LA POPOLAZIONE DI CESANO NEGLI ANNI DI S. CARLO

S. Carlo fu nella chiesa di Cesano per la visita pastorale il 13 gennaio 1572; nei giorni successivi visitò le altre chiese della pieve.

Le visite di s. Carlo si svolgevano secondo uno schema che prevedeva da un lato un ampio spazio per le celebrazioni liturgiche, quali le cresime, la predicazione ai fedeli, la messa, talvolta la consacrazione degli altari. Dall’altro esse comportavano una verifica personale da parte dell’arcivescovo delle condizioni degli edifici ecclesiastici, degli arredi liturgici, dei registri per i battesimi e i matrimoni e di ogni altra documentazione, nonché, più in generale, della situazione e dell’attività di ogni parrocchia. Si aveva in ogni caso con il clero e con i fedeli un contatto vivo che portava il cardinale a condividere la modestia delle abitazioni dei preti di campagna: voleva infatti alloggiare sempre nella casa parrocchiale e per questo rifiutava le offerte dei signori laici del luogo. Gli accadeva così di stare in “camerette piccolissime senza solaro fra mucchi di grano e di miglio e d’altre biade” 1, per l’abitudine di collocare il granaio nelle stanze di sopra, come del resto si faceva ancora fino agli anni cinquanta nelle case della campagna milanese.

D’altra parte la presenza personale dell’arcivescovo era necessariamente di brevissima durata e si riduceva di solito a una giornata per ogni chiesa parrocchiale. Di conseguenza le visite pastorali andavano preparate con attività precedenti, che a Cesano sono documentate sia in scritti del prevosto, sia da parte del visitatore Leonetto Chiavone, un gesuita a cui s. Carlo aveva dato questo incarico per una parte della diocesi. E’ da questo complesso di osservazioni che emerge un quadro assai ricco dell’ambiente e della vita concreta della popolazione dell’epoca.

L’attenzione anche per i luoghi più piccoli

Il padre Leonetto Chiavone interpretava con molto zelo l’incarico ricevuto.

Ne è una testimonianza, intanto, la precisione con cui voleva vedere personalmente tutte le chiese; non solo le parrocchiali, ma anche gli edifici minori, magari non più utilizzati per il culto. A Muggiano, ad esempio, che era parte della parrocchia di Cesano e che divenne parrocchia a sua volta solo nel 1897, il gesuita giunge nell’ottobre del 1586 e trova la chiesa di s. Marcellina “parva, antiqua, diruta, aperta, plena palea ac immunditiis” (piccola, vecchia, diroccata, aperta, piena di paglia e di immondizie)[1]. Si tratta di uno dei non rari esempi di un’antica chiesa trasformata in deposito agricolo, senza che neppure più ci si preoccupi di chiuderla.

L’altra chiesetta di Muggiano, dedicata ai SS. Cornelio e Cipriano, era invece chiusa; perciò vi fa calare un uomo da una finestra per poterla aprire e la trova piena di assi “et aliis immunditiis”.

La responsabilità di questa situazione non è però del clero locale: Muggiano è “commenda” del Cardinale d’Araceli, al quale pertanto toccherebbe il restauro e l’assegnazione d’uno stipendio perché un cappellano vi celebri la Messa almeno nei giorni festivi.

In ogni caso il padre gesuita, quando ritorna sul luogo nel 1570 trova chiuse tutte e due le chiese e, accompagnando più tardi la visita di s. Carlo alla pieve, nel gennaio 1572, ordina di imbiancare, sistemare le finestre e i soffitti, procurare il necessario per celebrare e suggerisce d’usare i materiali di s. Marcellina, più rovinata, per il restauro dell’altra chiesa e di una chiesa di Terzago.

Qualche risultato lo ottenne, se un secolo dopo il prevosto di Cesano Opicelli, che descrive i momenti della sua visita del 1679 alle chiese della pieve come vicario foraneo, annoterà che l’oratorio della B.V. Maria a Muggiano ha altare e paramenti secondo le prescrizioni e che vi si celebra nelle feste e anche, due volte la settimana, nei giorni feriali[2].

Non è strano che ci si occupi di chiese tanto piccole. Il loro numero può sembrare elevato; ma si deve osservare che quasi ogni raggruppamento di famiglie, quasi ogni cascina doveva avere la propria chiesa, perché gli spostamenti, sia pure di qualche chilometro, erano gravosi per la difficoltà delle strade, su cui si doveva camminare a piedi. Si cercava così di avere la messa domenicale direttamente sul posto. E’ in questo senso che si comprende, ad esempio, l’impegno di disegnare nel 1579 una chiesa con sagrestia e campanile per la cascina Guascona, una piccola comunità tra Muggiano e Assiano, che, con il Mulino e la Cascinetta, raggiungeva a malapena le 60-70 anime.

