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APPUNTI

L’ESISTENZA DI DIO (LE CINQUE VIE DI S. TOMMASO)

(I PROVA METAFISICA)

Prove metafisiche sono quelle che poggiano sui primi ed universali principi della ragione, che hanno quindi un valore assoluto e causano nella mente un'adesione perfetta che si dice appunto certezza metafisica. Gli argomenti metafisici, se ben compresi,  costituiscono sempre la dimostrazione più bella e più solida dell'esistenza di Dio: perciò cominciamo da questi.

Essi, solitamente, vengono proposti in varie forme; celebri sono le cinque vie di S. Tommaso (Summa theol., I, q. 2, a. 3) con le quali si prova l'esistenza di Dio, come primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo ordinatore. Non potendo svilupparle tutte, in questa lezione fisseremo il nostro sguardo sulla terza via, la più facile ed evidente, che brevemente si può riassumere nel seguente argomento.

1. L’argomento.

L'universo è un complesso di esseri contingenti. Ma l'essere contingente esige l'Essere necessario come sua prima causa. Dunque oltre l'universo esiste un Essere necessario, creatore dell'universo, che è appunto Dio.
Esaminiamo le singole proposizioni della nostra argomentazione:

1) L'universo è un complesso di esseri contingenti.

Noi scorgiamo nell'universo un'infinita quantità di cose: noi stessi, gli altri uomini, animali, piante, minerali di tante specie, composti di molecole, atomi, ecc., che costituiscono la terra, il sole, gli astri, e così via. Tutti questi esseri non sono esseri necessari, perché essere necessario è quello che necessariamente è (quindi non può non essere) e che necessariamente è quello che è (quindi non può mutarsi). Invece tutte le cose che compongono l'universo sono mutabili e di fatto continuamente mutano. I viventi nascono, crescono e muoiono; e durante la loro vita si evolvono e si modificano sempre. Le sostanze inorganiche anch'esse sono soggette a continue trasformazioni. Inoltre a nessuna delle cose che costituiscono il mondo compete l'essere in modo che le ripugni intrinsecamente il non essere. Dunque tutti gli esseri che costituiscono l'universo sono contingenti, cioè possono essere e non essere e, quando sono, possono modificare accidentalmente il loro modo di essere.

2) Ma l'essere contingente esige l'Essere necessario come sua prima causa.

Infatti essere contingente, come abbiamo detto, significa che può essere e non essere, essere in un modo ovvero in un altro; il che vuol dire che quella cosa non è di natura sua determinata ad essere, ma di natura sua è indifferente all'essere e al non essere. Per esempio alla natura dell'uomo appartiene la razionalità (per cui un uomo senza razionalità è assurdo) ma non appartiene alla natura dell'uomo la bontà, per cui può essere buono e cattivo, e molto meno appartiene alla natura dell'uomo l'esistenza, per cui ogni uomo è, ma non era e non sarà; vive, ma è nato e morirà.
Se per sua natura l'essere contingente è indifferente ad essere e a non essere, vuol dire che non ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, cioè non ha in sé quello che è necessario e sufficiente per poter esistere; ed allora è chiaro che questa sua esistenza deve averla ricevuta da un altro, cioè ci deve essere un altro ente che sia la ragione sufficiente della sua esistenza, la causa che l'abbia determinato ad essere. Questa causa che l'ha determinato ad essere o è un essere contingente o è un essere necessario. Se è contingente, neppure esso ha in sé la ragione sufficiente della propria esistenza, che perciò deve essere causata da un altro essere; e riguardo a questo si riproduce la medesima questione. Orbene non si può procedere all'infinito nella serie delle cause essenzialmente subordinate, altrimenti si avrebbe una serie infinita di anelli che stanno sospesi senza un fulcro di attacco, si avrebbe, cioè, una serie infinita di specchi che riflettono la luce senza un corpo per sé lucente, una somma di zeri che, per quanto prolungata, non può dare l'unità.
3) Dunque ci deve essere un essere necessario, che abbia in sé la ragione sufficiente del proprio essere e che sia ragione sufficiente di tutti gli altri, causa prima dell'universo. Ed allora è evidente la conclusione: oltre l'universo esiste un Essere necessario, creatore dell'universo, che è appunto DIO.

