Quanto segue è tratto da nostri
interventi su un giornale cattolico.
"Ormai gli anni del Concilio non sono
più tanto vicini (sono passati già trent'anni), ma l'avvenimento resta centrale,
importantissimo per capire la Chiesa. Che cos'è (che cos'è diventata?) la Chiesa? Per
qualcuno il Concilio ha cambiato tutto: niente più messa in latino, solenne e
circondata da mistero, niente più severo rispetto, austero rigore. Al loro posto si sono
(o sembrano essersi) imposte nuove "parole d'ordine": tutto è diventato più
comprensibile, più "orizzontale", apparentemente più facile. Che cos'è
successo: la Chiesa si è "arresa" al mondo, allo spirito del mondo? Ha
rinunciato alla fede nell'Invisibile per darsi tutta alle opere, anche buone, ma tutte
"mondane"? Insomma: c'è davvero stato un salto, una frattura rispetto al passato?
Davvero è cambiato tutto? Molti lo pensano: chi per rammaricarsene, rimpiangendo i bei
tempi che furono; chi per rallegrarsene, contenti di essersi sbarazzati di un fardello
troppo pesante e imbarazzante. Se ci si ferma alla apparenza, e si hanno presenti soltanto certi casi,
certe circostanze, si potrebbe anche pensare così: è cambiato tutto! Vedremo invece come
non sia così: ciò che è cambiato non è la sostanza della fede, il suo nocciolo,
che resta immutato; sono cambiate alcune cose secondarie; non solo, ma sono
cambiate per tornare quello che erano "un tempo". Eh sì, perché, e per questa
volta mi devo fermare qui, i "bei tempi che furono" a loro volta vennero dopo
altri "bei tempi", che a loro volta vennero dopo altri "bei tempi"
ancora. Ma ciò che sta davvero "prima" è lo stesso un Avvenimento, accaduto in
Palestina 2000 anni fa: quella è la vera origine, a cui risalire. Ma se il Concilio non ha cambiato che per tornare alle origini del
Cristianesimo, perché in molti hanno avuto l'impressione (positiva o negativa) di una
frattura profonda con la Tradizione? Le risposte possono essere più di una. Ci può ad
esempio essere chi è rimasto attaccato piuttosto a delle forme esteriori che alla
sostanza della fede. In questo senso può essere accaduto che si sia drammatizzato su
certi aspetti, che sono in realtà secondari, dando loro un peso eccessivo,
sproporzionato. Così per la messa in latino, o l'abito talare dei preti, o la grata nei
confessionali, o l'altare rivolto verso l'abside piuttosto che verso i fedeli. Ma si
tratta di aspetti "centrali", o piuttosto di aspetti secondari? È così
importante che sia cambiato qualcosa riguardo a tali livelli, tutto sommato esteriori e
formali? Non si può del resto dimenticare che il "Fondatore" del Cristianesimo
non portava un abito di foggia speciale, non parlava una lingua morta, né risulta abbia
fatto uso di grate per confessare. E per diversi secoli la messa è stata detta nella
lingua (il latino) che la gente capiva, con il sacerdote rivolto verso i fedeli (la prima
Messa è stata una vera e propria cena, per quanto solenne e commosso se ne si possa
immaginare il clima). Non è però tutto qui. In effetti non si può negare che il Concilio
sia stato da alcuni interpretato e vissuto in brusca frattura con la Tradizione. Nel poco
spazio che ci resta ora possiamo dire che ci sono stati due Concili: quello reale e
quello della fantasia. Il Concilio reale è quello che si è effettivamente svolto a Roma,
in Vaticano, tra il 1962 e il 1965; è quello che si è espresso e consegnato ai fedeli
nei documenti ufficiali (come la Dei Verbum, la Lumen Gentium, la Gaudium
et spes): parole chiare, nero su bianco, pietre scolpite e non fumo volteggiante. Poi
c'è il Concilio dell'immaginazione (detto anche Paraconcilio): è quello che il
Vaticano II avrebbe detto tra le righe, o quello che avrebbe voluto dire, ma
non ha potuto dire in modo esplicito per la presenza ingombrante e frenante dei vescovi
retrogradi; in ogni caso è quello che, a inappellabile giudizio di certi teologi, il