Il progetto intendeva forse trasformare in un luogo di culto in piena regola un piccolo oratorio preceduto da un portico: anche una cascina isolata doveva avere una vera chiesa[3].

L’interesse per una rilevazione precisa anche dei più piccoli insediamenti abitativi è ben documentato da uno schizzo relativo ai cascinali e ai paesi a nord del Naviglio, nel tratto che va da Corsico a san Cristoforo[4].

I fogli sono stati rovinati dall’umidità nella parte superiore e, tuttavia, sono ancora sufficientemente leggibili. Hanno dimensioni analoghe a quelle degli altri fogli del volume.

Il disegno è orientato ponendo in alto l’ovest, così che Milano vi si trova in basso, caratterizzata da un accenno alle mura. L’estremità sinistra, quindi a sud, è definita dal corso del Naviglio. La sua costruzione, in effetti, che aveva allungato i percorsi reali per raggiungere la chiesa plebana di Cesano, sembra aver influito sulla stessa organizzazione ecclesiastica: da tempo le chiese a sud erano parrocchie autonome, mentre a nord la “cura” di Cesano è ancora assai vasta e comprende tutte le località qui disegnate, che non appartengano alla pieve di Trenno. Ovvia l’importanza dei ponti, accuratamente segnalati.

Lo schizzo sembra utilizzare una simbologia incentrata sulle chiese. Le chiese capo-pieve di Cesano e di Trenno sono segnalate da una croce che ha un doppio tratto orizzontale. Con una croce semplice sul campanile sono invece caratterizzate le chiese degli altri insediamenti più significativi, da Corsico a Ronchetto, che costituiscono i riferimenti a sud del Naviglio per i ponti di passaggio, fino a Garegnano, Baggio e Quarto. Per le cascine più piccole viene usato un disegno stilizzato, talvolta con la croce a segnalare la presenza d’un oratorio, negli altri casi senza nessun ornamento. Di ciascuna di esse si trova poi, sul foglio di destra, la consistenza abitativa, con i “fuochi” (cioè i focolari, le famiglie): 6 per il Chiesolo e Sala Nuova; 5 per Garegnano; 4 per la cascina Travaglia e Moretto; 2 per la Cassinazza; un solo fuoco per le cascine Inferno, Crea, Svalginaso e Corba.

Per tutte è indicata la distanza in miglia dalle località considerate maggiori o più note, come Cesano, Baggio, Trenno, Quarto e la stessa Garegnano. In 4 miglia è calcolata la distanza di Baggio e Corsico da Milano. Si tratta dunque di una guida preziosa per chi si sarebbe dovuto muovere tra questi insediamenti piccoli e piccolissimi, senza perdere troppo tempo e senza trascurarne alcuno: non vi è data, ma sembra logico il riferimento alle prime visite pastorali.

Preziosa diventa anche per noi la segnalazione precisa di località assorbite dall’urbanizzazione recente come Garegnano Marcido e la chiesa del Lorenteggio, rimaste a lungo nella parrocchia di Cesano.

L’evidenza  del campanile di s.Cristoforo mostra come il suo profilo dovesse spiccare già da lontano, sulla distesa di campi che allora accompagnava chi si avvicinava a Milano.

Prescrizioni religiose e morali

Le preoccupazioni di p. Leonetto Chiavone, per altro, si rivolgono soprattutto agli aspetti religiosi e morali della vita della popolazione. Egli cita le difficoltà dell’istruzione religiosa e della “Scuola del Corpus Domini” (la confraternita del SS. Sacramento); “et questo nasce - dice - per essere gli uomini ignoranti et poveri et perché la scuola non ha di proprio...” [5]. Insiste perché le donne vadano in chiesa con un velo non trasparente e osserva che “si balla le feste pubblicamente al Molinazzo” e trova disdicevole che gli uomini vadano di domenica “a sugar li fontanili”. Con tono deciso rileva inoltre che vi sono “caseri (coloro che raccoglievano il latte dai contadini per ricavarne burro e formaggio) che perdono la messa il dì della festa et la fanno perdere almeno a tre altre persone coadiutrici, dal mese di aprile sino a santo Michele (29 settembre), con tutto ciò che potriano havere la messa tutte le feste di aprile et di maggio perché si avrebbe benissimo per tutto quel tempo, come dicono di più dell’arte”. Il periodo indicato lascia intuire il pretesto avanzato dai nostri caseri: con i primi caldi il latte rischiava di andare a male, se non lo si fosse cagliato ogni giorno.

La rigidità relativa al riposo festivo è ancor più sottolineata da un curioso episodio accaduto nella vicina pieve di Binasco: il curato di Basiglio chiede di poter assolvere un parrocchiano e sua moglie, colpiti da interdetto “per haver nel giorno di festa compro da mercante d’oche certa quantità d’oche”![6].

