S.
Carlo Borromeo, nato ad Arona nel 1538, resse la diocesi di Milano dal 1560 al
1584 e realizzò in modo particolarmente significativo l’ideale di vescovo
prefigurato dal Concilio di Trento. Il carattere ascetico della vita personale
si accompagnò in lui a una presenza assidua non solo nella città, ma anche per
tutte le zone della diocesi, intesa a realizzare i dettami del Concilio, sia
secondo un profondo senso pastorale, sia secondo una decisa dimensione
riorganizzativa.
La
riforma, in effetti, divenuta centrale nell’attenzione della Chiesa con
l’azione di Lutero e degli altri grandi riformatori protestanti, in ambito
cattolico trovò uno sbocco nella convocazione del Concilio di Trento, che ebbe
però le prime sedute solo nel dicembre 1545 e proseguì, non senza lunghe
interruzioni, fino al 1563. Di fatto impossibilitato a riannodare i legami con
il mondo protestante, il Concilio si dedicò alla ridefinizione della dottrina
cattolica e alla riorganizzazione del sistema ecclesiastico, prestando
particolare attenzione alla formazione del clero.
Fu
soprattutto per l’opera di S. Carlo che le ricadute in ambito locale delle
indicazioni conciliari furono, nella diocesi di Milano, particolarmente intense.
E’
probabilmente casuale il fatto che il documento più antico conservato
nell’archivio plebano di Cesano Boscone sia proprio del 1545. Si tratta di un
primo, modesto inventario di biancheria da chiesa, paramenti, arredi liturgici,
messali, compilato il 20 di febbraio di quell’anno. Vi risultano così
indicate tovaglie, camici, amitti, cordoni, piviali, pianete e paramenti interi
(cioè con le tunicelle di diacono e suddiacono per le messe solenni), ma anche
croci, candelieri, reliquiari, alcuni calici, pissidi e ostensori, fino al
“sidelino con aspersorio di ottone” o al “coperto del fonte battesimale di
rame con sua tazza parimenti di rame” [1].
Pienamente
inserita nella pastorale diocesana è invece la tabella con il catalogo del
clero, compilata nel 1564 e finalizzata al pagamento di una tassa per erigere il
seminario di Corso Venezia [2].
Il seminario, deputato alla formazione dei nuovi sacerdoti, costituiva infatti
un cardine nelle iniziative di s. Carlo, come di tutti i vescovi che si
ispiravano al Concilio di Trento.
Questi
i dati relativi alla Canonica e alla Pieve di Cesano Boscone:
Canonica de Santo Joanne de Cexano
906.PP.ra
de Cesano de d.no Eminio Ritio alias(sic)L.16
S.-D.-
Canonicato
de d.no Jo. Battista Lodi
1 10 -
“ “
Bernardino Beolco
1 4
-
910.
“ “
Gaspar
Bosso
- 12
Battista
Alfero
1 4
Carolo
Varexio
14
alias de d.no Petro de Zuchi
1 4
Rettoria
de Santo Geruaxio et Protasio de Romano
banco
de d.no Jacomo Antonio da
Monte
L.15 S.- D.-
“
de Grancino con la cappella de Corsico
de d.no Jo. Battista da Lodi
4 12
5
915. “
de Santo Sebastiano de Vighignolo de
d.no fra Paulo da Mariano
9 -
-
“ de Santa Margarita
da Settimo de d.no
AgostinoMorono
14 14 -
“
de Sant’Ambrosio de Trezano de
d.no Hieronimo Pozzo
4 -
-
“ de Santo
Apollinare de Baggio de
d.noJ o. Paulo Baggio
18 14
-
“ de Santa
Maria de Gheregnano de
d.no Jacomo Filippo Mezabarda
2 8
-
920.Cappella
sive rettoria de Santo Desiderio d’Asagho
de
d.no Bernardino Mantegazza
18 12 11
Cappella ducale de santo Antonio de Cusagho
de
d.no Francesco di Vaghi
6
13 2
La
struttura della pieve non sembra molto mutata rispetto a quella descritta nel
1398. Appare evidente, però, la modestia della tassa richiesta ai canonici, così
come di quella di Corsico e Trezzano rispetto agli altri paesi di maggiore
rilievo.
L’uso
del termine “Rettoria” che allude alla presenza di un sacerdote che fa da
“Rettore” della chiesa, è un altro segnale dell’attribuzione di maggior
autonomia ad alcune chiese.
