PROBLEMI PASTORALI E NUOVE PARROCCHIE NEL CORSO DEL NOVECENTO

Tra i locali di servizio della canonica di don Pogliani ancora esisteva la stalla per il  cavallo [1]; ma non è solo dai mezzi di trasporto che si comprende l’ampiezza delle trasformazioni che hanno caratterizzato il nostro secolo.   

Le descrizioni che egli fa dei costumi della popolazione e gli stessi moduli preparati dalla Diocesi per le visite pastorali ci presentano una società che, almeno nei paesi, continua ad avere nella religione un riferimento essenziale. E’ pur vero che può trattarsi di comportamento abitudinario e, se è così, i cambiamenti sociali non tarderanno a mostrarne i limiti.

Nel 1900 quasi tutti frequentano la Messa festiva, in molte famiglie si recita il Rosario, non ci sono a Cesano unioni fuori dal matrimonio religioso e nell’ultimo quinquennio si era registrata una sola nascita illegittima. Si tengono balli nelle osterie, “non però scandalosi”, aggiunge subito il prevosto. E tuttavia...

E’ già una spia del cambiamento la scarsa frequenza degli uomini adulti alla Dottrina cristiana che si accompagna, in generale, a un livello piuttosto modesto di istruzione religiosa. Cesano non é un paese di emigranti; vi sono però due situazioni che preoccupano il parroco. La prima è quella dei  contadini-braccianti costretti a offrirsi ai diversi padroni, talvolta addirittura da un anno all’altro. Vi si legge la pesante condizione di famiglie vaganti per le varie cascine e pertanto facili a smarrire anche il senso di una relazione religiosa. La seconda ci porta all’industrializzazione che sta interessando Milano: accanto ai contadini sono sempre più numerosi gli operai, oltre cento dei quali, dice il Pogliani nel 1913, si recano ogni giorno a Milano.

Muggiano e Lorenteggio

E’ il desiderio di ancorare la Chiesa alla vita concreta della gente che porta don Pogliani a intraprendere le tante iniziative, anche edilizie. Le difficoltà economiche non lo spaventano. Confessa candidamente, ad esempio, di non aver mai fatto i conti sulle entrate per le celebrazioni; interviene di tasca propria, quando gli è possibile, ma stimola la popolazione e apprezza anche le offerte minime, addirittura di pochi centesimi, come è nel ricordo delle sorelle Stroppi; per cifre maggiori sollecita le Amministrazioni pubbliche, quando ritiene sia loro dovere contribuire. Particolarmente significativa, rispetto all’atteggiamento di altri prevosti di Cesano,  è la decisione con la quale accetta o anche propone smembramenti rispetto al territorio della parrocchia, senza nessuna preoccupazione per diminuzioni di prestigio, ma con specifica attenzione a mantenere il rapporto con gli abitanti.

Muggiano, in particolare, comune autonomo nei primi dell’Ottocento, poi assorbito nel comune di Baggio, era un’importante frazione, il cui cappellano aveva una funzione un po’ particolare tra il clero della parrocchia di Cesano [2]. Anche a Muggiano si andava ponendo con urgenza il problema dell’ampliamento della vecchia chiesa-Oratorio.

“Lo stiparsi, il pigiarsi e il conseguente disagio della gente, che accorre alla Messa e relativa spiegazione dell’Evangelo, ed alla Dottrina Cristiana, è tale, che non ci si può formarsene un’idea, che trovandosi frammezzo” [3].  Con questa lettera del 6 settembre 1898, firmata da don Guido Monti e dal coadiutore residente in Muggiano don Saturnino Villa, si esprime la richiesta che venga concesso il terreno necessario, di proprietà della fabbriceria di Cesano. Questa lo concede “di buon animo”, [4] - chi scrive è per altro il prevosto Pogliani - ma richiama anche la popolazione locale all’impegno per il trasporto da Lorenteggio dei 60.000 mattoni necessari e al rispetto di certi pagamenti in passato trascurati. Tra tante iniziative qualche momento di incomprensione era forse inevitabile e, comunque, don Saturnino poté infine rispondere che sabbia e mattoni erano stati trasportati, con l’utilizzo di 7 cavalli.

Toccò al card. Ferrari firmare il decreto di erezione della parrocchia di s. Marcellina in Muggiano, smembrandola con la cascina Gaggia da Cesano e assegnandole una parte dei terreni del beneficio.

Delicato, come altre volte in occasioni simili, il simbolo stabilito dal Cardinale: “ in signum matricitatis” (per indicare che Cesano è chiesa “matrice”) ogni anno nella festa della Natività di s. Giovanni Battista il parroco di Muggiano offrirà una candela di una libbra all’altare della chiesa plebana di Cesano.

La parrocchia di Cesano continuava per altro ad avere un piccolo centro, con i fedeli dispersi nelle frazioni e nelle cascine. Travaglia, Tessera e Cascina Luigia, quest’ultima con 140 residenti nel 1908, sono quelle con la popolazione più numerosa. Tuttavia la frazione che più preoccupa il prevosto è Lorenteggio, che ha poco più di 100 abitanti, ma per la quale si intravede un possibile grande sviluppo, legato all’espansione di Milano.

Mons. Pogliani scrivendo nel 1913 al card. Ferrari, ritiene si debba avviare rapidamente “l’erezione di una chiesa in questa località, che è destinata a presto contare 2 o 3 mila e forse non tardi anche parecchie migliaia di più” [5]. Già si sta interessando per il terreno, che - osserva - i padroni del fondo potrebbero concedere gratuitamente “perché una volta fatta la Chiesa, come consta dall’esperienza, i fondi circostanti crescono di valore”. Ci appare qui un mons. Pogliani di nuovo molto attento e attivo; ma, nonostante un atteggiamento favorevole del Cardinale, la questione rimase sospesa.

Mons. Vignati cercò una soluzione diversa, insistendo a più riprese tra il 1923 e il 1930 perché il Comune di Milano, che nel frattempo aveva assorbito Baggio e Muggiano, raggiungendo i confini attuali, si estendesse anche a comprendere Cesano Boscone, oltre a Corsico e Buccinasco. La parrocchia, infatti, si addentrava  nel Comune di Milano, con le frazioni di Garegnano, Lorenteggio e stazione di s. Cristoforo, fino ai numeri 193 e seguenti di via Solari [6].

Ogni domenica mons. Vignati si recava con un landò nella chiesetta della Madonna delle Grazie, al Lorenteggio, sulla via per Robarello, per celebrarvi la Messa e nel 1930 fu stabilito che vi si celebrassero anche i funerali, per evitare il lungo tragitto fino alla parrocchiale di Cesano Boscone. Non si giunse tuttavia all’annessione di Cesano al Comune di Milano e, in proposito, anche l’analoga richiesta avanzata dal locale Comitato di Liberazione a fine guerra venne lasciata cadere.

La vicenda del Lorenteggio fu risolta da un decreto del card. Schuster del 15 dicembre 1940, con il quale veniva assunto l’impegno di erigere la chiesa di s. Sebastiano, distaccando l’area del Lorenteggio dalle parrocchie cui essa apparteneva. Nel frattempo le funzioni religiose avrebbero continuato a svolgersi  “nell’Oratorio della Madonna delle Grazie e in quello di s. Carlo alla cascina Corba e in edifici che provvisoriamente siano adattati  a tale scopo”.

