DA SAN CARLO AL CARDINAL FEDERIGO: GLI ANNI DELLE GRANDI RIFORME

All’Innominato, che l’aveva inviato a chiedere che cosa fosse tutto quell’accorrere di gente e quello scampanio festoso, “il bravo venne a riferire che, il giorno avanti, il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a *** e ci starebbe tutto quel giorno”.

In effetti, i resoconti delle visite pastorali del cugino di san Carlo, arcivescovo di Milano dal 1595 al 1631, iniziano spesso proprio con quel tono di gioiosa vivacità, che sarà ricordata anche dall’autore dei Promessi Sposi.

Il card. Federigo giunse alla chiesa di Cesano, provenendo da Ronchetto, il mercoledì 20 ottobre 1604. Fu accolto dal prevosto, da quasi tutti i parroci e i sacerdoti della pieve, e dal popolo in processione, fra i canti e il suono delle campane. [1]

E’ facile rendersi conto di come nella vita dei piccoli paesi, legati al ciclico succedersi delle stagioni, l’arrivo di un grande personaggio costituisse un evento. Erano passati 32 anni dalla visita di san Carlo e gli abitanti di Cesano avranno riascoltato nella nuova circostanza le impressioni e i ricordi di chi già allora era presente.

Del resto, le decisioni assunte dai due arcivescovi della famiglia Borromeo e da mons. Gaspare Visconti, che guidò la diocesi fra il 1584 e il 1595, costituirono anche per la pieve di Cesano un quadro fondamentale a cui riferirsi. La struttura ecclesiastica che ne fu configurata rimase sostanzialmente la stessa, con pochi aggiustamenti, per circa tre secoli.

L’intricata questione dei canonici

L’impegno richiesto a san Carlo e ai suoi primi successori per adeguare il sistema ecclesiastico ai dettami del Concilio di Trento, nel caso di Cesano, è bene esemplificato dalla documentazione relativa ai canonici.

Le testimonianze in proposito, diverse nei particolari, concordano nel sottolineare che si era ben lontani dal rispetto degli obblighi di residenza, di celebrazioni e di cura pastorale, tanto raccomandati negli statuti del 1433.

Il Liber Seminarii del 1564 riporta ancora l’elenco completo di sei canonici, anche se la modestia del contributo loro richiesto per la costruzione del Seminario di Porta Venezia lascia supporre che i rispettivi benefici avessero dotazione economica ormai inadeguata. Nessun cenno, tuttavia, vi si fa della residenza, mentre già la relazione curata dal nuovo prevosto Giovanni Begliocchi nel febbraio 1566 afferma che i canonici residenti sono soltanto due! [2]

Nel 1570 il p. Leonetto Chiavone prende atto di una situazione gravemente compromessa. Dei sei canonicati due sono vacanti. Tre titolari hanno incarichi rispettivamente a Sedriano, Monza e S. Celso in Milano; uno è addirittura indicato come abate di Romagnano. Ne consegue una conclusione desolata: “De istis canonicis nulli resident” [3].

Il prevosto, che nel 1572 ne conferma la mancata presenza, ci dà i loro nomi: Giorgio Trincherio, che attende agli studi di legge, “ma non so in che luogo”; Carlo Varesio è canonico a Monza; Battista Alfio parroco di Sedriano; Battista Bosso “habita a Milano et ufficia in S.Celso”. L’Alfio o Alfero e il Varesio erano già nell’elenco del 1564, che comprendeva anche un Gaspare Bosso [4].

Si era insomma creata e protratta una situazione non infrequente nell’epoca: il beneficio era diventato titolo separato dall’ufficio e si aveva anzi un cumulo di benefici.

Nel nostro caso, per altro, vanno evitate conclusioni frettolose: non era la stessa situazione di Cesano, un paese con poco più di 200 abitanti, a rendere ormai inattuale la presenza di un capitolo di sette preti?

Un indice dei cambiamenti intervenuti si ha in una descrizione della canonica, cioè dell’edificio in cui queste persone avrebbero dovuto abitare, stilata sempre nel 1572.

“Nel claustro canonicale di questa prepositura vi sono tre case” [5]. Una, con tre stanze e un giardino di circa  5 pertiche, è l’abitazione del prevosto. La seconda appartiene al canonicato di Battista Alfio, ma il prevosto vi ha messo un proprio cappellano. Quanto poi  alla terza, attaccata alla chiesa, “la stancia che sora serve per sacrestia era di questa casa dove si faceva la cusina” e così anch’essa, che apparteneva al canonicato di Carlo Varesio, viene usata per altro scopo. Altre due case canonicali sono state abbattute, dove ora - continua la descrizione - vi è un orto vicino alla fontana.

Sembra insomma di capire che il prevosto, persuaso dell’impossibilità di ricostituire il capitolo, si sia piuttosto preoccupato di avere comunque un aiuto e di riadattare l’edificio. Va probabilmente visto in questo senso lo sforzo del Begliocchi d’individuare, nella relazione del 1572, anche le cifre dei “terzi non riscossi” dai titolari assenti, forse per ipotizzarne una riscossione a vantaggio generale della parrocchia.

Queste iniziative un po’ irregolari sono condannate dal delegato arcivescovile, autore di tutta la descrizione, che insiste sulla residenza e sulla recita e il canto dell’ufficio, nello sforzo di districarsi tra i dati di fatto e la volontà di ricostituire il legame tra il titolo e i compiti pastorali, secondo le indicazioni del Concilio di Trento, esplicitamente ricordato.

Strettamente collegato è il ripristino di una corretta amministrazione delle rendite: “Nissuno canonico ancor che sia residente, ne meno il Prevosto o altri, metta mano in riscuotere o pigliar parte alcuna delle decime, livelli, fitti...le quali decime, frutti, intrade solamente si riscuotano dal prevosto di Treni (Trenno)...per dispensarle...quando vi siano almeno duoi canonici residenti”.

Si va insomma profilando un primo riordino di un complesso di cose francamente confuse. Sei canonici per Cesano sono troppi; al prevosto si impone di lasciar rapidamente “espedite”, cioè libere, le due case ancora disponibili, così che due sacerdoti vi possano effettivamente abitare; a tutti va però richiesto un preciso rispetto degli obblighi conseguenti e a questo va subordinata la  riscossione delle rendite.

I Canonici residenti come coadiutori del prevosto

Queste indicazioni vanno confrontate con le spiegazioni aggiunte alla planimetria della chiesa a tre navate [6]. Nell’enumerare gli edifici canonicali, vi si parlava, senza riportarne la pianta perché situate al piano superiore, di due case per i canonici Martino Visconti e Bernardino Isabelli. Il nome di quest’ultimo, poi, ricorre nel più antico registro dei battesimi conservato a Cesano. Per la prima volta in data 22 novembre 1574, quando scrive “Cecilia... fu battezzata da me prete Bernardino Isabelli canonico”; alcune altre volte tra il 1576 e il 1578 [7].

