VISITA ALLA CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA

L’ipotesi di un restauro generale della chiesa fu da un lato stimolata dall’opportunità di avere un edificio ben ristrutturato per il Centenario della sua dedicazione; dall’altro fu di fatto imposta da una serie di esigenze pratiche.

Si dovette intanto provvedere ai diversi tetti: da quello della navata a quelli dell’abside e delle cappelle. Si trattava non solo di bloccare le infiltrazioni d’acqua, ma di riportare a precise condizioni di stabilità e sicurezza le travature, che, in qualche caso, per il verificarsi di inclinazioni o per inizi di cedimento nei sostegni, creavano addirittura problemi di statica [1]. Il 18 giugno 1989 il parroco dà notizia ai fedeli di una... “tegola che ci cade in testa, la preoccupazione cioè per il tetto che va  ristrutturato a motivo delle sue preoccupanti condizioni di instabilità. E’ come se una mano stesse spingendo il tetto dalla facciata verso l’altare. Le 4 capriate hanno subito in alcuni punti un rischioso movimento da ovest verso est perfino di 20 cm.”.

Dopo diversi interventi parziali si realizzò la sistemazione generale dei tetti nel 1990, concludendola con l’installazione di una croce in acciaio con rivestimento di rame sul vertice della facciata.

Nel 1993 furono poi assunte le prime iniziative per un più ampio restauro conservativo, che avrebbe interessato tutto l’insieme dell’edificio. La relazione tecnica dell’arch. Gianfranco Donadelli[2] ne indica le linee essenziali: riconduzione a norma dell’impianto elettrico e collocazione sotto il pavimento dell’impianto di riscaldamento; creazione di un vespaio per  evitare la risalita dell’umidità dal basso e restauro della decorazione rovinata; restauro dell’arredo ligneo e artistico; realizzazione di un nuovo battistero in un locale adiacente alla sacrestia e della penitenzieria in un locale della canonica a ridosso della chiesa.

Dopo la complessa fase della progettazione analitica, accompagnata dalle osservazioni e dal nulla osta della commissione diocesana e della soprintendenza ai beni ambientali, il complesso dei lavori fu presentato in un’assemblea parrocchiale il 26 maggio 1995, cui seguì, il 4 giugno, l’apertura del cantiere.

I lavori furono eseguiti dalla ditta F.lli Tarantola di Rosate; la progettazione fu firmata dall’arch. Gianfranco Donadelli di Lecco; la direzione dei lavori edilizi affidata al geom. Umberto Radici di Rosate; il restauro artistico-pittorico alla ditta Giacomo Luzzana di Civate (Lecco).

Fu in questa prima fase che lo scavo aggiunse al suo carattere prettamente tecnico quello più specificamente archeologico. In parte questa trasformazione era attesa: era nota la planimetria voluta da s. Carlo Borromeo e anzi ad essa ci si rifece per i primi assaggi che consentirono di far emergere le basi dei pilastri e delle absidi della chiesa a tre navate.

Sorprendente fu invece la prosecuzione dello scavo negli strati sottostanti: tombe, basi di murature, resti più o meno leggibili di pavimentazione venivano man mano alla luce, grazie alla competenza professionale delle archeologhe della Società Lombarda, che operavano sotto la direzione della Soprintendenza ai beni Archeologici, prontamente informata.

Fu una fase insieme emozionante e impegnativa, che suscitò grande interesse in tutta la comunità. L’immaginazione era colpita dalla gran quantità di ossa che veniva estratta; ma l’impegno scientifico delle archeologhe e della Soprintendenza diede a poco a poco volto più preciso alle linee  che si andavano disegnando. I primi risultati sono stati esposti in un pannello esplicativo, preparato dalla Soprintendenza e donato dall’Amministrazione Comunale, collocato nella chiesa ormai restaurata nel dicembre 1997. Un’antica chiesa battesimale, un suo primo ampliamento, la collegiata a tre navate, almeno tre battisteri e diverse tombe, una delle quali con disegni di colore rosso: tutte queste strutture hanno svolto in epoche diverse la loro funzione nello stesso luogo su cui ora sorge la chiesa di s. Giovanni Battista. La tradizione locale che ne faceva risalire la fondazione alla regina Teodolinda si trovava così a ricevere da uno scavo condotto con metodo scientifico un sostegno significativo, quanto meno rispetto all’epoca di riferimento delle prime testimonianze cristiane per il paese di Cesano Boscone.