Va
sottolineata l’indicazione per Cusago della cappella ducale, che implica
riferimento al castello, che la famiglia Sforza aveva donato a Massimiliano
Stampa dopo la battaglia di Pavia del 1525 [3].
L’attuazione
sul territorio delle indicazioni di s. Carlo è strettamente legata alle Visite
Pastorali. In esse l’arcivescovo aveva un contatto vivo con il clero locale e
con la gente, sia mediante dei propri inviati, sia di persona.
Per
quanto la visita del vescovo al suo clero e ai suoi fedeli si possa far risalire
alle origini cristiane, è con il Concilio di Trento che essa viene strutturata
formalmente e sancita come obbligo addirittura annuale per il vescovo.
Soprattutto ne vengono chiaramente indicati i fini: estirpare l’eresia e
rafforzare la retta dottrina, tutelare i buoni costumi e correggere i cattivi,
esortare il popolo alla religione e alla pace [4].
In
pratica le cose non erano tanto semplici. Il Borromeo, nominato amministratore
della diocesi di Milano nel 1560, e arcivescovo nel 1564 dovette rimanere a Roma
fino al settembre 1565 e le visite furono iniziate dai suoi vicari. Uno di essi,
il Ferragata, gli riferisce che nel visitare la pieve d’Incino dovette
“alloggiare all’hosteria”, perché il padre del decano gli aveva sbattuto
la porta in faccia; e del resto, lo stesso s. Carlo nel 1569 si vide respinto
dai canonici di s. Maria della Scala [5].
Francamente sorprendente è il risultato di una visita a Pontirolo: uno di quei
canonici andrà a Milano in prigione [6].
Normalmente,
tuttavia, le visite, che s. Carlo incominciò a condurre personalmente dal 1566,
avevano uno svolgimento regolare. I rapporti con il clero, le funzioni sacre e
la predicazione, l’esame delle chiese e degli archivi, le indicazioni per la
vita morale, religiosa e per la stessa istruzione scolastica ne costituivano gli
elementi essenziali. Su di essi si avviava, sia nella preparazione della visita,
sia per ciò che ad essa seguiva, un certo fervore di attività.
Delle
difficoltà ordinarie, d’altra parte, derivavano dalle condizioni generali
dell’epoca. Non solo infatti, si doveva viaggiare a cavallo o a piedi, ma si
trattava anche di conoscere bene il territorio, per evitare perdite di tempo e
giri a vuoto.
E’
in questo senso che va vista la realizzazione di una serie di mappe delle
diverse pievi, talvolta disegnate in modo molto semplice, che hanno tuttavia la
proprietà di indicare i nomi dei paesi e delle loro chiese e le strade di
collegamento.
Delle
circa 40 mappe che ci sono giunte, quella relativa alla pieve di Cesano è una
delle più belle e complete ed è presentata come una “Carta geografica in tre
fogli grandi uniti, che disegnano tutte le Chiese et Oratorij della Pieve di
Cesano P.a Regione con sue Roggie, et strade con sua distanza, et sito delli
Risati e rinchiusa in carta pecora cucita in sacchetto [7]”.
L’originale
misura cm. 114,5x55,4 ed è disegnato con inchiostro seppia.
L’orientamento
pone il nord (“SEPTENTRIO”) in alto e quindi “ORIENS” e “OCCIDENS”,
rispettivamente a destra e sinistra.
La
mappa ha per scopo la descrizione della pieve, così come è detto nel cartiglio
centrale: “vera descriptio totius plebis Cesani”. Risulta quindi ovvia la
determinazione dei suoi confini con il riferimento alle pievi vicine e alle
strade che ad esse conducono. Appaiono così a nord-ovest le indicazioni per le
pievi di Nerviano e di Ro (Rho); a nord-est per la pieve di Trenno; a ovest per
quella di Rosàa (Rosate) e a sud-ovest per le pievi di Decimo e Lochà (Locate
Triulzi) [8].
A est domina la città di Milano, Mediolanum, rappresentata con il disegno di
una porta con delle torri, che rimanda all’aspetto medievale della città.
All’estremità sud-est è denominata come “strada pavese” la strada che
scorre immediatamente vicino alla “s. Abbazia di Gratosoglio”, accanto alla
quale l’autore ha riportato la scritta “fuori pieve”, perché siamo ormai
oltre il territorio di Cesano.
