LA CHIESA E IL PAESE TRA CINQUE  E SEICENTO

“1564 a 15 di dicembre. Giovanni Antonio de Ormeli, nato a 12 di agosto, figliolo legittimo di Dominico e di Lucia fu batezzato da me Giovanni Begliocchi sudetto; fu compare Batista de Beltramini; habitano tutti in Cesano”.

Nell’elegante grafia del prevosto Begliocchi, è questo il più antico tra i battesimi registrati nell’archivio della chiesa prepositurale di s. Giovanni. Da allora, con linguaggio che presenta solo minime varianti, si susseguono i nomi di bambini, genitori, padrini e dei sacerdoti che hanno amministrato  il battesimo, quasi sempre accompagnati dall’indicazione della località in cui la famiglia abitava.

Dall’antico volume sembrano mancare alcune pagine ed è scomparsa dall’archivio di Cesano la registrazione relativa agli anni 1590-1626. La conferma, tuttavia, che da allora si ebbe una tenuta regolare dei dati relativi quanto meno a battesimi e matrimoni si ha nella relazione che accompagnò la visita del card. Federigo: i libri di battesimi, matrimoni e stato d’anime, per quanto rilegati senza distinguerli tra loro, sono giudicati in ordine [1].

Anche da questo si può comprendere l’intensità del legame tra la popolazione e la chiesa: alla chiesa fanno riferimento gli avvenimenti più significativi della vita di ogni famiglia, così come in chiesa si trova scandito il ritmo ciclico della domenica e delle feste annuali.

Nella chiesa per la visita del card. Federigo

In effetti non era difficile per le sole 177 anime di comunione di Cesano-villa segnalate dal prevosto nel 1570, ritrovarsi tutti insieme, magari anche con i bambini un po’ grandicelli (allora la prima comunione si riceveva intorno ai 12-13 anni), per le funzioni domenicali.[2]

Sappiamo che si trattava di una chiesa a tre navate, di dimensioni ben segnalate nella pianta voluta da s. Carlo. Per altro, una prima descrizione, redatta nel 1566, ci conduce anche all’interno dell’edificio, già allora giudicato “vetustum”, cioè antico.[3] Le sei colonne sono in laterizio, e solo la navata centrale ha un soffitto ricoperto “ex tabulatis”  (“tabulis bene soffittata” nella relazione del 1570).

Nelle navate laterali, invece, appare direttamente il culmine. Il pavimento in argilla, probabilmente lo stesso oggi visibile in piccola misura sotto l’altare di s. Antonio, ricopriva solo una parte della chiesa, ma quattro anni dopo risulterà pressoché completato. Il campanile aveva una sola campana e il Battistero veniva a sua volta considerato vetusto e incongruo.

Sull’altar maggiore c’era un quadro con la Madonna tra s. Giovanni Battista e s. Ambrogio; l’altare di destra, con  delle pitture, era dedicato alla Madonna; l’altare di s. Agata, sul lato presso la canonica, aveva a sua volta un dipinto su tavola della santa e un reliquiario d’argento.

I redditi, per cinquanta scudi (?) annui o anche meno secondo l’andamento dei raccolti, sono assicurati da possessi per 240 pertiche nel territorio di Cesano.

Nei pochi anni che trascorrono fino alla visita del padre Chiavone, del 9 aprile 1570, la trasformazione più importante è relativa al rifacimento dell’altar maggiore.[4] Su di esso il quadro della Madonna è stato sostituito dal tabernacolo, che il padre apre, per osservare come all’interno si trovino l’ostensorio con  l’ostia grande nella lunetta e una piccola pisside con delle particole; accanto vi è la lampada accesa.

Le indicazioni emerse dal Concilio di Trento, e, più analiticamente, le disposizioni emanate dai Concili provinciali e dai sinodi milanesi trovano così una prima applicazione nell’attenzione posta al tabernacolo, il quale diventa un riferimento essenziale per le celebrazioni liturgiche e per la preghiera in chiesa, innalzandosi quasi direttamente dall’altare.

L’altra grande preoccupazione riguarda il Battistero, che è sì collocato correttamente a sinistra dell’ingresso, ma che ancora non corrisponde alle norme.