Dai confini parrocchiali di s. Giovanni Battista il territorio di Milano sarà totalmente escluso nel 1958, quando la Cascinazza verrà stralciata per essere aggregata alla parrocchia milanese della Madonna dei poveri.

Le due guerre

Era abitudine di mons. Pogliani distribuire un’immaginetta a ricordo della Comunione Pasquale. Quella per il 1915 riporta l’immagine di un soldato, con l’invocazione “Cuor di Gesù, salvezza di chi in Te spera, speranza di chi in Te muore”. Ad essa si aggiunge la preghiera del papa  Benedetto XV, con l’invocazione a implorare dal Cuore di Gesù “la cessazione dell’immane flagello”.

Di lì a poche settimane, con l’entrata in guerra dell’Italia, anche Cesano avrebbe avuto i suoi soldati al fronte. Molti non torneranno: il monumento collocato dapprima sulla piazza tra il Comune e il sagrato, poi trasferito in via della Repubblica con la costruzione del nuovo Comune, registra i nomi di trentuno caduti per la prima guerra mondiale e di altri 20 per la seconda.

Quest’ultima, che pur vedeva 198 cesanesi sotto le armi nell’agosto 1942, coinvolse più direttamente la stessa popolazione civile, specie a partire dal 1943, quando iniziarono i bombardamenti su Milano. Il prevosto Caldirola annota sul Chronicon le sue impressioni, ma soprattutto registra gli effetti di incursioni che hanno coinvolto Cesano. Nell’incursione del 13 agosto 1943 un aereo colpito si è liberato del suo carico di bombe proprio su Cesano, distruggendo la casa Tagliabue, “la più bella del paese”, con il salumificio e una casa colonica e dei rustici delle famiglie Marazzi e Pirovano. Il 16 agosto cadde una bomba presso la cascina Persa, probabilmente nel tentativo di colpire la contraerea, collocata di fronte a Cascina Luisa. In paese si ebbe una gran quantità di vetri rotti per lo spostamento d’aria e anche la chiesa riportò la rottura dei vetri. Un ulteriore episodio si ebbe nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1944, quando un solo aereo sganciò un grappolo di bombe addirittura sul centro del paese: due bombe caddero sulla chiesa, una sul campanile, altre nei cortili e sui locali adiacenti. Don Caldirola parla di 21 bombe di piccolo calibro, che non causarono vittime, ma provocarono gravi danni al tetto e all’interno della chiesa e del campanile [7].

Alle sofferenze della guerra si aprì in particolare l’ospizio Sacra Famiglia, che si prodigò per accogliere chi in vario modo  si trovava in difficoltà per le vicende belliche. Un’iniziativa particolare fu rivolta a sacerdoti e politici condannati per il loro antifascismo negli anni dell’R.S.I.

Mons. Moneta, con il discreto appoggio del card. Schuster, aveva ottenuto che l’istituto di Cesano potesse costituire un campo di raccolta, nel quale vennero ospitati più di una cinquantina di politici e una trentina circa di sacerdoti, che venivano così sottratti al rischio di persecuzioni e deportazioni [8]. Vi erano tra essi un medico americano, esponenti del partito socialista di Como, il segretario dell’arcivescovo di Torino, mons. Barale, l’arciprete di Stresa. La popolazione di Cesano vedeva talvolta qualcuno di loro uscire dalla casa Divin Redentore e affacciarsi sulla piazza del paese, osservandoli con la curiosità che si riserva agli sconosciuti.

Si restava, invece, più impauriti dalle iniziative della milizia fascista: in zona mostrava una certa attività il gruppo della Resega (così chiamato dal nome del Federale di Milano Aldo Resega, ucciso dai partigiani), che effettuava controlli e ricercava i giovani che non si erano presentati alla chiamata alla leva della repubblica sociale. Uno di questi, vedendo i militi mentre si recava in chiesa, si diede alla fuga verso la corte dei Galli, in vicolo Cortuccio: si sparò qualche colpo e ci fu un inseguimento, ma il giovane non fu trovato [9].

La fine della guerra vide sia alla S. Famiglia, sia nel prevosto la preoccupazione di evitare ulteriori violenze. All’ospizio trovarono allora rifugio per diverso tempo coloro che erano stati dalla parte dei persecutori, ma ora apparivano a loro volta a rischio di punizioni e violenze, “e le scuole della Sacra Famiglia ebbero un numero rilevante di bimbi di questi perseguitati” [10].

Per il paese don Caldirola osserva che si ebbero “dei fascisti cazzottati e due donne rapate”. Subito dopo registra però un fatto assai più drammatico: la notte tra il 21 e il 22 maggio dei partigiani di Baggio, forse messi sull’avviso da alcuni cesanesi, arrestarono e fucilarono dopo un processo sommario quattro militi della Resega, che alla fine della guerra erano tornati nelle loro case di Cesano. Nel riportarne i nomi e l’età, compresa tra i 18 e i 22 anni, il prevosto aggiunge un’espressione di condanna per questo gesto, che a suo giudizio non faceva che proseguire nella spirale della violenza [11].

La festa del reduce, abbinata nell’ottobre del ’45 alla festa della Madonna del Rosario e alla ripresa della sagra del paese, costituì invece un momento di solidarietà nell’ambito di una sentita testimonianza religiosa. Un contributo fu raccolto per ciascuno dei 76 partecipanti alla giornata e soprattutto per le famiglie dei 46 prigionieri e reduci non ancora rientrati, dei due dispersi, dei caduti e per un mutilato che aveva perso il braccio destro.

Per i caduti di tutte le guerre sarà benedetto un sacrario nel cimitero il 24 maggio del 1959: la giunta dell’epoca aveva destinato a questo scopo  la cappella cimiteriale donata dalla famiglia Ticozzi.


Un cristianesimo militante

Se ancora mons. Vignati poteva annotare che in occasione delle visite pastorali solo pochissimi tra gli abitanti della parrocchia non si erano accostati ai Sacramenti, le puntigliose statistiche che don Caldirola  comincia  a raccogliere dal 1942 mostrano come la pratica religiosa non si potesse ormai più dare  per scontata, in particolare tra gli uomini adulti.

Il desiderio di tornare alla gioia di vivere, con le ovvie manifestazioni di giubilo e di libertà per la fine della guerra, viene da lui visto con la preoccupazione di chi avverte che qualcosa sta cambiando nei rapporti tra la parrocchia e la popolazione. “Si balla dì e notte”, scrive a testimonianza del venir meno di regole antiche, e commenta: “Il cristianesimo si fa militante”.

In realtà le condizioni economiche e sociali di Cesano nei primi anni del dopoguerra non hanno cambiamenti improvvisi. L’agricoltura è ancora un’attività importante e le stalle restano ben presenti all’interno del paese. Va invece spegnendosi a poco a poco l’allevamento dei bachi da seta, mentre una coltivazione specializzata è quella costituita dagli orti, che forniscono le verdure al grande mercato di Milano. I salumifici Capra e Tagliabue danno lavoro solo a qualche decina di operai e perciò molti continuano a fare i pendolari verso Corsico e soprattutto verso Milano: il mattino via delle Forze Armate si riempie delle biciclette e solo qualche anno dopo delle prime Vespe e Lambrette di chi si reca in città.

