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La più piccola delle tre isole dell'arcipelago delle Egadi, comprendente anche Favignana e Marettimo, si trova a otto miglia marine, 15 chilometri dalla costa siciliana. 
La distanza appare assai breve viaggiando a bordo dei veloci aliscafi che partono dal porto di Trapani e raggiungono in venti minuti sia Levanzo che Favignana. Il mare che si attraversa ha la spessore della storia, custodisce millenari segreti ed ha la voce antica di lontane contese e di tragedie dimenticate. 
Sono acque che celano nelle loro profondità relitti di scafi punici, di triremi romane, di galeoni spagnoli. Sono le acque che seppellirono per sempre, nel 241 avanti Cristo, le cinquanta imbarcazioni da combattimento perdute dall'ammiraglio cartaginese Annone nello scontro mortale con la flotta del console romano Caio Lutazio Catulo. La battaglia - chiamata "delle Egadi" - segnò la fine della prima guerra punica e il trionfo delle armi romane in Sicilia.

La grotta più nota è quella del Genovese, così chiamata dal nome della contrada in cui si trova. La sua scoperta, nel 1949, fece conoscere Levanzo oltre i confini italiani, e non soltanto nel mondo scientifico. Questa cavità - raggiungibile più agevolmente utilizzando una barca che da terra - è un autentico scrigno di segni grafici appartenenti a una remota cultura mediterranea. Si tratta di un documento-chiave per la lettura di una antica civiltà, per capire la lunga corsa del tempo in un frammento di cosmo dall'aspra bellezza. Secondo quanto venne allora riferito, furono i cacciatori di conigli selvatici a notare che i cani lanciati per esplorare gli anfratti e stanare la preda si attardavano dentro una fenditura della montagna.
In realtà, non si sa bene come avvenne una scoperta che ha i contorni della favola, ma allora fu riferito che nel 1949 una pittrice in vacanza a Levanzo, Francesca Minellono, seppe da un pescatore dell'esistenza di un'ampia caverna al di là del vasto incavo di una ante-grotta.

Levanzo appare dal mare o dalla dirimpettaia Favignana - da cui dista quattro chilometri - con il suo aspetto di montagna allungata dal rilievo mite. Ha una superficie di circa sei chilometri quadrati, è lunga cinque chilometri da capo Grosso a punta Pesce ed è larga due chilometri da cala Calcara alla barriera rocciosa tra punta del Genovese ed il Faraglione; ha dodici chilometri di coste e una altitudine massima, pizzo del Monaco, di 278 metri. 
Una minuscola isola, dunque, che non ha risorse idriche, per cui da tempo immemorabile l'acqua piovana, trattenuta sulle terrazze, scivola nelle cisterne e viene utilizzata per tutti gli usi dalla popolazione stabile, poche centinaia di persone durante l'inverno. Questi impianti primitivi si trovano sia nelle poche case bianche raggruppate a cala Dogana, sul fronte del rudimentale approdo, sia nei casolari sparsi un po' dovunque nella campagna. 
Circa 200 abitanti stretti nel paese-porto di cala Dogana: un arco di case con il tetto piano e i muri di tufo di Favignana che si insinua tra il mare trasparente davanti e il calcare dietro. Una strada sola segue la curva del borgo. 
D'estate chi ha gettato l'ancora nel mare calmo e pescoso del turismo apre la casa ai forestieri. D'altra parte, i pochi campi concessi dalla geografia irregolare dell'isola hanno fatto da sirena per poco. Poi sono stati abbandonati insieme alle case coloniche dei Florio che si intravedono ancora, segno silenzioso di un tempo diverso.
Trascurati viti e cereali, sono rimasti i muretti a secco e qualche animale al pascolo. Sui fianchi della montagna di Levanzo si arrampicano fichidindia, euforbie, lentisco, ferule. La salita è un corso di botanica mediterranea. fino alla caverna del Genovese. Nell'antro che si spalanca sulla costa nord-occidentale.