Le ordinazioni principali riguardano così proprio il tabernacolo e il battistero. Per il primo si dispone che si faccia una porticina verso il coro, dalla quale si possa prendere il SS. Sacramento; per il battistero che “si acconci col suo ciborio...et  si faccia il santuario...secondo esse instruttioni”.  Si trattava di costruire una sorta di piccola cappella intorno al fonte battesimale, il cui spazio sarebbe stato così ben distinto all’interno della chiesa. La costruzione doveva poi servire da modello per le altre parrocchie, come ricorda il prevosto: “Li Battisterij non sono anco fatti in neuna chiesa per che si aspetta la forma di quello della Collegiata”[5]. In questo stesso testo appare poi la preoccupazione per il cimitero, non ancora chiuso con un muro “per la povertà de gli huomini”; un’osservazione che va confrontata con ciò che si dirà per Baggio, circa trent’anni dopo, alla visita del card. Federigo: in quel cimitero, rimasto aperto, entravano le bestie a pascolare[6].

Proprio la relazione per l’arrivo del cugino di s. Carlo, il mercoledì 20 ottobre 1604, ci accompagna in una visita accuratissima della chiesa di s. Giovanni Battista [7].

Si inizia con il tabernacolo, di legno e dunque incongruo per una chiesa plebana, per descrivere poi gli arredi liturgici legati all’Eucaristia (lampada, tovaglie,...) e le reliquie, tra le quali si poté leggere su una lamina la data del 1514.

Un ampio spazio è dedicato proprio al battistero. Il fonte poggia su una colonnina quadrata, con un ciborio in legno di noce sormontato da una croce. Per altro il fonte assorbiva l’acqua e perciò il prevosto vi ha inserito un catino (vas) di rame stagnato. In esso vi era “aqua munda et nitida”. Cancelli di legno separavano il battistero dalla navata.

Per verificare poi i vasi con il crisma, l’olio per i catecumeni, l’olio per gli infermi ci si reca in sacristia e dietro l’altare, sotto il quale si osserva la presenza di una “piscinula”. E’ questa, a quanto risulta, la più antica conferma scritta di una sorgente o fontanile proprio sotto l’altare maggiore della chiesa. Questa sistemazione, tuttavia, non sarà ritenuta adeguata e nei decreti successivi alla visita verrà imposto di costruire una vera e propria cappella battesimale, con una vasca di marmo o di pietra senza rischio di perdite. Si minaccia addirittura di far portare i bambini da battezzare nella chiesa di Corsico, se entro due anni non si sarà ancora provveduto. E’ in questo contesto  che si stabilisce che non venga più usato il sacrario che attinge l’acqua dalla “piscinula” sotto l’altar maggiore e che anzi venga chiuso il foro dal quale l’acqua cade in questa piccola vasca. Il riferimento non risulta chiarissimo: l’acqua nei pressi dell’altare era stata utilizzata? Aveva a che vedere con il sistema di battisteri emerso nello scavo del 1995? In ogni caso si ha qui una decisione netta: i battesimi potranno essere amministrati solo in una nuova cappella, che abbia la forma stabilita dalle istruzioni.

Molto analitica è anche la descrizione degli altari. L’altar maggiore è ornato con due angeli e quattro candelabri; dista solo cinque cubiti dalla parete absidale e la “cappella” in cui è inserito ha un soffitto a forma di testuggine, formato con assi dipinte; si chiude con un arco. Il pavimento, in pietra e cemento, è alzato di tre gradini rispetto alla chiesa, da cui è separato con cancelli di legno.

L’altare della Madonna, collocato nell’abside laterale, è ornato da un quadro con la Madonna stessa tra s. Francesco e s. Lucia; è a esso dedicata la confraternita del Rosario. Il quadro dell’altare di s. Agata, nella nicchia opposta, rappresenta il martirio della santa.

La descrizione scende ora alle tre navate. Sono distinte da quattro archi, per una lunghezza di quasi 30 cubiti e una larghezza di altrettanti ; mentre l’altezza è di poco superiore a 18 cubiti.

Il pavimento è in laterizi quadrati; le pareti imbiancate e in qualche punto dipinte; il soffitto è di legno.

Vi è una porta nella facciata; una seconda porta consente di passare dall’altare di s. Agata alla casa prepositurale. Sopra il portale maggiore vi è una finestra rotonda; una quadrata sulla facciata della navata meridionale; due nella parete settentrionale; una più piccola nella parte posteriore.

Addossato al primo pilastro dal lato del vangelo vi è il pulpito, di noce, con forma esagonale. Due sono i confessionali (uno però è da restaurare); due le cassette per le elemosine; due le acquasantiere, poste sui primi pilastri dell’ingresso.