Il calo della pratica religiosa, per altro, come si è visto, già ampiamente iniziato nel corso della guerra, viene collegato con la propaganda svolta dal partito comunista e dai suoi alleati.

L’anticomunismo militante diventa così una componente fondamentale dell’attività di molte parrocchie e Cesano certo non si sottrae a tale clima generale.

Le elezioni amministrative del 1946 danno il 6 0% dei voti alla lista socialcomunista e il 40% alla democrazia cristiana. Questi invece i risultati del referendum e delle elezioni per la costituente riportati sul Chronicon: 1088 voti per la repubblica e 665 per la monarchia; 690 voti alla D.C., 628 ai comunisti, 320 ai socialisti. Il prevosto commenta: “Se è stato salvato l’onore delle armi, il merito va all’apporto dei voti dell’ospizio S. Famiglia. La popolazione cesanese, come del resto tutta la Bassa, ha offerto uno spettacolo pietoso di dedizione alle ideologie estremiste. Una cosa da piangere”.

Anche per le elezioni politiche del 18 aprile 1948 viene sottolineata la differenza tra il paese e l’Ospizio: in paese la D.C. ha ottenuto 349 voti, il fronte socialcomunista 754; il totale ha invece dato 1140 voti alla democrazia cristiana e 895 per il fronte, senza contare i voti per i partiti minori, in quanto gli 800 elettori dell’Ospizio hanno votato quasi compatti per la democrazia cristiana.

Si colloca in questo contesto di scontro ideologico la polemica in cui fu coinvolto mons. Moneta e, più in generale, l’atteggiamento della prima amministrazione social-comunista nei confronti dell’Ospizio. L’episodio più clamoroso è un indice significativo del clima che precedette le elezioni dell’aprile del ’48. Un sacerdote, don Perniceni, confinato con gli altri proprio all’Ospizio durante la guerra, aveva lasciato la tonaca e si era dato alla politica a sostegno del fronte delle sinistre. Don Moneta volle incontrarlo nel palazzo comunale di Cesano per dissuaderlo da questo atteggiamento, ma ne uscì poco dopo senza aver ottenuto nulla. Mentre don Moneta tornava all’Ospizio si ebbero in piazza degli scontri, benché lo stesso don Perniceni dal balcone del Comune ne avesse lodato la figura di prete povero, che si prodigava per i ricoverati. L’Unità pubblicò due articoli nei quali si attribuiva a mons. Moneta la responsabilità delle violenze e lo si chiamava “borsanerista”. Duecentocinquanta cesanesi firmarono invece una lettera con la quale chiedevano all’Amministrazione comunale di far effettuare una precisa rettifica e a sua volta mons. Moneta querelò L’Unità per diffamazione. Ne seguì un processo: il 19 ottobre 1949 L’Unità pubblicava una piena smentita del contenuto dei due articoli e la querela veniva ritirata. Con l’Ospizio, per altro, il Comune aveva già avuto degli screzi a proposito dei dazi comunali e dei sussidi che il Comune aveva fatto mancare già dal giugno 1946 [12].

L’episodio è commentato anche dal prevosto, che ne approfitta per ribadire quel giudizio severo sui partiti di sinistra, del resto coerente con le condanne delle gerarchie ecclesiastiche che giungeranno ad utilizzare in proposito l’arma della scomunica. Nel liber chronicus di Cesano, per altro, appare evidente come tale condanna sia connotata da una forte tensione religiosa.

Le cifre delle elezioni sono giudicate “indice pauroso della defezione da Cristo delle gran masse cesanesi” e, in effetti, la presa di posizione politica appare piuttosto  come un aspetto della più grande preoccupazione per il venir meno della pratica religiosa e per un orientamento morale che dà l’impressione di tener  meno conto dell’insegnamento della Chiesa.

 ad assistere al passaggio da una pratica religiosa accettata come pacifico comportamento di massa a una situazione in cui la stessa diviene una scelta. Il calo della frequenza alla Messa festiva, che nel 1961 vede una partecipazione che supera di poco il 20% della popolazione, è solo l’indice più evidente. Anche i due oratori, maschile e femminile, mantengono sì una presenza massiccia di bambini e bambine, ma i ragazzi e le ragazze più grandi “preferiscono godersi la loro libertà”. Sono lontani i tempi in cui mons. Vignati predicava con forza dal pulpito, perché poche ragazze di Cesano andavano a Baggio a ballare la domenica pomeriggio invece di venire a dottrina!

Un segnale ancora più profondo, rispetto al quale don Caldirola mostra una preoccupazione vivissima, è costituito dalla scelta di alcune coppie di sposarsi con la sola cerimonia civile o di convivere e dal mancato battesimo di quattro bambini, anche a distanza di qualche anno dalla nascita. Il sacerdote sembra animato in proposito da un’ansia particolare, che lo porta a visite frequenti ad alcune di queste famiglie; tuttavia segnala anche la necessità di usare “molta cautela” e osserva come una mamma “stia all’erta”, perché gli altri bambini “non scherzino” il proprio figlio non battezzato, come a volte purtroppo i ragazzi tendono a fare con chi è percepito come diverso [13].

In ogni caso la pastorale parrocchiale, sulla scia delle indicazioni diocesane e della Chiesa universale, tende a proporre un modello cristiano forte. L’Oratorio, l’istruzione religiosa - con particolare attenzione all’insegnamento scolastico - la predicazione e l’assiduità alla preghiera e ai Sacramenti, le associazioni di ragazzi e adulti - prima fra tutte l’Azione Cattolica - ne sono considerati gli elementi ordinari. A ciò si aggiunge un impegno particolare a riannodare i contatti con il mondo del lavoro, che si esprime con l’organizzazione di una settimana sociale e trova un proprio strumento nella presenza delle ACLI, che aprono in Cesano una loro sezione nel 1946.

Sono per altro significativi alcuni momenti straordinari.

Va letto in tal senso, ad esempio, l’entusiasmo per la celebrazione della prima Messa nel 1946 da parte del giovane cesanese don Renato Poiraghi, tanto più che, a memoria del vecchio sagrestano pa’ Vico, non c’era un novello sacerdote a Cesano da almeno due secoli. La parrocchia festeggiò una nuova prima Messa nel 1954 con don Enrico Casati e nel 1972 con padre Giuseppe Rinaldi, un cesanese quest’ultimo immigrato dal Veneto, come tanti in quegli anni.

Nel giugno del 1948 si ebbe il passaggio della Madonna Pellegrina: accolta alla cascina Luisa, la statua fu portata in processione per via Roma e via Principale (ora via Dante) e fu collocata nella chiesa parrocchiale la sera della domenica 13. Nei due giorni successivi i riti si alternarono con altre processioni alle cascine Tessera e s. Carlo e tra gli operai dei salumifici Capra e Tagliabue. La sera del martedì, passando per il quartiere delle Villette e  via Monegherio, la Madonna giunse alla s. Famiglia. Lo scritto di don Caldirola rivela entusiasmo e commozione, frenati però dal fatto che è mancato il grande concorso ai Sacramenti.

