IN CAMMINO NELLA PARROCCHIA E NEL VICARIATO

Andava a una riunione plebana il sacerdote che da Settimo, da Assago, da Trezzano e dalle altre parrocchie della pieve  si incamminava, per lo più proprio a piedi, per raggiungere la chiesa di Cesano Boscone . Dal 1752 al 1964 gli atti di queste “Congregazioni foranee del clero” sono stati registrati su di un grosso volume rilegato in pelle [1]. Si tratta, in gran parte, di discussioni sui casi, cioè su situazioni teoriche che presentavano dei problemi alla riflessione religiosa. In pratica le congregazioni costituivano un importante momento di incontro e una sorta di auto-aggiornamento culturale per il clero del vicariato foraneo, secondo la denominazione che si era ormai sovrapposta, per il territorio esterno alla città, al più antico nome di pieve.

Il prevosto, a sua volta, doveva però sobbarcarsi il percorso inverso. Gli era infatti richiesto di visitare a scadenze regolari le parrocchie del suo vicariato, per verificare la condizione degli edifici ecclesiastici e l’impegno pastorale dei sacerdoti.

Proprio queste visite vicariali diventano, soprattutto nel Settecento, una fonte essenziale di informazioni, che si intreccia con le relazioni compilate per le rare visite pastorali degli Arcivescovi.

Le parrocchie del vicariato

Già per la visita del card. Federico Visconti del 1685, il prevosto Opicelli aveva preparato una descrizione completa del vicariato di Cesano Boscone. Ad essa seguono quelle del prevosto Giussani, che lo visitò nel 1715-16 e ancora nel 1742; la visita pastorale del card. Pozzobonelli nel 1747; le visite vicariali del prevosto Giovanni Battista Brambilla nel 1761 e nel 1766 [2].

Da questa documentazione conosciamo, sia pure talvolta in via solo approssimativa, il numero degli abitanti delle diverse località della pieve.  Per una corretta lettura  del grafico si deve però ricordare che esso riporta i totali della popolazione delle rispettive parrocchie. Nella realtà essa non abitava tutta intorno alla chiesa parrocchiale, ma, come si vedrà più in dettaglio per Cesano Boscone, si distribuiva in piccoli centri minori e nelle cascine. Le abitazioni si disperdevano così in una grande quantità di nuclei di modesta e modestissima entità, immersi nei campi coltivati e a volte anche separati dai boschi e collegati tra loro da strade dalla manutenzione approssimativa, soprattutto per i passaggi sui frequenti corsi d’acqua minori.

La preoccupazione dei prevosti è evidentemente di natura religiosa: distinguono così le “ anime di comunione”, cioè gli adulti, a loro volta separati in maschi e femmine, dai bambini che alla Comunione ancora non erano ammessi. In molti casi  è indicato anche il numero delle famiglie. Queste ultime sono sì più numerose rispetto alle dimensioni delle famiglie attuali, ma la media sembra attestarsi, approssimativamente, al di sotto dei cinque componenti per famiglia: all’alto numero di figli corrispondeva, infatti, una mortalità infantile che continuava a restare assai elevata.

L’andamento complessivo sembra per altro tendere verso una crescita lenta, ma costante della popolazione: non vi sono più le grandi epidemie e carestie che nel secolo precedente avevano provocato tanti morti.

Le visite sono per altro incentrate sulla chiesa. Si ha così l’elenco preciso non solo delle chiese parrocchiali inserite nel vicariato foraneo, che rimarranno le stesse sin quasi alla fine dell’Ottocento, ma anche delle chiese più piccole, dette “oratori”, nei nuclei abitativi minori.

Ne risulta la presenza di moltissime chiese, una almeno per ogni gruppo di abitazioni di qualche rilievo, a ulteriore testimonianza della profondità del legame tra la chiesa e il mondo contadino. I prevosti cercano di suggerire che tutte queste chiese abbiano una manutenzione adeguata e le suppellettili richieste, allo scopo fondamentale di garantire le celebrazioni necessarie per la popolazione.

La tabella compilata nel 1766 dal parroco di Baggio, don Francesco de Marchi, in quanto cancelliere plebano, è in certo senso esemplare. Vi si nota la cura con cui veniva fatto un preciso censimento delle anime e delle famiglie e si può osservare la distribuzione del clero sul territorio. Per 6.580 abitanti abbiamo la presenza di 11 parroci, 7 coadiutori diocesani, 13 coadiutori extra-diocesani, 1 coadiutore mercenario, per un totale di 32 sacerdoti, oltre a 6 chierici che al sacerdozio si preparavano. A tutti questi preti  sono poi da aggiungere i religiosi, autonomi rispetto al vicario foraneo. E’ ovviamente improponibile un confronto con la situazione attuale, che vede una concentrazione molto più densa degli abitanti e una forte diminuzione del numero dei preti.

Va piuttosto rilevato il legame, soprattutto dei parroci, con la popolazione del luogo. Si riporta, come esempio in proposito, la valutazione offerta già nel 1682 dal prevosto Opicelli, che aveva compilato uno stato personale per il clero della pieve [3]. Di tutti i parroci si dice che sono “religiosi” e “virtuosi e de ottimi ( o buoni) costumi”. Per loro, dunque, il sacerdozio costituiva un’effettiva scelta di vita. Anche per la maggior parte dei cappellani coadiutori (10 su 17) il giudizio è analogo; dei restanti, tuttavia, si osserva che qualcuno è di modesta cultura e che altri hanno contrasti con il parroco o “giocano e frequentano le hosterie”. Avvisati, però, si sono moderati, tranne quello di Muggiano, che “porta capigliatura e va come li pare”. E’ da osservare  che alcuni cappellani venivano dalla Liguria, da diocesi come Sarzana e Bregnate, dal pavese o da altre località ed erano forse ancora alla ricerca di un’identità precisa.

Si spiega anche in questo senso la cura con la quale i prevosti verificano l’esistenza di legati, cioè di lasciti che comportavano l’impegno di celebrazione della Messa, ma costituivano anche una fonte essenziale per il mantenimento dei cappellani. Pur con un clero così numeroso, infatti, cominciava ad apparire qualche difficoltà  a trovare chi volesse adattarsi ai luoghi più piccoli, quale ad esempio la cascina Guascona nella parrocchia di Cesano; per questi luoghi potevano venir meno anche le risorse per gli stessi più indispensabili interventi edilizi.