Il campanile, con due campane, è nella chiesa, a nord, presso il battistero. Dalla parte opposta, all’esterno della facciata, vi è la sagrestia, che ha  un luogo per pregare, ma non per lavarsi le mani: per di più una sua parete minaccia di cadere.

L’osservazione è così precisa che si spinge ad annotare la presenza di un harmonium decoroso (“decens”): il primo strumento per la musica sacra di cui si abbia notizia per Cesano.

Anche il cimitero è oggetto di attenzione. Come aveva prescritto il sinodo diocesano del 1568, si doveva seppellire “nei cimiteri dove non son sepolture”[8]. Di qui l’importanza di delimitarne bene il territorio, cingendolo con un muro. In effetti la visita del 1604 registra un cimitero quadrato, posto davanti alla chiesa, in corrispondenza dell’attuale sagrato, con la cinta che è però in parte diroccata sul lato settentrionale. Si spiegano così le ossa ritrovate nelle diverse sistemazioni effettuate nel Novecento, fino, forse, alla tomba emersa nello scavo del 1995 e collocata nello spazio tra la facciata attuale e la facciata antica [9]. Per altro sembra che non si sia per questo cessato di seppellire in chiesa, magari sotto la spinta di eventi drammatici  come la peste o in casi particolari.. Nello stesso scavo si è ritrovata, infatti, una grande fossa collettiva, così come sono apparse delle tombe, che, in attesa di studi più precisi, si possono genericamente riferire ai secoli XVII - XVIII.

Negli armadi della chiesa: oggetti e paramenti per l’uso liturgico

L’inventario degli arredi, anche per la chiesa di s. Giovanni, è lo strumento tipico che ci informa degli oggetti di cui si poteva disporre. Dopo il più antico del 1545, è particolarmente interessante un inventario compilato nel 1573, che accompagna di fatto le descrizioni dell’edificio [10].

Si inizia con ciò che viene utilizzato per l’altar maggiore.

“ A l’altar magior.

Una Pisside con la coppa d’argento sopra dorata onde sta di continuo il SS. Sacro.

Uno Tabernacolo fatto in modo di torre, parte sopra dorato et parte di color di marmo col suo padiglione di tafetano verde (un grande tessuto che avvolgeva da dietro tutto l’altare).

Dui para de Candaleri de l’ottone fatti alla Anticha.

Una Croce argentata nova onestamente bella.

Una Croce di rame sopra dorata Anticha”.

Gli oggetti e i paramenti liturgici sono ricordati in un elenco, che ci fa entrare analiticamente nelle caratteristiche delle celebrazioni: due calici; due patene; borse con i corporali; tovaglie; paliotti per l’altare nei colori nero, bianco, rosso, verde, morello; tunicelle nere e turchine; pianete; camici, amitti, manipoli, stole, cordoni; un solo piviale turchino; un baldacchino grande e uno più piccolo, da  potersi portare con una mano; un velo bianco e due lanternoni per portare il Santissimo; due angeli; candelieri; “Uno teribile” (turibolo) anticho con la sua navicella; due scangielle e una “baciletta”; quindi purificatoi e asciugamani, borse per gli oli santi.

Rivive qui la liturgia precedente al Concilio Vaticano II, con tutte le sue rubriche per le solenni Messe in terza così come per le celebrazioni più semplici, con le candele, l’incenso, le vesti prescritte.

Nella parte finale è ricordato un grande mobile: “Uno guernerio (armadio guardaroba) grande in sacrastia donde se guarneno tutti i paramenti”. Viceversa  i riferimenti al battistero ci riportano al clima - letteralmente - che nella chiesa si viveva: “Circa al baptisterio situato di marmo in chiesa circondato di fustelle di legno bene accomodato - tre vasi congionti insieme sì come è l’ordinatione per li olij santi - il vaso de l’oglio santo da per lui in una scatola de legno - uno bacile grande de pelter per battezar quando per il gielo non si può usar il vaso di marmo in chiesa - una servietta da sucàr li putti batezzati”.

Nei mesi freddi, dunque, non veniva usata la gelida vasca di marmo: l’acqua battesimale veniva riscaldata in un bacile di peltro, con quei “putti” subito asciugati, dopo che la loro testolina era stata portata a una parziale, rapida immersione, secondo l’uso specifico del rito ambrosiano.