Sembra dunque che le due case siano state ripristinate tra il 1572 e il 1574 e che a Cesano siano stati allora inviati due sacerdoti. Quanto alle abitazioni, ci si era dovuti adattare. Per prete Bernardino vi era una sola stanza, sopra la cucina; prete Martino aveva invece “una sala sopra il portico, uno camerino in testa in oriente, un’altra camera sopra la sagrestia in occidente” [8].

Per di più i vivaci scontri che si sono ricordati per il 1573 sembrano suggerire che i compiti di questi canonici si siano andati ridefinendo con una certa fatica.

Il fatto però che il prete Bernardino, nel battezzare il piccolo Pier Francesco il 16 novembre 1576, si qualifichi con semplicità come “ Coadiutor del signor prevosto” sembra una piccola spia di un avvenuto cambiamento. Il titolo di canonico verrà naturalmente ancora usato ma, nell’apparire del termine Coadiutore e soprattutto nel proporsi effettivo del clima di collaborazione pastorale che ne è il presupposto, si va forse profilando il costruirsi di un rapporto parroco-coadiutori, che tende a far sbiadire le vecchie questioni del collegio di canonici.

Si trattava per altro, di un passaggio delicato e, in effetti con la sintesi stilata nel 1579 in situazione di sede vacante per la morte del successivo prevosto Antonio Reghini, sembra di assistere a un ulteriore rimescolio. Il solo Bernardino Isabelli, di cui apprendiamo che è nato a Portovaltravaglia sul lago Maggiore, è rimasto a Cesano. Per gli altri sacerdoti ritroviamo il distacco fra le rendite cesanesi e i compiti svolti altrove: 15 lire e 14 soldi dà il canonicato di Battista Alfio, che rimane però parroco a Sedriano; Carlo Varesio resta a Monza; 6 lire dà il canonicato di Battista Bossio, che continua a fare il cappellano a S. Celso; 2 lire quello di Martino Visconti; 2 lire e ottanta centesimi quello di Stefano Mulgina, addirittura parroco di Viggiù! [9].

Formalmente si era ricreato il capitolo completo; nella realtà a Cesano, ormai da anni, non si svolgevano più né le celebrazioni, né le attività pastorali proprie di un simile organismo religioso.

Il trasferimento della Collegiata ad Abbiategrasso

La soluzione di tutta la vicenda sarà, in effetti, piuttosto complessa  e coinvolgerà, oltre a Cesano, gli altri centri plebani della zona a ovest di Milano, cioè Rosate e Corbetta.

Era abitudine di san Carlo far perno nei paesi capo-pieve per ridare impulso alla vita religiosa. Nel caso tuttavia in cui si fosse creato uno squilibrio tra una relativa decadenza di chiese di antica tradizione e l’espansione di nuovi centri abitativi, procedeva con decisione ai cambiamenti necessari, sia pure dopo un ponderato esame.

Durante la signoria dei Visconti e degli Sforza, aveva per l’appunto ricevuto un notevole impulso il borgo di Abbiategrasso, significativamente scelto per la costruzione di un castello. Una comunità di sacerdoti vi officiava nella chiesa di S. Maria Nuova.

Fu così che san Carlo nel 1578 decise di staccare Abbiategrasso dalla pieve di Corbetta, di cui faceva parte, e d’elevare la parrocchia di S. Maria Nuova a prepositurale e collegiata “principalis dignitatis”[10].

In  proposito san Carlo afferma che era acquisito il consenso del prevosto e dei sacerdoti di Corbetta [11] e, tuttavia, quando decise che, di conseguenza, andava anche formalmente ridimensionato il capitolo di Cesano e che quanto meno una parte delle sue rendite doveva essere trasferita alla nuova pieve, ne nacque una controversia, nella quale dovette intervenire Roma.

Il 28 febbraio 1585, il papa Gregorio XIII, in risposta alla richiesta del prevosto di Abbiategrasso Paolo Bollini, emana una bolla perché siano attuati i decreti che san Carlo “morte preventus...ad effectum perducere non potuit”. Nel motivare la propria decisione il papa ricorda l’efficacia dell’iniziativa del cardinale morto da pochi mesi: in S. Maria Nuova un prevosto e cinque canonici svolgono i loro impegni pastorali e trovano il sostegno economico nei beni che a quella chiesa sono stati offerti.

L’opportunità della scelta è resa poi manifesta in un confronto con Cesano Boscone, dal risultato schiacciante. La bolla menziona l’esistenza di una collegiata con sei canonici a Cesano, a circa 10 miglia di distanza da Abbiategrasso; aggiunge però: “Ipse autem locus Cesani exiguus et apertus, et a paucis incolis praesertim nobilibus habitatus est” (Cesano è paese piccolo e senza mura, con pochi abitanti soprattutto tra i nobili) e, per di più, nessun canonico vi risiede effettivamente.

Abbiategrasso, al contrario, è luogo insigne, cinto di mura, popoloso, abitato da nobili e mercanti e munito di un castello. Vi sono il pretore, due conventi di frati e due di monache; tre confraternite laicali; una pia casa per i poveri; un monte di pietà; otto scuole di dottrina cristiana. Nella chiesa di S. Maria , ampia e bella (“venusta”), c’è l’organo, il tabernacolo è elegante, si predica e si amministrano i sacramenti quasi in ogni festa.

Resta essenziale la ragione già espressa con lucida sintesi: la presenza di un congruo numero di sacerdoti ad Abbiategrasso è richiesta dalla sollecitudine pastorale e la popolazione del luogo si è impegnata a sostenerli con una donazione in beni stabili e denaro per 2.500 scudi [12].

Insomma  la conclusione è obbligata: una  parte dei canonici va trasferita ad Abbiategrasso, perché sia realmente al servizio di quella chiesa e Cesano non sarà più neppure formalmente una Collegiata con l’obbligo della recita e del canto in coro dell’ufficio divino. Così, già nel 1592 l’arcivescovo Gaspare Visconti, con il quale si era attuato il trasferimento, può descrivere al papa nella visita “ad limina” (cioè al soglio di s. Pietro) la chiesa di s. Giovanni Battista come “olim - una volta - collegiata actu et habitu”; essa mantiene il solo titolo di chiesa parrocchiale prepositurale. Il suo prevosto, per altro, è dottore “iuris utriusque” ( in diritto civile e canonico: si tratta del sacerdote Ascanio Modoni) e nella sua pieve si trovano altre otto parrocchie [13]. Lo stesso testo afferma che due canonicati sono rimasti a Cesano e che, in parrocchia, vi sono un cappellano titolare e tre cappellani “mercenari”.