Vaticano II avrebbe dovuto dire. A quale prezzo si può sostenere ciò? A costo di separare la lettera
dei documenti conciliari dal loro presunto spirito: e di questo spirito del
Concilio (magica parola!) padroni e insindacabili interpreti sarebbero solo certi
teologi. A loro, più che agli autori dei documenti stessi, spetterebbe il compito di
spiegare cosa davvero significhino i testi ufficiali del Concilio. Come si vede, una bella
modestia! La prossima volta, esauriti questi preliminari metodologici, entreremo nel
merito di alcune delle più decisive questioni. Abbiamo detto finora qualcosa su quali siano le cause (alcune cause)
del fatto che il Concilio Vaticano II sembri aver "cambiato tutto": da un lato
("da destra") un attaccamento formalistico a riti e immagini esteriori,
dall'altro ("da sinistra") la presunzione di impadronirsi del Concilio, di
padroneggiarne lo spirito, grazie a una interpretazione che di fatto va oltre il
Concilio. Il primo atteggiamento, che ha avuto la sua forma nello scisma di Lefèvre, è
comunque in gran parte conseguenza del secondo, è una reazione al secondo atteggiamento,
quello "progressista" (ma su questa parola dovremo qualche volta ritornare). É
perciò su questo secondo che vale la pena fermarsi, ponendoci la domanda: dove il
Concilio è stato frainteso, e anzi tradito? Domanda che è poi il rovescio della medaglia
di un'altra, altrettanto legittima: che cosa ha veramente voluto dire il Concilio? Prendiamo in esame alcuni temi-chiave. In primo luogo consideriamo la
questione del rapporto Chiesa/mondo. Si è spesso visto il Vaticano II come l'evento della
riconciliazione della Chiesa cattolica col mondo moderno. Questa espressione è quantomeno
equivoca. Gli equivoci nascono sia sul modo di intendere la parola Chiesa (che
cos'è la Chiesa?) sia sul come intendere la parola mondo (che cos'è il mondo?) Sul primo
punto in realtà non dovrebbe poi essere molto difficile capire dove stia la verità, se
abbiamo la fede: la Chiesa non è una pura e semplice organizzazione umana, una società
filantropica, un'associazione di volontariato per mettere qualche toppa di bene qua e là
in un mondo che è fin troppo arido e cattivo. La Chiesa dice, da venti secoli, di essere
strumento divino, organismo permeato di una vita soprannaturale: dunque testimone di un
Altro, e Suo prolungamento nella storia e nello spazio. Si vede bene allora che la Chiesa
non può "adattarsi" al mondo per compiacerne un progetto; il Suo compito è
essere fedele al Suo Sposo, al Capo di cui essa è Corpo, e che costituisce la Sua unica
ed esauriente ragion d'essere. La Chiesa non può inventarsi niente: deve solo
testimoniare e trasmettere il Dono che ha ricevuto. Su questo punto, comunque, ci sembra
non vi siano molti dubbi. Ma che cos'è il mondo? Qui gli equivoci sono davvero grossi. Una cosa
è infatti il mondo nel senso di realtà effettiva, tutt'altra cosa è il mondo come
"struttura di peccato", come insieme di idee, valori, comportamenti, strutture,
che si costituiscono come indipendenti da Dio, ribelli al Suo disegno. Il primo tipo di
"mondo" è quello che Dio stesso ha creato (e poi redento), il secondo nasce
dalla volontà umana di essere "come Dio". Del primo è detto che il Creatore
vide che era "cosa buona"; per il secondo Cristo, nella Sua preghiera
dell'ultima cena, non ha pregato, e anzi contro di esso ha messo in guardia i suoi
discepoli:
" Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se
foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma
io vi ho scelto dal mondo, per questo il mondo vi odia" (Gv 15,18-19). Dunque c'è un mondo che va amato: è la nostra umanità reale,
concreta. Ma c'è un "mondo" dal quale bisogna guardarsi e che bisogna
combattere: è quello della apparenza e dell'inganno, quello che ha fatto passare il male