2. Il principio di causalità.

L'argomento, come si vede, è fondato sopra il principio di causalità, che si può e si suole esprimere in vari modi; il più esatto è: ogni ente contingente è causato.
Questo principio, salvo rare eccezioni, era comunemente ammesso sia nella filosofia antica (Platone, Aristotele), sia nel Medio Evo (S. Tommaso) come principio di per sé evidente, che non esigeva lunghe dimostrazioni per essere giustificato. Nella filosofia moderna, quando cominciarono a sorgere i pregiudizi critici sul valore delle nostre cognizioni, si cominciò a negare valore oggettivo anche al principio di causalità; lo si disse frutto dell'abitudine di associare i fenomeni successivi (Hume), ovvero lo si considerò come giudizio sintetico a priori (Kant), e quindi legge della mente che non può pensare in altro modo, ma il cui valore non oltrepassa il campo fenomenico.

 

 

L'ESISTENZA DI DIO

(II PROVA FISICA)

 

Uno dei fenomeni che più colpisce chi si pone a contemplare lo spettacolo della natura è l'ordine che vi riluce, ordine meraviglioso e costante. Di qui la mente arguta della gente semplice trae uno degli argomenti più profondi per risalire a Dio, argomento che lo scienziato analizza e perfeziona dandogli forma di rigorosa dimostrazione scientifica. Così provarono l'esistenza di Dio Platone, Aristotele, Cicerone fra i pagani; così nei tempi cristiani usarono questo argomento i primi apologeti, i Padri lo ampliarono eloquentemente e S. Tommaso lo espose in forma nitida e rigorosa nella sua Summa, così come tutta la sua scuola lo espose e lo difese. Anche i razionalisti ne sentirono la forza. Voltaire diceva: «L'universo mi imbarazza e io non posso sognare che questo orologio esista e non abbia orologiaio».

L'argomento si può brevemente compendiare nel seguente modo: nella natura esiste un mirabile ordine teleologico. Dunque necessariamente esiste una suprema intelligenza ordinatrice. Ma questa intelligenza ordinatrice deve essere anche creatrice dell'universo. Dunque esiste un Dio creatore e ordinatore dell'universo.

Esaminiamo ora le singole affermazioni.

1. L’ordine cosmico.

 Esso ci appare chiaramente considerando la scala degli esseri dai più semplici ai più complessi.

1) Regno vegetale. Un piccolo seme: uno dei tanti di quei minuscoli granellini sparsi nella natura: quale mirabile ordine nella sua struttura, nel suo progressivo sviluppo, nella formazione della pianta! Per es., la disposizione delle foglie lungo il picciolo secondo un ciclo determinato in modo da ricoprirsi il meno possibile e che tutte possano ricevere la maggior quantità di luce.  «Se voi mi volete salvare da una miserabile morte –  scriveva Darwin ad un botanico –  ditemi perché l'angolo fogliare è sempre di 1/2, 1/3, 2/5, 3/8 (...) e non mai diverso. Basterebbe questo solo fatto per fare impazzire l'uomo più tranquillo».  Disposizioni non meno complesse e sapienti si trovano nei fiori per favorire l'impollinazione di piante diverse e impedire l'autofecondazione, che sarebbe nociva alla specie per il manifestarsi di caratteri difettosi; disposizioni ancor più mirabili per assicurare, ottenuta la fecondazione e la formazione dei semi, la disseminazione in modo che non cadano tutti in un terreno sterile e ombroso, ma siano trasportati in terreno adatto e sia assicurata la sopravvivenza della specie.