Il
disegno alterna la ricerca di un confronto con la realtà alla ripresa di forme
stilizzate. Connotate da un significativo realismo sono in effetti la
rappresentazione della chiesa abbaziale degli Olivetani in Baggio e, in
particolare, il campanile della vicina chiesa di s. Apollinare, che il disegno
cerca di rendere nelle sue forme romaniche. Un analogo sforzo di rispecchiare la
realtà si osserva nel castello di Cusago, caratterizzato dalla sua alta torre:
il paese, con la sua chiesetta, sembra rannicchiato lì vicino, quasi a
lasciarsene proteggere.
Nell’insieme
delle forme, spesso più generiche, di chiese e case degli altri paesi un
curioso rilievo è dato agli edifici civili di Seguro, Trezzano, Corsico e
cascina Travaglia, presentati con un portone chiuso con catenaccio, sormontato
da una cupola piuttosto sorprendente.
Il
rilievo maggiore è assegnato alle chiese. Oltre a quella degli Olivetani, cui
è dedicato il disegno più grande, spicca naturalmente la chiesa plebana di
Cesano Boscone, con il nome del luogo e il numero degli abitanti in stampatello
maiuscolo. Anche per Baggio sono indicati i “fuochi”(famiglie) e questo
paese risulta molto più popoloso rispetto allo stesso capo di pieve, sia pure
con cifre complessive di poche centinaia di persone.
Scopo
ulteriore della mappa è quello di fungere da vera e propria guida geografica.
Si spiega così l’attenzione per le strade e, in particolare, per i passaggi
sui due corsi d’acqua rappresentati: il fontanile delle Cascine Olona e il
Naviglio. L’autore, per altro, non ha rispettato la proporzione con la realtà.
Occorre così una particolare attenzione per l’espressione in miglia delle
distanze: una strada di diverse miglia può apparire sul foglio più breve di
altre, magari solo perché sono stati ingranditi i disegni vicini.
Ciò
che dà tuttavia alla carta un tono quasi di affettuosa simpatia per il
territorio rappresentato è una serie di particolari per sé non strettamente
necessari. Si vedano le forme assegnate ai due ponti sul Naviglio: il primo a
Trezzano, con una grande barca che naviga nei pressi; il secondo tra la cascina
Travaglia e Corsico. La dicitura “risi” appare più volte a suggerire la
coltivazione prevalente, con il disegno delle pianticelle e di alcune spighe.
Quasi
autoironica è la grazia con cui vengono rappresentati degli alberelli e la
vegetazione. Delicato e divertito insieme sembra soprattutto il gusto nel
ricordare la presenza degli animali: i pesci nel Naviglio, due lepri con le
caratteristiche orecchie nei campi sotto i risi di Cesano, gli uccelli,
addirittura le rane tra le risaie più a sud. Nello spazio tra le due lepri,
poi, sembra esserci uno spaventapasseri, con un animale vicino, nel quale alcuni
ritengono si possa riconoscere la forma di un cinghiale.
L’estensore
della mappa è rimasto anonimo. Un indizio si può per altro ricavare dalla nota
posta sotto il nome di Terzago, un paese ormai presso Gaggiano: lo si ritiene
scomodo e si suggerisce di unirlo a Gaggiano, lasciando sospettare che chi
scrive esprima un desiderio forse dello stesso prevosto di Cesano.
Si
tratta, comunque, di un personaggio attento alla precisione delle informazioni.
Ci fa così sapere che la chiesa di s. Maria del Bosco presso Cusago (si veda
oggi s. Maria rossa a Monzoro) apparteneva ai frati agostiniani di s. Marco in
Milano. Con un interesse non abituale per l’epoca, segnala addirittura una
chiesa di cui rimangono solo delle “vestigia” a Verdello, poco a ovest della
strada fra Seguro e Baggio; si è così aiutati a ricostruire la posizione di un
luogo già ricordato, due secoli e mezzo prima, nel Liber notitiae e poi
scomparso.
L’accuratezza
della mappa consente agli storici di datarla tra il 1566 e il 1567, facendo
riferimento alla scritta “parochiae di Grancino, membro di Corsico” :
Grancino era parrocchiale autonoma nel settembre 1566, mentre nell’agosto 1567
fu annessa alla Barona, nei Corpi Santi [9].
Per
meglio comprendere la riproduzione, necessariamente ridotta, si dà quindi una
trascrizione delle scritte, seguendo la divisione delle pieghe sul foglio
originale, dall’alto in basso per ogni settore.
Settore
A1: Ro pieve (sul fontanile); s. Martino et Petro; s. Michele in Settimo; s.