Con il card. Federigo tutta la questione della Collegiata, che doveva aver suscitato non pochi mugugni, viene ormai considerata con distacco. Se ne parla tranquillamente al passato, come d’un trasferimento deciso “auctoritate apostolica...praeterquam in uno canonicatu”[14] . Con mons. Gaspare Visconti i canonicati erano due...; ma tant’è: non si tratta più di discutere di titoli tutto sommato inadeguati, ma di accompagnare con attenzione il processo di rafforzamento dell’istituzione parrocchiale e di promuoverne la formazione del clero, i temi a cui già s. Carlo aveva dedicato grandi energie.

Una parrocchia troppo grande

Il catechismo emerso dal Concilio di Trento era indirizzato ai parroci, un segnale forte della volontà di fare della parrocchia l’istituzione di base per la vita cristiana.

Nella mappa cinquecentesca con la descrizione della pieve le chiese presentate come “parrocchiali” , oltre a quella di Cesano, capo di pieve, sono 8. Tuttavia, la loro distribuzione sul territorio non appare omogenea. Ben sei parrocchie si trovano infatti a sud del Naviglio: Corsico, Grancino, Ronchetto, Buccinasco, Romano, Assago. A esse si può aggiungere Trezzano, che del Naviglio si trova a ridosso. L’unica parrocchia in tutta l’area a nord è quella di Settimo.

La distribuzione aiuta forse a comprendere il modo in cui le chiese dei singoli paesi erano divenute parrocchiali. Ancora una volta dobbiamo rifarci alla chiesa capo-pieve, quindi a s. Giovanni Battista, come a chiesa matrice, la prima nella quale si sono celebrati tutti i riti connessi con la vita cristiana.

Gli stessi riti si sono man mano celebrati anche in altre chiese del territorio: i riti funebri anzitutto e poi quelli del battesimo [15]. Ciò è accaduto a cominciare dalle chiese di una certa rilevanza, che avevano difficoltà nel raggiungere la chiesa plebana. Si spiegherebbe così la più antica diffusione del sistema parrocchiale nei paesi a sud del Naviglio: il corso d’acqua costituiva un ostacolo obiettivo al raggiungimento di Cesano.

Tuttavia, la creazione di un sistema analogo anche a nord era ormai richiesta dall’indirizzo pastorale, che puntava su una diffusione capillare sul territorio di un’istituzione come la parrocchia.

Si trattava però anche qui di riuscire a districarsi tra antiche tradizioni ed esigenze di rinnovamento.

Vi erano infatti, intanto, due chiese - s. Maria del Bosco presso Cusago e la chiesa di Vighignolo - rette da frati e non era sempre facile ricondurre anche i religiosi, con le loro autonomie, alla disciplina diocesana generale. Ne sono un segnale  sgradevoli controversie con i sacerdoti di Cesano in occasione di qualche funerale [16]. Per superare questi attriti la pastorale diocesana avrà bisogno di pazienza e tenacia. In ogni caso Vighignolo sarà presto parrocchia, così come lo diventerà Seguro nella sistemazione del territorio intorno a Settimo.

Negli stessi anni problemi ulteriori si porranno per Cusago, da poco staccato dalla pieve di Corbetta, e per Baggio. In queste località, che pure avevano un numero di abitanti circa doppio di quello di Cesano, rimanevano intrecci con famiglie signorili laiche, che estendevano i loro diritti anche al campo ecclesiastico. In Baggio poi vi era l’imponente presenza della autonoma abbazia degli Olivetani.

Tutto ciò rallentava la formazione di parrocchie locali, mentre ne conseguiva il permanere d’una dimensione molto estesa per la “cura prepositurale” di Cesano. La vastità della parrocchia è ben attestata da un elenco di chiese, posto come indice alla loro descrizione: s. Apollinare in Baggio; s. Maria Assunta in Garegnano Marcido; le due chiese di s. Marcellina e s. Cornelio in Muggiano; s. Martino ad Assiano; s. Antonio, cappella ducale nel castello di Cusago; s. Rocco “super plateam” in Cusago-paese; s. Agata campestre presso Cusago; l’oratorio dei nobili “de Ghiliis” a Baggio; l’oratorio della Guascona, sui beni della famiglia Caravaggio; l’oratorio di Monzoro [17]. Tutte queste chiese erano nella parrocchia di s. Giovanni Battista!

L’elenco trova perfetta corrispondenza con quello stilato nel momento in cui la prepositura era vacante per la morte del nuovo prevosto Antonio Reghini nel 1579, che aveva sostituito il Begliocchi, morto a sua volta nell’agosto 1577.

Proprio per questa ragione, quest’ultimo elenco è particolarmente accurato. La chiesa vi è ancora nominata come Collegiata e alla lista dei canonicati con le rispettive rendite, si fanno seguire le chiese officiate dai religiosi: s. Maria del Bosco, con due frati agostiniani di s. Marco di Milano e il monastero degli Olivetani di Baggio, con circa 30 frati. Si hanno poi le stesse dodici chiese ricordate sopra [18].

Eppure la cura di Cesano era ancora più vasta. Il prevosto Cesare Cavalli (1593 - 1598) segnala infatti anche il monastero olivetano di s. Vittore in Lorenteggio come appartenente al territorio della sua parrocchia [19].

I battesimi a Cusago e Baggio: due nuove parrocchie ritagliate da quella di Cesano

Per capire  le difficoltà di questa estensione basta ricordare che i battesimi dovevano essere di norma celebrati nella sola chiesa parrocchiale, con tutti i problemi che ciò comportava per un viaggio a piedi, con bambini appena nati, in qualunque stagione dell’anno, con strade approssimative, intersecate da numerosi fossi.

Si spiega così la lettera inviata dal vice prevosto Giuseppe Gambini all’autorità diocesana nel 1583, per ottenere il permesso di battezzare anche a Cusago.

“Nella chiesia di s.to Antonio di Cusago membro di Cesano - dice il testo indirizzato a un Reverendissimo Monsignore - già si batezzava l’anno passato. Essendo in visita Mons. Moneta ordinò che de lì a Pasqua prossima se non era fatta la cappella (il battistero) non vi si batezassi più. Promissono di farla, né si essendo fatto altro, non ho volsuto che più vi si administri detto sacramento. Gli homini hano fatto et fano molte querele (lamentele) di non voler portare più qui (cioè a Cesano) dette creature, perché la strada è lunga et cattiva et li tempi contrarij. Non possendo quietarli gli rimetto alla v.s. reverendissima,  che si quella (se Ella) leverà detta sospensione, io darò tutto quello che bisogna a detto cappellano a ciò possi batezzare come prima, et si levano tante mormorationi; aspetto quanto da quella mi verrà commesso, alla quale prego dal Signore ogni vero contento. Di Cesano il dì 7 di febraro 1583. Di v.s. Rev.ma affezionatissimo servitore Giuseppe Gambini” [xx].