Il prevosto, insomma, era reso partecipe della responsabilità di mantenere la presenza capillare della Chiesa sul territorio, con un sacerdote e un luogo per le celebrazioni religiose.

Si comprende, così, la precisione degli elenchi delle chiese visitate, sia dagli arcivescovi, sia dai prevosti. Riportiamo quello compilato da don Ottavio Giussani nel 1715-16.

Corsico: parrocchiale dei ss. Pietro e Paolo. Oratori: della Natività di Maria alla Guardia; s. Carlo a Grancino; s. Francesco presso la riva del Naviglio.

Cusago: parrocchiale dei ss. Fermo e Rustico. Oratori: s. Martino, ad Assiano; s. Maria detta “del Bosco” (a quanto sembra, l’attuale chiesa rossa); s. Francesco, a Monzoro; s. Antonio, cappella ducale, nel castello.

Trezzano: parrocchiale di s. Ambrogio.

Romanobanco: parrocchiale dei ss. Gervaso e Protaso. Oratori: s. Stefano a Gudo Gambaredo; s. Maria “ad nives”; Assunzione, a Buccinasco; s. Giorgio, a Rovido.

Ronchetto: parrocchiale di s. Silvestro. In località “La Ferrera” don Giussani benedirà nel 1736 il restaurato oratorio di s. Francesco da Paola.

Assago: parrocchiale di s. Desiderio. Oratori: s.Ilario, a Bazana; s. Giovanni Battista, a Bazanella.

Baggio: parrocchiale di s. Apollinare. Oratori: Annunciazione (benedetto nel 1733, dopo un restauro); s. Antonio da Padova.

Seguro: parrocchiale di s. Giorgio. Oratorio di s. Giovanni Battista, in località “La Giretta ”.

Settimo: parrocchiale di s. Margherita. Oratori: s. Antonio abate, a Castelletto; Decollazione di s. Giovanni Battista, alle Cascine Olona. Nel 1741 verrà benedetto l’oratorio di s. Maria a Castelletto.

Vighignolo: parrocchiale di s. Sebastiano e parrocchiale nuova di s. Maria.

Le stesse chiese, salvo piccole varianti, vengono elencate nella visita del card. Pozzobonelli e vengono di nuovo verificate dal prevosto Brambilla. Pochi i cambiamenti avvenuti nel frattempo: nel 1766 a Vighignolo s. Sebastiano è ormai ridotto a oratorio campestre; nella cascina “La Moriggia” presso Baggio, vi è l’oratorio campestre di s. Margherita; di Grancino si dice che vi è l’oratorio di s. Biagio, che una volta era parrocchia.

Tra le esperienze di queste visite ricordiamo l’impossibilità per il prevosto Giussani di entrare in s. Maria delle Nevi, perché solo gli Olivetani di Baggio ne avevano la chiave. Il prevosto osserva, comunque, che l’oratorio è solitario e frequentato dai ladri e quindi non vi è stata lasciata nessuna suppellettile. Si vede così come l’ordine degli Olivetani non avesse solo la grande abbazia di Baggio; del resto, anche a Lorenteggio, mai citata per queste visite, vi erano gli Olivetani di s. Vittore, mentre s. Maria del Bosco era a sua volta officiata dai padri che facevano capo al convento milanese di s. Marco.

Si comprende come tutto questo insieme comportasse una organizzazione complessa e impegnativa. Non meraviglia allora il progressivo venir meno di alcuni edifici, specie dopo le soppressioni che si ebbero dall’età napoleonica in poi. Molti si sono tuttavia salvati e fra loro un autentico gioiello quale la chiesetta delle Cascine Olona, con gli splendidi affreschi che illustrano le storie del Battista, l’Annunciazione a Maria, la Crocifissione e un Giudizio Universale. Una sorte per certi versi  meno felice ebbe invece la chiesa di s. Maria del Bosco. A seguito della cessazione delle attività di culto, l’edificio fu sconsacrato e rischiò di andare in rovina. Anche questa chiesa era però ornata di splendidi affreschi di carattere tardo gotico. Essi furono strappati e trasferiti nei musei civici del Castello Sforzesco: una Crocifissione e un’elegante rappresentazione di s. Giorgio che libera una principessa si trovano esposti  all’inizio del museo dei mobili.

La preoccupazione delle visite vicariali, per altro, era eminentemente pastorale. Di qui la cura particolare dedicata alle confraternite laicali, dette comunemente “scuole”. In quasi tutte le parrocchie erano presenti la scuola del Rosario e quella del ss. Sacramento. Una curiosità si ha per Baggio, una parrocchia in cui aveva ancora qualche forma di titolarità, residuo di potestà medievali, il signore Bassiano da Baggio: vi era anche la scuola del Carmelo. L’unificazione con quella del ss. Sacramento portò i confratelli di Baggio ad avere un abito di colore da una parte rosso dall’altro violaceo, quest’ultimo a ricordo del Carmelo.

Il Vicario foraneo, infine, si informava sull’insegnamento della dottrina cristiana, che costituiva per la popolazione un impegno analogo a quello della partecipazione alla Messa festiva. Nei pomeriggi delle domeniche tutta la gente tornava in chiesa per l’istruzione religiosa, impartita con debita distinzione tra maschi e femmine. L’insegnamento era di pertinenza del clero e principalmente dei parroci, ma impegnava anche catechisti laici, scelti tra coloro che avevano già avuto una formazione adeguata nelle confraternite.

La chiesa prepositurale e gli oratori di Cesano Boscone

a)      La descrizione del prevosto Opicelli

 

Poche righe del prevosto Opicelli ci mostrano come si fosse conservata nel tardo Seicento la prepositurale di s. Giovanni Battista: “ Di struttura antica, con tre navi soffittata, con 6 pilastri...Vi è il coro senz’organo. Vi è la sagrestia e  campanile con due campane. Ha cappelle n. 2, Altari n. 4. Non vi sono sepolture, ma cimeterio” [4]

In data 22 febbraio 1685 il medesimo prevosto, nella sua elegante grafia, stende una descrizione che si completa con la precedente e che mostra come dagli anni della visita di s. Carlo non ci fossero stati grandi cambiamenti [5].

“ Il titolo della chiesa prepositurale, alias Collegiata, di Cesano Boscone è s. Giovanni Battista.. Cual Chiesa è longa brazza 32, larga 22, con tre navi non in volta antichissima.