Lo scavo, poi, confermò l’esistenza di una necropoli romana, già nota per alcuni resti emersi in occasioni precedenti.

Naturalmente la chiesa rimase inagibile per diversi mesi (nove, esattamente), durante i quali si utilizzarono il cinema Cristallo per le funzioni domenicali, la cappella delle Suore per quelle feriali e la chiesa della Sacra Famiglia per la celebrazione dei Sacramenti.

Gli scavi poterono essere osservati dalla popolazione, che mostrò un interesse vivissimo, soprattutto in occasione della festa patronale, quando fu aperto il cantiere e ci si poté avvicinare alle porte della chiesa per vedere direttamente i risultati e per ascoltare le spiegazioni che venivano offerte, sulla scia dell’illustrazione sviluppata in un opuscolo distribuito dalla parrocchia.

Una cerimonia suggestiva fu compiuta il 12 novembre 1995. Lo scavo era stato ricoperto collocando la base del pavimento in modo tale da salvaguardare pienamente l’area archeologica sottostante e lasciando delle aperture per la tomba dipinta e per il più recente degli antichi battisteri. La popolazione poté così ritornare in chiesa per ascoltare una relazione illustrativa del direttore dei lavori, geom. Radici e per partecipare alla preghiera per la collocazione sotto l’altare delle ossa ritrovate e di una pergamena con questa scritta:

“Non conosciamo il nome vostro

ma, in Dio, voi conoscete il nostro;

non conosciamo la vostra voce

ma voi avete ascoltato i nostri canti;

non conosciamo la vostra storia ma voi sapete le nostre vicende: siamo la stessa Chiesa, un unico popolo!

Riposate in pace!

Intercedete per noi!

Oggi, 12 novembre 1995, la parrocchia di san Giovanni Battista in  Cesano Boscone piamente depose i resti mortali ritrovati in occasione dei restauri alla chiesa, iniziati il 4 giugno 1995”.

Il rientro definitivo in chiesa fu possibile dal 24 marzo 1996; ancora vi erano i ponteggi alle pareti, ma la parte relativa allo scavo si era ormai conclusa.

La chiesa restaurata: l’esterno

Osservata nel suo insieme la chiesa di san Giovanni Battista appare come il frutto dell’ accostamento di due parti distinte.

In effetti, l’abside con il presbiterio risale al 1780. Progettata dall’arch. Tazzini ha una forma a “U” piuttosto allungata e presenta i laterizi a vista, fino al tetto che è un poco più basso di quello della navata. Nella parte nord, verso l’Oratorio, si può osservare l’inserimento nella parete attuale di un arco di mattoni più grandi, che sembrano essere elementi più antichi riutilizzati. La luce è data da due finestre rettangolari, ricavate nell’abside e da altre due collocate molto in alto, all’estremità del presbiterio.

La navata, invece, che fu progettata dall’ing. Giuseppe Monti e  ha la forma semplice di un rettangolo, è stata costruita nel 1898-99, quando fu abbattuta la vecchia chiesa, della quale si conservò , appunto, l’abside, insieme con un’ampia parte del muro meridionale. Su di essa si aprono le curvature delle cappelle: due a nord, la cappella della Madonna e quella fino a pochi anni or sono riservata al battistero; a sud la cappella del s. Cuore. In alto si aprono cinque finestroni semicircolari (il sesto semicerchio dà sul campanile)

La facciata, infine, è stata completata nel 1928, su progetto dell’arch. Ghiringhelli e dell’ing. G. Monti. Ha forme che richiamano elementi neoclassici ed è divisa orizzontalmente da una struttura aggettante in due ordini, al di sopra dei quali vi è  il timpano triangolare, culminante con la croce del 1990. Quattro lesene verticali affiancano nell’ordine inferiore le tre porte: le due lesene laterali quasi all’estremità della facciata, le due centrali in modo da delimitare la più ampia porta centrale. Al di sopra delle  porte minori vi è un piccolo timpano triangolare: e, nello spazio sovrastante, sono disegnati gli stemmi del Papa ( a sinistra) e dell’arcivescovo card. Tosi (a destra). Sopra la porta principale, più alta, vi è invece una lunetta con un affresco che rappresenta la Madonna, con ai lati s. Giuseppe e s. Giovanni Battista. Le diverse decorazioni pittoriche della facciata sono dei pittori Femoli e Felli.