Munita di torce e con l'aiuto di volenterosi, si avventurò all'interno della spelonca entrando carponi attraverso un piccolo imbuto di pietra. Scoprì così pitture e graffiti, rimasti nascosti per millenni, che raccontano i primi vagiti artistici dell'umanità.
L'uomo primitivo, legato per sopravvivere alla caccia, veniva probabilmente iniziato alla pienezza dell'esistenza nell'interno della grotta raggiungibile - oggi come allora - dopo aver percorso a schiena piegata un breve corridoio roccioso. Una fatica non lieve compensata dalla vista, al radente fascio di luce di una torcia elettrica, di decine di figure antropomorfe e zoomorfe disseminate nella vasta cavità ipogea larga circa otto metri e mezzo. 
Un affascinante mistero grava su immagini tracciate con tinture rosse e nere da un nostro lontanissimo antenato così essenziale nel gesto di fermare sulla pietra qualcosa destinato a rimanere dopo la sua morte.
Sono due i cicli rupestri. Nella parte più bassa si trovano graffiti paleolitici rappresentanti animali - equidi, bovindi e cervidi - nonché tre sagome di uomini stilizzati che sembrano colti durante una danza. Nella parte più alta della parete vi sono pitture di età neolitica. Figure umane e di animali si addensano sulla roccia; e c'è anche l'ombra di un tonno, forse la più antica rappresentazione di questo gigante del mare che proprio nelle acque tra Levanzo e Favignana ogni primavera viene catturato nel cruento rito della mattanza.
Il segno è dappertutto preciso, sicuro, senza pentimenti. In particolare le incisioni sembrano il risultato di una concentrazione spirituale, quasi il riflesso di un magico rapporto che l'uomo primitivo riusciva a stabilire con l'ambiente circostante.

I graffiti della Grotta del Genovese testimoniano una età di oltre diecimila anni.
Nella grotta ci sono anche dipinti preistorici.

Levanzo calamita visitatori fedeli. Chi viene, ritorna.
Isola di silenzi e di solitudine, aperta ai ritmi del mare; isola in cui la vita è stata sempre regolata dagli eventi naturali, dalle condizioni del cielo e dell'acqua che la circonda, dall'alternarsi delle stagioni e del giorno e della notte. 
Priva di case in muratura fino all'Ottocento, nel lontano passato Levanzo ha data rifugio, con le sue grotte, ai coraggiosi che l'hanno raggiunta decidendo di restarvi. Oggi l'isola è un'oasi per gente solitaria affascinata dal mare e dal pulsare della sua vita, per amanti della pesca subacquea e delle seduzioni di una natura ancora intatta. 
II circuito delle strade percorribili agevolmente dagli automezzi è assai limitato. Predominano i sentieri che attraversano l'intera isola da una parte all'altra. Viste dall'alto, appaiono labili tracce sul terreno, e tuttavia consentono il passaggio di qualche mezzo meccanico in grado di superare forti dislivelli. Una folta e incontaminata vegetazione domina all'interno: dai densi ciuffi di euforbia che si alternano all'erica multiflora, alla svettante agave, al narciso che si eleva sull'alto scapo floreale, alla gariga, tipica boscaglia mediterranea, alla mandragora dai fiori bianco-violacei. Accanto ai fichidindia abbarbicati a rozzi muri sbriciolati dal sole si trovano, negli anfratti delle rocce, i teneri arbusti dei capperi.
Formata, come Favignana, in ere geologiche lontane, Levanzo è disseminata di grotte calcaree che furono abitate dall'uomo nell'età neolitica, circa diecimila anni fa.

Il singolare complesso di arte primitiva, anche per il fatto di essere costituito da figure incise e da figure dipinte, è tra i più interessanti del nostro paese.
Chi siano stati i primi abitatori della caverna e quando vi abbiano stabilito l'insediamento non è dato conoscere, se non in termini approssimativi. Gli studiosi ritengono che la datazione più probabile sia da collocare sui diecimila anni fa. 
Per visitare la grotta è necessario avvisare in anticipo il custode perché è lui che - per incarico della soprintendenza - manovra il pesante cancello posto anche per impedire che qualcuno, come è successo in passato, danneggi le pitture rupestri o le investa per troppo tempo con una luce viva. 
Se il mare lo consente è più agevole - come si è detto - raggiungere la grotta noleggiando una barca. 
In caso contrario bisogna affidarsi ad una jeep che segue lo sterrato fin dove è possibile. Poi si percorrono a piedi circa tre chilometri attraverso una terra arida, senza alberi, dalla vegetazione bassa e fitta. Questo terreno una volta era coltivato a cereali e a vite, e adesso è ridotto a magro pascolo. 
Alla fine del percorso, si raggiunge un vasto balcone aperto sull'infinito. Bisogna seguire le balze per conquistare il livello della grotta che si trova a circa trenta metri dall'acqua. Si segue insomma un sentiero di capre, ma da qui la grotta si presenta come una porta aperta sugli abissi del tempo.