Compreso  l’Altar maggiore sono quattro: a man destra dell’Altar maggiore ve n’è uno della Beata Vergine Maria, a man sinistra un altro dedicato a s. Agata; e dal istessa parte un altro Altare di s. Antonio da Padua.

La chiesa Prepositurale non ha entrata alcuna, et in caso di bisogno si fa tutto d’elemosina.

Della confraternita del ss. Sacramento non si ritrova memoria del erretione, ma per informatione dei più vecchi vi è sempre stata.

Le anime di Communione sono 406; in tutto n. 563. Non vi è altra reliquia che una mamella di s. Agata, la quale si conserva in un cristallo fatto in forma di stella, collocato in una scatoletta, riposta in una cassetta di marmo...”

E’ in questo stesso documento che appare, qualche riga sotto, il nome della regina Teodolinda, presentata dubitativamente come fondatrice della chiesa.

L’accenno alla mancanza di entrate viene chiarito più avanti. In realtà vi sono ancora nella chiesa due canonicati semplici; ma l’uno, di 200 scudi è goduto dal conte Alfonso Litta; l’altro che dà una rendita di 100 scudi, fondata sui beni dell’ Abbazia di s. Pietro all’Olmo, è goduto dal sig. Baldassarre Rivoli, milanese.

Per altro, alla chiesa è annesso un beneficio di 342 pertiche, per il mantenimento del prevosto. In realtà don Opicelli sottolinea la povertà della chiesa, a colmare la quale non bastano le rendite incerte, vale a dire i compensi derivanti dall’amministrazione dei battesimi e dalla celebrazione di funerali, matrimoni e uffici funebri “per esser gente miserabile, che non hanno con che contribuire alla chiesa”.

Questi accenni, in effetti, sembrano alludere alle obiettive  difficoltà che l’agricoltura locale aveva incontrato nel corso del Seicento, che solo in parte si appianeranno negli anni successivi, nei quali i prevosti avranno un tono meno desolato, ma spesso continueranno a esprimere le loro preoccupazioni economiche.

Intanto la descrizione di don Opicelli si completa con l’indicazione delle chiese minori della parrocchia di Cesano e dei loro cappellani: s. Rocco alla Guascona, con il cappellano pavese Giovanni Grampa, che soddisfa al legato del collegio dei Calchi; l’oratorio dell’Assunzione in Garegnano Marcido, con il sacerdote parmigiano Giovan Battista Verni; l’oratorio della Natività di Maria, alias s. Marcellina, in Muggiano, con il cappellano pavese Antonio Sindico, che serve “in luogo dell’Eminentissimo Chigi”, ma continua a obbedire poco al prevosto “con le operationi sue da soldato piuttosto che da ecclesiastico”.

Muggiano, d’altra parte, con il suo specifico riferirsi a dei cardinali come a propri commendatari, aveva nella parrocchia consuetudini proprie. Nel 1761 il prevosto Brambilla ricorderà l’uso antico di celebrarvi la Messa anche nei venerdì di quaresima, come è proprio del rito romano e quello di leggere il Passio nelle feste della Croce del 3 maggio e del 14 settembre.

Al di là comunque di diversità e contrasti, a fine Seicento, per una popolazione di neppure 600 abitanti, si ritrovano 4 sacerdoti, distribuiti in una chiesa principale e tre chiese minori, cui si deve aggiungere l’oratorio in località Lorenteggio, officiato dagli Olivetani di s. Vittore. Restava infine la chiesetta di s. Carlo nella cascina omonima, costruita a spese dei signori Barelli e in quegli anni di patronato della famiglia Premoli: vi celebrava talvolta il prevosto [6].

b) Negli anni successivi.

Nel corso del Settecento la struttura parrocchiale rimase sostanzialmente invariata, mentre per la chiesa si segnalano piccoli interventi la cui descrizione fa rivivere qualche aspetto della liturgia dell’epoca.

Particolarmente solenne doveva essere, in generale, la processione del Corpus Domini, con la partecipazione dei parroci della pieve e delle confraternite e della popolazione degli altri paesi. Non è difficile scorgervi una grande festa religiosa e popolare, che offriva anche una specifica occasione di incontro.

L’11 giugno 1716 la festa fu ancora più grande, in quanto seguita da una solenne celebrazione per il giorno di s. Antonio da Padova, il 13 dello stesso mese. Nell’occasione venne benedetta dal prevosto Giussani, munito di speciale delega del card. Odescalchi, la nuova cappella dedicata a questo santo [7].

Le osservazioni intorno a questa cappella ci portano all’interno della chiesa del primo Settecento.  Della statua di s. Antonio, infatti, il cui altare è ricordato per la prima volta dal prevosto Opicelli nel 1685, dice don Ottavio Giussani che “per l’addietro” (rispetto al 1716) si trovava in una nicchia di fronte alla cappella del battistero: in essa vi era l’altare. Lo stesso prevosto richiama però come noto a tutti un incendio, che nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1715 aveva rovinato la cappella.

Si comprende così l’impegno della riparazione e la solennità che accompagnò la nuova benedizione dell’altare, che fu però spostato rispetto alla sistemazione precedente: la cappella di s. Antonio fu collocata dove prima era il battistero e quest’ultimo fu a sua volta trasferito “sotto l’organo”, vicino alla porta d’ingresso. Si annotano anche i nomi del maestro muratore Carlo Tacco, che “l’ha aggiustata” e del pittore “di buon credito e buona stima” Giovanni Gianola, che l’ha “colorita”.

Ne risulta una chiesa che vede delle cappelle o nicchie lungo le navate laterali, le quali, a loro volta, insieme con la navata centrale, si chiudono sempre a oriente con le rispettive absidi e con i tre altari. Una delle nicchie è a destra; le altre due, a sinistra rispetto all’ingresso, diventano la cappella di s. Antonio e quella del battistero, ora sicuramente nella posizione richiesta dalle istruzioni di s. Carlo [8].