Le lesene dell’ordine superiore, in perfetta corrispondenza con quelle dell’ordine inferiore, terminano con finti capitelli, imitati dallo stile ionico. Nello spazio centrale vi è un grande rosone circolare (opera dell’artista Foderati), ivi collocato nel 1986. Due nicchie sono ricavate lateralmente, ciascuna con una statua in cemento: s. Francesco a sinistra e s. Luigi a destra [3].

Il campanile e le campane

Già sul campanile che si trovava all’interno della vecchia chiesa vi erano cinque campane, che erano state fuse rispettivamente nel 1817 (la quarta e la quinta), nel 1828 (la prima) e nel 1861 (la seconda) nella ditta Michele Comerio. La terza era stata rifusa nel 1895 dai fratelli Barigozzi di Milano.

Quando nel 1899 la chiesa venne rifatta, si decise di costruire anche un nuovo campanile, ponendolo stavolta all’esterno, un poco arretrato sulla sinistra della facciata. Con la collaborazione del Comune e di privati, tra i quali si distinse ancora la signora Monegherio, il campanile ebbe il nuovo orologio e il nuovo concerto di campane in re maggiore, realizzato dai Barigozzi e benedetto dal prevosto Pogliani.

Nel 1937 si procedette a una ristrutturazione per i danni causati da un’infiltrazione d’acqua e durante la guerra le campane si ridussero a tre, perché due erano state requisite per utilizzarne il bronzo. Le campane tornarono al completo nel 1951. Una ristrutturazione generale si ebbe poi nel 1985, con la collocazione di una nuova croce (la vecchia era stata semidistrutta da un violentissimo nubifragio, che aveva causato altri danni in paese), la sostituzione del parafulmine, l’elettrificazione delle campane a cura della ditta Ciampi.

Sulle campane, per altro, si trovano iscrizioni e piccoli bassorilievi che ne indicano la funzione religiosa.

Un gruppo di ragazzi delle medie, guidato da don Fidelmo Xodo, è salito in visita al campanile, ha riportato i testi delle iscrizioni e ha osservato le immagini.

Sulla prima campana, il campanone, sta scritto: “ Vivos voco mortuos plango fulgura frango” (chiamo i vivi, piango i morti, spezzo i fulmini); con i nomi del Papa Pio XII, dell’arcivescovo card. Schuster, del prevosto Pietro Caldirola e della famiglia Tagliabue  che ha sostenuto le spese per la fusione nel 1951. Vi si trovano le immagini di Gesù Crocifisso, s. Paolo, s. Rocco e altri santi.

Sulla seconda: “ Ad Verbum vitae cum dan dan dico venite” (Con il mio din don vi dico: venite al Verbo della vita) ; segue l’indicazione che la fusione è avvenuta nel 1951 a spese dei parrocchiani e quindi la frase: “Expergescimini vos qui dormitis et orate pro defunctis” (svegliatevi o voi che dormite e pregate per i morti). Reca le immagini di Gesù risorto, dell’Angelo Custode e di tre santi dei quali uno con bastone, un altro con bastone e serpente.

Le altre tre campane sono ancora quelle del 1899.

Sulla terza: “Joseph vir Mariae, de qua natus est Jesus, qui vocatus est Christus. Hodie si vocem eius audieritis nolite obdurare corda vestra” (Giuseppe lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Oggi, se sentirete la sua voce non indurite i vostri cuori). Quest’ultima parte dell’iscrizione è ripetuta anche sulle altre due campane. Vi sono le effigie del Crocifisso, la Madonna del Rosario e dei santi Giuseppe, Ambrogio e Carlo Borromeo.

Sulla quarta: “A fulgure et tempestate libera nos Domine” (dalla folgore e dalla tempesta liberaci o Signore), con Gesù Crocifisso, della Madonna del Rosario, l’Angelo Custode, s. Agata e s. Luigi Gonzaga.

Sulla quinta: “Requiem aeternam dona eis Domine (L’eterno riposo dona loro o Signore), con Gesù Crocifisso, il S. Cuore, Maria Immacolata, s. Marcellina, le anime del Purgatorio.

Si ha qui l’impressione di una fede semplice e antica: all’esortazione ai vivi perché il loro cuore non si indurisca e acconsenta al richiamo delle campane, si accompagna il ricordo dei morti e la preghiera perché il Signore ci liberi dalle avversità atmosferiche.  L’attuale parroco don Lino Maggioni ha ripreso quest’ultima antica usanza e quando la tempesta si avvicina corre a suonare il campanone. Inoltre il Consiglio pastorale, nella sessione del 27 marzo 1987 ha suggerito che un concerto di campane annunci festoso la nascita di un nuovo parrocchiano. E sempre più numerosi sono i fedeli che chiedono questo gioioso segnale.

