VERSO LA NUOVA CHIESA

“Se il popolo di Cesano non fosse così disperso....” [1]. La frase del prevosto Rognoni è riferita a una descrizione topografica e tuttavia non sembra una forzatura vedervi il desiderio dei parroci che si succedono in s. Giovanni Battista che la popolazione continui a ritrovare nella chiesa e, più direttamente, nella partecipazione alla Messa il  fulcro dell’essere comunità.

La preoccupazione perché anche i contadini delle cascine abbiano una Messa festiva vicino alla loro residenza si accompagna così a una descrizione precisa del territorio, che mostra come nelle campagne, anche a fine Settecento, l’unica istituzione effettivamente presente continuasse a essere la parrocchia.

Una parrocchia in situazione piana, con pratimarci e fontanili e una chiesa malmessa

In effetti prima il Rognoni nel 1790 e subito dopo il suo successore Merlini nell’agosto del 1791, probabilmente sollecitati da un’iniziativa superiore, che intendeva verificare la situazione delle pievi, offrono indicazioni analitiche sul territorio di Cesano Boscone.

Ambedue iniziano rilevando che Cesano Boscone si trova in pianura, con un’aria che è “tolerabile” per il Rognoni; “non troppo salubre per i ripi vicini e pratimarci” a giudizio del Merlini. Emerge subito la pianura ricca d’acqua, che è vista però dai due sacerdoti non nella sua utilità  per le irrigazioni, ma per le difficoltà che essa crea alle comunicazioni.

Gli 810 abitanti, infatti, si trovano dispersi “in 14 cassinaggi, ed i soli cassinaggi formano anime n. 530”. Dunque il paese di Cesano Boscone non conta neppure 300 abitanti, perché la maggior parte dei parrocchiani risiede nelle cascine minori. Il Rognoni ne fornisce un elenco:

“ Garegnano Marcido, Cassinazza, Lorentechio, Travaglia, Cassinetta, Tessera, Carlina, Cassina nuova, Guasconcina, Guascona, Molino della Guascona, Gaggia e Mugiano, quali cassinaggi da una estremità all’altra sarano più di quattro miglia, essendo però nel mezzo la Parochiale” .

E’ il Merlini a mostrare le condizioni dei passaggi da una cascina all’altra: “ Il circondario di questa prepositura è di miglia cinque. Da una parte verso levante pone  fine con la cura di s. Pietro in Sala nei Corpi Santi di Milano in Porta Vercellina...Per il giro di questa (prepositura), vengono le strade intersecate da più Fontanili, su cui si passa su ponti pocchi di cotto, molti di asse posticcie, e varij guati”.

Diventa essenziale, allora, la celebrazione della Messa festiva in Oratori che siano raggiungibili senza troppi ostacoli e il Rognoni ne rileva le condizioni.

S. Rocco alla Guascona è “mal riparato e indecente”, senza casa per il cappellano: sembra ormai inarrestabile la decadenza di questa chiesetta, di cui negli anni successivi si perderanno addirittura le tracce. S. Carlo è piuttosto una cappellina: di patronato della nobile famiglia Premoli, è troppo piccolo perché vi si possano svolgere funzioni importanti. Restano s. Marcellina in Muggiano “di ragione dell’Abbazia di s. Spirito” e s. Maria in Garegnano Marcido, di patronato del Monastero della Vittoria in Milano. Ambedue questi oratori hanno un cappellano, che risiede in una casa sul luogo. Di Garegnano in particolare  si sottolinea l’importanza del celebrarvi la Messa “per comodo di quel luogo et vicini, distanti assai dalle loro rispettive parrocchie di Cesano, Baggio e s. Pietro in Sala”; ma la stessa cosa vale per ambedue le località “per comodo di detti luoghi ed annessi, essendo distanti dalla Matrice ed essendo alle due estremità della Parochia”.

Non sorprende l’insistenza per avere un coadiutore proprio in parrocchia, per il cui sostentamento si suggerisce di utilizzare il legato della Guascona. Significativi per altro sono i compiti che il Rognoni gli attribuisce: la celebrazione di una seconda Messa, la sostituzione del prevosto o di curati malati, l’assistenza spirituale; ma anche “la scuola normale per i fanciulli”. Si ritrova qui, dopo il grande sforzo del periodo che va da s. Carlo al card. Federigo, il tema dell’istruzione: le scuole per i figli dei contadini sono ancora affidate al solo impegno della Chiesa, per altro con risultati molto discontinui [2].

Le risorse economiche vengono alla parrocchia dall’affitto dei terreni, dalla legna da fuoco, dai diritti di stola per le celebrazioni e dalle offerte in natura per il Passio, alle quali il Merlini attribuisce un valore di 145 lire, tra frumento, meliga e fieno. Tali risorse non sono però adeguate, così che la Chiesa “ha  debito di cera ed oglio, perché detta elemosina non è bastante a mantenere il puro necessario. Paramenti logori e stracciati, scarsa biancheria”.