Si hanno qui tutti gli elementi tipici del rapporto tra le regole diocesane e l’impegno sacerdotale sul luogo. Il sacerdote condivide la norma secondo la quale il fonte battesimale va costruito con una forma precisa. Ne chiede tuttavia un adattamento al fine di evitare le mormorazioni, cioè quelle lamentele che rischiano di creare distacco tra la gente e la chiesa.. Si rimette comunque alle decisioni di Monsignore.

Sembrava un’evoluzione ovvia che Cusago diventasse a sua volta rapidamente parrocchia. Quando tuttavia la decisione fu presa, il prevosto di Cesano iniziò una causa presso i tribunali ecclesiastici, perché, non interpellato, riteneva che non fossero stati rispettati i diritti della Chiesa prepositurale.

La controversia si estinse con la sottoscrizione di un accordo davanti al vicario generale, Antonio Albergato, nel 1603. In essa il prevosto Martignoni rinuncia alla causa e acconsente a che siano staccati, dalla parrocchia di s. Giovanni Battista, Cusago e la cascina Bettina, Terzago, Monzoro, Assiano, il Molendino di s. Maria e i loro rispettivi beni stabili, per costituire la nuova parrocchia dei ss. Fermo e Rustico in Cusago; il parroco di quest’ultima e i rappresentanti laici delle confraternite si impegnano a versare ogni anno per Natale una pensione di 15 ducati d’oro al prevosto di Cesano [21].

E’ significativa la controfirma richiesta a dei laici, segno del loro coinvolgimento nelle responsabilità parrocchiali, soprattutto per gli aspetti economici.

Cesano poteva così accogliere festosamente, senza liti in corso, la visita pastorale del card. Federigo, l’anno successivo.

Dopo Cesano, il cardinale visitò la chiesa di Baggio, fermandosi a pranzo e ad assistere a manifestazioni dei bambini e delle confraternite in questo paese.

La relazione che descrive la chiesa di s. Apollinare, spiega come in essa avvenissero i funerali, per comodità della gente, ma non dice nulla circa i battesimi.. In effetti, ancora fino al 1627 i registri dei battesimi di Cesano riportano anche i nati delle famiglie di Baggio. Solo nel 1628 vi fu eretta la parrocchia, dopo le lamentele per le strade cattive, che creavano sofferenza ai neonati, specie in inverno e nel passaggio di corsi d’acqua privi di ponti. Di qui il rischio per i bambini, al punto che talvolta si era costretti “ a darli l’acqua”, cioè a battezzarli d’urgenza, prima d’arrivare in chiesa, per il pericolo di morte [22].

Così, verso gli ultimi anni del card. Federigo, la struttura parrocchiale era ormai definita per tutta la pieve.

La formazione dei sacerdoti

La creazione del seminario di Porta Venezia fu tra le primissime preoccupazioni di s. Carlo. Solo così si poteva infatti avere una preparazione adeguata per i preti, superando le difficoltà create dal modo un po’ approssimativo con il quale si accedeva al sacerdozio in precedenza.

Nella pieve di Cesano, analogamente a ciò che accadeva in tutte le altre pievi della diocesi, si potevano in effetti distinguere diverse figure di sacerdoti. Il prevosto stesso  e i parroci erano forse coloro che meglio vivevano la loro funzione, nel legame con la gente e con i singoli paesi; erano anche sostenuti, per lo più, da sufficienti rendite economiche. I cappellani ufficialmente titolari di una chiesa, che pur non avevano la piena responsabilità dei parroci, si sentivano a loro volta impegnati per le loro chiese e comunità - quali quelle di Cusago e Baggio prima che divenissero parrocchie - e ricevevano essi pure il sostentamento dalle rendite dei rispettivi benefici. I religiosi potevano oscillare da comunità importanti come quella di Baggio, a piccole rettorie come a Vighignolo e s. Maria del Bosco di Cusago. La situazione più difficile era quella dei cappellani “mercenari”, sacerdoti senza un ufficio e un beneficio propri, che venivano chiamati dagli altri preti come aiutanti, in cambio di modesti compensi. Vi erano poi i canonici, titolari di un beneficio, ma, come si è visto, di fatto in gran parte non più residenti a Cesano.

La riforma di s. Carlo prestò una specifica  attenzione alla figura del prevosto-vicario foraneo, così che a partire da lui si avesse una ricaduta positiva su tutto il clero della pieve.

Con atto rogato a Roma, dove s. Carlo ancora si trovava, il 1° settembre 1564 venne nominato per la cura d’anime nella chiesa di Cesano, il sac. Giovanni Begliocchi, nativo di Bobbio, “cità del stato di Milano”, come afferma egli stesso in una scheda di autopresentazione  [23]. Non si tratta di una scelta singolare: anche in altri casi s. Carlo aveva cercato sacerdoti provenienti da altre diocesi, probabilmente per introdurre stimoli più vivaci.

Nella stessa scheda il prevosto, descrivendo la propria attività, lascia ben intendere quali fossero i compiti che l’arcivescovo gli aveva assegnato e, di conseguenza, quali fossero i doveri dei diversi parroci e degli stessi cappellani.

La celebrazione delle funzioni “all’ambrosiana”, va accompagnata da una continua attenzione ai fedeli: nel parlare di sé in terza persona il prevosto precisa, infatti, che “dichiara ogni domenica il vangelo, fa sermoni, predica dal pulpito in quaresima”. A ciò aggiunge che “insegna la dottrina cristiana, dà opera ai casi di coscienza (il che comportava uno studio della morale cristiana, così da poter rispondere con precisione ai quesiti e alla confessione dei fedeli), alla scrittura sacra”.

Le indicazioni successive hanno piuttosto un risvolto culturale: ha i libri richiesti “e molto maggior coppia” e sa di canto fermo e un po’ anche di canto figurato. Non gode di altri benefici: una pensione sopra la prepositura di s. Eufemia in Piacenza “ è litigiosa”, cioè contestata.

Pur lasciando ad altri di giudicare, il Begliocchi tiene infine a proclamare la sua piena onestà di vita. Abita nella canonica di Cesano e ha in casa un servitore e un chierico diacono. In una stalletta tiene poi, “per servicio suo”,  un cavallo.

Il quadro sarebbe ideale, se non fosse pesantemente in contrasto quanto meno con il tono della relazione di un esaminatore, incaricato dall’arcivescovo per una verifica in questa pieve [24].

Ne esce la figura di un prevosto che va spessissimo a Milano, dove ha contatti con la famiglia “De Maraviliis” e dove affronta delle liti per sostenere gli interessi di un nipote. Ne consegue che si serve per confessare di altri cappellani, anche non approvati, che non insegna la dottrina cristiana e che trascura i propri doveri di vicario foraneo. Viene considerato avaro, perché utilizza come suoi i campi di pertinenza dei benefici canonicali.  Un rimprovero insistito gli viene fatto per aver tagliato degli alberi nei terreni della prepositura.