Si osservi poi come alle immagini di Gesù e Maria si accompagnino quelle di s. Giuseppe, dell’Angelo Custode, dei patroni della diocesi Ambrogio e Carlo e di santi particolarmente venerati quali s. Rocco, S. Agata e s. Marcellina, s. Luigi, patrono dei giovani [4]

L’interno e la decorazione pittorica

A una sola navata con una sola alta volta a botte, l’interno ha una struttura molto semplice, sulla quale si innestano le cappelle e le piccole sporgenze determinate dai pilastri.

Il presbiterio è un poco più stretto rispetto alla navata, dalla quale è distinto con un grande arco. Vi si accede da tre gradini e su di esso si trovano la nuova mensa, l’ambone e l’altare del tabernacolo che separa l’area delle celebrazioni dal coro.

Il restauro del 1996, di carattere squisitamente conservativo,  ha specificamente interessato tutte le pareti, la cui decorazione risulta così valorizzata.

I dipinti dell’abside sono stati realizzati dal pittore romano cav. Eugenio Cisterna nel 1906 [5]. Il catino è stato diviso in tre spicchi, che rappresentano l’Agnello, con il libro dai sette sigilli (quello centrale) e due angeli che tengono dei cartigli con la scritta : “Ecce Agnus Dei” (Ecco l’Agnello di Dio) e “ Ecce qui tollit peccatum mundi” (Ecco Colui che toglie  il peccato del mondo). Su tutto il semicerchio sottostante corre poi la grande iscrizione: “MAIOR PROPHETA JOANNE BAPTISTA NEMO EST” (nessuno è più grande del profeta Giovanni Battista, Luca 7,28). Anche nelle due vetrate sono raffigurati degli angeli: quello di sinistra ci ricorda, con il simbolo e la scritta, che la fede è la nostra vittoria; quello di destra, che reca la croce, esorta a compiere anche in noi la passione di Cristo (con i versetti di Giov. V,5 e Coloss. I,4).

Sulla volta del presbiterio è rappresentata infine la gloria di s. Giovanni Battista sollevato verso il cielo dagli angeli: “Ave puer ter maxime” (Salve o bimbo tre volte grandissimo) è la scritta sul fondo della volta; mentre quelle sugli altri tre lati ci riportano ancora a s. Giovanni: “vox clamantis” (Voce di uno che grida) e “ mitto angelum meum” (mando il mio angelo), “qui praeparabit viam tuam” (che preparerà la tua strada).

Il ciclo del Cisterna costituisce così un immediato richiamo al patrono della chiesa, visto per altro nel suo legame con Cristo, nel quale il Battista, ultimo e maggiore dei profeti, indica l’Agnello di Dio che toglie dal mondo il peccato. La stessa scelta di porre al centro dell’abside l’Agnello di cui parla l’Apocalisse è da intendersi come ulteriore riferimento alla venuta finale del Cristo, l’Agnello che solo potrà aprire il settimo sigillo.

L’insieme della decorazione del presbiterio colpisce per l’abbondanza di rivestimento in lamine di oro zecchino. Così, per altro, doveva apparire all’epoca della sua realizzazione. Una scelta, questa, che stava a significare con il colore dell’oro il simbolo del Paradiso, la dimora di Dio, che staccava nettamente il presbiterio dalla navata

La decorazione della navata, a quanto risulta, fu invece realizzata nel 1922 dal pittore Giovan Battista Femoli, in occasione dell’ingresso del nuovo prevosto Edoardo Vignati. La volta è stata divisa in una serie di fasce, due delle  quali riportano, rispettivamente, un ostensorio con due angeli adoranti e la Madonna, circondata da una piccola corona di teste di angioletti. Nelle altre fasce e sui lati, così come sui pilastri, ci si è limitati a motivi geometrici.

Una serie di sei medaglioni con dei santi si trovano sopra i semicerchi delle finestre e dell’ultimo lunotto: si tratta ( da sinistra a destra in senso orario) di s. Domenico, S. Rosalia, s. Edoardo, s. Giuseppe, s. Elvira e s. Sebastiano.

In quattro riquadri sottostanti, infine, sono state poste delle tele con gli evangelisti: da sinistra, entrando, s. Marco con il leone, s. Giovanni con l’aquila, s. Matteo con la figura umana, s. Luca con il bue. I simboli alati e gli evangelisti, con colori rimasti un po’ cupi anche dopo il restauro, appaiono su uno sfondo di nubi.