L’edificio della chiesa parrocchiale era stato allungato solo dieci anni prima, con la costruzione di un’unica profonda abside e l’abbattimento delle tre absidi precedenti. Eppure ambedue i prevosti ne parlano già in termini allarmati. Evidentemente i lavori non erano stati condotti a termine perfettamente e, piuttosto, non si erano ben saldati con la struttura a tre navate, che si era lasciata sussistere. Così, dice il Rognoni che “ la fabrica...è in uno stato che ne meno difende il popolo congregato dalla pioggia e dalla neve ed è in qualche parte pericolosamente rovinosa”. “Rovina” è il termine a cui ricorre anche il Merlini: “ Minaciando rovina la Chiesa stessa, dieci anni sono si fabricò tutto di pianta il Coro, Presbitero, Altare e cancelli; terminate le elemosine, è rimasta tutta la Chiesa ancor minaciante rovina; per lo che due anni sono si presentò da questa Comunità una supplica a Superiori; fin ora non si è havuto verrun riscontro”.

Sarà la comunità stessa, cent’anni dopo, a farsi carico del problema, costruendo una chiesa nuova.

Francesi e Austriaci

Alle prime elaborazioni legislative del Settecento seguirono interventi più decisi negli anni caratterizzati dalla rivoluzione francese e dal dominio napoleonico.

L’intento di dare forma laica allo stato ebbe un impatto, assai piccolo in verità, anche con la povera parrocchia di Cesano Boscone. Il generale Bonaparte aveva stabilito che si consegnassero ai funzionari francesi gli oggetti non strettamente necessari per il culto. Per quanto formalmente motivata dall’opportunità di sottrarre a chiese e conventi ricchezze considerate improduttive, tale disposizione  dette luogo, come è noto, a una serie di abusi, che interessarono, ad esempio, le spoliazioni avvenute alla Certosa di Pavia.

A Cesano Boscone i delegati del governo francese non poterono trovare molto. Fa comunque una certa impressione il testo in francese nel quale il prevosto è chiamato “ le citoyen - cittadino -  Charles Joseph Trezzoli “ (Pezzoli in altro documento), in un verbale dell’anno 5° (1797) 8 piovoso. I due esperti argentieri che accompagnavano i funzionari francesi si limitarono a far consegnare una sottocoppa del peso riconosciuto di quindici once d’argento [3].

Per la parrocchia fu probabilmente più gravoso il nuovo sistema di imposizione fiscale sui terreni. A due riprese, nel 1805 e nel 1814, il prevosto don Luigi Bielli deve comunicare attivo e passivo del beneficio parrocchiale di s. Giovanni Battista “nella comune di Cesano Boscone Dipartimento di Olona” [4]. Sono i termini della nuova legislazione: comune, al femminile, secondo l’uso francese , e Dipartimento. All’attivo sono segnate le rendite dei terreni, con le solite aggiunte di appendizi e cioè “due brente di vino, capponi, pollastri, uova e pollini”, il cui valore viene quantificato in franchi; a tutto questo vanno sommati gli emolumenti straordinari di stola. Al passivo la cifra più rilevante è costituita dalle imposte, in ambedue i casi quasi un terzo del reddito totale, di fronte alle quali sono quasi poca cosa le spese per riparazioni, per celebrazioni a carico del beneficio e per la grande festa del Corpus Domini, che assommano nel 1805 a circa  200 franchi, a fronte di 699 di imposte, su un attivo lordo di 2.305.

Il ritorno degli Austriaci portò a una revisione del catasto, che ci offre una sorta di mappa di Cesano verso la metà dell’Ottocento [5].

Il centro di Cesano vi appare ben definito, con la chiesa leggermente discosta  rispetto al piccolo sviluppo edilizio che si era avuto intorno alla “Contrada Maggiore”, l’attuale via Dante. Ai lati di questa via sono facilmente riconoscibili la villa Sormani, con la sua forma a elle, e la più ampia struttura della villa Marazzi, separata dalle altre case con il “Vicolo interno”, ora vicolo Cortuccio, che termina nell’ampia corte tuttora esistente. In fondo alla Contrada la forma della strada è accompagnata dalla casa che sarà detta “del Fabbro”. Solo un piccolo insediamento si trova al di fuori di questo sistema: si tratta di Palazzo Quarto, per arrivare al quale si è andata definendo una contrada che corrisponde all’attuale via Pogliani. Escono dal paese la strada per Baggio, oggi via Monegherio, e quella che, passando a fianco al cimitero, in prosecuzione oggi cancellata dell’attuale via Nazario Sauro, conduce a Milano. Verso sud le strade per Corsico. E’ facile osservare l’abbondanza di fontanili, tra i quali è ben segnalato il fontanile detto di s. Giovanni, che ha la sua testa presso l’abside della chiesa.

Una pianta probabilmente di fine secolo, consegnata al prevosto Pogliani nell’ambito della richiesta da lui fatta di partecipare al consorzio del canale Villoresi, mostra bene il rapporto tra il piccolo centro e le cascine. Vi appare chiaramente la netta separazione tra i diversi insediamenti: cascina Luisa, Persa, Giorgella, Lavagna, Tessera, Carlina, fino alla Cascina Nuova sono isolate dagli ampi spazi dei campi. Sono chiaramente distinti i fontanili con i loro nomi: si osservino presso Cesano  i fontanili del Bosco, di s. Giovanni, Gerra, Gallarate, La Monaca...