L’esaminatore osserva che è sì ben preparato “in humanioribus  litteris” (conosce dunque bene il latino), ma che ha libri profani, piuttosto che libri ecclesiastici. Un rilievo questo che doveva essere piuttosto grave, se negli stessi anni al prevosto di Corbetta fu imposto di bruciare i propri libri con le commedie di Terenzio e il Canzoniere e qualche opera latina del Petrarca! [25]. Rispetto invece alla diceria di “conversazione sospetta” con una donna alla Cassinazza, lo stesso delegato arcivescovile rileva le contraddizioni del frate di Vighignolo da cui la stessa era sorta e annota la smentita del prevosto.

A un esame più attento i due testi si rivelano assai meno contradditori. Anche nella seconda relazione si constata che il Begliocchi celebra, confessa, predica nelle feste e tiene il quaresimale; mentre si cita una sua malattia come causa di un minor impegno. In effetti, fu il Begliocchi a contrastare nella pieve il gioco d’azzardo e la bestemmia, a raccogliere l’ampia documentazione richiesta sui sacerdoti e la popolazione della pieve e a organizzare la registrazione dei battesimi e dei matrimoni, mostrando indubbiamente impegno pastorale e un’ampia preparazione culturale. Il gusto per la letteratura profana è forse enfatizzato, per il timore di s. Carlo per atteggiamenti secolarizzanti; mentre il nepotismo era caratteristica non rara nell’epoca, anche tra le massime autorità ecclesiastiche.

Del resto, la figura del prevosto si comprende meglio se la si colloca nell’insieme delle indicazioni di questo esaminatore a proposito degli altri preti della pieve.

In tutti sembra presente una significativa preoccupazione pastorale: si celebra la liturgia e, in ogni parrocchia, con la sola eccezione di Ronchetto, si insegna regolarmente la dottrina cristiana. E’ se mai la gente che è restia a frequentare questo insegnamento, vuoi per il freddo, vuoi per i lavori agricoli.

Non tutti i sacerdoti sono invece preparati culturalmente in modo adeguato. Il delegato arcivescovile controlla che abbiano i libri prescritti e in alcuni casi ne ordina l’acquisto; fa inoltre un vero e proprio esame di latino e sui casi di morale, dando un voto.

Solo il parroco di Corsico ne esce con un “bene” esplicito in tutte le materie; ma giudizi positivi vi sono anche per i parroci di Settimo e di Trezzano e per il cappellano di Cusago. Per altri, il giudizio è di sola sufficienza, perché poco preparati nei casi. Di diversi sacerdoti, addirittura, si dice che sanno sì leggere, ma che capiscono “mediocriter” (per 4 di loro) o che non capiscono per nulla i testi latini ( per altri 6): 16 sono i giudizi espressi. Si tratta di qualche parroco, ma soprattutto dei cappellani mercenari, che asseriscono tranquillamente - è il caso di quello di Corsico - di non capir nulla di ciò che leggono ( ci si riferiva soprattutto al latino della messa e del breviario), forse un po’ sorpresi che qualcuno, finalmente, si occupi di loro. Costoro ricevono impegni precisi di studio: devono imparare a memoria alcune parti della messa, devono affiancarsi a un sacerdote esperto di grammatica...; la verifica è rimandata a una sorta di esame di riparazione, a cui saranno chiamati a Milano, nel giro di pochi mesi [26].

Qualche volta le indicazioni assumono carattere morale. L’asprezza con cui si accusa il prevosto di Cesano di interessarsi al nipote in Milano più che della sua parrocchia è forse accresciuta dal sospetto che si tratti di un figlio illegittimo [27]. Evidente, in ogni caso, la preoccupazione di sradicare ogni relazione con donne che potesse dar luogo a mormorazioni e, in particolare, quelle convivenze che erano state tollerate nei secoli precedenti. Di qui l’obbligo per il parroco di Ronchetto di stare a tre miglia di distanza dall’abitazione di una donna di nome Benedetta, con la quale aveva convissuto in passato [28].

Altre prescrizioni vanno alla ricerca di un adeguato decoro. Al prete Simone di Terzago  si ricorda l’obbligo di portare la lunga veste talare, con calze nere, in luogo della sottana corta e calze bianche che indossa tuttora. Il richiamo a un atteggiamento  più religioso è però rivolto un po’ a tutti. “Alchuni (preti) restano il giorno del Corpus Domini alla pieve a mangiare et il popolo... con molti disordini va a casa. Alchuni dopo li officii da morto vanno all’hostaria a mangiare...Non sanno le cerimonie della Messa. Si parla all’officii da morto con pocha divotione” [29]. Una cattiva abitudine, quest’ultima, che dovette durare a lungo, se Carlo Porta ne fece oggetto di una sua celebre poesia!

Nello stesso testo si ricorda che “Alchuni in loco di pigliar il consenso per contrahere il matrimonio contrahono li sponsali”. Si ha qui la sottolineatura della disciplina richiesta dal Concilio di Trento per il sacramento del Matrimonio, che esclude la possibilità di ricorrere agli “sponsali”, cioè a una promessa, tacitamente intesa come sufficiente per consentire l’inizio della vita in comune. 

Un’attenzione particolare viene riservata alle conoscenze musicali dei preti, di cui si annota la competenza nel canto fermo e nel canto figurato. Eccelle in proposito il parroco di Settimo, per il quale si vede però, ancora una volta, un rischio: la musica deve essere utilizzata a fini religiosi e perciò gli si impone “che non tenghi altri istromenti da sonar in casa sua né sonj salvo che il clavicordo, quale anco non lo sonj se non privatamente”. Il Palestra osserva che s. Carlo intendeva trasformare le parrocchie della diocesi, soprattutto per le feste religiose, in quella che fu chiamata “città rituale”. Si spiega in questo senso la lotta contro il ballo e contro la musica profana che accompagnava le feste di paese, come risulta da diverse lettere. Una di esse, del tempo di mons. Gaspare Visconti, coinvolge la pieve di Cesano. Il 18 agosto 1598, il curato di Moirago così scrisse al vicario “criminale” (cioè al vicario che si occupava dei “crimina”, le infrazioni alle regole ecclesisastiche): “Ho esequito quanto vostra signoria illustre mi ha scritto circa quelli che feceno sonare il giorno di santo Jacobo (25 luglio) et li ho intradetti del ingresso della chiesa. Giovan Antonio Bruscho, cura di Moiragho, per aver fatto sonar et pieno de mille altre condicioni; et Fermo sartore per haver sonato la citara, quale è della cura di Romano, piè (pieve) de Cesano; et il curato a nome messer prete Jacobo de Monti; et Giovanni Maria che sona il violino, della cura di messer prete Bernardino Mantegaza che sta alla Cassina dove stava il Guascone, cura de Asago” [30].

Insomma si era d’estate e la voglia di musica festosa coinvolgeva anche i preti.