Queste prescrizioni, come altre analoghe da parte del prevosto, stanno a indicare la minuziosità dell’intervento ecclesiastico, che tende da un lato a essere effettivamente vicino alla vita della gente più comune, ma dall’altro sembra proporsi un ferreo controllo sulla morale e sul comportamento.

In effetti, tra le notizie che la curia diocesana richiedeva - e che i parroci erano tenuti a raccogliere e trasmettere - vi sono gli elenchi di coloro che non si confessavano a Pasqua e di coloro che convivevano senza aver contratto matrimonio o viceversa dei coniugi che si fossero separati, senza aver seguito la rigorosa procedura canonica. Così anche per Cesano sono riportati nel 1572 i nomi di sei persone che non si sono confessate e di un uomo “qui manet separatus a coniuge sua nulla tamen legitima causa” [7].

Tipica della pastorale dell’epoca è l’opposizione ai giochi delle carte e dei dadi, che pure restavano un divertimento diffuso.

In proposito si può qui anticipare il riferimento a due decreti emanati in occasione della visita del card. Federigo Borromeo, nel 1605. Nel primo si stabilisce che si impedisca l’accesso alla chiesa a Ilario Badagio e a Battista, servo del sig. Pompilio Basso, se non si accostano ai sacramenti della Confessione e Comunione. Nel secondo si ordina che un oste di Cesano, di nome Giovan Pietro Grossi, si astenga “a recipiendis in caupona illis perditis hominibus, qui ad cartas et taxillos ludunt, quibus tantum edulia et vinum praebere liceat” (dal ricevere nell’osteria quegli uomini perduti che giocano a carte e ai dadi: sia consentito soltanto dar loro cibarie e vino). Questo oste ignora i rudimenti della fede e non teme Dio; “vir probus” è invece l’oste Porrisio di Baggio[8].

Non è detto, per altro, che tutte queste indicazioni fossero effettivamente osservate, se in una relazione del 1573 il prevosto Begliocchi lamenta lo scandalo creatosi per i continui scontri tra due canonici di Cesano, che non ne riconoscono l’autorità e quindi non gli obbediscono.

Il prevosto trova il modo di citarne alcune frasi irriverenti; come quella pronunciata da pre’ Bernardino Isabelli nel rifiutarsi di partecipare a una processione: “Io non sto con il prevosto, né lui me ha a comandare: che li vada lui in processione!”; o come la risposta data dal medesimo canonico alla “cavaliera” Brasca - una “signora” nel paese - che gli chiedeva di celebrare una Messa: “Se volete ch’io dica messa, pagate!” [9]. Un ulteriore, ben più grave, elemento, a completare questo quadro non privo di lati oscuri, si ha quando il prevosto osserva che pre’ Bernardino “ per haver abandonato la sua chiesa di Cesano, com’è di suo solito...si trovò presente quando fu amazato un giovine della famiglia deli Galetti di Settimo; ma se egli fosse stato alla sua residentia et ubidito il suo prevosto, non sarebbe trovato a simil spetaculo”.

Il ballo

Sul ballo l’azione pastorale concentra una serie di attenzioni così fitta, da lasciar l’impressione che in esso si veda uno dei comportamenti di maggior contrasto con il progetto educativo di s. Carlo e dei suoi successori.

Gli interventi contro il ballo sono frequentissimi per tutte le pievi e sono ripetuti continuamente con il trascorrere degli anni, segno inequivocabile della loro scarsa efficacia.

Vi sono due ordini di ragioni, per tanta insistenza. Si osserva anzitutto che il ballo viene organizzato per alcune grandi festività, che dovrebbero invece segnalarsi come giornate di devozione religiosa. E’ questa una preoccupazione evidente sia in una lettera del vicario generale al prevosto di Cesano, sia in una descrizione che il prevosto fa dei disordini della propria pieve.

Quest’ultima è stata redatta il 20 luglio 1568 e parla dei balli in questo modo: “Per conto di ballar le feste de santi protettori delle terre. E’ tra contadini un antico abuso che il giorno della festa del santo di qualsivoglia villa dove in quel giorno si dovevano preparare per santificarlo fanno ogni altra preparatione che di devotione. Conducono concerti di sonatori e fanno un soprastante che tiene conto delli balli et alle volte per ballo fa pagar due reali, ma almanco mezzo reale”[10]. Ne viene un’immagine di festa che contrappone la dimensione religiosa al desiderio di divertimento: suonare e ballare sono considerati in totale disaccordo con la devozione, richiesta dal carattere religioso della solennità. Il riferimento è alle feste dei santi patroni, che richiamavano  anche gli abitanti dei paesi vicini, così come avveniva in alcune altre solennità.