Significativo è il riferimento all’organo, che verrà suonato nella Messa cantata del 13. Se ne parla dandone per pacifica l’esistenza e dunque non dovrebbe trattarsi di una novità realizzata per la stessa occasione. La precedente indicazione negativa del 1685 lascia per altro pensare che proprio questo sia il periodo nel quale il parroco e la gente di Cesano hanno voluto un organo per la loro chiesa. Un secolo più tardi, una curiosa indicazione del giugno 1817 raccolta nell’archivio parrocchiale di Cuggiono parlerà dell’organo di Cesano come di strumento costruito dal genitore di quei fratelli Prestinari che a inizio Ottocento avevano acquistato grande fama come organari [9].

c) Il card. Pozzobonelli

Il 6 marzo 1747 la chiesa di Cesano fu visitata dal card. Pozzobonelli, che nei giorni seguenti si recò nelle altre parrocchie della pieve. Fu questa l’unica visita di un arcivescovo nel periodo compreso tra il 1685 (visita del card. Visconti) e l’arrivo del card. Ferrari, nel luglio del 1900.

La relazione stilata per questa occasione, in elegante latino, è particolarmente accurata e di nuovo sostiene l’origine antichissima della chiesa, la cui fondazione viene anche qui attribuita alla regina Teodolinda [10]. Al di là dell’aggiunta del quarto altare, le tre navate, il tetto di legno, il coro e il presbiterio a forma quadrata, chiuso da un arco verso la navata, hanno sostanzialmente mantenuto la struttura già descritta per il card. Federigo Borromeo.

Anche i dipinti sono rimasti gli stessi, ma secondo l’impulso promosso dalla raffinata cultura di questi grandi arcivescovi, si ha verso di loro uno sguardo più attento.

Sull’altare della Madonna vi è un quadro su tavola, che raffigura la Beata Vergine Maria “puerum Jesum in ulnis gestantem et s. Franciscum de Ascisio et s. Luciam a lateribus”: la Madonna, che porta Gesù Bambino in braccio e ha, ai lati, s. Francesco d’Assisi e s. Lucia. La tavola sull’altare di s. Agata ne rappresenta il martirio. Solo ora, invece, viene descritta, per la cappella di s. Antonio, la statua a lui dedicata, in legno “affabre elaborato et aptis coloribus linito”: in legno finemente lavorato e rivestito con i colori adatti.

Con una balaustra di marmo (“continuatis cancellis marmoreis”) si chiude il presbiterio. Il campanile è interno alla chiesa, presso l’ingresso. E vicino al campanile vi è la cappella del battistero, nel mezzo della quale è collocato il vaso di marmo “satis amplum et polite sculptum”: abbastanza grande e ben scolpito. Sono infine ricordati il pulpito, l’organo, il pavimento.

Segue un lungo elenco di reliquie, che inizia con la reliquia della mammella di s. Agata e prosegue con quelle di altri santi e martiri. La ricerca di certificati di autenticità non si sottrae a una religiosità popolare, che, rispetto all’interesse per la storia, esprimeva piuttosto la concretezza dei bisogni (così che, ad esempio, le leggende intorno ai tormenti di s. Agata venivano facilmente collegate con le difficoltà dell’allattamento).

Si passa quindi alla verifica delle confraternite del ss. Sacramento e del Rosario, all’accertamento degli impegni per il legato Cermenati, alla descrizione del beneficio prepositurale, il cui reddito è indicato in circa mille lire, più tre moggia di grano e due di segale, mentre i redditi incerti vengono calcolati intorno alle trecento lire.

Gli abitanti sono passati a 732, in lento, ma costante aumento rispetto ai 563 di sessant’anni prima: 528 le anime di comunione [11].

Quattro sono le feste del paese: la Natività di s. Giovanni Battista, il Corpus Domini, che coinvolge tutta la pieve; la Madonna del Rosario, alla prima domenica di agosto; la festa di s. Agata.

Oltre la prepositurale, nella Cesano del Settecento

a)      La processione del Corpus Domini

 

Ancora nel corso del Settecento, le condizioni di vita della popolazione di Cesano, che non subisce più le oscillazioni che avevano caratterizzato il secolo precedente, si lasciano intuire quasi solo da notazioni indirette.

Sono tra esse significative le osservazioni per la processione del Corpus Domini, che riversava nel piccolo paese un concorso notevole di popolo e clero.

“Musica, apparato, trombetti con li timpani”, ricordati per la circostanza particolarmente solenne dell’11 giugno 1716 [12], costituivano probabilmente il contesto nel quale tutti gli anni si svolgeva questa festa, che portava il SS. Sacramento per il paese, con soste su altari esterni alla prepositurale. Si tratta, ancora per il 1716, di un altare fatto preparare dal conte Pertusati, dell’oratorio s. Carlo nella proprietà dei signori Premoli, di un terzo altare, in piazza, a cura dei signori Torachini.

Si delinea così una sorta di percorso, che immette nella topografia di allora, purtroppo solo con difficoltà sovrapponibile a quella di oggi.

La necessità di stabilire i tratti nei quali i rappresentanti dei diversi paesi potevano portare il baldacchino ci mostra addirittura in modo analitico la processione del 1757.

“ Alla porta del restello del sig. Airoldi in piazza: cartello delli uomini di Cesano Boscone;

All’imboccatura della strada che va a Baggio: Settimo;

Alla cantonata entrando nella campagna del sig. Avvocato Porro: Corsico;

Nel principio della vigna di casa Pertusati...contro il secondo filo de viti: Romano

Alla noce nella prima voltata di detta vigna: Assago

Subito passato l’Altare in detta vigna: Ronchetto;

Passata l’altra voltata di detta vigna passi 26 circa: Cusago;

Voltando verso il fontanile al quinto filo de viti nell’istessa vigna: Trezzano;

Nel uscire dal oratorio del sig. Premoli fuori della Portina : Seguro;

Quasi subito passata la voltata della strada passi 10 circa: Vighignolo;

Sull’istessa strada all’imboccatura del fontanile: Baggio;

Al cantone della Cassina di Casa Pertusati subito passato il ponte: Gharegnano;

In piazza sul cantone del muro di cinta della stretta che và alla casa del sig. Tassano: Scolari di Trezzano;

Vicino alla porta rustica del sig. Airoldi dalla parte verso la casa da Nobile: Scolari di Cusago;

Sull’ingresso del Cimiterio: Scolari di Cesano”.

