato e ben definito dalle autorità scolastiche. Ho criticato l'opprimente schematizzazione nozionistica spesso adottata dalla vecchia classe docente e la dirompente anarchia di alcuni giovani discenti. La fortuna mi ha dato la possibilità di poter attuare in qualche modo questi concetti in una breve esperienza didattica e di riscontrare nei risultati conseguiti e nei riconoscimenti acquisiti la validità della mia proposta. 
Più recentemente ho auspicato un modo nuovo di far politica amministrativa all'interno di un consiglio comunale, affermando: 
"Parlare di queste cose non è utopia! Quando da giovani parlavamo di "scuola aperta" ci davano del visionario, mentre oggi (2/6/92) questo concetto trova maggiori sostenitori. 
Adesso proponiamo i concetti di "amministrazione comunale aperta" e di "gestione manageriale" della cosa pubblica, senza troppo preoccuparci di incomprensioni o preconcette ostilità. Noi crediamo fermamente nell'onestà della nostra proposizione. In passato è stata teorizzata la conflittualità permanente per risolvere determinati problemi sociali. Questo modo di far politica oggi non è più riconosciuto valido, anche se si afferma ancora che la conflittualità è il sale della vita. Noi crediamo, invece, nella collaborazione onesta e sincera, crediamo nell'uomo con i suoi ideali, crediamo nel lavoro come mezzo di realizzazione individuale, crediamo, infine, nel dialogo che porta al consenso sulle proposizioni che dal dibattito ricevono il crisma della validità per la comunità nel suo complesso. 
Noi pensiamo che una amministrazione comunale consapevole debba saper realizzare quella che noi chiamiamo "attività aperta". Tutti debbono avere la possibilità di contribuire alla determinazione delle scelte amministrative nel pieno convincimento che ciò costituisce un diritto/dovere per tutti i cittadini. La collettività organizzata deve, cioè, potere esprimere concetti propositivi e critiche costruttive. Tali apporti debbono essere valutati con molta attenzione, anche quando possono apparire permeati da interessi soggettivi. L'amministrazione deve recepirli ed analizzarli con scrupolo e serietà, senza aprioristiche negazioni e senza frettolosi e colpevoli acquiescenze. 
L'interesse individuale o corporativo non è necessariamente illegittimo in quanto di parte; esso va ascoltato, tutelato da faziose ingiuste contrapposizioni, ed accolto se non è in contrasto con l'interesse della collettività. Gli apporti di cui parliamo potranno assumere la configurazione di istanze, proposizioni o critiche, ma essi non dovranno mai esaurirsi in borbottii, mugugni o vivaci polemiche nei salotti, nei circoli, nei bar. Tali apporti dovranno trovare, invece, già predisposti i canali ufficiali attraverso i quali giungere all'organo amministrativo. L'amministrazione comunale dovrà pertanto, istituzionalizzare periodici incontri con i cittadini (aggiungiamo: specie con quelli delle frazioni) al fine di porsi come la casa di tutti, aperta a tutti." 
Sogni? E' bello fondere le esperienze positive con i sogni! Da questa fusione nasca la speranza per un avanzamento culturale, economico e sociale. La speranza, poi, aiuta a vivere meglio, poiché motiva il nostro impegno.

SOLI NEI NOSTRI SCOGLI


La crisi che sta vivendo l'attuale società, immersa nel marasma degli scandali e lacerata dalla perdita di valori sia politici che sociali, ha avuto ripercussioni anche nelle nostre sperdute isole. 
I vecchi padrini politici a cui un tempo ci rivolgevamo e che in cambio di una manciata di voti erano disposti a perorare la nostra causa e a risolvere i nostri problemi, sono ormai un lontano ricordo, e questi paladini ora vivono nell'ombra, cercando di evitare gli avvisi di garanzia che da più parti gli piovono addosso. 
I nostri amministratori locali, ormai da tempo allo sbando, senza più una guida o un partito che li sorregga e li consigli, vivono il momento attuale con l'immobilismo più totale, combattuti fra il terrore di sbagliare e finire in galera, e la mancanza di stimoli e d'interesse verso tutte le problematiche che nel frattempo sono andate via via accumulandosi. 
In uno scenario apocalittico di questo genere, il cittadino delle Egadi si sente solo, preoccupato e abbandonato come lo scoglio in cui vive non avendo punti di riferimento e non sapendo più a chi raccomandarsi per ottenere quelle elementari garanzie e quei servizi indispensabili per soddisfare il suo fabbisogno e le sue necessità quotidiane. 
Due a questo punto sono le soluzioni e le strade che può percorrere l'avvilito isolano per tentare di condurre una vita dignitosa e pari ai suoi simili della terra ferma: andarsene sconfitto lasciando spazio a chi per anni ha tramato alle sue spalle, o rivolgersi e far arrivare la sua voce a quella potente forza rappresentata dai grandi mezzi d'informazione, sia televisivi che della carta stampata. Mezzi d'informazione che hanno il potere di stravolgere e distruggere ma anche di portare in primo piano davanti all'opinione pubblica ed agli organi competenti le problematiche ed i casi più clamorosi. 
Le nostre tre isole sono spesso impegnate in situazioni drammatiche, a volte al limite della sopravvivenza. E' il momento che anche coloro che vivono oltre lo Stretto siano tenuti al corrente dello stato attuale. E' il momento che i nostri governanti mettano un po' d'ordine in questi remoti fazzoletti di terra dove spesso i più elementari diritti sono calpestati, sminuiti ed infranti. 
E' ora di finirla che una società sovvenzionata da denaro pubblico come la SI.RE.MAR faccia il bello ed il cattivo tempo, sopprimendo e spostando corse di aliscafi e traghetti a suo insindacabile giudizio, scontentando le esigenze soprattutto di Levanzo e Marettimo. Da anni si contestano gli orari stilati in modo approssimativo e senza tenere in alcuna considerazione né gli abitanti né i turisti che rappresentano un importante impulso all'economia delle isole. 
I costi esorbitanti per chi non è residente e vuole visitare le nostre isole, ed il mancato rimborso del biglietto in casa di impossibilità di attracco dei traghetti, sono due voci che da sole penalizzano, stroncano ed inginocchiano la fragile economia di questa gente. 
L'insufficienza dei mezzi utilizzati per svolgere il servizio di collegamento con le isole, ed i frequenti guasti cui sono soggetti tali mezzi marittimi, sono la ciliegina finale sulla torta ed aiutano a rendere ancora più precari i collegamenti. 
Ma questo è solo uno dei tanti esempi sui disservizi e sull'abbandono che quotidianamente si consuma nelle nostre isole. 
Armiamoci quindi (di tanta buona volontà e determinazione) e partiamo tutti insieme alla conquista di quella credibilità e di quella esigenza di giustizia che solo l'unico potere, assieme a quello giudiziario, ancora esistente e forte in Italia ci può aiutare a realizzare. Spostiamo i riflettori per pochi ma vitali attimi, sulle esigenze, le tradizioni ed i continui travagli esistenziali della semplice e fiera gente delle Egadi. 


Alberto Sercia