Da un ulteriore documento, la mappa catastale del 1901, si può infine rilevare come l’espansione edilizia sia stata tutto sommato modesta: il piccolo centro non ha ancora assorbito le cascine Caselle e s. Carlo; a nord la cascina Costantina è ancora ben separata dal paese; mentre ancora più ampio è lo spazio vuoto tra il nucleo centrale e le cinque cascine a sud, che sono quelle ricordate sopra, tranne Giorgella e Lavagna, che non fanno parte del territorio del comune

La condizione dei contadini

Il due aprile 1945 il prevosto Pietro Caldirola ebbe una chiacchierata con il vecchio ex sagrestano, Ludovico Stroppi, allora novantenne [6]. Era nato nel 1855 e anche suo padre Luigi, del 1819, e suo nonno Gioachino, nato nel 1783, erano stati sagrestani. Ludovico, detto pa’ Vico, aveva conosciuto da ragazzo don Rusconi, che era stato prevosto dopo il Bielli fra il 1835 e il 1864, e ricordava con affetto soprattutto il suo successore, don Gerolamo Riboni, del quale dice che aveva in tutta la Pieve un ascendente straordinario: “Nel pomeriggio di domenica faceva ispezione nel paese e faceva chiudere le due osterie. La chiesa rigurgitava. Le classi di dottrina erano organizzate che era una meraviglia. In quel tempo la miseria della popolazione era estrema. Molti morivano di pellagra, tanto mangiavano male. Quasi tutti venivano portati via sul cataletto senza la cassa”.

Anche dopo l’unità d’Italia, insomma, il paese continuava ad avere un saldo riferimento nella figura del prevosto, mentre la miseria ancora caratterizzava la vita dei contadini, come ben appare nel vivo ricordo di funerali con il solo telo per avvolgere i cadaveri. Una grande disgrazia fu la malattia delle viti causata dalla fillossera: anche il prevosto, che ricavava dalla sua vigna quattro brente di vin bianco che usava solo per la Messa, ebbe delle perdite. Da sagrestano pa’ Vico nota ciò che avviene nei battesimi, matrimoni e funerali, che erano per lo più gratuiti proprio per la miseria della popolazione. Don Riboni diede tutto per la parrocchia e alla sua morte non avanzò un centesimo. I suoi funerali, nel luglio 1883, furono celebrati a spese del sindaco, cav. Monti, suo grande amico.

Il prestigio dei prevosti va per altro rapportato alle condizioni in cui la popolazione si trovava. Ne sono un indice interessante degli esempi relativi anche solo a quella prima alfabetizzazione che consentiva di non limitarsi alla croce, nelle occasioni in cui era richiesta la propria firma. Contando cento matrimoni a partire dal 1846 si arriva a metà del 1857 e si rileva che solo in 15 casi ambedue gli sposi sono in grado di firmare: si tratta di un fattore, di possidenti e falegnami e assai raramente di contadini. Negli altri 85 matrimoni, quasi sempre di contadini, spesso ambedue gli sposi appongono la croce accanto al nome trascritto dal sacerdote, mentre in 18 casi firma il solo sposo e solo una volta ciò accade per la sposa. L’analfabetismo totale è dunque la condizione normale e le donne vi sono soggette ancor più degli uomini.

A quasi cinquant’anni di distanza la situazione è decisamente mutata, grazie all’istituzione della prima scuola comunale. Su 100 matrimoni celebrati quando era prevosto don Pogliani, fra il 1892 e la metà del 1900, sono 60 ad avere ambedue le firme, mentre anche tra i restanti è molto frequente che almeno uno dei due coniugi sappia scrivere il proprio nome. Anche in questo caso sono i contadini ad avere il maggior tasso di analfabetismo e a essere i più numerosi, ma gli altri mestieri appaiono in misura un po’ più frequente: vi sono tra gli sposi di questo periodo persone che fanno il falegname, la sarta, il tintore, l’oste, il prestinaio, il fittabile, il lattaio, il canestraio, il calzolaio, il cavallante o il negoziante, il casaro, il tessitore e nessuno di loro è analfabeta, così come non lo sono i rarissimi possidenti. Tra le donne, più volte indicate come casalinghe, vi è una certa frequenza di cucitrici; mentre cominciano ad apparire i primi operai e operaie.

Sta di fatto che i più poveri erano i contadini. Questa del resto era la valutazione di don Pogliani, che scrive una lettera drammatica sulla loro “triste condizione” [vii]. “ Ai nostri giorni, mentre gli industriali e commercianti sono andati moltiplicando i loro milioni, i contadini si sono venuti rovinando, disertando le campagne per venire alla città...” Il tono è accorato: alla grave situazione economica di una classe - “la più importante dal punto di vista sociale” - che si va trasformando in proletariato urbano, si aggiunge il venir meno delle tradizioni morali e e di un senso forte della  famiglia, con il rischio di un passaggio “nel grande esercito del socialismo”. Don Pogliani fa anche delle precise osservazioni economiche: spesso i contadini non sono proprietari del suolo “che fecondano col loro lavoro e coi loro sudori” e “la concorrenza dei grani americani ha portato un colpo tremendo all’agricoltura”.

Molto attento alle dinamiche sociali, don Pogliani osserva la mobilità dei contadini spesso costretti a far s. Martino, cioè a lasciare casa e campi, di  cui non erano proprietari, perché il padrone ne voleva disporre in altro modo.