E’ subito evidente come il percorso, che doveva interessare il centro di Cesano Boscone, si snodi in realtà in prevalenza tra vigne, campi e fontanili ( raggiungendo uno dei punti più lontani nell’oratorio s. Carlo), talmente è modesto lo spazio occupato dalle case! E’ facile poi osservare come i riferimenti poggino su pochi nomi di proprietari, che ci riportano alla condizione di contadini che lavoravano come braccianti, o, nei casi più fortunati, come fittavoli, le proprietà altrui.

b) Proprietari e catasto

Un elenco aggiunto al perticato della chiesa misurato nel 1722, indica del resto solo dieci proprietari per i terreni di Cesano Boscone [14]. La somma totale è di pertiche 5764.6, così suddivise:

     Conte Pertusati                                               3080.6

     Contessa Andreotta                              501.14

     Sig. Giovan Battista Bianconi                       389.22

     Sig. Premoli                                                377.07

     Sig. Legnano                                               183.15

     Sig. Gaspare Celle                          273.1

     Sig. Gaspare Airoldi                                    255.11

     Sig. Francesco Gallo                            51.6

     Sig. Carlo Visconti                          127.11

     Conte Grassi                                      180.6

 

A loro volta i terreni della chiesa, divisi in prato “adacquatorio”, arativi, eventualmente con “moroni”, orto e giardino, assommano a pertiche 344.3.

Nell’intestazione si afferma che il Perticato della chiesa è “cavato dalla misura fatta l’anno 1722 e dalle mappe rappresentate l’anno 1723 a sudetta misura e state fatte per ordine di Sua Maestà Carlo sesto, imperatore e duca di Milano”.

Si viene così riportati ai grandi cambiamenti politici intervenuti: Milano è passata dagli spagnoli agli austriaci e l’imperatore sta cercando di realizzare un catasto delle proprietà terriere, secondo un’iniziativa promossa a partire dal 1718, con il fine principale di incrementare e di rendere più regolare il pagamento delle tasse.

Le resistenze furono fortissime, soprattutto da parte degli aristocratici, che erano i maggiori proprietari, e della Chiesa, che vantava un’antichissima tradizione di esenzione fiscale. Anche per Cesano si ha un documento che sembra doversi leggere in questo contesto [14].

Il prevosto infatti scrive all’archivista della curia, ricordando che a memoria dei più vecchi i beni della parrocchia di Cesano non hanno mai pagato “carico di sorte alcuna” e che anzi nel 1634 “console, sindici et homini di detta comunità” hanno subito un interdetto, così che la chiesa è rimasta chiusa per due mesi. Si trattò anche allora di una controversia fiscale? In ogni caso l’archivista Francesco Maria Giani, in data 13 gennaio 1725, annota sullo stesso foglio che, tra i documenti delle visite della curia di Milano, quanto scritto dal prevosto si trova confermato nel libro intitolato “Notificazione generale tolta per ordine di Sua Maestà et mandata in Madrid, in ordine alle giuste esenzioni godute dagli Ecclesiastici nei loro beni; idest circa primam partem libri eiusdem, ubi de Cesano”

Sembra di capire, insomma, che la parrocchia cerca di mantenere, con l’appoggio della documentazione conservata in Curia, l’esenzione fiscale avuta dagli spagnoli. E’ appena il caso di ricordare che il moltiplicarsi delle proteste costrinse Carlo VI a rimandare l’attuazione del catasto, che fu completato solo nel 1757 dalla figlia, l’imperatrice Maria Teresa.

Per Cesano Boscone, in ogni caso, le mappe dell’estimo di Carlo VI, detto anche  Teresiano appunto da Maria Teresa, riportano sostanzialmente gli stessi nomi di proprietari indicati nel documento locale [15].  Il conte Pertusati, la contessa Andreotta, i sigg. Airoldi, Biancone, Cella, Legnano, Premoli, Visconti vi appaiono con i loro terreni, che vengono segnalati con una cura che sembra superiore a quella con cui vengono indicate le case. Il centro del paese mantiene dimensioni modeste, circondato com’è da prati, da arativi e anche da qualche bosco. Vi si distinguono  bene la chiesa, accanto alla quale vi è l’orto del prevosto, al n. 594 e la forma della villa Sormani, allora di proprietà dell’avv. Porro ai nn. 135 e 136; mentre il n. 134, dalla parte opposta della strada per Baggio, è indicato come casa d’affitto di possesso del Luogo Pio della Misericordia.

Ci si introduce così in un paese nel quale appaiono dei proprietari, che vi posseggono la loro villa di campagna, ma che abitano prevalentemente in città, mentre i contadini sono distribuiti in cortili più modesti. Di queste strutture sono sopravvissute la villa Sormani, restaurata nel 1998 dall’istituto Sacra Famiglia, che ne era divenuto proprietario e la villa Marazzi, di poco più recente, acquisita ora dall’Amministrazione comunale. Settecenteschi sono anche alcuni locali dell’unico cortile agricolo ancora rimasto nel centro di Cesano in via Dante.

b)      I Legati

 

L’importanza assunta da questi proprietari è anche testimoniata dai Legati, cioè da lasciti con annessa rendita con cui essi sostenevano la Chiesa e insieme la impegnavano in specifiche celebrazioni.

Poco dopo la metà del Settecento vi sono a Cesano Boscone:

il legato Cermenati, per il quale i nobili Airoldi pagano 200 lire annue per la celebrazione di una Messa nei giorni festivi;

il legato lasciato dalla “ Eccellentissima Lucrezia Gaffuri”, confermato nel 1755 e ancora nel 1762 dall’Ecc.mo Pertusati, per una Messa quotidiana;

il legato Pertusati per 12 messe in canto;

un ulteriore legato della contessa Pertusati per fornire di dote, a giudizio del prevosto, due ragazze povere che intendono sposarsi: a ciascuna di esse verranno date 50 lire [16].

Aveva, invece, difficoltà a essere mantenuto il legato più antico, che risaliva al 1570, per la celebrazione all’oratorio della cascina Guascona. Nel 1766 vi provvedeva il sacerdote gesuita Ignazio Azaitone della diocesi “Fluminis Januarii”, proveniente cioè da Rio de Janeiro, dal Brasile! Nel 1784 il prevosto Rognoni scrive che a tale legato si soddisfa ormai nella prepositurale e auspica, non si sa con quanto successo, che almeno per le feste si possa tornare ad avere un cappellano anche per la Guascona [17].