La lettera del vicario generale infatti, datata Milano 22 maggio 1572, si riferisce alla festa del Corpus Domini, per la quale tutti accorrevano a Cesano con il pretesto della processione. Così vi si legge: “Mi piace sommamente l’ordine ch’havete dato a li curati della vostra pieve per obviare à questa maladetta peste de balli: fate che l’osservino. Intendo ch’el giorno del Corpus Domini alla prepositura concorre tutta la pieve et che si ritrova un gran popolo alla processione et à divini offici. Però fate in modo et voi et vostri preti et fatelo anco far al populo che si conosca che quel giorno e quella solennità si fa per honorar et laudar Dio et non per altro perché in altro non si deve spendere tutto quel giorno et se vi fosse alcuno (il che non credo che serà) che fosse si ardito et poco timorato di Dio che volesse con balli e altri bagordi violare tal solennità pigliatene testimoni et avisatemi che li farò tal provisione che forsi darà buon esempio ad altri di non ritornarci”[11].

Quale fosse la “provisione” o provvedimento non ci è dato sapere....

D’altra parte si aggiungeva la preoccupazione morale, perché il ballo era causa di litigi anche violenti e, ovviamente, dava occasione di incontro tra uomini e donne. Così continua la relazione sulla pieve del 1568: “Quivi poi si beve e caldi dal bere e dal ballare cominciano a far il più delle volte questioni (?) dove ne riesce homicidj, ruine di case, perpetue nemicitie; et ogni giorno bisogna occuparsi in far delle paci per i loro imbriacamenti et in questi balli vi concorono a ogni sorte donne, dove si commettono infinite dishonestà; né con prediche né altre amonizioni... si può trovar a questo dishonesto abuso rimedio alcuno”.

Se il termine omicidi può sembrar troppo forte, va comunque ricordato che anche per altre pievi si parla facilmente di ferimenti e del resto gli scoppi di gelosia o gli scontri tra gruppi rivali non sono certo neppur oggi realtà sconosciute.

Resta la sconsolata notazione finale, che si può ancor meglio comprendere nel confronto con una lettera del cappellano di Baggio, una ventina d’anni più tardi. Da essa  emerge come non solo la gente comune continuasse a ballare: il ballo attirava anche i preti. Il sacerdote si deve infatti difendere dai rilievi che il vicario foraneo di Cesano Boscone, suo superiore, ha avanzato alla curia di Milano. Non sono “ballarino”, dice in una lettera inviata da Baggio il 4 settembre 1587 (o 1589), “Che non credo havere ballato dieci volte in vita mia”. D’altra parte, se è pur vero che qualche ballo a Baggio l’aveva organizzato, “in Cesano capo di pieve et cura sua in pubblico si ballava el giorno di santa Maria d’agosto”. Assurdo dunque che lo si richiami come si fa coi villani, lui che è gentiluomo e che nella pieve di Cesano non è “neanche degli ultimi”[12]

Insomma rigore religioso e desiderio di divertirsi anche con una partecipazione corporea alla festa faticano ad accordarsi. Al di là degli abusi, il cui rischio resta sempre presente, è la gente stessa a trovare proprio nella solennità religiosa, specie nella bella stagione, l’occasione più ovvia per esaltare con musiche e danze un senso popolare della festosità, che si accompagna senza troppi problemi con la partecipazione alle celebrazioni liturgiche.

Una rubrica del prevosto

Nel 1567 era diventato prevosto Giovanni Begliocchi, che dice di sé di essere “d’anni 57, nato a Bobbio”, che “attende alla cura dell’anime in questa chiesa collegiata di s. Giovanni Battista di Cesano Cappo di Pieve” e che “ha in casa Dominico Bellocchio suo chierico diacono et Giovanni piacentino con un cavallo per servizio suo”[13]. Il prevosto, dopo aver ricordato la propria carriera ecclesiastica, fornisce anche l’elenco dei preti dicendo per altro dei curati che “i più sono di poca litteratura”.

L’osservazione aiuta a comprendere l’imponenza dello sforzo che viene fatto negli anni di s. Carlo per riordinare e spesso per creare ex novo una documentazione sulla vita della parrocchia e per diffondere l’istruzione religiosa tra il clero e tra i fedeli.

Lo stesso Begliocchi inizia a tenere dal 1567 una rubrica, con le parti distinte secondo le lettere dell’alfabeto[14]. Ne emergono interessanti squarci sulla vita dell’epoca.

Inserita nelle rigide direttive pastorali già ricordate è, sotto la lettera A, la nota relativa all’esecuzione di un ordine del vicario generale mons. Castelli del 9 aprile 1571: “Aprilis... (fu inviato) il comandamento fatto, per Bonino Nidasio nonzio o messo pubblico al signor Giovanni Antonio Brasca et Anna concubinarij... et si levorno di Cesano in pochi dì”.

Per B - Battesimi ricorda l’ordine dato ai parrocchiani “che no andassero à casa del batezato a mangiare né chieder perciò cosa alcuna e questo s’osserva”

Aggiunge anche che il battistero della prepositurale è stato “fatto ellevato come mi fu ordinato... et da per tutte le parrocchie sono fatti; salvo per Romano che ve ne và piccolini...”