I quadri

Le tele del presbiterio

Già nel 1901 la chiesa era stata arricchita delle due grandi tele poste ai lati del presbiterio, opera di Pietro Giustiniani da Subiaco.

L’autore vi ha sviluppato il tema del giudizio, contrapponendo il giudizio di Cristo da parte degli uomini (“Deus ab hominibus judicatur” – Dio é giudicato dagli uomini; “ Crucifige eum” - Crocifiggilo), al giudizio universale che vedrà Cristo separare i buoni dai malvagi (“Homines a deo judicantur” – gli uomini sono giudicati da Dio e “Venite in aeternum benedicti; ite maledicti” - venite per sempre, benedetti; andate, maledetti). Il primo quadro in realtà, come osservava già don Caldirola, è una copia relativamente libera di un affresco del Mantegna, tratto dalle storie di san Giacomo della cappella Ovetari di Padova, andate distrutte per un bombardamento nella II guerra mondiale. Il Giustiniani ne ha utilizzato gli elementi per rappresentare Cristo di fronte a Pilato: il giudice in veste bianca in alto, Gesù - analogamente a san Giacomo - in piedi tra gli armati; di lato un soldato accanto a una colonna; un arco di impronta classica e il paesaggio sullo sfondo.

Nella seconda tela il Cristo Giudice in veste rosata è circondato da un nimbo di angeli e sotto di lui siedono Maria e gli apostoli; tre angeli - con la croce l’angelo di centro, con le trombe quelli dei lati - chiamano al giudizio; s. Michele separa in basso i buoni dai malvagi. Sullo sfondo vi è una tenue linea di montagne, quasi a dividere a metà la composizione, nella quale s. Michele forma un semicerchio con i personaggi in basso, con linea opposta a quella formata sopra  dagli apostoli e dagli angeli del giudizio.

Ambedue le tele hanno ai lati una decorazione che dà l’impressione di un tappeto che si srotola. Il restauro ha riportato la chiarità gradevole dei colori originari.

Il Battista predica a Erode; il Battista in carcere

Subito dopo l’ingresso, invece, si trovano sulle pareti due tele dipinte a olio, raffiguranti due momenti della vita del Battista. Misurano cm. 200 x 148 e sono considerate “di indubbia qualità” da Giacomo Luzzana, che ne ha curato il restauro nel 1996-97.

Per queste tele, come per le altre due collocate sulle opposte pareti all’estremità anteriore della navata, non si hanno notizie precise: un’esile traccia è forse costituita dalla informazione data da mons. Vignati  nello stato patrimoniale del 1932 [6], che parla di tre quadri “di buoni autori provenienti dall’ex convento di Lorenteggio, custoditi gelosamente nella chiesa stessa parrocchiale”. Per i due che stiamo esaminando sia le descrizioni d’archivio - che purtroppo iniziano solo con l’inventario del 1944 - sia il restauratore concordano nel suggerire un riferimento alla scuola lombarda del primo Seicento.

Il dipinto a sinistra ha per tema la predica  del Battista di fronte a Erode: s. Giovanni è ritratto di spalle, fino ad avere il volto quasi di profilo, con leggera torsione; alla veste di pelle si aggiunge un ampio panneggio rosso, che lo ricopre parzialmente: il braccio è alzato ad ammonire. Erode, in trono con ricca veste e corona, ha al fianco Erodiade che lo guarda. A destra in basso un giovane si china verso l’agnello, mentre sull’angolo opposto vi sono delle figure su uno sfondo paesaggistico  appena accennato. La ricerca della composizione tende a sospingere verso il bordo l’insieme dei personaggi, legandoli quasi in una sorta di cerchio ideale, che ha il suo centro - leggermente asimmetrico rispetto a quello del quadro - nello spazio interno in cui sono disegnati i gradini che salgono al trono. A proposito di quest’ultimo si osservi il bracciolo, che termina in un volto femminile.

Nella tela sul lato opposto il Battista si trova invece in carcere: appare a mezzo busto dietro un’inferriata. Lo visitano i suoi discepoli: alcuni, più in ombra, sono in piedi e si rivolgono a lui; i due posti in primo piano conversano seduti tra  loro. Anche qui vi è un ragazzo chinato, nell’angolo a sinistra. L’autore sembra andare alla ricerca di contrasti di luce: alla pacata fonte luminosa, interna al dipinto, costituita dalla figura del Battista, corrisponde l’oscurità di una parte del carcere; fa da contrasto il giallo vivo della veste del personaggio in primo piano, che suggerisce anche la profondità nell’accentuazione dell’angolo dello scanno su cui si trova seduto.