Sembra opportuno sottolineare l’intreccio che si viene a creare tra le personalità, e in particolare la contessa Pertusati, la parrocchia e il paese. Processioni e Messe in canto sono gli eventi che caratterizzano le feste; la dote favorisce il matrimonio ed è forma duratura di beneficenza, effettuata con la mediazione del prevosto. Per altro i legati della contessa Gaffuri Pertusati interessarono piuttosto a lungo la parrocchia di Cesano. La contessa era morta il 18 febbraio 1762: di qui la necessità di una conferma degli impegni da parte della sua famiglia. I prevosti tennero poi un quadernetto nel quale registrarono le doti assegnate, per un importo in verità piuttosto modesto di 38 lire e 2 centesimi: l’elenco é iniziato da don Giuseppe Terzoli nel 1794 e continua fino al 1895, con don Pogliani. La vicenda si intrecciò anche con il primo sorgere di attenzioni al tema dell’assistenza da parte dell’autorità civile. Così don Luigi Bielli dovette rispondere ai quesiti del governo sorto con le conquiste napoleoniche sui lasciti della “cittadina” Pertusati. Più tardi, dopo la realizzazione dell’unità d’Italia, tutta la questione delle doti venne trasformata in Opera Pia, il cui statuto organico fu approvato nel 1878, con la precisa indicazione di rivolgersi a fanciulle povere nate e abitanti in Cesano Boscone, con preferenza per le contadine che lavoravano i campi degli eredi della contessa. La legge del 1890, che regolava le attività di assistenza e beneficenza, portò l’opera pia nell’ambito dei compiti del Comune, dopo discussioni e ricorsi che si prolungarono fino al 1895.

Fu probabilmente anche questa esperienza a rendere più cauto  l’atteggiamento di don Pogliani, quando si trattò di redigere lo Statuto dell’Ospizio Sacra Famiglia. Del resto nel primo Novecento si esaurì anche   l’obbligo della Messa: il reddito residuo fu destinato a sostegno del coadiutore.

  

Patti agrari per i terreni della parrocchia

 

La rendita principale e certa della parrocchia fino a tutto il Settecento e in parte anche per l’Ottocento e la prima metà del Novecento era costituita dall’affitto dei terreni  del beneficio parrocchiale.

I contratti in proposito si susseguono dal 1692, fino ai più recenti del periodo successivo alla II guerra mondiale. I primi, in particolare, costituiscono un interessante punto di osservazione su aspetti diversi della vita quotidiana [xviii] .

L’impostazione è già chiara nel primo contratto conservato, che risale al 5 luglio 1692. In esso il prevosto, Carlo Giuseppe Moltrasio affitta le 342 pertiche del beneficio parrocchiale a Pietro Cavallotti, figlio del fu Baldassare e della vedova Domenica Cavallotti, secondo la misura del sig. “ingegnere” Carlo Antonio Mafazzone del 12 marzo 1648.

L’affitto inizierà da s. Martino e viene concordato in £. 1000, da pagarsi in due rate, anche in caso di tempesta o brina “che Dio non voglia”.

Al pagamento in denaro vanno poi aggiunti: dieci paia di polli per s. Lorenzo; 10 paia di capponi maggenghi per s. Martino; dieci dozzine di uova a Pasqua; “lire (libbre?) tre di butiro” per s. Giovanni Battista; due staia di noci al suo tempo.

Seguono obblighi distinti per il contadino e per il proprietario. Il primo accetta di portar legna con il carro al prevosto a 10 soldi il viaggio, di aiutare a condur “neve o giazzo” alla conserva del sig. Premoli e di arare gratis il vignolo del prevosto. Questi, già dal 5 luglio festa di s. Margherita, deve consegnare al contadino animali e attrezzi di lavoro e cioè: un paio di buoi di pel bianco; due vacche di pel diverso; un carro; un erpice; una “ciloria” (aratro pesante); una giongola (un finimento in cuoio che aggancia il cavallo al timone del carro); una sega e altre due catene da buoi. Animali e attrezzi vengono valutati, perché dovranno essere restituiti alla fine del contratto.

Anche le sementi sono a carico del proprietario: 9 moggia e mezza di frumento, otto e mezza di segale, due some d’avena, oltre al “cassinotto” con siepe e al cavallo.

Il contadino si assume infine l’obbligo di “refilare le viti”; si impegna a non tagliare alberi “da cima ” e a non ritardare il pagamento; venderà al proprietario il frumento, la segale, e soprattutto il vino al prezzo corrente in Cesano.

Quando si giunge alle firme, poiché Pietro Cavallotti non sa scrivere, firma a suo nome il testimone Melchion Anzaghi.

La vita quotidiana entra così prepotentemente nella relazione tra questo prevosto e una famiglia contadina.

Si osserva intanto l’importanza della coltivazione dei cereali: dai campi della parrocchia rimane assente il granoturco che tuttavia apparirà nelle offerte verso la metà del Settecento. Essenziale è però la coltivazione della vite e la presenza di alberi, la cui legna è utilizzata sia per la cottura di cibi e per il riscaldamento, sia per la costruzione e la manutenzione degli attrezzi. Di qui anche la precisione del linguaggio che distingue gli alberi da cima, cioè gli alberi ad alto fusto a crescita piena, che non vanno assolutamente tagliati, dalle “gabbe” dolci e forti, cioè le piante di tronco più piccolo, spesso disposte in filari, tagliate in alto per favorire l’espansione orizzontale (pioppi, gelsi o salici come legno dolce e querce o simili come legno forte). La campagna insomma non appare piatta, ma interrotta da alberature, fossati, varietà di coltivazioni. L’accenno al trasporto di ghiaccio o neve si comprende meglio alla luce del ritrovamento nella villa Marazzi di una vecchia ghiacciaia: una cavità utilizzata per la conservazione del cibo, con ghiaccio che veniva ricoperto da paglia.

L’alimentazione del prevosto sembra confermare, almeno per le feste, i detti che invidiavano la frequenza dei polli sulla tavola dei preti. Burro e olio di noci assicuravano il condimento. D’altra parte il prevosto stesso sembra un po’ contadino: lavorava forse da sé il suo vignolo e, comunque, aveva a che fare con fieno, uva, e con cascine, stalle e letame, che affiancavano la casa prepositurale.

I contratti successivi confermano sostanzialmente questi accordi.

Il 5 luglio 1714 è il prevosto Ottavio Giussani a concordare l’affitto con la famiglia Cavallotti per mille lire, con l’elenco di prodotti in natura e di obblighi reciproci.