Per la visita del card. Ferrari nel 1900 [8], don Pogliani deve compilare dei moduli, che richiedono notizie minuziose. Egli vi afferma che la popolazione è in massima parte agricola, di contadini “obbligati e fittabili; gli altri sono contadini liberi; alcuni pochi vanno giornalieri alle grosse fabbriche di Milano”. La popolazione è instabile, benché non vi sia emigrazione: i contadini, infatti “si mutano la maggior parte ogni anno”. Per la successiva visita del 1908 il prevosto è più preciso: i contadini obbligati o fittabili “saranno circa 500; se ne mutano un centinaio circa all’anno”. Accanto ai contadini stanno però diventando numerosi gli operai: circa 200 vanno in “opifici” di Milano e vicinanze. A Cesano, invece, può solo segnalare una salumeria di non oltre 10 operai. Per questo, don Pogliani ritiene necessario che si crei nella parrocchia “ un opificio condotto cristianamente, per distogliere maschi e femmine dai pubblici fuori parrocchia, dove trovano la corruzione e l’irreligione”.

L’impegno della diocesi per conoscere il territorio richiedeva dati statistici non solo sulle confraternite e sulle comunioni, ma anche in generale sulla popolazione. Questi i dati relativi a Cesano Boscone  forniti per il 1917: popolazione 1800; emigranti in America e in Europa: nessuno; operai circa 200.

Domenico Pogliani

La fondazione dell’Istituto Sacra Famiglia ha fatto di don Pogliani il più noto tra i prevosti di Cesano Boscone [9]. Così si presenta con la scheda da lui stesso compilata per la visita pastorale del 1900: nato a Milano il 18 dicembre 1838, sacerdote nel 1861, sino al 1869 coadiutore a Rosate; poi 4 mesi a Lecco, 14 mesi a Trenno; nel 1870 coadiutore nella Metropolitana; ottobre 1883 con nomina pontificia al presente beneficio; l’ingresso nel febbraio 1884.

Il suo ministero a Cesano fu caratterizzato da un profondo impegno nel sociale, che trovò espressione in una grandiosa attività di costruttore. Il primo intervento, prospettato già nel 1884 e portato a termine nel 1889, riguardò la sacristia “servendo per ora a tal uopo un’angusta stanzuccia al principio della Chiesa stessa; e quindi anche con non lieve disturbo del popolo e del clero per accedere all’ altar maggiore”. L’opera fu  finanziata grazie al testamento del cesanese Giovanni Ronzoni, che lasciò alla parrocchia i propri risparmi di 3.000 lire. Per la costruzione, progettata dall’ing. Cipriano Borioli, si occupò uno spazio del giardino parrocchiale, a fianco dell’abside, realizzando così il locale che esiste tuttora.

Subito dopo pensò all’asilo, un aiuto sicuramente essenziale per delle famiglie tanto impegnate nei lavori dei campi. “Un’ottima Signora viveva a Cesano Boscone, padrona di case e di terre, la signora Maria Monegherio...Il proposto Pogliani seppe sì bene coltivare l’anima della signora Monegherio che stabilirono di fondare assieme un asilo infantile per accogliere i bambini del paese. Il progetto arrise così alla benefica Signora che volle aver completo il merito di simile opera e francamente dichiarò al signor Proposto che intendeva fare l’asilo infantile tutto a sue spese. Acconsentì il buon Proposto...”. Così in una delle prime pubblicazioni dell’Ist. S. Famiglia, che lascia intravedere l’esistenza di qualche discussione superata comunque dai fatti [10].

L’asilo era pronto nel 1894 e l’assistenza vi fu assicurata fin dagli inizi dalle suore di Maria Bambina. Nel 1900 lo frequentavano 50 bambini, con 7 suore e una mandataria o conversa [11].

I due grandi impegni dell’istituto S. Famiglia e della nuova chiesa prepositurale occuparono gli anni successivi, ma don Pogliani mostrò ancora energia e iniziativa nel rispondere alle sollecitazioni del card. Ferrari, che voleva vi fosse in paese l’oratorio per l’educazione dei giovani, sulla scia di quanto si andava promuovendo in molte parrocchie, soprattutto di Milano.

Per la visita del 1908 il prevosto può così parlare di un oratorio femminile, presso l’asilo divenuto proprietà delle suore, ma anche di un oratorio maschile. Ne era premessa  la costruzione di una casa per il coadiutore, che don Pogliani aveva voluto vicinissima alla chiesa; ad essa si aggiunse “un vasto salone con corte annessa, oltre il bisogno ampia”. La spesa di 13.000 lire fu anticipata dallo stesso prevosto, che si aspettava la restituzione di 4.000 lire dall’alienazione di un certificato di rendita intestato alla Fabbriceria, “il restante donandolo pel bene spirituale della Parrocchia” [12].

Una lettera al Sindaco, in data 26 marzo 1910, è quanto mai indicativa della mentalità di don Pogliani: “ Le do notizia che nella corrente settimana stessa venni alla risoluzione di un pensiero, che da qualche mese vado ventilando: fabbricare cioè una palestra per ginnastica a favore dei ragazzi e giovani miei parrocchiani” [13]. Era così: pensare e prontamente agire, superando qualche asperità di carattere con la capacità di guardare anche oltre il bisogno più immediato.

L’Istituto Sacra Famiglia

Nella lunga storia della Chiesa di s. Giovanni Battista la realizzazione della s. Famiglia costituisce da un lato un salto di qualità, per molti versi imprevedibile, che è andato ben oltre le dimensioni della parrocchia e della pieve; ma dall’altro sembra rinnovare la tradizione di un radicamento profondo che unisce la Chiesa con la sua gente.