Fanno da riferimento le narrazioni evangeliche, mentre le vesti e l’arredo corrispondono al gusto dell’epoca di composizione.

S. Rita

In una rientranza della parete destra vi è un olio su tela, frutto di una donazione relativamente recente, di cm. 170 x 90. Raffigura s. Rita da Cascia genuflessa davanti al Crocifisso. Ha nelle mani una corona di spine e una spina le penetra la fronte;: sull’inginocchiatoio un libro aperto e una ghirlanda di rose.

Madonna e santi

Sullo stesso lato al termine della navata una tela secentesca di cm. 215 x 188 rappresenta nella parte in alto la Madonna, emergente da una coltre di nubi che si aprono in un cerchio di luce, che tiene tra le braccia il Bambino in piedi. In basso sono dipinti quattro santi, disposti a due a due, nella forma della sacra conversazione: s. Giovanni Battista e s. Francesco a sinistra; s. Antonio abate e s. Carlo sulla destra.

Tra i due gruppi in uno spazio molto scuro, è accennata la piccola figura di una santa penitente di fronte al crocifisso.

La Madonna offre il bambino a s. Francesca romana

Posto al termine della parete sinistra il settecentesco dipinto a olio su tela è il più grande della chiesa: misura cm. 303 x 188.

La Vergine, in veste rosa e manto azzurro, è leggermente chinata nell’atto di offrire il Bambino a s. Francesca Romana [7], inginocchiata ai suoi piedi in abito nero e mantello grigio. Nella parte alta del dipinto si affaccia una schiera di angeli tra le nuvole, coronando di luce l’evento. Anche il volto della Madonna è circondato da un alone luminoso.

Sul lato sinistro si staglia uno scorcio paesaggistico, con rovine classiche [8]

L’altare e le cappelle laterali

L’altare maggiore, in marmo, ha conservato la struttura settecentesca di tempietto, sul vertice del quale è posta la statuetta del Redentore. La croce e il tabernacolo per la custodia dell’Eucaristia ne sono il centro, mentre ai lati si dispongono i candelieri e i reliquiari. La mensa marmorea, cui si accede da tre gradini, è stata realizzata nel corso di una sistemazione del 1959-60 e consacrata da mons. Pignedoli, allora vescovo ausiliare di Milano, il 30 aprile 1960 [9].

Con la riforma liturgica le celebrazioni si svolgevano però su un altare-mensa di legno rivolto verso la navata. Nel corso dell’ultimo restauro questo altare è stato sostituito da una mensa marmorea che reca in bassorilievo la cena in Emmaus nella fronte rivolta ai fedeli, l’agnello dell’Apocalisse sulla fronte opposta.

All’altare è stato affiancato un ambone per le letture e l’omelia con il bassorilievo dell’Annunciazione.

Ambedue le opere in marmo giallo roano sono state realizzate dallo scultore Gino Casanova e collocate il 21 marzo 1997.

Due gradini, senza nessun’altra separazione, collegano il presbiterio con lo spazio dei fedeli e su tutta la chiesa è stato, inoltre, steso un nuovo pavimento a scacchi in marmo rosso d’arzo e bianco di Carrara, interrotto per lasciare la visibilità della tomba dipinta e del più recente, che é però il più agevolmente riconoscibile, degli antichi battisteri.

Al centro chiesa si aprono le due cappelle della Madonna del Rosario e del sacro Cuore. Costruite tra il 1906 e il 1908, presentano ora una struttura simmetrica. La cappella del Rosario, che non ha più la decorazione precedente, è più profonda. Riceve luce da due oculi e ha un piccolo altare con gradino, che porta al centro una nicchia con la statua della Madonna e il Bambino. Nella cappella del sacro Cuore l’altare è più ristretto e senza predella, mentre identica è la nicchia, che contiene la statua di Gesù che mostra il cuore, secondo la visione di s. Margherita Alacoque, che aveva tanto favorito questa devozione e la pratica dei primi venerdì del mese. La piccola abside presenta il tema dell’amore: sui lati sono raffigurati s. Giovanni, il discepolo che Gesù amava e la Maddalena, cui furono rimessi molti peccati perché molto aveva amato. L’affresco è frutto di un restauro-rifacimento del pittore cesanese Giancarlo Chiabà.