A quanto risulta, non si hanno invece denunce di preti che facevano quasi da maghi guaritori, simili a quella per “maleficio”, respinta dal parroco di s. Vito [31].

Chierichetti (forse futuri preti), confraternite laicali, i primi abbozzi di una scuola del “leggere, scrivere, computare”

Delle osservazioni che le autorità diocesane rivolgono alla pieve non si deve dare una lettura fuorviante. Si deve infatti considerare da un lato che a lungo i preti di campagna erano stati di fatto abbandonati a se stessi; dall’altro la visione altissima che s. Carlo aveva della missione sacerdotale, che non avrebbe voluta contaminata da alcunché di profano.

L’impressione che si ricava dalla documentazione sembra piuttosto suggerire una convinta adesione alle iniziative che l’arcivescovo promuoveva e, insieme, un vivo legame con l’ambiente rurale, con i suoi pregi e i suoi limiti.

Indicativa in proposito l’attenzione ulteriore posta alla formazione di adolescenti, con funzione pratica simile a quella degli attuali chierichetti, ma nella prospettiva di preparare dei futuri preti, quasi un lontano preludio dei seminari minori.

Due di essi sono a Settimo, Giuseppe Rovida e Aquilino Copini, “pueri qui habitum susceperunt”: ragazzi che portano la veste talare e danno grande speranza, per il buon carattere, i primi studi di grammatica latina, le conoscenze di canto [32].

Della parrocchia di Cesano è ricordato Massimiliano Cordaro, un giovinetto di 13 anni proveniente da Milano, da una famiglia numerosa, nella quale vi sono altri 6 fratelli e 5 sorelle. Dal mese di ottobre 1580 abita nella casa del vice prevosto che gli fa da insegnante. Sa leggere, ha le prime nozioni di grammatica e di canto e sta imparando a scrivere. Intanto serve all’altare. All’osservazione sul buon carattere si aggiunge che si confessa dal parroco di Settimo e che si accosta all’Eucaristia una volta al mese, secondo l’uso di allora, che escludeva una Comunione troppo frequente [33].

Né la formazione doveva trascurare i laici. Per essi venivano rinnovate le confraternite, significativamente chiamate “scuole”, con un vocabolo ancora in uso negli anni cinquanta di questo secolo.

Le principali erano la Confraternita del SS. Sacramento e la Confraternita del Rosario. La prima risulta già costituita all’epoca del prevosto Begliocchi, anche se si rileva che non ha redditi propri. Le indicazioni del visitatore diocesano attribuiscono poi ai confratelli un ruolo di esempio e di insegnamento nei confronti dei ragazzi: “Siano diligenti nel imparar et insegnar la dottrina christiana, perché i suoi figlioli ne siano istruiti et a questo effetto nel giorno di festa al suono della campana che si darà doppo il desinar subbito si trovino con essi nella chiesa et con i suoi garzoni. Non manchino con ogni carità di far che...infermi siano visitati da deputati a questo” [34].

L’impegno dei laici si completa con il riferimento, nella relazione per la visita del card. Federigo, alla figura di un sagrestano, “virum laicum”, che alimenta e pulisce le lampade e suona le campane per l’Angelus del mattino e della sera: per questo la comunità lo ha esonerato dai lavori in campagna [35].

Ancor più significativo è l’impegno del clero a istituire le prime forme di scuola, per l’istruzione dei ragazzi delle famiglie del popolo. In proposito si era addirittura cercato di costituire un beneficio, chiamato “la scolastica”, per compensare e forse incentivare quei preti, soprattutto cappellani, che facevano scuola ai bambini [36]. Furono così i sacerdoti a creare, praticamente dal nulla, i primi tentativi di scuola in ambiente contadino, a volte tra le perplessità della stessa popolazione, più interessata all’aiuto che anche i ragazzi potevano dare nei campi.

In esse si insegnava  a leggere, scrivere e “computare”, cioè a fare i primi conti. Ne furono organizzate in diverse parrocchie. A Cesano solo tre adolescenti seguivano tale insegnamento; a Cusago circa venti; ve ne erano a Trezzano; tre ad Assago; otto a Ronchetto. Una lode particolare viene rivolta al parroco di Corsico: con l’aiuto del suo cappellano insegna “gratis et amore” a 18 ragazzi!

Tali insegnanti erano detti “Ludimagistri”, cioè maestri che si dovevano occupare del primo apprendimento dei bambini. Anche in questo campo apparvero presto dei laici, il cui elenco veniva trasmesso in arcivescovado dai vicari foranei. Veniamo così a conoscere il nome di colui che forse fu il primo “maestro” a Cesano Boscone: Fabrizio Martinoli, “qui docet aliquos pueros solum rudimenta litterarum”, che dà cioè a un gruppetto non troppo numeroso di bambini un insegnamento di carattere semplice ed elementare [37].

Lettere al Cardinale

Non proprio all’Arcivescovo, che era allora mons. Gaspare Visconti, ma al suo vicario è indirizzata una vivace protesta “de gli homini de Cesano nobili et ignobili, de Cusagho, Guascona, Mugiano, Baggio et altri vicini”. L’episodio che ha dato origine a questo memoriale della popolazione della parrocchia di Cesano è accaduto il 26 giugno 1588: il prete Giuliano Cascia non ha voluto celebrare il matrimonio di una contadina povera, “se non prima statuiva et patuiva  la mercede”. La comunità locale chiede al vicario diocesano di intervenire, perché i Sacramenti “non siano da questo reverendo ministrati con precio...cosa invero molto scandalosa, anzi contro li precetti divini” [38]. In realtà non si trattava di un fatto isolato: su questo prete vengono avanzate critiche molto dure, perché tien la chiesa chiusa e non è reperibile quando lo si chiama per i moribondi. Ancora una volta, tuttavia, vanno evitate le conclusioni frettolose. Non ci è molto chiaro di che sacerdote si tratti [39] e non meraviglia certo che anche dopo l’episcopato di s. Carlo ancora vi fosse una parte del clero che rimaneva impigliata negli aspetti economici dell’istituzione ecclesiastica. Va rilevata, forse, una più acuta sensibilità religiosa da parte dei laici, con la conseguenza che certi comportamenti vengono stigmatizzati, fino a ricorrere all’istanza superiore perché li rimuova.