La vicenda dell’ “Ospizio” inizia infatti con l’attenzione alla campagna e con la scelta conseguente di collocarsi dalla parte di coloro che in quel duro mondo contadino manifestavano le maggiori difficoltà. Una scelta tanto più innovativa, in quanto le iniziative assistenziali privilegiavano fortemente la città, lasciando per gli abitanti della campagna solo le briciole.

Don Pogliani lo annota puntigliosamente in una lettera che cita i dati del 1881-85 per mostrare la sproporzione tra i fondi stanziati in beneficenza per Milano e per le altre cittadine, quali Abbiategrasso, Lodi, Gallarate e Monza, rispetto a quanto veniva destinato alla campagna: da un lato 152 milioni per 422.058 abitanti; dall’altro solo 22 milioni per i 688.445 residenti dei piccoli paesi e delle cascine [14]. L’idea di fondare un Ospizio si colloca nell’ambito di una piena consapevolezza, straordinaria per l’epoca, della dignità e della rilevanza - morale ed economica - del mondo contadino. Si ha così una rilettura del  modello proposto a Torino dal sacerdote Giuseppe Benedetto Cottolengo a cui esplicitamente Pogliani si ispira.

All’apertura dell’Ospizio con il nome di “Casa della S. Famiglia per gli incurabili della campagna” si giunse nel 1896 e alla prima visita del card. Ferrari nel 1900 il prevosto di Cesano Boscone segnala la presenza di 80 ospiti. Alla sua morte nel 1921 gli ospiti erano quasi 600 [15]. Intanto l’Ospizio era stato eretto in Ente Morale nel 1916, con uno statuto che ne riconosceva la caratterizzazione religiosa; mentre l’assistenza vi era assicurata fondamentalmente dalle suore di Maria Bambina, la stessa congregazione che si era incaricata dell’asilo [16].

Le suore erano arrivate in realtà già dal 1898, dalla congregazione di Maria Ausiliatrice, che sarà sostituita da quella di Maria Bambina nel 1903 e le loro funzioni si inseriscono in un’altra importante tradizione della chiesa plebana di s. Giovanni Battista: quella che ne fatto lungo la storia una chiesa “matrice” di altre chiese, che hanno poi assunto la loro autonomia.

Le suore, infatti, anche quelle dell’Ospizio, contribuivano inizialmente all’insegnamento della dottrina cristiana in parrocchia e diventano logicamente il tramite principale del carattere di fondazione religiosa che la S. Famiglia assume.

Ai ricoverati, in questo modo, don Pogliani intende assicurare non solo un’assistenza materiale, che va comunque offerta a prescindere dalle convinzioni religiose di ciascuno, ma anche una assistenza spirituale. Così già dal 1° giugno 1896 l’Ospizio ha una chiesa capace di 60 persone dedicata alla Sacra Famiglia, anche se per le funzioni domenicali gli ospiti si recano in parrocchia. Dal  1903 il coadiutore della parrocchia don Giuseppe Sisti  diventa assistente ecclesiastico  effettivo dell’Ospizio che può avere così funzioni proprie [17].

Alla morte di don Pogliani fu nominato direttore don Luigi Moneta, sacerdote esperto di assistenza. Egli chiese maggior autonomia per l’Ospizio anche in campo religioso, incontrando tuttavia delle resistenze nel nuovo prevosto, Edoardo Vignati.  La questione fu risolta nel dicembre 1930 dal card. Schuster, che stabilì l’esenzione della sacra Famiglia, ormai dotata di una propria grande chiesa, rispetto alla parrocchia e vicariato foraneo di Cesano Boscone, in quanto all’assistenza religiosa parrocchiale dell’Ospizio l’arcivescovo intendeva provvedere direttamente, nominando intanto mons. Moneta come proprio vicario con facoltà di parroco [18].

Iniziava così una storia autonoma per l’Ospizio. La grande espansione degli anni di mons. Moneta - “un padiglione ogni anno” è il titolo significativo di un capitolo della sua biografia - intendeva valorizzare le risorse interne dell’istituto, ancora assistito in prevalenza dalle suore, fino a farne una sorta di grande paese. Con il suo successore mons. Rampi vennero affrontati i complessi cambiamenti richiesti sia da un’assistenza più connotata in senso professionale, sia dalla spinta della società, non priva di momenti di tensione, ad aprire l’istituto verso l’esterno. Si arrivò così alla realizzazione dell’attuale rete di servizi socio-sanitari, che mantiene l’impegno per gli ospiti che ormai da molti anni risiedono in Istituto, ma assume come compiti propri l’assistenza e la riabilitazione per gli handicappati più gravi, la cura di lungodegenza, specie per gli anziani, le terapie in seminternato e ambulatoriali. L’annessa clinica  Ambrosiana costituisce poi un importante servizio sanitario per l’Istituto e per il territorio. In tante trasformazioni - il personale odierno ha ovviamente le caratteristiche professionali richieste nei grandi sistemi di servizi ed è quasi tutto laico - la S. Famiglia continua a proporsi nella sua ispirazione cristiana. Divenuta Rettoria affidata ai padri Cappuccini, ha sviluppato una propria originalità con gli ospiti e gli operatori dell’istituto, le suore, i volontari. Vi si ritrova così una viva partecipazione alla liturgia - che coinvolge le mani, il volto, il corpo - e una attenzione all’handicap, che non si chiude in se stessa, ma si fa per ogni uomo stimolo sul senso da attribuire alla propria salute e, più in generale, alla propria vita.