In più egli chiede e ottiene due anatre per la prima domenica d’agosto e due “pollini” (tacchini) per s. Martino. Significativo è poi il riferimento ai “moroni” (gelsi), che assumevano un’importanza particolare, perché delle loro foglie si nutrivano i bachi da seta. Tra gli animali, oltre ai due buoi “prezziati 55 Filippi, che fanno £. 385”, appaiono ben tre cavalli, indicativi di una accresciuta possibilità di lavori e trasporti. Questi ultimi, in particolare, sono ricordati in modo dettagliato: trasporti per legname o sabbia, a casa del prevosto o a Milano, con prezzi diversi; di grano a casa Litta, da farsi gratis; fieno, uva e legno nella cascina del prevosto; letame fuori della stalla, che il prevosto stesso possedeva. La manutenzione degli incastri ( che servivano per arrestare l’acqua in punti fissi delle rogge più grandi) e dei fossi nei prati porta a ricordare quanto fossero ormai diffusi i sistemi di irrigazione.

Anche le firme permettono di notare un’evoluzione: stavolta a firmare per il padre Pietro è direttamente  il figlio Carlo Cavallotti, che evidentemente ha imparato a scrivere.

Del contratto del 1728 si può sottolineare l’interesse del proprietario per la foglia del gelso: la vuole per sé, mentre cede all’affittuario la metà di noci, pomi e uve, lasciandogli per intero le pesche o altri frutti. In questo contratto e in quello del 1745 comincia ad apparire anche qualche difficoltà nel pagamento in caso di grandine o brinate: si cerca allora un accordo.

Nel 1745 si ha anche un dettagliato elenco di piccoli attrezzi agricoli, dai nomi che suonano oggi inconsueti, ma che erano allora abituali: finimenti del cavallo e cioè ”collana, bacchi (?), tiranti, balanzino e costarino”; “ una stroga (striglia?); una carretta da mano; tre forche; tre forchetti; un barco per il carro; una leva per il carro; la lessia (?); due pali di ferro; una badila; una zappa da paglia; due altre zappe da vite; un carrugolo per battere il formento; una scala...; restelli da prato 9 e di era (aia) 4; uno staio di legno per misurare il grano”.

Preciso è anche il riferimento all’uso dell’acqua per irrigare il prato “da una Madonna all’altra (cioè dal 25 marzo, festa dell’Annunciazione, all’8 settembre, Natività di Maria) della roggia del Bosco d’un giorno naturale alla settimana al venerdì”

I contratti successivi apportano solo piccole variazioni: nel 1751 si osserva un deterioramento dei terreni per mancanza d’ingrasso e, tra i prodotti da consegnare in natura, appaiono due staia di legumi; nel 1790 polli e capponi scendono a 15 ( a 10 nel ’92), ma si devono consegnare anche 15 quintali di farina. Nel 1792 si obbliga a mantenere del bestiame e a ingrassare i campi con il letame che ne deriva.

Del contratto del 1790, firmato dal prevosto Merlini e da Giovanni Antonio Nova, sono anche alcune indicazioni di carattere morale e civile. Vi si vieta di tener osteria; di metter legna che passi la cinta della corte prospiciente la piazza della chiesa o di costruire cassinotti, per evitare pericolo d’incendio; di battere frumento, segale, avena e “melgotto” (granoturco) nei giorni festivi; di  tener ingombro il portico d’accesso all’abitazione prepositurale.

Si arriva così fino al Novecento e al secondo dopoguerra, quando il canone d’affitto è calcolato sulla base del valore di 15 kg. di frumento, 15 di granoturco e 40 litri di latte per pertica e pagato interamente in denaro. Il beneficio si era un po’ ridotto per qualche vendita e negli anni cinquanta la parrocchia ne ricavava circa 800.000 lire, delle quali però una parte consistente se ne andava in riparazioni e imposte. Nel 1956, ad esempio, il margine netto registrato dal prevosto Caldirola è stato di £. 233.000.

L’allungamento della chiesa, che assume una sola abside e il problema delle questue

Chi entra nel centro storico di Cesano da via Grandi viene quasi accompagnato dalla caratteristica forma a U con la quale si chiude la chiesa attuale e che appare nettamente distinta, con i suoi mattoni a vista, dal resto dell’edificio. A  questa struttura corrisponde all’interno l’area del coro e del presbiterio, con l’altare del tabernacolo e la mensa eucaristica.

Fino alla seconda metà del Settecento la chiesa di san Giovanni Battista presentava invece le tre absidi, tanto ben disegnate nella pianta voluta da s. Carlo e così coro e altare occupavano una parte dello spazio che l’allungamento ha reso disponibile per i fedeli.

Questi lavori, piuttosto impegnativi, furono effettuati intorno al 1780, in un periodo nel quale non mancano le lamentele dei prevosti dell’epoca per le ristrettezze economiche. Il prevosto Brambilla segnala infatti per il 1761 un debito di duemila lire imperiali, derivato da opere iniziate negli anni precedenti che non si era riusciti a completare per mancanza di fondi [19]. A suo dire la parrocchia risultava così povera che non si poteva provvedere all’olio per la lampada del SS. Sacramento, alla cera e alle altre necessità più immediate.

Si facevano sentire, in effetti, da un lato i primi interventi dell’organizzazione statale  absburgica, intesa a riformare il sistema delle esenzioni e in generale a regolamentare quanto, anche nella parrocchia, aveva riflessi economici; dall’altro le eterne difficoltà del mondo contadino.

Insomma le rendite per l’affitto dei terreni e le cosiddette rendite incerte, le cui tariffe variavano a seconda della solennità delle cerimonie, non bastavano a provvedere alla chiesa e al clero.

Fin da epoche piuttosto antiche si ricorreva così alle questue, con le quali si chiedeva l’offerta di prodotti agricoli.

Se ne ha, per la pieve, una testimonianza del 1594, che riporta come il curato di Ronchetto “con male parole e violenza” abbia levato a un frate cercatore “ una bestia con certo grano che gli era stato dato per elemosina, pretendendo che non potesse egli cercare senza la nostra e sua licentia”. Lo scrivente afferma che la bestia va restituita e il curato castigato [20].

