Le colpe della Chiesa

Cominciamo una serie di brevi interventi sulle “colpe” della Chiesa. È noto che il Papa, in vista del Giubileo del Terzo Millennio ha appunto promosso una autocritica della Chiesa, spingendo gli studiosi a capire meglio il passato.

1. Premessa. C’è anzitutto un nota bene da fare: l’atteggiamento che deve muovere i cristiani in questa revisione della storia della Chiesa non dovrebbe essere quello che il card. Ratzinger sintetizzava ironicamente nella formula ”non guardare ai peccati della tua Chiesa, ma alla nostra intelligenza”: la formula giusta è “non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della Tua Chiesa”. Insomma sarebbe sbagliato che uno giudicasse il passato a partire da una saccente presunzione, come pensando “eh, sì, la Chiesa nel passato ne ha proprio fatte di tutti i colori, ma per fortuna adesso ci sono io (/ci siamo noi)!”. Un tale atteggiamento è contrario alla verità, al punto da apparire grottesco.

Il senso di una ricognizione nel passato della Chiesa non è dire “guarda che cattivi che erano”, ma dire “stiamo attenti noi, a non ricadere in errori simili”, noi che forse, nelle medesime circostanze saremmo stati anche peggiori: “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”. Dunque il modo migliore per chiedere perdono degli sbagli passati è essere buoni noi.

Inoltre deve essere chiaro che a sbagliare non è stata la Chiesa ma gli uomini che la componevano. Nella Chiesa infatti c’è una dimensione divina, che garantisce l’essenziale alla salvezza eterna, che è il fine della stessa Chiesa, e c’è una dimensione umana, perché essa è fatta da uomini, e a questo livello in essa ci possono essere sbagli, sempre però riguardo a livelli non essenziali alla salvezza eterna.

2. Di fatto: spesso gli “sbagli” della Chiesa sono stati gonfiati, a volte in misura anche notevole, talvolta sono stati addirittura inventati. Prendiamo ad esempio la questione della evangelizzazione dell’America Latina. La Chiesa è stata accusata di connivenza nientemeno che con un genocidio. Che dire?

non c’è proprio stato nessun genocidio. Si sparano in effetti cifre assolutamente inverificabili sul numero di indios morti in seguito alla colonizzazione spagnola. Inverificabili, dico: c’era l’anagrafe? Di verificabile invece c’è il fatto che nei paesi latino-americani la percentuale di “morenos”, cioè di discendenti degli antichi abitanti , è elevata, spesso elevatissima. È vero che, soprattutto nei primi tempi della colonizzazione spagnola, specie nell’area caraibica, ci sono stati delle morti di indigeni provocate dagli stessi spagnoli: provocate, però, quasi sempre in modo non intenzionale, ossia in taluni casi sottoponendo gli indigeni a lavori che per un europeo non sarebbero stati letali, ma per lo più infettando (involontariamente) gli indigeni con i germi di malattie come il raffreddore e l’influenza, che per un europeo sono trascurabili, mentre per gli indios costituivano un problema serio, in molti casi mortale.
Quello che è assolutamente certo è che gli spagnoli, pur in qualche caso brutali, o sfruttatori (non più degli inglesi, o dei portoghesi, o degli olandesi, comunque), non ebbero mai alcuna intenzione di sterminio. Anzi la civiltà latino-americana è, immensamente di più di quella degli Stati Uniti, un esempio di fusione tra la cultura europea e quella indigena: si veda ad esempio l’architettura o la musica, ancora echeggianti stili e motivi precolombiani.

b. oltretutto le responsabilità della Spagna vanno distinte da quelle della Chiesa cattolica. È infatti solo grazie alle testimonianze di religiosi cattolici, in particolare padre Bartolomeo de Las Casas che noi oggi sappiamo degli abusi commessi in alcuni casi dagli spagnoli. Abusi contro i quali la Chiesa si pronunciò immediatamente, ad esempio nella persona dello stesso Las Casas, che di fronte all’Imperatore Carlo V difese la causa degli indios, e la loro dignità. Ma ricordiamo ancora l’opera dei gesuiti in Sud America: le Reducciones sono l’esempio più luminoso di come la Chiesa abbia difeso gli indios e la loro cultura dagli abusi degli occidentali (a proposito i più sprezzanti nei confronti degli indios non erano gli spagnoli, ma i portoghesi, e furono loro a far chiudere le Reducciones): si trattava di comunità promosse dai gesuiti, in cui gli indios, pur convertiti al Cristianesimo, potevano vivere secondo la loro tradizione, senza essere forzatamente occidentalizzati.

Francesco Bertoldi