Seguono delle indicazioni per la regolarità dei registri dei Benefici parrocchiali e dei Battesimi.

In D ricorda che in dicembre, dopo le feste di Natale, i confessori devono andare a Milano per esaminarsi e minaccia di scomunica chi non gli trasmette le “anime di sue parochie”. La dottrina cristiana poi “nella prepositura son anni cinque che si insegna ma ci son poche persone; pur si fa qualche frutto”.

In G - gennaio appaiono le preghiere contro i Turchi del 12 gennaio 1572 (e in S quelle del 23 settembre 1571); mentre sotto L - luglio 1568, dopo essersi scusato per non aver potuto partecipare al sinodo a causa d’una “infirmità” annota di aver però inviato lo stato delle persone ecclesiastiche e “il disegno in una carta di tutta la pieve con gli fuochi”. Si tratta evidentemente della pianta esaminata nel capitolo precedente: l’autore non potrebbe essere proprio lo stesso prevosto? In M - maggio 1571 si afferma comunque che mons. Carlo Borromeo ha risposto di aver ricevuto lo stato dei preti della pieve.

L - M - O danno informazioni su iniziative collegate all’atteggiamento generale diocesano: si sono eseguiti gli ordini di mons. Castelli per evitare i balli; alla richiesta di un elenco di medici si annota: “quivi no ve ne sono”; si spiega che nella pieve non c’è un luogo sicuro per l’archivio e che perciò i documenti vengono inviati in copia autentica nell’archivio arcivescovile.

L’archivio diventa in effetti una preoccupazione importante. In assenza di anagrafe civile è l’anagrafe religiosa a dare indicazioni sullo stesso andamento demografico e per Cesano i registri dei battesimi iniziano appunto con don Begliocchi, dal 1564.

L’insieme suggerisce un rinnovamento della stessa figura del prevosto, che si va trasformando in “vicario foraneo”, cioè in un rappresentante in tono minore del vescovo, con la funzione di mantenere il legame tra il vescovo e il clero che sta fuori dalla città, ma più specificamente coi parroci, che hanno a loro volta responsabilità piena nelle singole parrocchie, ormai divenute, con il concilio di Trento, il fulcro della vita ecclesiale nel territorio.

Si è visto, in effetti, come don Begliocchi si scusi per l’assenza a una riunione diocesana del clero o sinodo, cui era tenuto a partecipare.

A sua volta riporta in ambito locale le norme e le iniziative diocesane. In F, ad esempio, ricorda che vi è licenza per i malati che non possono digiunare per la quaresima, ma insieme subito avvisa che i sani che non rispettano il precetto del digiuno incorrono in un peccato mortale. Nelle chiese della pieve compie delle visite vicariali, come faranno più tardi i suoi successori (in G è ricordata quella alla “chiesuola di santa Croce” nel luogo della Guardia). Si incarica di trasmettere quanto è stato stabilito in diocesi per la sistemazione degli altari e dei battisteri, in ordine alla valorizzazione del tabernacolo in cui si conserva l’Eucaristia fuori dalla messa e alla collocazione di una vasca battesimale elevata a sinistra dell’ingresso. Tutto ciò creerà la necessità di ristrutturazioni interne anche in diverse chiese della nostra zona.

I peccati riservati

Un’annotazione particolare sotto A ed E riguarda i peccati riservati. Si tratta di peccati di particolare gravità per i quali ci si doveva confessare dal vescovo o dai suoi incaricati. Nella settimana di Pasqua, però, dice la rubrica, l’assoluzione poteva essere data anche dai comuni confessori, con esclusione dei casi di “Homicidio volontario; violator di Monache; percussori di chierici”.

Quali altri peccati, oltre a questi, erano considerati  riservati? La loro definizione rivestiva grande importanza, perché da essa dipendeva la possibilità di accostarsi ai sacramenti. Il Concilio di Trento aveva lasciato ai vescovi diocesani il compito di indicare i casi specifici.

A Milano ne furono compilati degli elenchi in occasione dei concili provinciali, convocati da S.Carlo tra il 1565 e il 1576, con la partecipazione dei vescovi delle diocesi vicine, che avevano in Milano la loro chiesa metropolitana. Un elenco di altri casi, più specificamente legato alla sola diocesi di Milano, si ha nel sinodo del 1568[15].

Ne esce un ampio spaccato di tutti i comportamenti di cui l’autorità ecclesiastica intendeva sottolineare la gravità o che comunque intendeva frenare. Vi sono indicati atti di violenza grave, come l’omicidio, il rapimento delle vergini o le violenze contro ecclesiastici e genitori; l’aborto; l’incesto; i rapporti sessuali tra fidanzati prima del matrimonio; l’abbandono e l’esposizione dei neonati da parte di chi avrebbe invece potuto allevarli; le violenze e l’incendio contro le proprietà altrui; l’alterazione di pesi e misure; le superstizioni magiche e l’eresia.