Una ulteriore iniziativa straordinaria era la predicazione in parrocchia delle Missioni, già effettuata nel 1928 e ripresa nel 1950 e poi nel 1960. Si trattava di predicazioni straordinarie, affidate ai padri del Santuario di Rho, con l’intento di dare una scossa alla vita religiosa del paese. Nel 1960 la parrocchia contava ormai 4000 abitanti (5000 il Comune) e la metà dei cesanesi rispose all’invito della grande scritta posta all’ingresso del sagrato: “Tutta Cesano alla Missione”.

Si era a quindici anni dalla fine della guerra: le tensioni dei primi periodi si erano andate attenuando, ma immutato restava il desiderio di annunciare a tutti il messaggio cristiano. A tale desiderio il Concilio ecumenico Vaticano II avrebbe dato nuovo stimolo e nuove forme [14].

Abbellimenti, ampliamenti, restauri nella nuova parrocchiale

Ci si limiterà in questo paragrafo a una sorta di cronistoria, mentre una descrizione più analitica della chiesa di s. Giovanni così come adesso si presenta viene rimandata a un capitolo apposito.

Il tempio consacrato nel 1899 era inevitabilmente semplice e spoglio. Si pensò subito, per altro, di abbellirlo come si conviene a una chiesa, che anche nell’aspetto esteriore deve costituire un richiamo alla santità di Dio.

Già nel 1901 il presbiterio si arricchì di due grandi tele commissionate al pittore Pietro Giustiniani da Subiaco, con il tema di Cristo giudice e Cristo giudicato [15].

Pochi anni dopo, nel 1906, si provvide alla sistemazione degli altari laterali, costruendo due cappelle: la cappella della Madonna, con la creazione di una profonda sporgenza ricurva nel muro settentrionale realizzata a spese del coadiutore don Giuseppe Sisti; quella del s. Cuore meno profonda e dirimpetto alla precedente, a spese del prevosto. Contemporaneamente fu commissionato al pittore cav. Eugenio Cisterna di Roma la decorazione dell’abside con il presbiterio e quella delle cappelle: l’opera fu eseguita tra il 1906 e il 1908, ancora a spese del prevosto, salvo che per la cappella della Madonna, per la quale provvide il consorzio delle donne [16].

L’abbellimento della chiesa venne sostanzialmente completato nel 1922, quando il pittore G.B. Femoli fu chiamato a eseguire gli affreschi delle navate in occasione dell’ingresso del nuovo prevosto, Edoardo Vignati; nel 1928, per il XXV di sacerdozio dello stesso prevosto, fu realizzata la facciata, che venne benedetta nello stesso anno dal card. Tosi, in visita pastorale [17].

Accanto alla chiesa era stato costruito il campanile, per il quale vennero rifuse le cinque vecchie campane: fu realizzato così nel 1899 un nuovo castello con un nuovo concerto (in Re maggiore), a cura della ditta Barigozzi. Nel 1937 si dovette rifare la cupola per un’infiltrazione d’acqua e durante la guerra due campane vennero requisite. Il campanile riebbe le sue cinque campane nel 1951 [18].

L’abbattimento della vecchia chiesa comportò anche l’abbandono dell’antico organo Prestinari, che venne “scomposto”, come dice il prevosto Pogliani nel 1900, cioè di fatto disperso, spezzettandolo in diverse parti. In chiesa era stato collocato un semplice armonium, finché fu realizzato anche il nuovo organo, tra il 1912 e il 1913, a cura della ditta Inzoli di Crema. A sostegno della cantoria furono fissate in fondo alla chiesa due colonne, assorbite nella bussola coi restauri del 1996 [19].

Nella chiesa completata si ebbero naturalmente dei restauri periodici. Particolarmente rilevanti quelli effettuati tra il giugno del 1943 e il settembre 1944, quando era prevosto don Caldirola. Per la parte decorativa ci si affidò al pittore Bastian Barozzi di Trevisago, che, a giudizio del prevosto, si rivelò buon restauratore, ma cattivo “affreschista”. Nel segnalarne i lavori don Caldirola descrive analiticamente la chiesa dell’epoca: la volta, il disegno dell’abside, le grandi tele del presbiterio, le fiancate della chiesa, con le tele degli evangelisti. Direttamente il Barozzi dipinse la cantoria e affrescò la cappella della Madonna, realizzandovi le apparizioni di Caravaggio e di Fatima, con esiti per i quali il Caldirola, giudicandoli del tutto infelici, ci lascia un commento desolato. Così dopo non molti anni la cappella è stata di nuovo intonacata, cancellandovi non solo il lavoro del Barozzi, ma anche i dipinti del sottarco, che rappresentavano i misteri del Rosario.

L’immediato dopoguerra richiese di intervenire sulle necessità più impellenti: vetri che mancavano, tetti da rifare, l’organo sconquassato dagli spostamenti d’aria per le bombe.

Nel 1946 le impannate di compensato che ancora chiudevano le finestre dell’abside lasciarono il posto a vetrate istoriate dai fratelli Foglia, che tuttavia vi rimasero per un tempo brevissimo: una furiosa tempesta di vento nel febbraio 1948 scoperchiò parzialmente il tetto dell’abside e sfondò le nuove vetrate, che furono sostituite da modestissimi vetri colorati. Nel 1949 fu sistemato il piazzale; mentre altri guai furono provocati da una scossa di terremoto nel 1951.

Ancora degli interventi di rilievo furono effettuati nel 1960, quando venne posato un nuovo pavimento, donato alla parrocchia dal comm. Giromini, il costruttore nativo della cascina Tessera, che nel 1965 realizzò anche il palazzo comunale, con i portici e l’edificio civile antistante, dando così nuova configurazione all’area che sta accanto e di fronte alla chiesa. In questa stessa occasione il monumento ai caduti, che stava presso il sagrato, ebbe la nuova collocazione all’inizio di via della Repubblica. Già nel 1960, invece, fu collocata la nuova mensa marmorea dell’altare, progettata dall’arch. Giancarlo Malchiodi, e furono sistemati balaustre e gradini; sotto l’altare si scoprì allora una cavità nella quale nel 1995 sono state deposte molte delle ossa emerse con l’ultimo scavo. L’altare fu consacrato il 30 aprile 1960 da mons. Pignedoli.

Infine nel 1962, per i settant’anni di don Caldirola, la parrocchia decise di regalare alla chiesa una nuova via Crucis, con quadri in legno, intagliati da Francesco Comploj, artista di Ortisei [20] (una vecchia via Crucis era stata benedetta da don Pogliani nel 1892, su autorizzazione dell’arcivescovo di allora, mons. Nazari di Calabiana).

Nella chiesa fin qui descritta, per altro, vi erano elementi ora scomparsi, pur tuttavia legati alla sua storia e, in particolare, alla liturgia preconciliare. In una fotografia per un matrimonio celebrato nel 1949 appare, in effetti, il pulpito in legno di noce, nell’angolo tra presbiterio e navata, sul quale il sacerdote saliva per essere ben visibile e per poter far udire chiaramente la sua voce. L’altare, con la doppia funzione di mensa per la celebrazione e di tabernacolo per la conservazione dell’Eucaristia, è ornato dai reliquiari argentati e da due angeli, e separato dal coro da un grande tessuto, detto padiglione o moschetto. Il presbiterio è chiuso dalle balaustre di marmo, alle quali i fedeli si accostavano per ricevere in ginocchio la Comunione.