In ogni caso il prevosto può rapidamente concludere il suo inventario ricordando delle cassette in noce, un asperges e soprattutto due sacramentari, quattro libri per il canto in coro, un breviario grande e antico, due messali.

Né l’inventario del 1604, né quelli successivi ritroveranno la freschezza di questo elenco più antico.

Il patrimonio terriero a sostegno della parrocchia

Nel tardo Cinquecento i beni della parrocchia devono trovare una precisa distinzione rispetto a quella dei canonicati. Un elenco ne è stato comunque compilato nel 1579, in situazione di sede vacante per la morte del prevosto Antonio Reghini, che da soli due anni era succeduto al Begliocchi [11]. Il beneficio parrocchiale vi è presentato con altri terreni, appartenenti ai benefici canonicali.

Tuttavia la situazione si chiarisce perfettamente nel giro di alcuni anni. Nel 1599 il prevosto Francesco Rugherio farà misurare all’agrimensore di Cusago Domenico Castelli i terreni del beneficio. Il quadro che ne risultò è riportato nella relazione del 1604 per il card. Federigo[12], in cui si afferma “Redditus prepositurae in totum sunt ducatorum ducentorum vel circa, qui percipiuntur ex bonis quae subtus describuntur, videlicet...” Duecento ducati di reddito derivano dunque alla prepositura dai terreni di cui all’elenco successivo:

Vignolo contiguo agli edifici della prepositura            6 pertiche

Vignolo della fontana, presso il giardino (“viridarium”), che ha tra le sue coerenze il fontanile della chiesa                                                                          7 pertiche

Vignolo della chiesa, vicino alla prepositura                   4 pertiche            12 tavole  

Campo longo,                                                              66 pertiche

che ha tra le coerenze il                                 

fontanile del principe Landi: in proposito

vi era stata una controversia con il

precedente prevosto Cesare Cavalli,

per questioni di irrigazioni

 

Vignolo                                                            1 pertica 12 tavole   10 piedi   8 once

Sedime coltivato da un massaro,cui corrispondono la stalla
e la cascina presso la prepositura                   4 pertiche

Vignolo presso la strada                                   27 pertiche              6 tavole            8 piedi                     5 once

Campo del Spedruzzo                                            84 pertiche              5 tavole            11 piedi                   7 once

Campo di Muggiano                                             30 pertiche              4  tavole   6   piedi                   6 once

Vigna La Novella                                                86 pertiche              2 tavole            2   piedi                   9 once

Il Trebbiano                                                     71 pertiche               15 tavole   1  piede                    2  once

Campetto del Trebbiano                                3 pertiche            11 tavole   6 piedi              8 once

 

Si parla poi dell’affitto di 190 ducati da parte di Paolo Blasio per i beni del beneficio.

Le proprietà sembrano sostanzialmente invariate in occasione della relazione stesa da don Ottavio Cimilotti, prevosto dal 1631 al 1639, che pure si riporta in sintesi, così da consentire un confronto[13].

Il prato con ragion d’acqua...e verso la chiesa
un vignolo (coerenza con le proprietà Bacardi,
Cermenati, Principe di Monaco, Arsago)                                                           70 pertiche

Il campo dove si dice il Spedruzzo

(coerenze con un fontanile e con le proprietà dell’Abbazia a Muggiano)            90 pertiche

Il campo dove si dice la vignola
(coerenze: strada di Muggiano e proprietà

di Bianca Gandina e Giov. Battista Barelli)                         20 pertiche

Il campo detto di Muggiano
(coerenze: proprietà dell’Abbazia e strada di Muggiano)            30 pertiche

La vigna detta la novella col campo annesso (coerenze: proprietà Barelli, strada di Muggiano, campo della chiesa e fontanile)                                                          80 pertiche

Il vignolo avanti la chiesa (coerenze:

proprietà di  Arsago e strada)                                                 5  pertiche

Il campo detto il Trebbiano (tra le coerenze:
la roggia detta il fontanile del bosco e la
proprietà Barelli)                                                             70  pertiche

Il campetto verso Baggio
(vicino al Trebbiano)                                                                   4  pertiche

Il giardino con sito di casa da massaro
congiunti alla casa prepositurale e alla strada                                6 pertiche

 

Si ha così  la visione di una chiesa ben radicata nell’ambiente agricolo, con  la stalla vicino alla canonica e una serie di campi, che sembrerebbe poter dare alla parrocchia una certa sicurezza economica.