2) Regno animale, dai più minuscoli viventi ai più complessi ed evoluti. La struttura dell'organismo, i vari organi della nutrizione, della riproduzione, del movimento, della sensazione; la loro adattabilità secondo l'ambiente e le circostanze o nei casi di malattia; tutto ciò presenta un evidente finalismo. I mirabili istinti in virtù dei quali gli animali agiscono e operano con tanta sicurezza, precisione e perfezione di mezzi, risolvendo con la massima semplicità i problemi più difficili: le formiche (organizzazione del lavoro), le api (la struttura dell'alveare), i ragni (l'ingegnosa costruzione della tela), gli uccelli (il nido, la cura della prole), e così via.

3) L’uomo. Il corpo e le sue parti: sono milioni di cellule differenziate fra loro, riunite in tessuti di­versi che formano i vari organi, ciascuno dei quali sapientemente costituito per la sua funzione che eser­cita spontaneamente, naturalmente, senza che ce ne accorgiamo. La mirabile struttura dei singoli organi; l'orecchio, l'occhio (Newton diceva che chi ha fatto l'occhio dell'uomo doveva conoscere bene le leggi del­l'ottica), ecc. Il grande anatomista americano Alexis Carrell, in un libro che ebbe grande successo, L'uomo, questo sconosciuto, cita molti esempi di tali meraviglie nel corpo umano e conclude: «L'esistenza di una finalità nell'organismo è innegabile: tutto avviene come se ogni organo conoscesse i bisogni presenti e futuri dell'insieme e si modificasse secondo questi».

4) La terra. La sua posizione rispetto al sole (per una temperatura conveniente alla vita); il duplice moto di rotazione e di traslazione (per l'avvicendarsi dei giorni e delle notti, per l'alternarsi delle stagioni a vantaggio dei viventi); le terre glaciali e la zona torrida (per i dislivelli di temperatura necessari per le correnti benefiche dell'aria e degli oceani), ecc.

5) L’universo. Gli astri: il loro numero, la loro grandezza, la loro distanza, i movimenti che compiono, ecc.

I vari regni della natura sono l'uno all'altro subordinati armonicamente per il bene universale. Ordine e subordinazione hanno sempre colpito i più geniali osservatori. Già Aristotele scriveva:  «Tutto nell'universo è sottoposto a un determinato ordine (...) Le cose non vi sono disposte in modo che una non abbia alcun rapporto con l'altra, che anzi tutte sono in relazione fra loro, concorrono con perfetta regolarità ad un unico risultato. Si verifica nell'universo quello che vediamo in una casa ben governata».

 

 

L'ESISTENZA DI DIO

(III: PROVA MORALE)

 Alla voce della ragione, che proclama l'esistenza di Dio, al concerto armonico della natura, che canta la gloria del suo Creatore, si unisce la testimonianza del genere umano, che con plebiscito solenne dà testimonianza a favore della divinità. Analizziamo il fatto, poi ne vedremo il valore probante.

1. Il fatto. Tutti i popoli della terra hanno sempre ammesso l'esistenza di Dio.

1) I popoli antichi.