Va ricordato come la liturgia, rigorosamente in latino, sottolineasse la sacralità dei riti e preferisse una marcata separazione tra il sacerdote e i fedeli. Anche il fasto, che in alcuni casi era legato addirittura alle diverse classi con le quali si effettuavano le celebrazioni, tendeva a suggerire il riferimento alla grandezza trascendente del sacro. Ne erano segni distintivi la solennità del preciso cerimoniale e gli stessi paramenti della chiesa e del clero. Ora può essere visto come un particolare curioso ricordare come il prevosto, nelle feste maggiori, indossasse la cappa magna e reggesse il lungo bastone con globo detto ferula: erano il segno della dignità prepositurale e don Caldirola fin dal suo primo arrivo li lasciò in eredità alla parrocchia, insieme con un calice. La ferula è ora nell’ingresso della canonica, il calice tra gli arredi liturgici.

La riforma del Concilio Vaticano II ha riportato in primo piano la partecipazione dell’assemblea e ha eliminato quelle usanze che costituivano evidenti anomalie: tra esse il pagamento di tariffe differenziate, in luogo delle quali si procede ora a libere offerte, mentre nei riti si tende a dar valore al simbolismo profondo, piuttosto che agli apparati esteriori. Oggi, tuttavia, si giudicherebbe con occhi diversi il frettoloso smantellamento, negli anni del post-Concilio, di pulpito e balaustre e anche di altri elementi dell’arredo liturgico, che pur costituivano una testimonianza degna di attenzione

La dolorosa scomparsa di un trittico

Né i quadri né la statua di s. Antonio descritti per la visita del card. Pozzobonelli sono attualmente conservati nella chiesa di s. Giovanni Battista.

Il primo accenno a dipinti che potrebbero corrispondere a quelli attuali si trova in un registro patrimoniale del 1936, dove come oggetti preziosi vengono indicati tre quadri provenienti dall’ex-convento di Lorenteggio [21]. In una nota pubblicata sul quotidiano “L’Italia” il 29 luglio 1940 per la visita a Cesano del card. Schuster, si mette invece in rilievo una tela rappresentante s. Francesca Romana.

Di un quinto quadro il prevosto Caldirola dice nel 1944 che è “affetto da una specie di lebbra e condannato a una inevitabile consunzione”. Rappresentava la Presentazione di Gesù al Tempio o - stando all’inventario dello stesso anno - la Circoncisione. In ogni caso se ne sono perse le tracce. Così è descritto nell’inventario del 1944: “ Da sinistra avanza il sacerdote in paramenti e mitrato, cui la Vergine in manto azzurro presenta il Bambino. In secondo piano s. Giuseppe e altri assistenti. In primo piano un giovane, da tergo, inginocchiato” [22].

Più rocambolesca la perdita di un affresco cinquecentesco, a cui accenna mons. Vignati nel questionario per la visita del card. Tosi del 1928 come a “dipinto luinesco (?) … della vecchia chiesa” [23]. L’attribuzione dubitativa di don Vignati alla scuola del Luini viene facilmente ripetuta e appare senza il punto di domanda nell’articolo de L’Italia citato sopra.

La storia di questo trittico è narrata accuratamente da don Caldirola nell’ultimo testo da lui scritto sul Chronicon, il 6 novembre 1962. Delle dimensioni di mt. 1,70 x 0,80, l’affresco era venuto in luce durante i lavori di demolizione della vecchia chiesa. Rappresentava s. Giovanni Battista, s. Antonio abate e s. Stefano ed era stato considerato di probabile scuola luinesca dalla Soprintendenza alle Belle arti.

Durante l’ultima guerra l’intonaco, forse a causa dei bombardamenti, aveva mostrato dei buchi e don Caldirola concordò con il pittore Barozzi, che allora stava decorando la chiesa e che aveva assicurato di conoscere la tecnica richiesta, che l’affresco fosse riportato su tela.

Il Barozzi eseguì la prima parte dell’operazione - riporto a rovescio -, ma non la completò per circa un anno, forse perché non sicuro del fatto suo, finché improvvisamente morì. Don Caldirola si rivolse allora al pittore Galli, che aveva affrescato la chiesa di Settimo: costui non seppe eseguire il riporto a regola d’arte e provocò cadute di colore. Dopo essersi inutilmente  rivolto a una pittrice di Brera per un restauro, visto che la caduta di colore continuava, il Caldirola accettò di consegnare il quadro a un antiquario, che si disse sicuro di salvarne almeno una parte, ma che intanto gli chiese addirittura un prestito per svincolare mobili antichi dal dazio di Cesano. Telefonò qualche giorno dopo per dire che il quadro era un rottame...

Casualmente ne è rimasta traccia nella già ricordata fotografia del 1949. L’affresco era stato rinvenuto sulla parete destra, sul muro appartenente all’antica chiesa e incorporato nella ricostruzione ottocentesca, ora in parte visibile nel nuovo battistero. Nel 1949, riportato su tela, era invece collocato sulla parete sinistra. I santi vi erano rappresentati frontalmente, con figura a tre quarti. L’inventario del 1944, dal quale sono ricavate queste notizie, così li descrive: “S. Antonio si appoggia al bordone da pellegrino; s. Stefano regge il libro; s. Giovanni Battista spiega un cartiglio” [24].

Un immenso cantiere

La cronaca stesa da don Caldirola assume talvolta gli accenti di un diario dalla dimensione profondamente umana: vi si legge della morte della mamma, di momenti di malattia, dell’invito, rivolto a se stesso al compimento dei 70 anni, a reclinare la testa “con quella di Gesù”. Umanissimo è l’addio che rivolge ai parrocchiani dalle pagine de “La Campanella”, il foglio informativo di quegli anni, nel comunicare la decisione di lasciare Cesano Boscone e ritirarsi a Pietra Ligure per malattia: “Credevo di lasciarvi soltanto alla mia morte. E invece vi lascio da vivo...”

Don Caldirola rinunciava alla parrocchia il 28 novembre 1962 e subito gli subentrava don Carlo Giovenzana che così iniziava il suo discorso nel solenne ingresso ufficiale del 12 maggio 1963: “La prima impressione di chi abborda, per poi entrare in Cesano, è quella di trovarsi di fronte a un immenso cantiere...”.

L’immigrazione in realtà era già iniziata negli anni precedenti: arrivavano a Cesano famiglie provenienti soprattutto dal nord-est e nuove costruzioni avevano interessato le zone di via Roma e via Libertà, così che al censimento del 1961 si erano raggiunti i 6000 abitanti. Fu però negli anni successivi che lo sviluppo assunse un ritmo addirittura frenetico.

Se le vie del centro si infittivano di case e palazzine, ai bordi del paese si andavano progettando e realizzando con rapidità interi quartieri: il quartiere Giardino, con la tenace iniziativa del costruttore Rancilio, il quartiere Tessera, e, più tardi, il Lavagna, - sorto sì sul territorio di Corsico, ma di fatto intrecciato con quello di Cesano - che inglobarono con i loro grandi palazzi campi e vecchie cascine, per rispondere rapidamente alla fame di case di un’immigrazione imponente, che ora veniva prevalentemente dal sud.

Esplose la carenza di servizi: si trattava di ripensare tutto il sistema di collegamenti, soprattutto con Milano e di creare quasi dal nulla le strutture più indispensabili per rispondere ai bisogni più essenziali.