Alcuni decenni dopo, tuttavia, il prevosto Giacomo Filippo Opicelli non ne sembra soddisfatto. L’elenco da lui compilato nel 1685 assomma a un totale di 342 pertiche “come appare per misura fatta dal sig. Carlo Antonio Mafferone ingegniero collegiato di Milano sotto li 28 ottobre 1648” [14] .

I nomi dei campi sono un poco cambiati: il Muggiano per 30 pertiche; un arativo di 82; un arativo detto la Bertina di 25; il Trebbiano con il suo campetto, qui misurati per 71 pertiche; il campone di 30; un campetto e un prato di 65; un pezzetto detto Campelù, di 10 pertiche. Anche intorno alla casa prepositurale si hanno significative estensioni agricole: un campetto di 16 pertiche vicino al giardino; il vignolo di casa di 3 pertiche; il giardino di 6; il “sito della casa del fitabile con Hera (Aia), Corte et horto” di 4.

Il prevosto, che riceve per l’affitto 3 soldi per pertica, segnala però delle crisi agricole, che hanno influito anche su questi beni: “Quest’anno prossimo passato 1684 di tutti li terreni per essere morte le viti non sé havuto altro che sette Brente di vino, e per altri mali influssi, di Formento e Segale non sé racolto altro che le semenze apena; e questa disgratia per esser stata universale nel territorio di Cesano è molto nota. Per il Passio non si raccoglie altro che tre moggia di Formento, quando pure li Fitabili sottoposti alla detta Prepositura corispondino tutti uno staro per uno conforme il solito. E questa è l’entrata ferma della Prepositura di Cesano, che l’anno passato 1684 ha frutato quasi niente”.

Sembra dunque che si sia incappati in una delle non infrequenti annate di carestia, nelle quali si riusciva a stento a conservare la semente per l’anno successivo.

Per altro le entrate della parrocchia venivano completate dalle offerte e dalle tariffe per le celebrazioni, definite come rendita incerta. Così, in effetti, continua il prevosto: “ La rendita incerta del detto anno 1684 consiste in corpi che de Huomini e Donne sono stati n. 14 a soldi 10 per chiascheduno e corpetti de figlioli a soldi 5 per chiascheduno (si tratta dei funerali degli adulti e dei bambini). Da Battesimi e Matrimonij non se ne ricava l’utile de soldi 12 in un anno. Per la Messa scudi sessanta. Per li officij il Prevosto di Cesano non va che all’Officij generali nella Pieve dove si fanno, che sono cinque in tutto, con utile de soldi 4 per chiascheduno.

Questa contabilità tanto minuta immette nella realtà viva del paese, di cui ci fa toccare con mano la povertà: la mortalità infantile ne è un segnale, che diventa ancor più esplicito se lo si confronta con dei dati demografici relativi a un certo numero di anni.

Battesimi, Matrimoni, Funerali

[15]Fino al secondo Ottocento, l’anagrafe parrocchiale è spesso l’unica disponibile per i paesi di campagna.

Per una effettiva comprensione dei dati che se ne sono ricavati è necessario, intanto, ricordare le dimensioni complessive di Cesano.

Il punto di partenza più completo è costituito  dal già citato stato d’anime del 1574, che dà per la cura di Cesano, allora comprendente anche Assiano, Baggio, Garegnano Marcido, Lorenteggio, Muggiano e Monzoro, con le relative cascine, un totale di 2.195 abitanti.

Se, tuttavia, Cusago (con s. Maria del Bosco, Monzoro e Assiano) e Baggio, che diventeranno presto parrocchie autonome, sono considerate a parte, gli abitanti di Cesano si riducono a meno di seicento: è appunto la cifra indicata nella relazione del 1604 per la visita del Card. Federigo, con l’aggiunta che di esse le anime di comunione sono circa 450 [16].

Nei primi decenni del Seicento, benché la peste del 1630 abbia colpito anche Cesano, la popolazione è aumentata. Così il prevosto Gerolamo Bizzozzero, nella sua relazione vicariale del 1648 rileva in tutto 800 anime, di cui 600 di comunione e può considerare abbastanza numeroso il popolo della sua parrocchia [17]. Al contrario, il dato riportato dal prevosto Opicelli per il 1685 è di 563 anime in tutto, di cui solo 406 di comunione [18].