come qualcosa di buono e il bene come una oppressione servile, quello che si fonda su ciò
che noi crediamo (ingannandoci) di essere, allontanandoci da ciò davvero siamo. La Chiesa
non ha in realtà mai smesso di amare il mondo nel primo senso, né può aver smesso di
lottare contro il mondo inteso nel secondo senso, nemmeno "col Concilio". Riassumendo: il Vaticano II, abbiamo detto, non è realmente in rottura
con la tradizione, la sua "linea" può essere sintetizzata anzi come
"rinnovamento nella tradizione", e questo perché la fede cristiana non
è una plastilina che si possa rimodellare a piacimento, ma è un dono da accogliere, dono
che si trasmette ininterrottamente dagli Apostoli, da Cristo chiamati come compagni e
testimoni. Perciò la "apertura al mondo" non può significare una resa, un
inseguire affannosamente le "mode" attuali, un lusingare l'umanità
contemporanea nei suoi aspetti peccaminosi. La vera "apertura al mondo" è
stima, valorizzazione e passione per la vera realtà dell'uomo, come non si stanca di dire
Giovanni Paolo II, perciò è stolto chi si meraviglia che il Papa ami e rimproveri al
tempo stesso l'umanità. Rimprovera proprio perché ama, perché non vuole che l'uomo
reale, di cui la Chiesa ama il destino, si butti via, si rovini. Dunque apertura e
giudizio netto sugli errori non si escludono, anzi si richiamano. E un giudizio sul "mondo" contemporaneo il Vaticano II lo ha
ben dato. 1)Ha respinto l'ottimismo a tutti i costi, quel voler chiudere gli occhi sul
male: questo è un atteggiamento che non si trova nei documenti conciliari, nemmeno nella Gaudium
et Spes, che non manca di denunciare i rischi dell'età presente. Non è vero che
tutto è automaticamente destinato ad andare sempre meglio, non c'è un progresso
automatico per cui oggi è senz'altro meglio di ieri e domani sarà senz'altro meglio di
oggi: senza l'impegno della responsabilità umana, senza una serietà morale, senza una
lotta anzitutto personale contro il male, anzitutto il male morale, il progresso
tecnico rischia di capovolgersi in rovina. La minaccia nucleare, il rischio ecologico,
oggi la manipolazione genetica stanno ad insegnarlo, e non sono forse che gli esempi più
appariscenti! Non si confonda perciò un superamento di certi toni, precedenti al
Concilio, in cui la Chiesa sottolineava soprattutto le storture dell'età contemporanea,
con una assunzione acritica di un ingenuo ottimismo. Cambia il tono, cambia l'accento,
meno lamentoso e più energico e baldanzoso (si pensi solo alle figure dei Pontefici: da
Pio XII a Giovanni Paolo II) ma sui valori la sostanza del giudizio non può cambiare. 2)Il senso del peccato: la cultura del "mondo" vorrebbe
cancellarlo, ma il Concilio non ha certo azzerato il concetto di peccato come
responsabilità personale. Certo il Vaticano II ha cercato di attutire certi accenti
moralistici precedenti, ponendo l'attenzione sul Dono che Dio fa all'uomo di una vita
nuova piuttosto che sulla capacità di coerenza umana. Ma non ha certo ceduto alla
mentalità laicista che vorrebbe ridurre il peccato a cause psicologiche o sociologiche e
che attacca con violenza l'idea di peccato, come fonte di "sensi di colpa".
Certo ci sono dei "sensi di colpa" di origine psicologica, ma esiste la libertà
dell'uomo di fronte al bene e al male, esiste perciò la possibilità che liberamente, e
peccaminosamente, l'uomo scelga per il male. Riconoscerlo è doloroso, ma anche sano e
liberante. L'alternativa è una melensa confusione, una falsa misericordia, una nebbia
triste e senza pace. I falsi interpreti del Concilio, come diceva de Lubac
""fanno proprie le parole di Gesù: 'Nemmeno io ti condanno', omettendo il
seguito: 'Va' e d'ora in poi non peccare più'. Oppure si tende a scaricare la
responsabilità del male sulla società, sugli altri; mentre il peccato è sempre qualcosa
di eminentemente personale."Appunti sul Concilio Vaticano II