Vi furono contrasti e scontri che culminarono nel 1969-70 con il clamoroso abbattimento promosso dall’Amministrazione comunale di alcune mansarde del Giardino, giudicate abusive: ne seguì un lungo contenzioso, prima di poter ristabilire una situazione normale.

I problemi si accavallavano e, forse inevitabilmente, si finiva piuttosto per rincorrerli. L’intervento pubblico interessò anzitutto le scuole: dalle materne, alle elementari, alle medie, fino alle superiori dell’onnicomprensivo di viale Italia, sia pure con momenti di affanno, si andò man mano creando una rete di edifici che consentì di abbandonare le prime avventurose sistemazioni in scantinati e negozi.

Alle aule si affiancarono le palestre, che consentirono anche lo svolgimento di attività sportive extra-scolastiche e quindi il sorgere di società sportive, che svolsero un ruolo molto significativo rispetto ai bisogni dei ragazzi e dei giovani. I nidi per la prima infanzia e qualche spazio verde ricavato tra le case almeno in parte alleviarono l’ansia delle giovani coppie, alla ricerca di una non semplice composizione tra le esigenze dei figli e quelle del lavoro. Appesantito quest’ultimo dal faticoso pendolarismo verso Milano o altri paesi: la Sacra Famiglia, gli enti pubblici, le rare industrie e il tessuto artigianale e commerciale non bastavano a dar lavoro a tutti i cesanesi [25].

In questo contesto anche la parrocchia dovette affrontare difficili problemi e le sue strutture furono effettivamente coinvolte nelle rapide trasformazioni del paese.

a) La scuola materna delle suore di Maria Bambina

svolse una preziosa funzione, che, negli anni  ‘70, quando la natalità raggiunse i picchi più elevati, portò i genitori a lunghe file per cercare di iscrivervi i propri bambini.

b) L’Oratorio

Secondo una caratteristica ben radicata nella diocesi ambrosiana, già negli anni precedenti aveva ricevuto grande attenzione. Dopo gli inizi con mons. Pogliani, vi erano stati interventi e ampliamenti, lungo il corso di due generazioni, con la realizzazione di campi da gioco e di luoghi per l’istruzione  religiosa e il ritrovo. Nel salone, in particolare, capace di quasi duecento posti, già nell’immediato dopoguerra ben due compagnie teatrali erano in grado, alternandosi, di garantire la rappresentazione di uno spettacolo diverso ogni mese. In questo stesso ambiente si ebbero le prime proiezioni cinematografiche di Cesano. La costruzione di qualcosa di nuovo, un piccolo bar, piuttosto che il muro di cinta, vedeva la partecipazione attiva dei ragazzi, che venivano direttamente impegnati nei lavori più semplici, ma più faticosi, anche per ridurre le spese.

L’ingrandirsi del paese e il conseguente crescere enorme del numero dei bambini e adolescenti imposero nuove trasformazioni. All’Oratorio si svolgevano infatti sia la fondamentale attività catechistica e di formazione, sia iniziative finalizzate allo stare insieme anche nello svago, che nei mesi estivi sfociavano nell’Oratorio feriale e nell’organizzazione di campeggi e soggiorni di vacanza. Ai piccoli interventi quasi di routine - gli spogliatoi, la tettoia - si aggiunsero le più impegnative ristrutturazioni che ricavarono dal vecchio salone un saloncino tuttofare, utilizzato tra l’altro per un fin troppo vivace “baby cinema” [26] e un ritrovo giovanile, completati nel 1971. Spazi ulteriori si ebbero con il trasferimento nella nuova canonica dell’abitazione del coadiutore, mentre la sistemazione di un regolare campo da calcio sul terreno retrostante alla chiesa consentì la partecipazione di squadre di Cesano ai diversi campionati in anni nei quali non esistevano altri campi.

Un ultimo grande intervento fu realizzato nel 1986-87, con la costruzione di un edificio a più piani a ridosso del municipio, con un salone-bar e altri ambienti, fino all’aula s. Michele e alla cappella del sottotetto. Al piano terreno i vecchi locali vennero riadattati per la comunità giovanile e il circolo famigliare, mentre all’aperto furono realizzati i campi da basket e pallavolo.

“Spronato dall’entusiasmo giovanile del nuovo coadiutore”, affermava don Caldirola per dei lavori effettuati nel 1948, con una frase che si può estendere più in generale alle caratteristiche dell’Oratorio e al compito che esso ha di educare e di rendersi disponibile per le esigenze dei gruppi, non solo di giovani, che man mano si vanno costituendo. Tante persone vi hanno lavorato e vi lavorano: i giovani stessi, dei laici adulti, le suore di Maria Bambina, a lungo responsabili dell’Oratorio femminile e tuttora presenti nell’organizzazione attuale. Il punto di riferimento è stato però costituito dai giovani sacerdoti ai quali l’Oratorio era stato affidato come primo impegno del loro ministero. Molti hanno un ricordo ancor vivo quanto meno dei coadiutori che si sono succeduti nel dopo guerra: don Carlo Elli, don Carlo Tornaghi, don Peppino Ponti, don Luigi Lesmo, don Desiderio Vaiani, don Fidelmo Xodo, don Savino Gaudio (che potè dedicarsi intensamente alla comunità di Comunione e Liberazione),  fino a don Giovanni Confetta, che nel 1998 ha lasciato il posto a un nuovo “don”, il sacerdote novello don Alessio Bianchi.

Per altro la presenza di scuola materna e Oratorio era caratteristica comune  a molte parrocchie; due ulteriori realtà, la Casa Alpina e il Cristallo sfociarono invece in iniziative per molti versi originali.

c) La Casa alpina di Champorcher

in val d’Aosta era un edificio di fatto abbandonato, di proprietà di quella parrocchia. “Con un lavoro di mesi, con la generosità di molti, l’”eroismo” di alcuni e la felicità di tutti” [27] è stata ristrutturata per consentirne l’utilizzo da parte della parrocchia di s. Giovanni Battista. A partire dall’estate 1973 quest’ultima ha così potuto proporre vacanze organizzate a ragazzi e famiglie e sviluppare iniziative che estendevano le attività di diversi gruppi parrocchiali. Con l’Oratorio, in particolare, la Casa alpina manteneva un legame privilegiato, contribuendo anche economicamente alle sistemazioni edilizie di quegli anni. I rapporti con la parrocchia di Champorcher furono regolati da un contratto d’affitto stilato con il locale parroco don Eliseo Gerbaz e successivamente confermato a condizioni molto favorevoli. E’ pur vero che l’edificio è stato man mano trasformato: negli ultimi anni in modo addirittura radicale, perché nel settembre 1993 un’alluvione travolgeva una parte della casa. La felice collaborazione Cesano-Champorcher consentiva per altro di ripristinarla rapidamente, così da renderla di nuovo disponibile in poco più di un anno.

d) Il cinema-teatro Cristallo

ebbe una vicenda ancor più complessa [28]. Dopo aver ottenuto il nulla osta per il progetto, si iniziò lo scavo già nel 1962, ma solo nel 1964 venne effettivamente assegnato l’appalto per i lavori di costruzione, che risultarono ultimati entro il 30 dicembre 1966. Nel maggio 1969 vennero concesse le autorizzazioni definitive per l’attività di una sala che si presentasse come cinema industriale e che  alle proiezioni cinematografiche aggiungeva gli spettacoli teatrali, con l’intento di dare respiro più ampio a una struttura che andava ben oltre quelle allora così diffuse negli Oratori della diocesi.