La dedicazione della nuova chiesa

Il “25 nevoso dell’anno X” - gennaio 1802 - erano gli stessi amministratori “delle quattro Comuni” soggette alla prepositura di Cesano Boscone nel dipartimento d’Olona ad accettare di addossarsi il pagamento del salario di 100 lire annue al sagrestano [19]. “La mancanza totale delle entrate... l’asserita diminuzione delle elemosine ed il notorio incarimento dei generi occorrenti...giustificano abbastanza la domanda di quel prevosto”, che, dunque, non sembra trovarsi nella condizione di pensare a grandi iniziative per la chiesa della parrocchia.

Gli edifici sono tuttavia sempre bisognosi di manutenzione: ne annota le principali il prevosto Rusconi, utilizzando l’ultima pagina del registro dei battesimi che inizia con il 1766.

Veniamo così a sapere che nel 1837 è stato rifatto il pavimento e sono stati restaurati i dipinti nella cappella della Madonna; un coadiutore ha donato i quadretti della via Crucis e un parrocchiano dei tappeti; nel 1840 è stata allargata la porta, per una spesa, con la bussola annessa, di 420 lire; si sono pagati dei paramenti ed è stato riattivato l’organo; si son piantate viti e moroni in alcuni campi nel 1842. Il prevosto ci informa anche che alle 6 antimeridiane dell’8 luglio dello stesso anno fu vista una eclisse totale di sole e che una nevicata di straordinaria abbondanza è caduta nel dicembre 1844. Un foglietto rimasto nello stesso registro ci dice invece che l’imperial regio commissariato promuove una raccolta di fondi per aiutare gli abitanti di Spalato in Dalmazia, colpiti nel 1843 da “grandine devastatrice”: il governo austriaco si affidava alle parrocchie anche per le iniziative civili.

Gli interventi comunque sulla chiesa non bastarono e quarant’anni più tardi don Pogliani si trovò di fronte a necessità impellenti.

Si è visto che pensò anzitutto alla sacrestia. Nello spiegare le ragioni che vedono la chiesa ancora sprovvista di tale servizio essenziale, don Pogliani risale ai lavori effettuati un secolo prima, con i quali “è stata intrapresa la rinnovazione dalle fondamenta di questa chiesa antichissima; fatta l’abside e l’altar maggiore fu poi sospesa per mancanza di mezzi. Quindi se per il popolo servono ancora le tre navate antiche, la sacrestia manca affatto...” [20].

La chiesa insomma doveva sembrare qualcosa di incompiuto e l’abside unica aggiunta alle tre navate dava l’impressione di un accostamento precario. In queste condizioni era difficile apprezzarne l’antichità che viene comunque sistematicamente ricordata nelle descrizioni. La pergamena con l’elenco dei parroci vi vedeva uno stile romanico-lombardo. Il poligrafo Cesare Cantù, che illustrando il Lombardo Veneto in una pubblicazione del 1858 dedica alcune righe a Cesano Boscone, afferma invece che la sua chiesa plebana “tuttora conserva al di dentro alcune parti di architettura gotica”. Decisamente drastico nel 1899 il giudizio del competente ufficio regionale, a cui era stata presentata l’istanza per una completa demolizione: “Constatatasi la nessuna importanza storica e artistica della Parrocchiale di Cesano Boscone, la quale, per le sue gravi condizioni di stabilità, fu riconosciuta pericolante, l’ufficio regionale approvò che essa fosse demolita e sostituita con altra costruzione” [21]

Molto viva in proposito la già citata testimonianza del vecchio sagrestano Ludovico Stroppi a don Caldirola: “A quel tempo la chiesa era bruttissima. Aveva il soffitto a cassettoni, le mura tutte storte e 6 brutte colonne di muro. Nel ’94 soffermandomi sul solaio mi accorsi che minacciava di crollare. C’erano certe crepe che facevano spavento. Le travi stavano su per miracolo. Venne un ingegnere a fare un sopraluogo, che la fece puntellare tutta dal di fuori. Nel ’98 fu abbattuta tutta tranne il coro e riedificata sul posto di prima, tranne che fu allungata di parecchi metri. La popolazione ha prestato generosamente il suo concorso...Però adesso non erano più tempi di miseria come sotto il prevosto Riboni” [22].

Le figlie di questo sagrestano ricordano a loro volta che “davanti all’altare venne creata un’impalcatura provvisoria con sopra la carta incatramata per proteggere la gente che assisteva alla Messa dal sole e dalla pioggia”. La loro memoria è ancora impressionata dalla quantità di ossa che emersero con lo scavo, specie quelle ammucchiate sotto un atrio (pronao) sul davanti della chiesa. Si aggiunge poi: “Vennero scoperte due tombe antiche dove c’era la cappella del s. Cuore, alla  quale si accedeva per un corridoio perché era  distaccata dalla chiesa”.