Ha un tono ancor più deciso una lettera su argomento analogo, rivolta, questa sì, direttamente al card. Federigo e datata 25 febbraio 1598. Morto il prevosto Cesare Cavalli, si trattava di dargli un successore e, nonostante le proteste locali, il vicario generale aveva conferito la prepositura al prete Francesco Rugherio. Questa nomina risultava così sgradita, che la comunità di Cesano aveva più volte pregato il vicario di far presente al cardinale che il Rugherio non era accettato dalla popolazione; ma, poiché dal vicario non si era ottenuto nulla, “il consule sindici et homini di Cesano” non esitano a rivolgersi direttamente al cardinale, mostrando, sotto il linguaggio ossequioso, una forte decisione nel voler raggiungere il proprio obiettivo. La lettera parla infatti di disordini e tumulti avvenuti in paese e afferma che quando il Rugherio è venuto a Cesano, “tutta la comunità se gli è opposta né lo vogliono lasciare intrare in chiesa sin che non si sia di questo fatto dato avviso a V.S. Illustrissima”. Non si usano mezzi termini, anzi, dopo aver parlato con lui, gli scriventi se ne son fatta un’opinione ancor più negativa: “...dal proprio suo parlare siamo venuti in cognitione che questo è un homo che ha molto bisogno di corretione et non d’essere admesso a cura d’anime et emendare li altrui errori, non parlando esso mai d’altro che d’arme, bravarie et donne et altre simili cose”! [40].

Davvero Francesco Rugherio, era una sorta di “bravo”, così come sembrerebbe dalla lettera in questione? In realtà gli uomini di Cesano, come risulta da altre frasi, avevano qualche loro candidato da proporre, se non da imporre, e ciò può anche averli spinti a calcare la mano. Si può comunque facilmente immaginare il coinvolgimento del piccolo paese, quanto meno nei suoi uomini più rappresentativi, nel far valere delle proprie ragioni, vere o presunte, arrivando fino al famoso Cardinale. Per una fortunata coincidenza ci é stata conservata anche la minuta della risposta dell’arcivescovo, stilata da Roma il successivo 7 marzo 1598:

Alla comunità di Cesano. Miei carissimi, havendo havuto assai buone relationi di pre’ Francesco Rugherio volontieri abbiamo conferita la chiesa di Cesano alla persona sua; e speriamo che userà quella carità et diligentia che si conviene al servitio della Chiesa et alla cura spirituale delle anime e quando in alcuna cosa mancassi mi potrete dar avviso che vi provvederemo e lo castigheremo ancora quando ne farà di bisogno. Intanto non mancate di riceverlo gratamente, come dovete, confidando che procederà in maniera che ne havrete sodisfatione e non potrete dolervi di lui. Il Signore Dio vi conservi nella sua grazia”[41].

Francesco Rugherio risulterà in effetti nell’elenco dei prevosti tra il 1598 e il 1600: la disponibilità e l’attenzione del cardinale avevano ricondotto la situazione alla normalità.

Fortunatamente non sono tutte di questo tono le lettere inviate da Cesano al card. Federigo Borromeo. Già si è visto come il prevosto Cesare Cavalli gli avesse chiesto indicazioni, per evitare che la scomunica per l’assenza della culla nelle case allontanasse soprattutto le donne dal Sacramento della confessione.

La raccolta della biblioteca Ambrosiana conserva poi altre tre lettere [42]. Nella prima, del 12 dicembre 1600, il nuovo prevosto Pomponio Martignoni ringrazia il Cardinale per essere stato inviato a Cesano. Nella seconda, datata 13 ottobre 1610, è tutto il clero della pieve a lodare il sacerdote Michele Bernabonio, che si è impegnato nella parrocchiale di Ronchetto e per il quale si chiede che sia nominato parroco di Corsico. Si tratta di due brevi biglietti, che comunicano all’arcivescovo sentimenti e proposte, nella certezza di un momento di attenzione. Del resto, se la stessa corrispondenza contiene lettere di diplomatici, di alti prelati, di scienziati come Galileo Galilei, le lettere dei preti vi compaiono in gran numero, lasciando intuire la possibilità di un rapporto necessariamente non frequentissimo, ma d’altro canto aperto a una effettiva disponibilità.

E’ quanto emerge anche dalla terza lettera, inviata da Cesano il 26 aprile 1617. Il prevosto era preoccupato: un frate di s. Maria delle Grazie, dunque un domenicano, nel predicare a Corsico aveva anche “essorcizzato”, andando oltre i compiti che gli erano stati assegnati. La questione è piuttosto delicata: l’esorcismo, cioè lo scacciare il demonio, implicava un preciso controllo dell’autorità ecclesiastica, per evitare l’insorgere di abusi. Il prevosto confessa di essersi trovato in difficoltà, “come ella a bocca da me intenderà”: insomma, se c’è un problema che non si riesce a districare  la via più sicura è quella di un colloquio con il cardinale.

Spunti per una riflessione ulteriore

Lo spirito e la tensione a una profonda riforma  con i tre arcivescovi Carlo Borromeo, Gaspare Visconti e Federigo Borromeo aveva insomma raggiunto non solo le parrocchie di campagna, ma le stesse case dei contadini.

Si comprende allora il giudizio positivo che il prevosto Begliocchi dà della pieve, ubbidiente “secondo le forze” ai dettami del Concilio di Trento, dei Concili provinciali e del Sinodo diocesano. La comunicazione con la popolazione locale è fortemente voluta: il prevosto fa affiggere alle porte della chiesa i decreti tridentini sugli eretici e sui matrimoni clandestini, dopo averli spiegati nella messa col popolo “ad alta ed intellegibil voce”. Se qualcosa non si è fatto, ciò è dovuto alla malattia del prevosto o alla povertà della gente. Così restano bianche le pagine che - secondo gli ordini dell’arcivescovo - dovevano segnalare scomunicati e interdetti, concubinari e mogli separate, inconfessi, usurai e matrimoni di grado proibito [43].

Vi sono certo anche le vicende meno positive, che riportano alle debolezze e ai lati oscuri della stessa istituzione ecclesiastica, così come alle pigrizie o alle improvvisazioni del laicato.

La dimensione locale, in ogni caso, sembra lasciar apparire con chiarezza - al di là di qualche resistenza - lo sforzo di riforma che la diocesi di Milano si assume in questo periodo, con un significativo coinvolgimento del clero e della popolazione delle campagne.

Fu, in effetti, proprio nei circa sessant’anni dell’episcopato di s. Carlo e dei suoi due successori che si rese più stretto e profondo, particolarmente nei paesi, quel rapporto tra la chiesa e la gente, che caratterizzerà la vita religiosa milanese, quanto meno fino alla prima metà del Novecento.



[1] La visita del card. Federigo a Cesano è descritta in ACAM, Cesano B., vol. XIX, fogli 178-193. Il testo è redatto in una elegante scrittura calligrafica.

[2] ACAM, Cesano Boscone, vol. XI, q. 27. Il Begliocchi vi cita come defunto il canonico Battista Lodi. Per il Liber Seminarii si veda quanto già detto nel cap. V

[3] ACAM, Cesano B., vol XI, q. 3. Analoga indicazione nel q.4

[4] id., vol XI, q. 27 e VIII, q. 22 per i “terzi non riscossi”.

[5] Id., vol XX, q. 10, dal quale sono tratte anche le citazioni successive.

[6] Ci si riferisce alla pianta riportata, con le relative spiegazioni, nel cap. V.