Non era facile tuttavia né la promozione, né la gestione di un’attività tanto complessa e, dopo qualche incertezza, nel 1981 la parrocchia accettò di stipulare un comodato con la cooperativa di laici “Città Viva”. Questo accordo si rivelò fondamentale per una riqualificazione del Cristallo. Non solo, infatti, Città Viva fu in grado di provvedere con continuità alle modifiche e agli ampliamenti che man mano si resero necessari, ma, d’intesa con le parrocchie cittadine, riuscì a caratterizzare il Cristallo come uno dei “nuovi areopaghi”, secondo l’espressione usata dal card. Martini nella sua lettera pastorale “Il lembo del mantello”. Films, teatri, spettacoli musicali e opere liriche costituiscono infatti il tessuto sul quale si innestano incontri e rappresentazioni più specificamente intese  a suggerire un confronto e una riflessione su questioni che la società sente come particolarmente incalzanti. La qualificazione cristiana e il conseguente riferimento ecclesiale che caratterizzano  Città Viva sono così diventati lo stimolo per un approfondimento culturale, al quale viene invitato, ben al di là del semplice ambito locale, sia chi in queste caratteristiche si riconosce, sia chi le avverte, in maggiore o minor grado, come altro rispetto alla propria esperienza.

e) La nuova casa del clero 

e la sistemazione degli edifici che assediavano l’abside della chiesa costituirono un ulteriore impegno edilizio. La casa del clero rispondeva certo all’esigenza pratica di liberare spazio per l’Oratorio, assillato dalle richieste per il catechismo, e di avere locali più adatti di quelli della vecchia canonica, che verrà semplicemente abbattuta. D’altro canto si tendeva anche a stimolare un contatto più frequente tra i sacerdoti, quasi a proporre una visione più comunitaria del loro ministero.

Veniva consegnata nel 1972 [29]. Nell’area retrostante la possibilità di un nuovo alloggio per il sagrestano consentiva di abbattere la vecchia costruzione presso l’abside, mentre più tardi, nel 1983, il pollaio (!) da tempo in disuso, a ridosso della sagrestia, veniva riconvertito in locale per i chierichetti.

f) S. Giustino e s. Ireneo

“Praris, prato del riso perché nella zona si coltivava riso. Il seminterrato che il proprietario del quartiere ing. Gervaso Rancilio ha messo a disposizione gratuitamente ha cominciato a funzionare come cappella l’8.10.1967” [30].

Il semplice biglietto, quasi solo un appunto, di don Giovenzana ci avverte che ancora una volta s. Giovanni Battista era chiamata a essere matrice, non più per nuclei situati tra i campi, ma in un contesto di fitta urbanizzazione, che si sarebbe ulteriormente intensificata negli anni successivi.

Al sotterraneo del Giardino corrispondeva nel giro di qualche mese l’erezione al quartiere Tessera di una chiesa prefabbricata in legno chiamata “oratorium semipublicum” - con effetto leggermente straniante - nel linguaggio curiale della lettera del 12 giugno 1968, con la quale il Vicario Generale mons. Schiavini autorizzava don Giovenzana a benedirla, perché vi fossero celebrate sacre funzioni.

Un ritorno al cristianesimo delle origini, per certi versi. Sarà stata questa la ragione che ha fatto scegliere s. Giustino e s. Ireneo come patroni? Sia il primo, filosofo pagano del II secolo convertito al Cristianesimo e poi martire, sia il secondo, che troviamo vescovo di Lione nel 170, sono studiati come Padri della Chiesa. Le Apologie e il Dialogo con l’ebreo Trifone di Giustino e i libri contro le eresie di Ireneo sono in effetti tra le opere più antiche, che sviluppano nel primo caso un approfondito confronto con la cultura dell’epoca, nel secondo una riflessione di grande respiro, che sa evitare le suggestioni di scelte personali, per ritrovare nel solo Cristo il  cuore della storia umana.

S. Ireneo, in ogni caso, divenne parrocchia nell’agosto 1968 e s. Giustino subito dopo, nel gennaio 1969, con decreto del card. Colombo, che ne definiva il territorio rispetto alle confinanti ss. Pietro e Paolo di Corsico, s. Giovanni Battista di Cesano e, per il Tessera, s. Lorenzo del quartiere Zingone.

Andarvi a messa lasciava nei primi tempi una leggera impressione di sentirsi parte di una comunità forse ancora un po’ spaesata, ma disposta a riconoscersi nella fede cristiana.

Il prefabbricato del Tessera, poi, subì un incendio nell’aprile del ’70, che spinse il parroco ad appendere a un albero l’avviso per gli orari delle Messe, che si celebrarono in una scuola, fino a che non fu apprestato un nuovo prefabbricato in cemento.

Del resto si era vicini alla situazione, per tanti versi precaria, dei due quartieri, nei quali la parrocchia e a volte la stessa casa del parroco costituivano un significativo riferimento sociale.

Furono don Giuseppe Minetti e don Romeo Peja i primi parroci, rispettivamente, di s. Giustino e s. Ireneo, ma, quest’ultimo, in un biglietto di ringraziamento certo non formale, chiama affettuosamente proprio don Giovenzana “primo parroco del Tessera”. In effetti era stato il prevosto di s. Giovanni Battista il primo sacerdote a invitare i fedeli del quartiere alla Messa che vi avrebbe celebrato e a presentare un gruppo di ragazzi per la Cresima al vescovo mons. Giacomo Biffi (il futuro Arcivescovo di Bologna) in occasione della prima festa patronale.

Ora s. Giustino ha una chiesa vasta consacrata l’8 giugno 1984, mentre la comunità di s. Ireneo ha iniziato proprio nel 1998 i lavori per costruire la propria.

All’antica parrocchiale si sono così aggiunte in Cesano due realtà nuove. Insieme le tre chiese propongono non solo la processione del Corpus Domini, quasi riscoprendo una tipica tradizione della pieve; ma soprattutto l’essere comune riferimento per il centro culturale Città Viva e per lo sviluppo di una pastorale unitaria, specialmente giovanile. Una pastorale, quella unitaria, sempre più aperta su un futuro che ormai deve fare i conti con lo scarseggiare del clero.

Dalla Pieve al Decanato

Anche la secolare organizzazione della pieve ha subito cambiamenti, forse in risposta al più diffuso desiderio di partecipazione. Dal Vicario rappresentante foraneo (fuori città) del vescovo, si è passati dal 1971 a un Decano eletto dai propri confratelli a rappresentarne la volontà di comunione tra le chiese locali e, nel Vescovo, con tutta la diocesi.

