LA   COLLEGIATA

L’esistenza a Cesano Boscone di una collegiata, cioè di una chiesa con dei canonici, è attestata dalla Notitia cleri mediolanensis de anno 1398 circa ipsius immunitatem. Si tratta di “un codice cartaceo, della fine del sec. XIV, copia di un registro, simile agli odierni ruoli di ricchezza mobile, fatta probabilmente ad uso della Curia Arcivescovile…. e che si potrebbe considerare quale  lo Stato della Chiesa milanese, o Milano sacro dell’anno 1398” [1].

Il documento è particolarmente importante, perché, nell’indicare le rendite delle diverse canoniche e cappellanie offre una descrizione analitica del modo in cui era suddivisa la diocesi di Milano.                                                                     

Ne riportiamo la tabella n. 32, che ha per titolo “Canonica de Cisano cum Capellanis”.                             

                                                         

D. Praepositus dicte Canonice                         L.6            S.2            D._

D. Christoforus de Arisiis                                         3            18            4          

Belt. de Cyxate                                                     2            _            _          

Pbr. Andrietus Carpanus                                           2            18            _           

Aluyxius de Fossato                                                  3            18            4           

Pbr. Petrus de Forsano                                              2            15            2            

Ambrosius de Laude                                                 2            15            2           

                                                                              L.24            S.7            D._      

 

Capellani supradicte plebis

Capella S. Marie de Baziana unita cum capella

s. Yllarii de Baziana                                   L.  3            S.18            D.4        

Capella Ss. Protaxij et Gervaxij de Romano

cum Capella de Granzino                              5            11            10          

Capella S. Sebastiani de Vigangollo                    2            _            8            

            S. Petri de Corsicho                           2            _            8           

            S. Malgarite de Septimo                    4            7            6            

            S. Ambrosii de Trezano                     4            9            6            

            S. Petri de Verderio                          3            7            2            

            S. Martini de Garbagniate                 4            9            6           

            de Badagio                                    10            1            4                         

            S. Marie de Garegnano                    11            8            _

             de Axago                                            7            14            7

             de Tersago exempta a plebe    3            7            2             

                                                                     L.51            S.19            D.11     

                                                                                                    

                 

Le rendite sono calcolate in Lire, Soldi, Denari. Per verificare le somme, occorre ricordare che la Lira si divideva in 20 Soldi e questi in 12 Denari.

E’ molto difficile un paragone con rendite attuali [2]. Le cifre che ne risulterebbero sembrerebbero modeste. Per altro la società agraria del XIV secolo non era fondata sul denaro nella stessa misura della società moderna: i consumi, soprattutto non alimentari, erano di gran lunga più limitati e alle rendite ufficiali andavano aggiunte prestazioni in natura e offerte occasionali. In ogni caso si tratta di cifre analoghe a quelle di altre canoniche, che danno l’idea di una vita del clero di campagna non particolarmente ricca, specie nei suoi membri minori, ma comunque non certo disagiata quanto quella dei contadini.

La canonica di Cesano, con il prevosto e sei canonici, è da considerarsi tra quelle medie della diocesi. D’altra parte la Notitia cleri può essere meglio compresa in un confronto con gli altri documenti del tardo Medio Evo, che contengono descrizioni delle pievi.                    

Già si è citato il Liber Notitiae Sanctorum, del 1300 circa. La pieve di Cesano era allora un po’ più grande, in quanto si estendeva anche a Rozzano e Moirago. Le chiese in essa  inserite erano ben 34, rispetto alle 14 citate nella Notitia cleri. Quest’ultima, per altro, è costruita come tabella delle rendite: non vi appaiono quindi le chiese che non attribuiscono al cappellano una rendita ufficiale; in questo stesso senso è da leggersi l’unione delle due chiese di Baziana e di quella di Romano Banco con quella di Grancino: la rendita è per un cappellano solo [3]. Garbagnate e Verderio non corrispondono a nomi odierni: il primo si trovava tra Baggio e Seguro; Verderio o Verdello risulta come territorio di Seguro [4].