A essi si aggiunge la mancata osservanza di alcune norme ecclesiastiche (il digiuno, la scomunica, ecc...); il mancato rispetto della libertà nella decisione di prendere il velo come monaca (si ricordi la vicenda della monaca di Monza); il rifiuto di registrare le donazioni agli enti ecclesiastici da parte dei notai.

I casi che effettivamente venivano esposti dai penitenti e per i quali i confessori chiedevano l’autorizzazione ad assolvere si riferivano, tuttavia, per lo più, a poche situazioni: la bestemmia, il lavorar di domenica e il non essersi confessati a Pasqua, il mancato rispetto del magro e del digiuno, i rapporti prematrimoniali [16].

Tuttavia il caso più frequente è la confessione d’assenza del “cunino”. Di che cosa si trattava? Si deve ricordare che, allora, nella quasi totalità delle famiglie si dormiva in molti nello stesso letto, sia per la mancanza di spazio, sia per ripararsi dal freddo. I neonati, posti così accanto ai genitori, correvano il rischio di venire involontariamente soffocati. Proprio per evitare questo rischio e prevenire la possibile morte dei bambini, s. Carlo aveva prescritto che il letto matrimoniale avesse una specie di piccolo fossato, nel quale collocare i neonati nel primo anno di vita, oppure che ci fosse una cesta apposita. Ci si doveva così confessare  già del solo fatto di non aver posto in atto queste attenzioni preventive.

Le lettere dei parroci che chiedono di poter assolvere da tale peccato danno una vivace descrizione della realtà in cui viveva la popolazione: vi erano bambini che si agitavano, il freddo, madri troppo povere anche per queste piccole cose, difficoltà nel recarsi fin dal vicario foraneo, o addirittura a Milano, per la Pasqua[17].

Anche per Cesano se ne ha una testimonianza specifica in una lettera che il prevosto Cesare Cavalli scrive all’arcivescovo Federigo Borromeo il 13 novembre 1595. In essa vengono toccati, sia pur sinteticamente, i temi tipici di lettere simili: la frequenza di questo caso, che coinvolge soprattutto le donne, la difficoltà di portarsi a Milano per averne l’assoluzione, i problemi pastorali che ne conseguono. Vi si intravede, per altro, la povertà economica e forse anche culturale di tante famiglie, che pur trovano nel parroco consiglio e conforto.

Questo il testo integrale:

“ Illustrissimo et Reverendissimo Signore,

Perché quasi ogni giorno vengono da me penitenti con casi riservati et donne incorse nella scomunica per non haver tenuto i figli nella culla secondo i decreti sopra ciò fatti; io che per la Patente da Vostra Signoria Illustrissima datami veddo di non havere authorità di poterli assolvere come prima havea, non hò ardire di metter in ciò mano et però gli rimando esortandoli à venire a Milano per l’assolutione. Ma essi et per la distantia del luocho, et per molte altre incomodità lasciano di confessarsi, et perseverano in tai censure. La qual cosa parendomi molto dannosa à tante et tante anime mi è parso meritasse provisione; però ne ho voluto dare raguaglio particolare a V. S. Ill.ma acciò mi comandi quello che in tali casi vole che io facci. Con che facendo fine  priegho Nostro Signore prosperi la Ill.ma et Rev.ma  persona di V.S.

Di Cesano alli 13 novembre 1595

Di V. S. Ill.ma et Rev.ma

Humilissimo servitore

Cesare Cavalli Prevosto et Vicario foraneo

di Cesano Boscone”[18]

 

I casi di soffocamento effettivo erano naturalmente molto più rari. Uno di essi riguarda Cassino Scanasio, un paese nelle immediate vicinanze della pieve di Cesano, ora assorbito nel comune di Rozzano. In una lettera datata 12 dicembre 1581 - Locate (capo-pieve di Cassino Scanasio) si dà “facoltà di assolvere dalla scomunica Margarita di Casorati del luogo di Cassino, nella quale è incorsa per haver tenuto un fanciullo nel letto senza il cunino, per il che una notte se lo ritrovò a canto soffocato. Osserva(rete) la forma solita, et dandoli quella penitenza grave, rigorosa, longa et publica che giudicarete convenirsi alla qualità della persona, del delitto e del scandalo dato”[19].

Non si concluda tuttavia troppo facilmente che ci fosse assenza d’attenzione delle madri per i loro bambini. Ne fa fede la semplicità toccante con cui un parroco d’altro paese chiede l’assoluzione per una madre che ha soffocato il figlioletto di quattro mesi “per aiutarla et consolarla...benché sii stata in questo troppo negligente; forsi anche per la fiachezza dalla povertà et fatiche come sogliono questi poveri”[20]. Il parroco, che ha interiorizzato il senso profondo della norma diocesana, si mostra vicino alla sensibilità e alle condizioni concrete di questa madre: al suo dolore per la morte del figlio e alla sua povertà egli chiede che si risponda ricordandone sì la negligenza, ma accogliendola, insieme, nel perdono e nella comunione eucaristica.