Essenziale diventò, per altro, il problema economico. Il prevosto e la fabbriceria adottarono diverse iniziative, tra cui una lotteria, per coinvolgere la popolazione. Le amministrazioni comunali di Baggio, Corsico e Trezzano contribuirono, perché la chiesa era intesa come “sociale”: la parrocchia era cioè considerata componente essenziale della società. Particolarmente  rilevante fu il contributo del comune di Cesano Boscone , che si impegnò per 14.000 lire, contraendo un mutuo concesso dalla Cassa di Risparmio con ipoteca sui beni personali di alcuni consiglieri. Questi i componenti del Consiglio, che deliberò in tal senso nella seduta del 22 dicembre 1897: Monti cav. Giuseppe (sindaco), Campiglio Antonio, Marazzi Ag. Gaetano, Mereghetti Angelo, Menni  Alessandro, Stabilini Luigi, Monti prof. Don Giulio, Vigorelli Domenico, Passerini Angelo, Locatelli Angelo, Calcaterra rag. Vittorio, Tavazzani Francesco. Erano assenti Costa Carlo e Buccellari rag. Felice, mentre era defunto Vismara Natale. L’impegno per le ultime 4.000 lire fu ribadito nella seduta del 18.11.1900, con un consiglio nel quale erano variati pochi nomi e soprattutto pochi cognomi: ne facevano ora parte anche Cavalleri Giuseppe e Menni Giuseppe; mentre tra gli assenti sono indicati Mereghetti Emilio, Patellani conte Gerolamo, Vigorelli Antonio. Occorre ricordare che il Comune di Cesano Boscone non arrivava a 800 abitanti (la parrocchia ne aveva più del doppio) e che fra essi neppure 80 avevano il diritto di voto [23].

La chiesa venne costruita rapidamente e il 4 SETTEMBRE 1899 fu solennemente consacrata dal Vescovo ausiliare e Vicario generale della Diocesi, mons. Angelo Mantegazza. Nell’altare maggiore furono incluse le reliquie dei santi martiri Protasio e Gervasio, di s. Evasio vescovo di Casale e dei ss. Marzio e Marziale. Anche la nuova chiesa venne naturalmente dedicata “al nome e alla memoria di S. GIOVANNI BATTISTA” e l’anniversario della consacrazione fu indicato nella I domenica di settembre [24].

Il card. Ferrari, in visita pastorale nel 1900, primo arcivescovo a tornare a Cesano Boscone dopo oltre centocinquant’anni dalla visita del card. Pozzobonelli, poteva così essere accolto nella nuova chiesa, certo bisognosa di molte rifiniture, ma ormai completata nell’essenziale.

Don Pogliani la presenta con estrema semplicità: una sola navata, è lunga mt. 20,50 fino alla balaustra e 27,70 dalla porta  all’altar maggiore; 4,30 da questo al fondo del coro. La larghezza è di mt. 12,50. La cappella di Maria, priva di fondo, ha un piccolo spazio nella chiesa stessa. La cappella  del s. Cuore è lunga mt. 6,40, per una larghezza di mt. 4,20.

Tornato a Cesano Boscone nel 1908, il card. Ferrari così scrive: “Diamo all’ottimo e venerando Proposito la ben meritata lode per l’ampliamento ed i restauri della Chiesa Prepositurale, per la erezione degli Oratori festivi, mentre rimarrà il suo nome in benedizione all’Ospizio della S. Famiglia da lui fondata. Facciamo voti però che dai parrocchiani si corrisponda allo zelo del Proposto, specie per ciò che riguarda gli Oratorii festivi...” [25].

 


[1] ACAM, Fondo legati, Cesano Boscone, Y 4125. La frase riportata dà inizio all’ultimo capoverso di una relazione del prevosto Gian Domenico Rognoni, che è l’unico contenuto di un foglio con l’iscrizione “ Piano della pieve di Cesano Boscone 1790 - consegnato dal delegato al prevosto Rognoni e poi reso”. La descrizione del prevosto Merlini, datata 10 agosto 1791, è in APC, cart. 6 fasc. 2.

[2] Il contesto è ben illustrato in TOSCANI Xenio, Scuole e alfabetismo nello stato di Milano da Carlo Borromeo alla rivoluzione, ed. La Scuola, Brescia 1993, che però non prende in esame la pieve di Cesano Boscone. Vi si afferma, tra l’altro, che nella pianura irrigua una grande difficoltà all’alfabetizzazione era costituita dal nomadismo dei contadini costretti a cambiare di frequente paesi e cascine (cfr. pag. 63-64)

[3] APC, cart. 6, fasc. 2

[4] ACAM, Fondo Legati, Cesano Boscone, Y 4125

[5] ASM, Catasto Lombardo-Veneto, Cesano Boscone. La mappa (bob. 11, n. 384) è stata rilevata nel 1865, ma è desunta da un originale del 1857. La mappa per il Villoresi è conservata in APC. Quella del 1901 in ASM, cessato catasto, Cesano Boscone, bob. 5, n. 149.

[6] APC, cart. 18, fasc. 1; lo scritto di don Caldirola è datato 10 dicembre 1945 e inserito in un “Chronicon” iniziato da mons. Vignati nel 1922.

[7] ASF, Triste condizione dei contadini.

[8] APC, cart. 19, fasc. 4, specie modulo X per la visita del 1900 e modulo generale per la visita del 1908.

[9] Si vedano GUIDO VIGNA, Dalla parte degli ultimi, Vita e opere di un parroco di campagna: don Domenico Pogliani, Ist. S. Famiglia, Cesano Boscone 1988; ANTONIO AUTIERI, L’Ospizio Sacra Famiglia: dalla fondazione all’arrivo di Moneta, in Luigi Moneta, a cura di EDOARDO BRESSAN, Vita e Pensiero, Milano 1996, pagg. 101-132; per i rapporti con le suore di Maria Bambina: G. VIGNA, Se la carità si fa storia, Ist. S. Famiglia, Cesano Boscone 1983.