Il documento successivo è costituito dallo Status Ecclesiae Mediolanensis anni 1466 [5], che riporta brevi notizie sulle singole pievi, in modo talvolta un po’ generico. La situazione della pieve di Cesano appare stabile: vi sono sempre un prevosto e sei canonici, mentre, ad esempio, tra le pievi vicine, Corbetta ha 22 canonici; ma Trenno ne ha due e Rho soltanto tre, sempre in aggiunta al prevosto.                     

Significativo è poi un piccolo mutamento di terminologia. Nella Notitia cleri tutte le chiese inserite nella pieve sono chiamate genericamente “cappelle”. Lo Status del 1466, invece, pur nella sua brevità, distingue le cappelle dalle chiese parrocchiali. A proposito di Cesano si afferma: “In eius Plebe sunt ecclesie parochiales XII”. Continuando nel confronto precedente, Corbetta ha circa 20 chiese parrocchiali e una o due cappelle (così il testo, che non è dunque di una accuratezza assoluta), Trenno 3 chiese parrocchiali, Rho una cappella e due chiese parrocchiali.                    

Ci si rivela, così, per la stessa chiesa plebana di Cesano, una doppia pista di ricerca. Da un lato si tratta di vedere qualcosa di più a proposito di questo collegio di canonici e della loro chiesa; dall’altro di osservare l’emergere della realtà delle singole parrocchie, che hanno ormai assunto o stanno assumendo le funzioni anticamente proprie della sola chiesa capo di pieve.

Gli statuti della Chiesa Prepositurale dell’anno 1433

Una  prima risposta rispetto al funzionamento della collegiata si ha in un documento del 1433, che ne riporta gli statuti sotto forma di rogito notarile. Il testo, tuttora inedito, ci è giunto  in una elegante trascrizione, probabilmente da collocarsi nell’ambito delle iniziative promosse da s. Carlo Borromeo per avere una visione complessiva della situazione della diocesi. In ogni caso è stato raccolto nel vol. XX delle Visite pastorali a Cesano, nel quale è immediatamente seguito  proprio dalle disposizioni emanate da s. Carlo, con data 13 gennaio 1572, “nella nostra personal visita fatta di questa chiesa Prepositurale questo dì soprascritto” [6].                    

Il documento inizia con la solennità abituale per i rogiti a carattere ufficiale: “In nomine Domini anno a nativitate eiusdem millesimo quadringentesimo trigesimo tertio, indicione undecima” [7]. La data viene completata con l’indicazione del giorno 12 agosto ed è seguita dai nomi di coloro che hanno concordato la redazione degli statuti. Da un lato vi è il prelato Pietro Beltramino de Bucinigo, presentato come sostituto di Antonio de Baruerijs, vicario generale dello stesso arcivescovo Bartolomeo Capra. Dall’altra vi è il capitolo della chiesa di s. Giovanni Battista  di Cesano, con il prevosto Stefano “de Mottis” e i  sacerdoti Giovanni e Antonio “de Mottis”, Beltramino “de Robiano”, Baldassare “de Capris” e Nicola “de Trancherijs” (così almeno sembra  si debbano leggere i loro cognomi), che sono tutti “canonici prebendarii dicte ecclesie” ; il prevosto ha inoltre procura per il sesto canonico, Pietro “de Binago”.                   

Subito dopo si dichiara lo scopo dell’atto: “consuetudines ordinationes et statuta dicte ecclesie in melius reformare corrigere et emendare et nonnullas alias ordinationes et statuta de novo…creare”. Ci si inserisce, quindi, in un clima di riforma, che sembrava necessario anche a livello locale, così come appariva rilevante per il contesto generale di una Chiesa cattolica che viveva il difficile periodo degli scismi di Occidente.                       

Ci si dilunga poi, talvolta in modo molto meticoloso, per ben 24 punti, introdotti ciascuno da un nuovo “item”                      

Un gruppo di questi riguarda le proprietà della chiesa. Di esse si dice che vanno mantenute unite, così che i loro redditi possano essere utilizzati per il funzionamento della chiesa, per la riparazione degli edifici e per il mantenimento del prevosto e dei canonici effettivamente residenti.                         

L’elenco dei terreni comprende: dei campi coltivati, indicati ciascuno con il proprio nome e con le coerenze, per un totale di circa 360 pertiche; un fossato con acqua, tra i riferimenti del quale è indicata la “carthusia Badagij” (il monastero con abbazia, in Baggio); un bosco di circa 550 pertiche. Significativo l’impegno a un ufficio mensile perpetuo, con messa funebre e processione al cimitero, per le anime di coloro che hanno lasciato dei beni alla chiesa e anche per sollecitare i viventi “ad opus simile”.                        