Lo status animarum di Cesano nel 1574

I documenti intorno al cunino, pur se non riferiti in modo specifico a Cesano, ci hanno condotto addirittura nei luoghi più intimi delle abitazioni, certo sostanzialmente identiche a quelle che nell’epoca aveva anche questo paese.

Il legame tra la chiesa e la vita della gente è ulteriormente testimoniato dalla redazione dello “status animarum” (stato d’anime), in pratica il censimento degli abitanti delle singole parrocchie. Nella pieve cesanese il vicario foraneo assume un tono particolarmente severo nel pretenderlo dagli altri parroci, lasciando così intuire quanto questa iniziativa dovesse stare a cuore allo stesso arcivescovo.

Per Cesano esiste un primo elenco del 1573; ma più curata è la stesura che ci è giunta per il 1574[21].

E’ a quest’ultimo che facciamo riferimento, trascrivendo l’elenco delle ville, cioè dei villaggi ‑ paesi, che facevano parte della parrocchia di Cesano e delle loro cascine con i rispettivi abitanti. Dopo la data, 1574, si ha il titolo: “Ville della cura di Cesano con la descrittion delle sue cassine per ogni villa”. Seguono i nomi dei luoghi.

Villa Asiano ha di presente queste anime                            60

cassina detta Moirano                                                                       38

Villa Baggio                                                                           464

            cassina del s. Baron  Sfondrati                                              22

            Molino detto della Braschetta                                              9

            cassina delli R. frati di Baggio                                     13

            Molino del s. gio. Ambrosio ghilio                                    10

            cassina detta de cislaghi                                                15

Villa  Cesano                                                                           236

            cassina detta la travaglia                                               20

            Molino detto della travaglia                                               3

            cassina del s. Iacobo suganappi                                 11

            cassina detta la carlina                                                    8

            cassina detta la tesséra                                                 10

cassina nuova                                                                             7

cassina detta la cassinazza                                                        24

Villa Cusago                                                                            533

            cassina valtorta                                                25

            cassina detta la cassinetta                                               6

            colombara                                                                   17

            cassina detta la stampa                                                 23

            cassina detta la fornace                                                  8

            cassina detta la bissona                                                  9

            cassina detta la fugazza                                     16

            cassina detta la bettina                                                  9

            cassina detta aqua negra                                       14

            colombara detta il Mognaghin                                             2

            corso di santa Maria del bosco                                      99

            cassina detta la gazza                                                   12

            cassina detta la scariona                                               14

Villa Garignano Marcido                                                           48

            cassina detta sala nuova                                         3

Villa Lorentegio                                                                        63

Villa Mugiano                                                                           61

            cassina detta la guascona                                              37

            Molino detto della guascona                                              16

            cassina detta la guasconcina                                         10

Villa Monzuoro                                                                        68

            cassina del s. faustino Rinaldi                                     20

            un’altra cassina del s. faustino Rinaldi                         24

            luogo detto le stalette                                                 37

     Molino del s. faustino Rinaldi                                       7

     Molino del s. pier Nuovate                                               7

     un altro Molino del s. pier Nuovate                            5

     luogo detto la pobieta                                                              8

     cassina detta la Malandra                                             15

    

La lunga lista porta a osservare la vastità della cura di Cesano, che comprende paesi piuttosto grossi come Baggio e Cusago, che non hanno ancora una propria parrocchia e si estende da Lorenteggio a Monzoro. I mulini, fuori dall’abitato principale, punteggiano il territorio, con i suoi corsi d’acqua. Si osservino poi i nomi delle cascine, a volte tratti dai proprietari, a volte di schietta derivazione dalla parlata lombarda. Alcuni di essi sono oggi utilizzati per i quartieri sorti con l’attività edilizia, soprattutto nel periodo della grande emigrazione degli anni settanta; altri, tuttavia, hanno ancora il loro riferimento nelle attuali cascine dell’area agricola che sorge immediatamente a ridosso delle zone residenziali.

Per ognuno dei luoghi indicati vi è poi l’elenco nominativo delle persone che lo abitano, distinto per famiglia, con l’età di ciascuno e la professione del capo - famiglia.