La notizia ci riporta ai frati cercatori, quali il manzoniano fra’ Galdino, ma evidenzia anche le difficoltà di questue, che interessavano sia gli ordini mendicanti, sia il clero delle parrocchie. In una descrizione delle rendite fatta dal prevosto Airoldi intorno alla metà del Settecento viene in effetti sottolineata la modestia dei risultati: “Per il Passio danno 6 fasci di fieno circa, due moggia di fromento e due moggia di melgone” [21].

Il governo austriaco, tuttavia, sentì il bisogno di mettere ordine in iniziative che potevano generare degli abusi e degli screzi.

Va intesa in questa luce la tabella del 1° gennaio 1769, firmata, oltre che dal prevosto Brambilla, dai sostituti della casa Pertusati e della casa Molla - evidentemente le famiglie più nobili del paese -, dai fabbriceri e dal regio cancelliere.

Oltre alla cerca dei frati mendicanti, vi sono consentite per la parrocchia le seguenti questue:

il giorno dei santi re Maggi

il giorno della Beata Vergine Ceriola (cioè il 2 febbraio, dedicato alla Madonna Ceriola o Candelora, così chiamata per la processione con i ceri che vi si svolgeva)

il mese di luglio per la questua del formento

nel mese di ottobre quella del melgone  [22].

 

Anche la questua di frumento e granoturco rimasero in uso fino agli anni cinquanta del nostro secolo, a parziale copertura delle spese che la chiesa doveva sostenere.

Sullo scorcio del Settecento, comunque, pur con risorse a quanto sembra modeste, erano stati assunti degli impegni piuttosto gravosi.

Già nel 1775 il prevosto Brambilla aveva chiesto e ottenuto di costruire un nuovo altare; ma subito dopo, con il prevosto Rognoni, si passò al progetto assai più impegnativo di ampliare la chiesa, aggiungendovi uno spazio nuovo per presbiterio e coro. Per questo il prevosto e il popolo di Cesano Boscone presentarono le opportune richieste alla curia diocesana e ne ottennero il permesso di effettuare i lavori. Si realizzò così “ un nuovo coro e Santuario e (fu) eretto di nuovo l’altare maggiore di marmo, in modo che altro non manca che di passare alla benedizione di detti per potervi officiare” [23].

La proposta di approvazione da parte di mons. Sessa, che aveva verificato il tutto, è del 1778; ad essa seguono l’expediatur, cioè il definitivo “si proceda” (alla benedizione), dato dal Vicario generale mons. Valentini e il permesso ufficiale, dato dallo stesso a nome del card. Pozzobonelli.

Da successivi documenti apprendiamo poi che l’opera era stata progettata dall’architetto  Tazzini [24].

Nella parte absidale la vecchia chiesa si era così trasformata nella costruzione attuale.


[1] APC, cart. 15

[2] APC, cart. 14, fasc. 3 contiene le relazioni delle visite vicariali. Quella per la visita pastorale del card. Pozzobonelli alla pieve di Cesano Boscone è conservata in ACAM, Casorate, vol. XXVI, fogli 1-114. Anche alcune visite vicariali sono documentate in ACAM, Cesano Boscone : XX, q. 1 per il prevosto Bizozero nel 1648; XXI, q. 1 per il prevosto Giussani nel 1742; XXI, q. 2 per il prevosto Brambilla nel 1761.

[3] ACAM, Fondo Legati, Cesano Boscone , Y 4125.

[4] ACAM, cit., Y 4125. La data è forse il 1673, che appare su un foglio ora staccato.

[5] APC, cart. 9, fasc. 2. Per la visita del card. Visconti cfr ACAM, Miscellanea, vol. X, q. 2

[6] Così nella visita del prevosto Ottavio Cimilotti del 1635: APC, cart. 14, fasc. 1.

[7] APC, cart. 9, fasc. 2. Il documento con la delega del card. Odescalchi è conservato in APC, cart. 6, fasc. 2

[8] Secondo la pianta cinquecentesca, confermata nella descrizione del card. Federigo, il battistero doveva appunto trovarsi a sinistra, immediatamente dopo l’ingresso. Negli scavi del 1995 non è però emersa nessuna traccia di tale collocazione, mentre sono apparse ben chiare le fondazioni del campanile. Nella testimonianza di don Giussani il battistero risulta interessato  alla sistemazione del 1715-16. Va considerato che il card. Federigo aveva considerato incongruo il battistero da lui visitato, al punto di prospettare un trasferimento dei battesimi a Corsico, se non si fosse provveduto.

[9] Arch. Parr. di Cuggiono, cart. 6, fasc. 2. L’indicazione è venuta dal sig. Fiumi, aiuto-restauratore cesanese dell’organo di quella chiesa.

[10] ACAM, Casorate, vol. XXVI. La chiesa di s. Giovanni Battista è descritta all’inizio.

[11] Nel 1593 la popolazione della cura di  Cesano Boscone , ancora comprendente Cusago e Baggio, era calcolata intorno ai 2000 abitanti (ACAM, Cesano Boscone , vol. XI, q. 18). Il dato del 1648 si trova nel vol. XX, q, 1 per la visita vicariale di Gerolamo Bizzozero. I dati successivi sono ricavati dalle relazioni dei prevosti e dalle visite vicariali: APC, cart. 6, fasc. 2 per il 1685; cart. 14, fasc. 3 per le visite vicariali; cart. 6 fasc. 2 per il 1791.

[12] APC, cart. 9, fasc. 2

[13] APC, cart.2, fasc. 2

[14] APC, cart. 2, fasc. 2

[15] ASM, Estimo Teresiano, Cesano Boscone , bob. 10, n. 412fogli 5-6

[16] ACAM, Fondo legati, Cesano Boscone , Y 4125; APC, cart. 12 e cart. 14

[17] ACAM, cit. Y 4125; APC, cart. 11, fasc. 4 nel quale sono riportati anche il pateat del testamento di Gerolamo Guascone istitutivo del legato (1° marzo 1570) e lo strumento di affrancazione dallo stesso da parte del Collegio Calchi Taeggi ( 6 luglio 1895)

[18] APC, cart. 2, fasc. 1

[19] ACAM, Cesano Boscone vol. XXI, q. 2

[20] ACAM, Fondo legati, Cesano , Y 4125

[21] ACAM, cit., Y 4125

[22] APC, cart. 6, fasc. 2

[23] ACAM, Spedizioni diverse, pacco 103

[24] APC, cart. 16, fasc. 2.