Appare molto decisa la preoccupazione perché i canonici siano effettivamente residenti e partecipi delle attività della chiesa. In proposito si ribadisce più volte che solo al residente, che abbia preso ufficialmente possesso delle prebende canonicali, che “dormiat continuo tempore in ipsa canonica” e compia regolarmente il servizio alla chiesa, spettano le distribuzioni quotidiane.

Tra le funzioni religiose viene ricordato l’impegno ordinario a leggere o cantare gli uffici divini e a celebrare la messa. Va caratterizzata da particolare solennità la festa di s. Giovanni Battista, fin dai vesperi della vigilia e grande cura va posta nelle celebrazioni del tempo delle litanie e delle rogazioni, nelle quali si tratta di andare “per universam plebem” (per tutta la pieve) con le croci e quant’altro serve a pregare Dio perché tenga lontano ogni male. E’ curioso il riferimento preciso all’abbigliamento consono alle cerimonie: alle “ore” dell’ufficio si deve essere presenti con cappa o cotta e berretto ; anche per la festa di s. Giovanni si parla di cotte bianche e berretto, ma con un’aggiunta relativa al radersi la barba e a una corona (di capelli disposti intorno alla rasatura della chierica ) che sia decente!                      

Di particolare significato è lo sforzo di evitare che i canonici siano di scandalo per i fedeli. Per questo non devono tenere presso di sé nessuna donna sospetta.

Altri punti alludono, in modo più o meno esplicito, alla situazione tutto sommato non particolarmente agiata della prepositura. Ci si impegna infatti a celebrare gratuitamente le esequie nel giorno settimo, trentesimo e nel primo anniversario della morte per i canonici defunti, sepolti nella chiesa o nel cimitero, se i loro parenti non sono in grado di pagarne le spese. Con un linguaggio elaborato, che paragona la chiesa di Cesano depauperata a un’anziana donna piangente, priva delle difese dei figli e del marito, si stabilisce che vada alla chiesa la metà dei redditi del primo anno di ogni prebenda vacante. Nel prestare attenzione alla riscossione degli affitti, si stabilisce poi di raccogliere in un libro le decime, le possessioni e i redditi della chiesa.                  

In questo contesto e con riferimento all’obbligo della residenza va vista la decisione di attribuire al prevosto anche la rendita di una prebenda canonicale.

Gli statuti stabiliscono, inoltre, che l’ingresso nei canonicati resisi vacanti avvenga secondo la procedura stabilita dal diritto canonico: nell’epoca si poteva assistere, in effetti, a scambi di prebende quanto meno irregolari.           

E’ il caso infine di osservare come vengano previste delle vere e proprie multe, da versare nel caso di inosservanza di qualche disposizione, alla “sacristia” della chiesa (il termine va inteso nel senso di un servizio che disponeva ciò che era necessario per la chiesa stessa) o alla cassa comune della canonica.                    

L’immagine complessiva che emerge da questi statuti è quella di un gruppo di canonici, inseriti in un contesto che vede l’assoluto prevalere delle attività agricole, che hanno dei momenti di vita comune e che si impegnano con giuramento a un maggiore rigore nell’osservanza delle regole che sono loro proprie. 

L’ambiente agrario

Dei riferimenti alle decime, quasi in attuazione pratica delle disposizioni degli statuti, si hanno per alcune situazioni di Buccinasco [8]. Se ne citano due esempi: del 1466 è una nota come “memoria solutionis hominum de Bucinascho pro decima solvenda domino preposito de Cisano facta”, una sorta, quindi, di promemoria e di ricevuta. Tra coloro che devono pagare la decima (tenetur solvere) vi sono le Monache e delle persone indicate nominativamente, fra le quali anche un Donato di Corsico e persone di “Marliano sive Majrano” in Assago. Del 23 ottobre 1471 è poi una nota di Antonio Ballieni, prevosto di Cesano, che dichiara di aver ricevuto da Vanino Sandonato di Buccinasco un acconto sulla decima.        