Questa la composizione della prima famiglia di Cesano:

“Benedetto biloo detto Barraà capo pisonante nelle case di Mastro Antonio Albrisi

sartor in Milano                                                             d’anni 35

     Isabella sua consorte                                         d’anni 34

     Barbara figliuola de li sudetti                                      4

     Battistino fratello del capo                                        32       

     Veronica consorte di Batistino sudetto                         27

     Ludovico fratello del capo                                        30

     Margarita sorella del capo                                        16

     Santina sorella del capo                                                  5

     Melchion fratello del capo senza judizio              20

     Lucia cremonese vedoa madregna del capo                40”

 

Nella famiglia, abbastanza numerosa, vivono insieme fratelli e sorelle: si osservi tuttavia l’assenza di anziani. In effetti dei circa 200 abitanti di Cesano la cui età appare chiaramente leggibile, nessuno arriva ai 70 anni e solo 11 hanno compiuto i 50 anni, così che risulta un’età media della popolazione ben lontana dall’attuale. La famiglia più numerosa della cura è quella del sig. Gaspare Lorisetti, di Garegnano Marcido, capo massaro delle signore monache del Monastero maggiore di Milano (oggi museo archeologico e chiesa di s. Maurizio in corso Magenta), che comprende 22 componenti.

La grande maggioranza dei capi-famiglia sono, come è facile immaginare, “lavorator di terra” o “massaro”; in qualche caso legati come  “capi-pisonanti” a proprietà di monasteri (Lorenteggio apparteneva agli Olivetani di s. Vittore; Garegnano al monastero maggiore) o di qualche signore. Per Cesano il principale tra essi è il conte Ludovico Gallarati, che possiede case in paese e le cascine Carlina, Tessera e Nuova. Accanto ai contadini (e ai mugnai) vi sono i piccoli artigiani: i “Zavattini” (ciabattini) Martinoli e Gianoli, il “legnamaro” (falegname) Gambarini e il “sartore” (sarto) Franconi; mentre del cavalier Brasca si dice semplicemente che è “patrone”. Curiosa è anche la situazione di Bernardo Malebiodi, citato per ultimo come capo di casa del prevosto, con consorte, donzella e due servitori.

Nelle sue scarne annotazioni lo status animarum riesce a far rivivere la popolazione di Cesano. Nel piccolo paese e nelle sue cascine le famiglie ci appaiono impegnate nell’agricoltura, con pochi bisogni e poche risorse, esposte assai più facilmente di oggi alla malattia e alla morte fin dai primi anni di vita; e tuttavia ci è facile immaginarle, nella convivenza in famiglie normalmente più estese di quelle odierne, come nei rapporti interfamiliari, con la stessa ricchezza di affetti, di attenzioni, di curiosità e con analoghe difficoltà di quelle che oggi si incontrano nel dare loro effettiva realizzazione.

 




a G.B. POSSEVINO, Discorsi della vita et attioni di Carlo Borromeo, Roma 1591, p. 125; citato in C. MARCORA, Itinerari..., cit., pag. 20.

[1] ACAM, Cesano B., vol. XXI, q. 7

[2] ACAM, Cesano B., vol. XXI, q. 7

[3] ACAM, Cesano B., vol. VIII all’inizio e vol. II, prima cartina

[4] ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 12

[5] ACAM, Cesano B., vol. VIII, pagg. 13 ss, da cui sono tratte anche le citazioni successive.

[6] ACAM, C.U. 66, q. 23, c. 4°

[7] ACAM, Cesano B., vol. XI, q.13

[8] ACAM, Cesano B., vol. XVII, pagg. 63-72 e vol. XIX, pagg. 193

[9] ACAM, Cesano Boscone, vol. VIII, q. 5, che riporta anche una risposta assai salace dell’altro canonico, prete Martino Visconti. Dalla relazione, che ovviamente esprime il punto di vista del prevosto, si evince come i canonici a loro volta lo accusassero d’autoritarismo anche nella gestione delle risorse della chiesa: “Cose da prete”, commentava un laico, che non voleva essere coinvolto.

[10] ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 25

[11] ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 19

[12] ACAM, C.U. 64, q. 17, c. 6

[13] ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 25

[14] ACAM, Cesano B., vol. XIII

[15] L’elenco è riportato da Ottavio PASQUINELLI, Peccati riservati a Milano dopo s. Carlo, in Sc. Catt. 1993,

    pp. 679-721.

[16] Il Pasquinelli riporta in proposito una statistica, che abbraccia il periodo dal 1586 al 1592. Cfr. PASQUINELLI, cit.,

   pp. 690-691.

[17] Ne dà un ampio resoconto mons. Bosatra, che mostra come i parroci sappiano condividere gli indirizzi pastorali del vescovo, proprio nell’essere vicini e attenti alla vita concreta della popolazione. Cfr. B.M.BOSATRA, San Carlo difensore della vita, in Terra Ambrosiana, n. 5 - 1988, pp. 69-76.

[18] Biblioteca Ambrosiana, Lettere al card. Federigo Borromeo, G, vol. 169, lettera n. 219.

[19] ACAM, Pieve di Locate, vol. VIII, q. 21

[20] ACAM, C.U., 67, q. 17, c. 2, citato da B.M. BOSATRA, cit.

[21] Lo status animarum del 1573 si trova in ACAM, Cesano B., vol. XX, q. 14; quello del 1574 occupa tutto il vol. IX.