A sinistra dell’ingresso, la cappellina dove si trovava il battistero, con una piccola abside e un oculo, è destinata a diventare la cappella di s. Giovanni Battista. Sul lato opposto, in una semplice rientranza del muro, con una collocazione molto modesta, vi è la piccola statua di s. Antonio da Padova, al di sotto della quale è visibile un tratto dell’antico pavimento in argilla e caolino, a un livello un poco inferiore rispetto al pavimento attuale.

L’organo 

Il primo strumento musicale di cui si abbia notizia per la chiesa di s. Giovanni Battista  è l’armonium “decens” ricordato per la visita del card. Federigo Borromeo del 1604. Se ancora per la visita del card. Federico Visconti del 1685 la chiesa di Cesano è segnalata come priva d’organo, tale mancanza dovette essere colmata proprio negli anni immediatamente successivi, visto che il suono dell’organo è esplicitamente ricordato per la solenne festa di s. Antonio del 1715.

A cura del padre di quei fratelli Prestinari che nel 1817 si erano proposti senza successo per l’organo di Cuggiono risulta poi essere stato realizzato un nuovo strumento, per il quale, in un documento del 1802 viene ricordata la collocazione del mantice [10].

Riadattato “come nuovo” nel 1840 [11], l’organo Prestinari fu, come si è visto, “scomposto” e cioè di fatto smembrato con l’atterramento della chiesa a fine Ottocento. Così i questionari per le visite del card. Ferrari del 1900 e 1906 tornano a parlare di un semplice armonium.

Il nuovo organo fu realizzato poco dopo: con lettera di accompagnamento del 10 aprile 1911 mons. Pogliani invia infatti alla curia arcivescovile disegni e progetti riguardanti “l’organo da collocarsi nella chiesa mia prepositurale ed altro da collocarsi nella chiesa del mio ospizio” [12]. Lo scavo per le colonne di sostegno della cantoria è ricordato per il 1912 e così il questionario del 1913 alla domanda sull’organo ha una risposta positiva.

Restaurato nel 1946 dopo le vicende della guerra e fornito di elettroventilatore dalla ditta Krengli di Novara nel 1961 [13], quest’organo fu radicalmente revisionato e ampliato dall’organaro cesanese Gianfranco Torri nel 1983-85. In questa occasione fu notata la targa che segnalava come costruttrice dell’organo la “pregiata fabbrica organi” di Crema di “Inzoli cav. Pacifico e figli”.

L’organo ristrutturato presenta queste caratteristiche: 1735 canne, due tastiere (una per il grand’organo e una per il manuale positivo)e 26 registri.

Fu inaugurato il 28 settembre 1985 con un Concerto eseguito dal M° Francesco Catena. Nel 1998 si iniziò una seconda revisione, con l’aggiunta di somieri nuovi, tre nuovi registri in legno, nuova consolle meccanica.

La cantoria è stata a sua volta ampliata nei recenti restauri, nel corso dei quali si sono anche ripuliti gli affreschi della controfacciata, ritrovandone una certa delicatezza di colore nei celesti, nel bianco e nei grigi del cielo, degli angeli e delle strutture architettoniche che vi sono state disegnate dal Barozzi nel 1944.

L’arredo ligneo, la sacrestia, le croci  

Nel corso del restauro del coro si è potuto leggere su uno dei suoi cassetti la scritta: “Antonio Campi 12 dicembre 1767” [14].

Il coro, in noce con 21 stalli con fregi di semplice eleganza, fu in effetti collocato nella chiesa in occasione dell’ampliamento del 1780. Ha uno stile analogo la panca presbiterale, mentre è pure in noce la credenza sul lato opposto dell’altare.

Il grande mobile in noce della sacrestia, dai complessi cassetti, aveva ai suoi lati, come spesso si usava, due confessionali per uomini, che qualche decina di anni fa sono stati staccati per essere utilizzati come porte di passaggio dalla sacrestia alla chiesa e, sul lato opposto, al locale chierichetti. Di fianco vi è un altro armadio in noce e radica, con fregi detti  a “maggiolino”.

Un piccolo mobile, pure in noce, reca la scritta a lettere maiuscole “Archivio della Pieve Cesano”.

Intagliata in legno dalla ditta Francesco Comploj di Ortisei è la via Crucis, realizzata nel 1962. Di artisti della Val Gardena è anche il Presepio (10 pezzi) acquistato nel 1986.