Margarita parocchiale di Settimo; villa(villaggio, paese) di Settimo; s. Rocho
in Settimo; mezzo miglio(sulla strada tra Settimo e Seguro); villa di Sicuro(Seguro);
s. Giorgio membro di Settimo(è la chiesa di Seguro); un miglio.
A2:
verso la pieve di Nerviano(con una scritta cancellata); due miglia; un miglio (Settimo-Vighignolo);
delli frati terciarueli di Santo Spirito; Vighignolo villa; s. Sebastiano cura
di Vighignolo, membro di Cesano; s. Gio. Battista alla cassina di Ollona membro
di Settimo; fontanile piccolo delle cassine di Ollona.
A3:
verso la pieve di Trenno; Trenno pieve (un segno a penna separa la pieve di
Trenno da quella di Cesano).
B1:
membro di Settimo – vestigia ecclesie campestris sancti Petri ubi dicitur in
Verdèl reditus librarum quadraginta; VERA DESCRIPTIO TOTIUS PLEBIS CESANI; s.
Agatha campestre oratorio membro di Cesano; verso la pieve di Rosàa (Rosate);
Terzago vicino un miglio a Gazano (Gaggiano) pieve di Rosàa; miglio,(sotto il
disegno di Terzago-Trezzano) membro di Cesano molto scomodo si faria bene darlo
a Gazano; palazzo della contessa di Soncino (si tratta della famiglia
Stampa-Soncino, alla quale gli Sforza avevano dato il castello); Cusago cappella
ducale curata di Cusago; (sotto Trezzano) Loirano oratorio santi Cosma e Damiano
membro di Trezano; un miglio; RISI.
B2:
Monastero del ordine di monte Oliveto; Baggio villa di cento fuochi; s.
Apollinare cappella in Baggio; un miglio e mezzo (strada per s. Maria del
Bosco); S. Maria del bosco loco delli frati di s. Marco in Milano villa del
bosco cura di Cesano; miglia due(verso sud); s. Martino di Asiano oratorio; un
miglio (in fondo alla strada Baggio-Muggiano: si noti la mancanza di
proporzioni); s. Marcellina oratorio - s. Cornelio e Cipriano di Mugiano
oratorio.
B3:
Villa di CESANO CAPPO DI PIEVE DI FUOCHI 40 – ANIME IN TUTTO 200; un miglio
(le due strade che si fanno partire dal campanile di Cesano); (in alto) sotto
Cesano Cassina del Inferno; cassina de barocco in Cesano; cassina di corpo
santo-cassina nova di Cesano; un
miglio(dalla chiesa) e quattro miglia(sotto); s. Maria di Garignano membro di
Cesano; fuori di pieve MEDIOLANUM.
C1:
S. Ambrogio parochiale Trezano villa(e subito sotto) ponte; (a sud del Naviglio)
Trezano un miglio; verso la pieve di Decimo.
C2:
loco detto la Guardia membro di Corsico oratorio; un miglio; villa di Ruido;
oratorio s. Giorgio di Rovido membro di Romano; mezzo miglio; villa di
Romano-parochial di Romano; mezzo miglio.
C3:
(a nord del Naviglio) cassina sotto la pieve di Trenno; cassina ditta
Travaglia-case nuove; ponte; villa di Corsico; parrochial di Corsicho; un
miglio; s. Rocho in Corsico; villa de-Robarello sotto Ronchetto; s. Silvestro di
Ronchetto parrochiale; verso Corpo Santo.
D1:
Pulla sotto(?) cassina; verso la pieve di Decimo; villa di Agudo Gambaro(Gudo
Gambaredo)-s. Stefano di Agudo Gambaro membro di Romano; un miglio.
D2:
villa di Bucinasco-oratorio s. Maria di Bucinasco membro di Romano; un tiro di
mano; s. Michele chiesa di Bucinasco campestre parrocchiale membro di Romano;
(più in basso) PER TUTTO RISI.
D3:
villa di Grancino; s. Biasio parochiale di Grancino membro di Corsico.
E1:
verso la pieve di Lochà; villa Bazanella; Bazanella di Asago-oratorio; un
miglio.
E2:
villa di Asago; s. Desiderio di Asago-parrochiale; mezzo miglio; villa di
Basciana; s. Hilario di Basciana membro di Asago; un miglio; due miglia(verso
sud); PER TUTTO RISI.
E3:
strada pavese; s. Abazia di Gratosoglio fuori di pieve.