Esteso inizialmente al sud-ovest di Milano, il Decanato, denominato di Cesano Boscone in quanto qui era la sede della pieve, comprende ora le seguenti parrocchie:

Assago                  s. Desiderio

Buccinasco            s. Adele

Maria Madre della Chiesa (rione Grancino)

ss. Gervaso e Protaso in s. Maria Assunta (Romano Banco)

Cesano Boscone            S. Giovanni Battista

                             s. Ireneo

                             s.Giustino (Cesano e Corsico)

                             Sacra Famiglia (Istituto)

Corsico                 ss. Pietro e Paolo

                             Spirito Santo

                             s. Antonio

Cusago                  ss. Fermo e Rustico

Trezzano sul N.   s. Ambrogio

                             s. Lorenzo (q.re Zingone)

 


[1] La notizia relativa al cavallo è data accidentalmente da don Caldirola all’inizio della parte da lui composta del liber chronicus (APC, cart. 18, fasc.1). La situazione della parrocchia è ricavata dai questionari per le visite del card. Ferrari (APC, 19, 4)

[2] APC, cart. 14, fasc. 4 conserva diversi documenti relativi a Muggiano e alla sua erezione in parrocchia. Il primo riguarda un defunto ed è datato dal Comune di Muggiano, 29 agosto 1835. Tra i documenti successivi vi sono la protesta di don Pogliani alla Giunta Municipale di Baggio, a nome della fabbriceria di Cesano, che sostiene di non poter provvedere alla riparazione dell’oratorio di Muggiano, le cui rendite sono state incamerate dal demanio (1897) e l’autorizzazione dell’arcivescovo Nazari di Calabiana al coadiutore residente in Muggiano a portare la mozzetta (1890). Al di là dei segni onorifici, don Pogliani scrive  poi al sindaco di Baggio, per sollecitarne l’assegno, dovuto al coadiutore don Saturnino Villa (1890).

[3] APC, cart. 14, fasc. 4.

[4] Id., da una minuta di don Pogliani del 26 agosto 1898. Nello stesso fascicolo vi è il decreto del card. Ferrari.

[5] APC, cart. 14, fasc. 4 contiene le minute di lettere inviate da mons. Pogliani al card. Ferrari sulla questione del Lorenteggio; corrispondenze successive, sia di mons. Pogliani, sia di mons. Vignati e il decreto (copia) del card. Schuster che istituisce a Lorenteggi una delegazione arcivescovile (5 dicembre 1940), che dovrà diventare la parrocchia di s. Sebastiano. E’ allegata una planimetria che ne indica i confini e pone il cuore della nuova parrocchia presso via Inganni.

[6] APC, Cart. 20, fasc. 1 raccoglie la corrispondenza di mons. Vignati, con le risposte del Comune di Milano e del prefetto.

[7] L’immaginetta per la Pasqua del 1915 ci è stata indicata da una famiglia di Cesano. Le osservazioni di don Caldirola sono conservate nel Chronicon in APC, 18, 1. Nella stessa cronaca egli presenta la vicenda della mancata annessione a Milano come una fortuna, mostrando quindi un’opinione opposta a quella del suo predecessore.

[8] Cfr. FLORIA GALBUSERA, in Mons. Moneta, o.c. pagg. 185-191

[9] Si tratta di testimonianze raccolte oralmente presso testimoni oculari. Per altro il giovane in questione, Migliavacca, morì poco tempo dopo

[10] F. GALBUSERA, o.c., pag. 189. Questo aspetto nel testo citato appare tuttavia obiettivamente meno documentato. Si tratterebbe in effetti di esaminare più a fondo il rapporto tra la risposta al bisogno di chi si trova in difficoltà e il riconoscimento di un debito di giustizia in chi si era reso colpevole di sopraffazioni.

[11] APC, Cart. 18, fasc. 1

[12] Cfr. FLORIA GALBUSERA in Mons. Moneta, o.c., pagg. 200-203; vedi anche APC, Cart. 18, fasc. 1 alla fine del 1946.

[13] La note di don Caldirola sono ricavate dalla Cronaca di APC, Cart. 18, fasc.1. Le osservazioni sugli Oratori e sulle famiglie che hanno figli non battezzati si trovano in un quadernetto di APC, cart. 18, fasc. 2.

[14] Oltre alla cronaca di APC, 18,1, si vedano gli stampati sul passaggio della Madonna pellegrina in APC, Cart. 9, fasc. 2.

[15] APC, 18, 1 cronaca del 1944 a cura di don Caldirola.

[16] APC. Cart. 19, fasc. 4, visita Ferrari del 1908.

[17] APC. Cart. 18. Fasc. 1: inizio della cronaca di mons. Vignati e Cart. 19, fasc. 3, visita card. Tosi del 1928.

[18] APC, Cart. 5, fasc. 1-2.

[19] Id., Cart. 19, fasc. 4, visite card. Ferrari  1900-1913. La citazione delle colonne si trova nel Chronicon di don Caldirola.

[20] Al Chronicon di don Caldirola, più volte citato, si aggiungano APC, Cart. 6,6 e 7,3 per la via Crucis e 7,1-2 per le notizie sulla mensa marmorea.

[21] APC, Cart. 9, fasc. 1-Stato patrimoniale. La nota apparsa su L’ITALIA per la visita del card. Schuster del 1940 è trascritta nel Chronicon di 18,1.

[22] APC, Cart.6, fasc.1, inventario del 1944. Il quadro non risulta nel successivo inventario del 1955.

[23] APC, Cart. 19, fasc. 3.

[24] APC. Cart. 6, fasc. 1, inventario del 1944. Il dipinto sembra ancora presente nell’inventario del 1955, che parla, senza altra indicazione, di 3 quadri di s. Giovanni Battista.

[25] La complessità di queste vicende richiederebbe un’analisi di ben altro respiro. Ulteriori ragguagli si possono trovare in un lavoro scolastico curato dagli studenti dell ‘ITIS di viale Italia di Corsico: Cesano Boscone, La trasformazione di un paese e del suo territorio, ed. L’Incontro, Cesano 1989. La pubblicazione, resa possibile dalla collaborazione dell’Amministrazione Comunale e di diversi commercianti, consentì di interessare al loro territorio dei giovani, che, almeno in qualche caso, continuavano a sentirsi ad esso un po’ estranei. Si ricordi, comunque, almeno un episodio che ebbe allora grande risonanza: per l’abbattimento di alcune strutture del cantiere del Giardino nell’estate del 1970 si ricorse addirittura a microcariche di dinamite. Nell’agosto 1971 il periodico comunale “Il punto” uscì con un numero speciale di documentazione fotografica, che mostra in copertina il sindaco Cavalloni in fascia tricolore presso un pilastro demolito.Anche le vicende delle scuole coinvolsero, specie agli inizi, larghe fasce di popolazione. Per le superiori, in particolare, si rimanda alle stimolanti iniziative dell’Associazione Michele Giavarra. Spicca tra esse la pubblicazione di un volume ricco di testimonianze per i vent’anni dell’Onnicomprensivo di viale Italia (L. ECCHER - M. PATTAVINA Percorsi e prospettive, Cesano B., 1998).

[26] L’espressione è di “Ciao ragazzi”, il foglio oratoriano dal quale si sono ricavate queste notizie, APC, Cart. 17, fasc. 1.

[27] Da un numero del 1973 di “Ciao ragazzi”.

[28] Cfr. la relativa documentazione in APC, Cinema Cristallo.

[29] APC, Cart. 5, fasc. 6.

[30] Biglietto manoscritto in APC, Cart. 14, fasc. 2, che contiene i documenti sul Giardino, mentre il  fasc. 1 contiene la documentazione sulle origini della parrocchia di s. Ireneo.