In atti riportati nello stesso volume appaiono altri nomi di prevosti: il 23 febbraio 1512 il prevosto di Cesano Lombardini Borgo ha uno scambio di beni con il nobile milanese Giacomo de Gallarati; il 4 febbraio 1542 il prevosto Ennio Rizzi riceve “libellaria” (una sorta di affitto, con impegno al miglioramento dei fondi) dal signor Giacomo Maria de Astulfis; l’11 marzo 1542 lo stesso Ennio Rizzi, qui qualificato come “prothonotario apostolico et prevosto di la Chiesia de sancto Giovani Baptista de Cisano”, ha un accordo “per lo massaritio et Fittarezza de gli beni di detta Prepositura” con i fratelli Michele e Lazzaro Mauri di Cesano.                   

Particolarmente interessante è una sorta di quadernetto, che raccoglie i conti agricoli della parrocchia nel periodo 1547-49 [9]. Si riporta il conto “delle semenze seminate l’anno presente” effettuato da Pietro Albertario, “1549 adì primo genaro”.

                               Primo                formento                           moggia 6

                                 Segale                                                    moggia 6

                              Farro                                                          moggia – staro 4

                                Avena                                                         moggia 3 staro 3

                              Ciseri                                                          moggia – staro 1

                             Ciserchie                                                 moggia – staro 1

                                   Lentiggie                                                    moggia - staro  - quartaro3

                                    Fasoli                                                     moggia – staro 1

                               Fabbe                                                        moggia – staro 9

                                 Miglio                                                    moggia – staro 2–quartaro2

                                Linosa                                                         (non indicato)

                               Avena                                                     moggia – staro 4

 

Le sementi coprono in modo adeguato il sistema della rotazione. Vi sono infatti sia i cereali autunnali (frumento e segale), sia i cereali primaverili (avena). Ad essi si aggiunge un’ampia varietà di leguminose: ceci, lenticchie, fagioli e fave, che l’esperienza aveva mostrato essere di grande importanza sia per l’alimentazione (le loro proteine compensavano la quasi assenza della carne nella maggior parte delle famiglie dell’epoca), sia per la ricostruzione delle caratteristiche biochimiche dei terreni. Vi è poi la presenza dei cereali minori, quali il farro e il miglio, che le diete moderne vanno riscoprendo. Il tutto viene espresso in misure che i contadini lombardi ancora utilizzavano negli anni cinquanta del nostro secolo.


[1] Notitia cleri, cfr. Introduzione a cura di Marco Magistretti, Milano 1900

[2] In  CONSERVA-PONTI-VIGORELLI , Trecianum, vol. IV, pag. 31 si riporta la seguente nota “Il prof. Gentile Pagani, nella “Raccolta milanese” in data gennaio 1888, dice che la Lira Imperiale, usata nel Ducato di Milano nel 1354, equivale a L.150 e nel 1409 a L.100”.

[3] Si comprende così la mancata citazione delle chiese dei monasteri: Gratasolia in monasterio del  Liber diventerà “Gratasolio ordinis valisumbrose ” nell’elenco dei monasteri del 1466(v. infra, n. 5). Neppure in questo documento è invece citato il monastero di Bativacha.

[4] Cfr. G.VIGOTTI, La diocesi di Milano alla fine del sec. XIII, pag. 174. Questa località è ancora citata come “vestigia” nella mappa dell’epoca di s. Carlo.

[5]Status Ecclesiae Mediolanensis anni MCCCCLXVI iuxta exemplar seculi XI insertum in  codice Miscellaneorum Bibliotecae Monachorum s. Ambrosii Mediolani, signato n. 245”.

Trascrizione in “osservazione di Pietro Mazzucchelli intorno al saggio storico-critico sopra il Rito Ambrosiano”, Milano1828 (per Cesano, cfr. pag.373).

[6] Cfr. ACAM, Cesano Boscone, vol. XX, q. 8-9, cui segue nel q. 10 la visita di s. Carlo.

[7] L’indizione implicava riferimento ai calcoli necessari per stabilire la data delle feste mobili nell’anno solare, in particolare della Pasqua.

[8] ACAM, Cesano Boscone, vol. XIV, q. 10.

[9] ACAM, Cesano Boscone, vol. XIV, q. 1.