[10] Il testo è riportato in G. VIGNA, o.c. pag. 63. Una lettera del sindaco G. Monti del 30.3.99, che intende ringraziare la Monegherio, fa anche discretamente osservare che c’è stata qualche incomprensione con don Pogliani per gli aspetti giuridici della questione (APC, cart. 1, fasc. 1). Nella visita Ferrari del 1908 (APC, 19, 4) l’asilo è presentato come proprietà delle suore, a cui la Monegherio l’ha lasciato alla sua morte.

[11] APC, cart. 19, fasc. 4 nella relazione per la visita Ferrari del 1900 (mod. X).

[12] APC, cart. 19, fasc. 4, visita Ferrari del 1908.

[13] APC, cart. 19, fasc. 4. Osservazioni sul carattere impulsivo del Pogliani si trovano nella memoria già citata del sacrista Ludovico Stroppi, che ebbe con lui uno screzio che lo portò a lasciare il suo incarico.

[14] Cfr. G. VIGNA, o.c., pag. 75.

[15] Cfr. Stefania FOLTRAN in Luigi Moneta, o.c., pag. 132, che indica in 586 i ricoverati presenti all’O.S.F. alla fine del 1921. Con mons. Moneta l’Istituto avrà una grande espansione raggiungendo nel 1954 i 3.000 assistiti nella sede di Cesano Boscone e i 700 nelle filiali di Andora (SV), Cocquio (VA), Intra e Premeno (NO), Regoledo Perledo (LC): cfr. Floria GALBUSERA, id., pag. 210.

[16] La questione dello statuto si trascinò piuttosto a lungo anche perché don Pogliani non voleva che il riconoscimento pubblico annacquasse l’ispirazione religiosa: cfr. A. AUTIERI, in Luigi Moneta, o.c., pp. 123-127. Di erezione dell’Ospizio in Ente Morale si parlava però già in una seduta del Cons. Comunale di Cesano Boscone  del 25.05.1902 (Arch. Comunale di Cesano Boscone, sedute del Consiglio 1891-1925): tutti i consiglieri sono favorevoli  alla “concessione della richiesta costituzione in Ente Morale del locale Ospizio “Casa della Sacra Famiglia per gli Incurabili della Campagna”; il Consiglio rileva però che l’Ospizio provocherà un aumento del numero dei funerali e fa voti perché il Comune venga sollevato da spese per il cimitero (che infatti l’Ospizio finirà per realizzare al proprio interno).

[17] APC, cart. 19, fasc. 4, visita del 1900 e del 1908. Alla parrocchia verrà assegnato dal 1906 come nuovo coadiutore don Giulio Pizzocheri.

[18] APC., cart. 13, fasc. 4, che contiene diversi documenti per tutta la vicenda.

[19] APC, cart. 18, fasc. 4. I quattro Comuni dovrebbero essere Muggiano, Cesano Boscone, Baggio e Corsico.

[20] Minuta di don Pogliani in APC, cart. 6, fasc. 5.

[21] Il riferimento al romanico si trova sulla pergamena di APC, cart. 16, fasc. 2, con l’elenco dei parroci. Le prime righe della stessa si ritrovano sul volume di Francesco BOMBOGNINI, Antiquario della Diocesi di Milano, Milano 1856 (consultabile in ACAM, C, 64). Affermazioni analoghe, salvo il riferimento al gotico, in Cesare CANTU’ e altri letterati ( a cura di), Grande illustrazione del Lombardo Veneto, vol. I, Milano 1858, pp. 462-463, che propone queste indicazioni: “A BAGGIO fan capo parecchie vie che conducono a diversi villaggi e casali, come MUGGIANO e CESANO BOSCONE, altre volte Ghisanum o Gisanum, nome longobardo, frequente nella storia di quel popolo: detto Boscone, per essere circondato da folti boschi, di cui rimangono ancora avanzi. Quest’antica terra formava una delle undici pievi del contado di Milano. Nel X secolo aveva un capitano o podestà proprio, ed era di spettanza della famiglia Baggio, a cui provenne fin dai tempi dell’arcivescovo Landolfo II, che ne concedeva a diversi potenti cittadini per ricuperare la sede arcivescovile che era stato costretto ad abbandonare. Alla metà del secolo XII vi si tenne un mercato, e nel seguente aveva una collegiata. La chiesa, che tuttora conserva al di dentro alcune parti di architettura gotica, era pieve e matrice di 32 altre; al presente solo di dieci”.

Per il permesso di demolizione cfr. Arch. St. Lombardo, serie III, vol. XII, 1899, pag. 203.

[22] APC, cart. 18, fasc. 1, memoria raccolta il 10 dicembre 1945. La memoria delle sorelle Stroppi è raccolta nella cronaca del 1962.

[23] Arch. Comunale di Cesano Boscone, Registro dei Verbali del Cons. Comunale, 1891-1926. Il numero degli aventi diritto al voto è indicato nelle sedute del 25.02 e del 26.03.1894; nella seduta del 06.09.1896 il Consiglio si occupa delle campane.

[24] La pergamena della consacrazione è conservata in APC, cart. 6, fasc. 6.

[25] APC, cart. 19, fasc. 4, Visita Ferrari del 1908.