Particolarmente suggestive sono, infine, le grandi croci: da quella che si vede in alto sull’arcone che introduce al presbiterio (un Cristo morente, anziché il più consueto Cristo morto), a una croce in legno con doratura, sulla parete sinistra, al crocifisso più severo della sacrestia. La croce più antica è probabilmente quella collocata nella nuova penitenzieria: un crocifisso dorato relativamente piccolo è posto su una croce in legno, ricoperta di metallo lavorato a sbalzo.

Due nuovi ambienti: la Penitenzieria e il Battistero  

Appena a destra dell’ingresso un’apertura conduce alla penitenzieria, mantenendo così lo spazio per le confessioni distinto da quello della chiesa vera e propria. L’ambiente, realizzato in concomitanza con il restauro complessivo, vede a una parete l’antica croce e i confessionali sul lato opposto; mentre alle finestre sono state poste due vetrate, con i disegni, rispettivamente, di una croce e di una colomba.

Al Battistero che é forse l’ambiente forse più suggestivo, nella varietà dei suoi elementi, si accede da un’altra piccola apertura al termine del lato destro della navata. Entrando si è subito colpiti dalla grande trave in legno che appare sulla parete di fronte e con la quale terminava il portico della pianta cinquecentesca. Ne sono stati messi in evidenza i pilastri di sostegno e, sotto uno di essi, un po’ più in basso rispetto al piano di calpestio, un’ara romana riutilizzata dai successivi costruttori, allo scopo di dare solidità alle fondamenta: vi si legge la classica sigla IOM.

Un’altra ara venne collocata sotto il pilastro della chiesa stessa, quasi all’angolo opposto del battistero. Tutto il muro d’ingresso, poi, viene condiviso con la chiesa: dal lato del battistero è stato lasciato con i mattoni a vista. Si tratta di un resto notevole della chiesa romanica, l’unico conservato anche nella costruzione del 1899, con le file di fitti piccoli laterizi a lisca di pesce, alternati con i mattoni posti orizzontalmente.

Sulla destra è stato invece collocato il pesante sarcofago romano, rinvenuto proprio in questo spazio nel corso degli scavi. Sopra di esso è stato appeso il paliotto, in ottone argentato e dorato “dono del preposto Parroco Pogliani Domenico nell’anno della sua messa d’oro 1911”, recante al centro l’agnello e ai lati i due episodi capitali della vita di s. Giovanni: il battesimo di Cristo e la decollazione.

La vasca battesimale, in marmo, è posta al centro ed è rimasta quella del precedente battistero.

Ci si può così congedare da questa visita con il richiamo a quello stesso Battesimo, con cui la lunga storia della chiesa di s. Giovanni ha avuto inizio.


[1] In Cammino, marzo 1990, relazione storica di don Fidelmo Xodo e relazione tecnica del geom. Umberto Radici.

[2] Economato della parrocchia di s. Giovanni Battista, raccoglitore n. 1.

[3] Per queste informazioni cfr in APC, cart. 6, fasc. 6 il rendiconto delle spese per la facciata, curato dal prevosto Vignati e in APC, cart. 9, fasc. 1 lo stato patrimoniale del 1932.

[4] Cfr. APC, cart. 5, fasc. 1. La visita al campanile dei ragazzi delle medie è ricordata su In Cammino, marzo 1991.

[5] Cfr. APC, cart. 19, fasc. 4: visita Ferrari del 1908.

[6] APC, cart. 9, fasc. 1.

[7] Così il card. Schuster nel suo commento alla visita del 1940 (APC, cart. 18, fasc. 1) e il quadernetto inventario del 1944. I testi che parlano invece di s. Caterina sono successivi.

[8] Per la descrizione dei quadri ci si è rifatti alla relazione del restauratore Giacomo Luzzana e all’inventario curato da don Caldirola nel 1944 (APC, cart. 6, fasc. 1); ma anche a un ipertesto realizzato dagli studenti dell’ITIS Righi di Corsico per gli esami di maturità del 1998, frutto di un’attenta osservazione diretta.

[9] APC, cart. 6, fasc. 3.

[10] Arch. parr. di Cuggiono, cart.6, fasc. 2 bis e APC, cart. 13, fasc. 1.

[11] APC, registro dei battesimi dal 1766, ultimo foglio.

[12] ACAM, Fondo Meani

[13] APC, cart. 18, fasc. 1 e cart. 7, fasc. 1 (fattura rimasta nel registro)

[14] La scritta è stata osservata dai restauratori cesanesi Rino Colli ed Edoardo Fiumi.