La
pianta della chiesa e degli annessi edifici della canonica fu realizzata da un
ingegnere sulla base delle indicazioni di s. Carlo, insieme a quello di altre 28
chiese della pieve [10].
Il foglio originale misura cm. 58x43.
Le
misure espresse in cubiti e once [11]
sono state addirittura utilizzate per l’avvio dello scavo archeologico del
1995, che ha riportato alla luce con bella evidenza i resti di cinque dei sei
pilastri, l’abside centrale e l’inizio di quelle laterali, la base del
campanile e del muro d’ingresso nella chiesa.
La chiarezza con cui sono apparsi i resti ha consentito di riconsegnare
a una leggibilità immediata la struttura di una chiesa
il cui ingresso si trovava di qualche metro all’interno rispetto alla
facciata attuale; essa aveva la stessa larghezza dell’edificio odierno, ma era
più breve in lunghezza all’incirca di tutta l’area attualmente riservata al
presbiterio, dato che le basi delle tre absidi sono apparse sotto i gradini con
cui ora ha termine lo spazio dei fedeli. A distanze regolari i pilastri
separavano le navate.
L’anonimo
ingegnere aveva appunto disegnato una chiesa a tre navate, chiusa da un sistema
di tre absidi, in ciascuna delle quali era collocato un altare. L’edificio
guarda verso l’Oriente, seguendo l’orientamento canonico che era già
proprio della chiesa antica.
Dietro
l’altare maggiore si trova il coro e il campanile è all’interno della
chiesa, nell’angolo a sinistra dell’ingresso. Una cura specifica viene posta
nell’indicare la separazione tra il presbiterio e le navate e la posizione del
battistero, con una propria protezione rispetto all’insieme della chiesa
(nello scavo, però, non è emerso nessuna traccia dell’area di questo fonte
battesimale): S. Carlo aveva specificamente sottolineato l’esigenza di queste
separazioni nelle sue prescrizioni sugli edifici delle chiese [12].
Accanto
alla chiesa appare un portico i cui pilastri,
sormontati da una grande trave e assai ben conservati, sono stati resi
pienamente visibili dal restauro, che ha collocato in quest’area l’attuale
battistero.
La
sacristia si trovava a fianco dell’ingresso, verso sud. Dalla stessa parte era
collocato l’insieme della canonica, con il cortile, le stanze del Prevosto, la
cucina e le cantine e due stanze per un massaro.
La
rappresentazione del piano terreno (il piano superiore non è disegnato, ma solo
descritto) si completa con significativi riferimenti all’ambiente agricolo: vi
è una “cassina di paglia” e vi è un fontanile, che si vedeva scorrere
ancora in tempi recenti.
La
pianta è accompagnata da una descrizione con questo titolo: “Descritione
della Chiesa Prepositural Collegiata de s. Gio. Batista capo di Pieve”.
Il
testo riporta anche per l’interno una serie di misure: è alta 18 cubiti dal
pavimento “al celo” (soffitto) e 7 cubiti da questo “al spizzo”(culmine).
Si
danno poi le dimensioni della porta, sopra la quale vi è “un occhio”.
Vi
sono tre finestre a nord; “ha il celo fatto a quadretto” e “il pavimento
de mattoni” (se ne può vedere un piccolo resto sotto l’altare di s.
Antonio).
La
cappella maggiore e le cappelle laterali sono fatte “in niza” (in nicchia,
secondo la forma delle absidi).
Anche
dietro l’altar maggiore vi è una finestrella “quasi a basso per dar lume al
choro”.
Sopra
l’altar maggiore vi è “il Mondino, et di continuo vi si tiene il Santissimo
Sacramento”. Il termine è sinonimo di tabernacolo, in quanto a volte i
tabernacoli avevano al di sopra un piccolo globo: la sottolineatura è tipica,
perché, specie dopo il Concilio di Trento, proprio la conservazione dell’Eucarestia
al di fuori della Messa era una caratteristica delle chiese che avevano dei
sacerdoti stabili.
Le
cappelle laterali sono dedicate rispettivamente alla Madonna (quella a nord) e a
s. Agata. Si osserva poi che il campanile ha “una campana rotta” e che la
sacristia è “senza lavatorio et oratorio”, cioè senza un luogo per lavarsi
le mani e per pregare.
Nella
descrizione della canonica è ricordato il piano di sopra con delle camere per
il massaro e per i due canonicati “di Pre(te) Bernardino Isabelli” e di
“Martino Visconte”.