L’andamento dei battesimi, presentato nel grafico n. 1, mette piuttosto in evidenza intanto il dato assolutamente anormale del 1630, che ha visto solo 3 nuovi battezzati; dopo la risalita successiva, vi è una curva discendente negli anni che precedono il 1650. Un elemento interessante di questo grafico è la presenza, modesta, ma  costante, di un certo numero di battesimi, amministrati dalla stessa levatrice, che aveva assistito al parto, per il timore che il neonato fosse in pericolo di vita.

Si tratta di una spia dei rischi che accompagnavano la nascita, qualche volta ulteriormente chiariti dalle precisazioni del registro. Il 29 settembre 1639, ad esempio, si annota che il piccolo Giovanni era stato battezzato a casa “dalla comare in un piede”; mentre il 18 luglio 1641 è Margherita a essere “battezzata in una gamba a casa”: risulta evidente la presentazione difficile, podalica, dei due neonati. Nel periodo esaminato è documentata la morte a seguito del parto per tre mamme: il 14 ottobre 1677 “morse di parto improvisamente Lucia Valera d’anni 28”; il 3 ottobre 1679 si ha la vicenda dolorosa e commovente di Margherita Nova, di 39 anni e della sua bambina: “Morse l’istesso giorno che nacque Anna Maria Nova et è sepolta con sua madre nel cemeterio di Cesano”; il 17 novembre 1682 è battezzata Angiola Domenica Archerio, la cui mamma Domenica è morta nel darla alla luce.

Le prime due di queste notizie sono ricavate dal registro dei funerali, che nell’archivio parrocchiale inizia solo con il 1666.

Per questa ragione si è assunto il periodo 1666-1687 per il secondo grafico, che confronta tra di loro battesimi, matrimoni e morti. Si può osservare che, in sostanza, la popolazione rimane stabile, sulla base tuttavia di una natalità e di una mortalità vicine al 40 per mille e, pertanto, di circa quattro volte superiori alla media della Lombardia odierna.

A tale dato è strettamente collegato il 3° grafico, che mostra la frequenza, per noi impressionante, della mortalità dei bambini. La data dei 7 anni è spesso utilizzata nella registrazione, perché al di sotto di quell’età non veniva amministrato il sacramento detto allora dell’Estrema Unzione. Un’analisi più dettagliata è condotta negli ultimi due grafici, per il periodo 1666-1670. I funerali dei bambini erano più della metà del totale e anche nelle successive fasce d’età la possibilità della morte si presentava sostanzialmente in modo costante: si ricordi che malattie come l’appendicite, le infezioni, la polmonite erano facilmente mortali.

Ne risultava un rapporto con la vita e con la morte che non poteva non considerarne la frequente presenza in ogni casa.

Né questo significava che non si poteva campare a lungo: il 27 aprile 1676 viene celebrato il funerale della signora Lucia, che aveva 96 anni.

Dal registro dei battesimi si riportano, infine, osservazioni particolari, che offrono ulteriori elementi per riflettere sulla vita dell’epoca.

Fa una certa tenerezza la registrazione della nascita di un bambino dei coniugi Casorati, capitati per caso a Cesano, dal paese di Calvairate: il battesimo avviene così in questa chiesa il 4 novembre 1684 e il nome scelto, forse per ricordarne il patrono, è proprio quello di Giovanni Battista.

Due sorprese non prive di una nota di tristezza capitano invece al prevosto Opicelli il 13 luglio 1666 e l’11 maggio 1682. Nel primo caso aprendo all’alba la porta della chiesa, trovò il piccolo Bernardo “con biglietto al collo d’haver hauto l’aqua e di porgli il già posto nome”; sedici anni dopo, invece, fu la volta di una bambina, che “non haveva alcun biglietto che dasse indizio d’esser batezata”; il prevosto la chiamò Anna Maria Ventura.

L’inscindibilità nella pratica tra le grandi vicende della vita e le celebrazioni religiose spiega anche l’annotazione “nato di fornicatione” nei rari casi di bambini generati fuori del matrimonio: sono cinque in tutto in sessant’anni. Un bambino, ad esempio, è nato da una relazione del signor Giulio Cesare Vismara con la serva Giulia e, naturalmente, gli viene dato il nome di Giulio Cesare (19.12.1634); in altri casi il nome del padre viene stabilito “per giuramento dato alla madre nell’atto del parto de veritate dicenda” (4.05.1677 e, in modo analogo, 24.08.1683). Il registro più antico presenta anche un caso che richiama la dominazione spagnola: il 19 settembre 1581 è battezzata come Maria la figlia naturale di Maria...e del signor Guglielmo Rodriguez, che abita a Baggio. Naturalmente anche la morte, se non si tratta di bambini o di morti improvvise, è accompagnata dai sacramenti: per i ragazzi più piccoli l’Estrema Unzione e la Confessione (si veda ad es. il 22.03.1683 per un ragazzo di 11 anni); per tutti gli altri anche l’Eucaristia, nella forma del Viatico, del cibo cioè che doveva  consentire di affrontare l’ultimo, difficile viaggio.