[7] APC, Registro dei battesimi 1, fogli 6 e 75. Il registro si presenta nella forma di una rubrica, che raggruppa i battesimi secondo la lettera iniziale del nome con cui i bambini vengono chiamati.

[8] ACAM, Cesano B., vol. II, foglio 4.

[9] id., vol. VIII, q. 20 e 22.

[10] ACAM, Abbiategrasso, vol V, q. 4.

[11] Cfr. id., q. 3, foglio 2

[12] In ACAM, Abbiategrasso, vol V, q. 2  si ha una trascrizione completa del testo. La data posta all’inizio, pridie kalendas Martii 1584, viene corretta in 1585 sulla base dell’indicazione finale: si è nel tredicesimo anno del pontificato di Gregorio XIII, papa dal maggio 1572. Solo così, del resto, diviene comprensibile il riferimento alla morte di s. Carlo. Per la presenza ad Abbiategrasso di attività professionali, artigianali e mercantili si veda lo “Status animarum” riassunto in A. PALESTRA, Storia di Abbiategrasso, Abbiategrasso 1956.

[13] In “Atti dell’Accademia di s. Carlo”, Inaugurazione del VII anno Accademico, Milano 1984 è riportato il testo di GASPARE VISCONTI, Visitatio ad limina, 1592. Cesano Boscone è descritta in poche righe a pag. 66. “Actu et habitu” significa che almeno qualche canonico partecipava effettivamente alla recita in coro dell’ufficio; cfr. in “Atti...”, cit. A. PALESTRA. S. Carlo e la visitatio ad limina del suo successore, pag. 37

[14]ACAM, Abbiategrasso, vol. V, foglio 186.

[15] Cfr. B.M. BOSATRA, in DCA, Milano 1988-90, voce “Parrocchia”

[16] Cfr ACAM, Cesano  B., vol. XI, q. 22 per le perplessità su frate Marco, che officiava nella chiesa di Vighignolo; in C.U., vol. 66, q. 23, carta 4 è invece riportata la protesta del prevosto di Cesano per un funerale di una persona morta alla Guascona, per il quale si erano presentati i frati di s. Maria del Bosco.

[17] ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 20.

[18] Id., vol. VIII, q. 22. La data della morte del Begliocchi è riportata in XI, 11.

[19] Id., vol. VI, q. 18.

[20] Id., vol. III, q. 9. Giuseppe Gambini si qualifica come vice prevosto nel registro dei battesimi conservato a Cesano, nel quale appunto appaiono alcuni bambini di famiglie residenti a  Cusago.

[21] Id., vol. XIX, foglio 289. Nell’elenco allegato alla Visitatio ad limina di G. Visconti (o.c., pag. 71), alla pieve di Cesano sono attribuite 9 chiese curate.

[22] Per i funerali a Baggio si veda la relazione per la visita del card. Federigo in ACAM, Cesano B., vol. XIX, fogli 196-197. La notizia sui battesimi é riportata, senza ulteriori indicazioni, in Franco SCARDUELLI, L’abbattimento della basilica di Baggio, ed. Edizione il diciotto, Milano 1987, pag. 9. Nel 1570 si era fatta l’ipotesi di creare una parrocchia in Garegnano Marcido: l’ipotesi fu presto abbandonata, per i limiti obiettivi di questa sede (cfr. ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 4)d., vol. XIX, foglio 289. Nell’elenco allegato alla Visitatio ad limina di G. Visconti (o.c., pag. 71), alla pieve di Cesano sono attribuite 9 chiese curate.

[23] ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 26

[24] id., vol. XI, q. 22 e q. 27.

[25] Cfr. A. PALESTRA, S. Carlo e la visitatio ad limina (1592) del suo successore, in Atti dell’Accademia di s. Carlo, Inaugurazione del VII anno Accademico, Milano 1984, pag. 38. Lo stesso autore ricorda il caso opposto del parroco di Marcallo, cui si ordinò d’imparare la dottrina cristiana e di presentarsi dopo tre mesi per farne l’esame

[26] Un esempio dei libri che gli ecclesiastici dovevano possedere e conoscere si può avere dalla nota del chierico Paolo da Baggio, residente in s. Apollinare, stilata nel 1574: Breviarium Ambrosianum; Biblia Joannis Benedicti Parisiensis; Catechismus ex decretis Concilij Tridentini; Officium Beatae Mariae Virginis; Concilium Primum Ill. Card. Borromei; Jacobus de Valentia in omnes psalmos (ACAM, VII,31) Del parroco di Ronchetto si dice: “Non habet Summam Armillam, sed eius loco habet Caietanum, neque secundum Concilium Provincialem et Tridentinum” (ACAM, XI, 22).

[27] In ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 27: (Il Begliocchi) “Dicitur adamasse mulierem nomine Ambrosinam...et ex ea filium suscepisse quam nunc Mediolani creditur sustentum suis sumptibus”.

 

[28] ACAM, Cesano B., vol. XI, q. 22: (Il parroco di Ronchetto) “Alias habuit concubinam nomine Benedictam Laudensem, quae habitat in loco Corsichi et etiam nunc est aliqua suspicio de eadem”. La distanza di tre miglia è imposta nelle ordinazioni che ne conseguono.

[29] Id., q. 22 e q. 19

[30] A. PALESTRA, S. Carlo e la visitatio ad limina (1592) del suo successore, in Atti dell’Accademia di s. Carlo, cit., pag. 41. La lettera è conservata in ACAM, C.U., vol. 29, q. 23, carta 12.

[31] Cfr. A. PALESTRA, o.c., pag. 38

[32] ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 21

[33] id., q. 6

[34] id., vol. XI, q. 4. Nel periodo in cui la prepositura è vacante dopo la morte del Reghini, la confraternita è “copiosa”; ma “nullum habet redditum”: id., VIII, 20

[35] “ab oneribus rusticanis”: id., vol. XIX, foglio 192.

[36] Cfr. A. PALESTRA, o.c., pag. 40.

[37] ACAM, Cesano B., vol. VIII, q. 20.

[38] Id. vol. XI, q. 25.

[39] Il nome di Giuliano Cascia appare una sola volta nei registri parrocchiali, per il battesimo di un bambino di Muggiano di nome Baldassare Costa, in data 9 gennaio 1587. E’ qualificato con la sigla “ppto”; ma allora era prevosto Ascanio Modoni.

[40] Biblioteca Ambrosiana, Lettere al card. Federigo, G, vol. 181, lettera n. 266.

[41] Biblioteca Ambrosiana, G 311 inf., foglio 7

[42] Nell’ordine: vol. 187, n. 96; vol. 205, n. 53; vol. 225, n. 116.

[43] Id., vol. XI, q. 24-27. Casi di inconfessi e di situazioni familiari irregolari si sono per
 altro viste nel capitolo precedente. Le notizie sull’affissione dei decreti sono in VIII, 24 e 26