Quanto
è antica questa chiesa? La pianta voluta da s. Carlo, ovviamente, indica
solamente un limite “prima del quale”. Già nel testo si afferma : “Non vi
sono segni della consegratione della Chiesa, né per riccordo d’huomini”.
Neppure la memoria dell’epoca, dunque, è in grado di risalire alle origini
della chiesa: del resto la relazione del 1566 del prevosto dell’epoca Giovanni
Begliocchi ( che verrà riportata analiticamente più avanti per consentirne il
confronto con la descrizione del card. Federigo) si limita a sua volta a usare
per due volte l’aggettivo “vetusta-vetusto”, apparentemente con una certa
sfumatura di sconforto, a proposito sia della chiesa, sia del battistero. Queste
attestazioni di antichità sembrano spingere al confronto non solo con la
collegiata, con gli statuti rinnovati nel 1433, ma anche con ciò che afferma
intorno al 1300 il Liber notitiae, che, come si é visto nel cap. 3,
riferisce della venerazione di tre santi, con i rispettivi altari, nella
chiesa di Cesano: S. Giovanni Battista e, negli altari laterali, s. Materno e s.
Agata. Sembra facile il confronto con le tre nicchie delle absidi della pianta
in esame, con la sostituzione della dedica alla Madonna dell’altare di s.
Materno. Nello scavo, poi, sono emersi dei resti di murature ancora ben
conservate, che lo studio archeologico ha riferito a una fase 3, denominata come
fase romanica [13].
Allo stato attuale non è possibile stabilire con sicurezza quale forma e
superficie avesse la chiesa in questa fase e, di conseguenza, quale intreccio vi
sia tra la stessa e la pianta cinquecentesca. Si può al più ricordare il
contesto generale che vede l’XI-XII secolo come un’epoca di fervore
costruttivo anche nell’ambito dei comuni rurali. A tutti questi elementi, e
forse anche al materiale edilizio utilizzato [14],
si può far riferimento, in assenza di documenti più precisi, per cercare di
immaginare quell’ “ecclesia plebis sancti Joannis”, che abbiamo visto
citata per la prima volta proprio in testi del XII secolo.
5.
NOTE
[1] APC, cart. 6, fasc. 1a
[2] Liber seminarii mediolanensis, a cura di Marco MAGISTRETTI, Milano 1916. La tabella relativa a Cesano è a pag. 43.
[3] Cfr. Itinerari di s. Carlo…, Milano 1985, pag. 92
[4] Cfr. C. MARCORA, La visita pastorale, in Itinerari di s. Carlo…, cit., pag. 11, nel quale sono citate analiticamente le fonti di riferimento.
[5] Cfr. C. MARCORA, cit., pag. 12 e 17
[6] Id., pag. 14
[7] ACAM, Cesano Boscone, vol. II, indice. All’indicazione citata segue l’elenco delle 28 chiese della pieve di cui il volume raccoglie le planimetrie. Il tutto è stato raccolto nel 1667
[8] La chiesa plebana di Locate si trovava nel luogo che prese poi il nome, appunto, di “Pieve” Emanuele. Cfr. BRIVIO MAZZOTTA, Schede analitiche e interpretative della cartografia, in Itinerari…, cit., pag.80
[9]Cfr. BRIVIO MAZZOTTA, Schede analitiche e interpretative della cartografia, in Itinerari…, cit., pag. 92. Per tutta la descrizione ci si è rifatti a questa scheda
[10] Cfr. BRIVIO MAZZOTTA, cit., pag. 92-93. I disegni e le relative spiegazioni sono raccolti in ACAM, Cesano Boscone, vol.II
[11] Per una prima discussione cfr. BRIVIO MAZZOTTA, cit., pag. 93. Le relazioni tra cubiti e once sono appunto presentate in ACAM, Cesano Boscone, vol.II, indice.
[12] Cfr. CARLO BORROMEO, Arte sacra (De fabrica Ecclesiae), versione e note a cura di mons. Carlo Castiglioni e don Carlo Marcora, Milano 1952.
[13] V. CERESA MORI-RIGHETTO, Pannello esplicativo
[14] Questo metodo non dà affidabilità sicura, perché gli stessi materiali possono essere utilizzati in epoche diverse. Si è comunque osservato da parte dei tecnici del cantiere che i mattoni dei resti del campanile hanno forma analoga a quelli dell’abbazia di Morimondo