Un negozio e una casa

L’avvicinarsi della fine della propria vita, per altro, comportava anche la sistemazione delle questioni economiche. Così, almeno, ha fatto il sig. Gerardo Rivolta, un negoziante, che fa testamento, trovandosi “alquanto di forze estenuato per vigore della malattia mia presente, ma però di mente et intelletto sano per la Dio gratia, et sapendo non esservi cosa al huomo più certa che la morte con che passa da questa ad altra vita eterna...” [19].

Il Rivolta, in effetti venne a morte il 30 gennaio 1666. Doveva trattarsi di persona piuttosto vicina alla parrocchia, della quale lavorava un campicello. Nel suo testamento, comunque, afferma anzitutto di voler morire nel seno della Chiesa e chiede di essere a questo fine aiutato dalla preghiera di tutti.

Protagonista poi delle disposizioni testamentarie diventa la moglie Caterina, nominata tutrice dei figli Maddalena, Giovanni Battista, Maria e Bianca, che sono tutti minorenni.

Proprio perché ella possa crescerli adeguatamente ed educarli nel timor di Dio, dispone che  la moglie “possa maneggiare e fare il Pristino et botega come sin hora si é fatto”, con libertà di compravendita di ciò che è necessario per l’esercizio. Ella, tuttavia, non potrà alienare beni di rilievo senza il consenso di altri due personaggi, ovviamente di sesso maschile, che il testamento indica come procuratori. A loro dovrà essere periodicamente sottoposta anche la registrazione di crediti e debiti.

A ben comprendere il senso del testamento si deve ricordare che la donna non godeva allora di una personalità giuridica pienamente pari a quella dell’uomo. In questo senso il Rivolta, che sembra mostrare grande fiducia nella propria moglie, si preoccupa da un lato di assicurale l’ampia libertà necessaria per continuare l’attività del negozio; dall’altro sottolinea l’obbligo di render conto a tutela dei figli minori. Si trattava infatti di garantire la dote per le  figlie femmine, il passaggio dell’attività e del patrimonio al figlio maschio e anche di precisare i limiti dell’attività della vedova, tenuto conto di un pur sempre possibile passaggio a nuove nozze.

E’ così che già pochi giorni dopo la morte del Rivolta, viene redatto il 4 di febbraio un primo inventario, alla presenza del fratello del defunto e di Caterina. Dallo stesso veniamo di conseguenza a conoscere ciò che egli aveva sia nel negozio, sia in casa, in modo da farci un po’ un’idea di un’attività commerciale e di una abitazione del Seicento.

La merce inventariata per il negozio era costituita quasi esclusivamente da cereali e farine: 30 moggia di segale, 40 di risone verde e 10 di miglio in un primo solaio; 60 di risone e 20 di riso bianco in una camera; 65 moggia di riso bianco in un’altra camera; in un secondo e in un terzo solaio 116 moggia di frumento e 25 di farina macinata; fino a 2 moggia di fagioli nell’ultimo solaio.

Si ha l’impressione che si tratti di quantità rispettabili e che pertanto la famiglia e la casa del Rivolta non fossero tra quelle povere.

Da qui si può anche gettare uno sguardo sull’alimentazione dell’epoca: al frumento e ai cereali minori, essenziali per il pane e i prodotti derivati da farina, si aggiunge il riso, così caratteristico della cucina della Lombardia occidentale e del Piemonte.

“Scritture” e “danai” (documenti e soldi) si trovano in una cassetta piccola in una camera, nella quale vi sono anche degli “scioppi” (schioppi).

Nell’elenco successivo, tra panni e mobili, vi è la presenza di una piccola lista di gioielli: sei anelli d’oro, un “agnus” d’oro, tre “colli” di granati, tre “colli” di coralli, quattro coralli con cristalli; ma anche oggetti in “orofalso”. Sembra, insomma, che la signora Rivolta e le sue figlie  non fossero prive di qualche ornamento da mettere in mostra nei giorni di festa.

In modo non sempre preciso - il testo presenta aggiunte e correzioni - si parla anche per la bottega di diverse centinaia di formaggi, di olio, di burro, di sale.

Per la descrizione dei mobili e dei vestiti è molto più chiaro l’elenco che appare stilato un po’ più tardi, in maggio, dalla stessa signora Caterina. Inizia con i mobili della cucina:

“Una tavola grande di noce usata

Una boffetta ordinaria di noce

Due caponere di pezzia usate

Cinque scagni da Varalo

Due casse di noce usate et una cas(s)etta piciola

Una credenza di due antine con suoi gradini

Una credenzetta piciola a un’ anta”.

Dobbiamo pensare pertanto a un locale relativamente ampio, tanto più che vi doveva trovar posto il camino, come risulta dall’elenco delle stoviglie e degli utensili:

“Tre vaselli di tenuta di due brente l’uno incirca

Un vaseletto d’una brenta incirca

Doi barigli di pezzia di mezza brenta l’uno

Diversi piatti et fondi di peltro...

Due scaldaletti di rame usati et una sidella...

Tre padelini rotondi di rame usati picioli

Una pignata di rame grande usata et un parollo

Un bronzino d’ottone con il coperto et un bacille usato...

Due padelle di rame...

Una cathena da foccho con un para de brandenali di ferro et un bernazzo

Due cathene...”

Di molti di questi utensili in metallo viene indicato il peso. In altro testo poi, forse un’altra stesura del testamento, alcuni di essi vengono indicati come lasciti particolari: una “caldara” grande sia conservata per il figlio; mentre un “pairolo” grande viene lasciato al nipote.

La continuazione dell’elenco di Caterina, invece, ci porta nella camera di sopra, dove si dorme, nella quale sono conservati i vestiti:

“...Una delle suddette casse dove li è dentro un colletto...

Un fariolo (mantello) di panno..., con una marsina et calzoni et un gippone et calzette del medesimo panno tutti novi

Un altro para de calzoni, gipone et marsina di canevazzo usati

Un altro para de calzoni usati di lana

Un para di calzette  di filisello”

Vi è naturalmente la biancheria: tele, camicie, lenzuola, tovaglie, nonché “mantini, fodrette, camisogli per i fanciulli, traversa e scosale...”

Infine i letti, con coperte, cuscini e materassi: “Due letère, una con le colonne di noce; doi letti di penne...; doi matharazzi...; doi cosini di piuma; tre coperte da letto et una copertina”.




[1] Un elenco di matrimoni celebrati a Cesano è riportato in ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 36 e inizia con l’anno 1565. Per il giudizio sui libri espresso nella visita del card. Federigo si veda id., vol. XIX, foglio 193

[2] La cifra è riportata in ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 3.

[3] ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 17. La relazione è datata venerdì 21 febbraio 1566 e riporta il nome del prevosto Giovanni Begliocchi “bobiensis

[4] id., vol. VIII, q. 3 e q. 4 per le ordinazioni.

[5] Id., vol. VIII, q. 24.

[6] Id., vol. XIX, foglio 200

[7] id., vol. XI, foglio 178 e seguenti. I decreti sono nel vol. XVII, fogli 63-72.

[8] Id., vol. XI, q. 24

[9] La posizione delle tombe è descritta in CERESA-RIGHETTO, Pannelli esplicativi, 1997

[10] id., vol. VIII, q. 11

[11] In ACAM, Cesano B., vol. VIII, 5 vi sono indicazioni relative a fitti e livelli della chiesa  stese da don Begliocchi; la relazione del 1579 è in vol. VIII, 22.

[12] id., vol. XIX, fogli 187-191

[13] id., vol. XX, q. 4.

[14] APC, cart. 6, fasc. 2°

[15] I dati di questo paragrafo sono ricavati dal registro n. 2 della sezione anagrafica dell’APC. I grafici sono stati elaborati da tre studentesse di informatica dell’Itis Righi, con il coordinamento della loro docente di statistica, prof. ssa Mutti.

[16] ACAM, Cesano Boscone, vol. XIX, foglio 192

[17] id., vol. XX, q. 1.

[18] APC, cart. 6, fasc. 2°. L’Opicelli ripete le stesse cifre nella relazione con descrizione della chiesa, redatta in bella copia e conservata in ACAM, Miscellanea, vol. X, q. 2, fogli 14-18.

[19] APC, cart. 20, fasc. 1.