a) Lo attestano le esplicite affermazioni degli antichi scrittori. Cicerone: «Nessuna nazione è così grossolana e così selvaggia che non creda all'esistenza degli Dei, anche quando si inganni sulla loro natura». E Plutarco: «Percorrendo la terra voi potrete trovare città prive di mura, di palazzi, di scuole, di teatri, di leggi, di arti e di monete (...) ma una città priva di templi, una nazione senza Dei, un popolo che non preghi (...) nessuno l'ha veduto mai».
b) Così attestano anche i numerosi monumenti religiosi che sono giunti fino a noi. Le antiche e gloriose civiltà degli Assiro-Babilonesi, degli Egiziani e dei Greci sono sparite per sempre, travolte nel vortice del tempo, ma ancora rimangono i segni eloquenti della loro religiosità: edifici religiosi, statue, inni alle divinità.
c) E' vero che l'idea razionale dell'ente supremo è spesso alterata per i miti che l'immaginazione vi ha aggiunto, ma sotto questa veste talora stravagante del sentimento e della fantasia, vi è un substrato costante, razionale, universale, che testimonia a favore della divinità, anzi di una Divinità suprema e unica. Questa si chiama Ammon-Ra nell'Egitto, Brahma in India, Assur a Ninive, Mardouk in Babilonia, Baal in Francia, Ormuzd in Persia, Zeus in Grecia, Jupiter a Roma, ecc.
d) Il fatto si estende anche agli uomini preistorici. Alcuni moderni scienziati (G. de Mortillet e figlio, ecc.) hanno affermato che l'uomo del periodo paleolitico (periodo umano remotissimo, della selce solo scheggiata, che precede il periodo neolitico o della pietra levigata) era completamente areligioso. Ma le recenti scoperte di scheletri di uomini del periodo paleolitico, sepolti con riti religiosi, attesta con certezza storica che anche l'uomo di quell’epoca era religioso, benché i dati non siano sufficienti per dire quale fosse la sua religione, se monoteista o no. Tali dati ci sono forniti dallo studio dei popoli primitivi tuttora esistenti dei quali tra poco parleremo.

2) I popoli moderni.

Noi conosciamo ora tutti i popoli della terra, sappiamo con certezza che dappertutto si adora, si prega, si invoca l'Altissimo. Il Quatrefages, nell'opera La specie umana, scrive: «Obbligato dal mio insegnamento a passare in rassegna tutte le razze umane, io cercai l'ateismo presso i popoli più rozzi come presso i popoli più colti. Io non lo trovai in nessun luogo se non in qualche individuo – come dice altrove – allo stato erratico». Dovunque sempre la massa delle popolazioni è sfuggita all'ateismo, anche là dove con la violenza si tentò di imporlo. La propaganda atea, accompagnata dall'incentivo dell'immoralità e dalla proibizione di ogni manifestazione religiosa, possono in una nazione aumentare il numero degli atei, dare anche l'impressione esterna di un popolo ateo; ma appena la violenza cessa, le rifiorenti manifestazioni religiose dimostrano come la massa sia sfuggita all'ateismo.
Non meno viva e profonda è la credenza in Dio presso i popoli primitivi, cioè quei popoli che sono rimasti al livello culturale di quelli antichissimi, che hanno conservato il modo di lavorare, gli utensili, il genere di vita, ecc., simile a quello dei primi uomini: non hanno né agricoltura, né allevamento di bestiame, ma vivono della raccolta di ciò che dà la natura.
Popoli primitivi sono, per es., i Pigmei e i Boscimani dell'Africa, gli Andamanesi dell'Asia e i Negritos delle Filippine, alcune tribù della Terra del Fuoco di America e alcune tribù sud‑orientali dell'Australia.
Orbene, lo studio oggettivo della religione di questi popoli primitivi ha portato alle seguenti conclusioni: «In tutti i gruppi etnici della cultura primitiva esiste la credenza in un Essere supremo, se non dappertutto nella stessa forma e potenza, certo dappertutto con forza sufficiente da escludere ogni dubbio intorno alla sua nozione predominante» [SCHMIDT, Manuale di Storia comparata delle religioni, Brescia, Morcelliana, p. 421].
La credenza in un Essere supremo è chiarissima presso tutte le tribù di Pigmei dell'Africa e dell'Asia: anzi è notevole il fatto che l'idea di questo Essere supremo sia tanto più pura e meno offuscata da idee di altre divinità minori, quanto più la tribù presenta caratteri primitivi. I nomi con cui l'Essere viene chiamato esprimono o la paternità (Padre) o l'opera creatrice (Fattore, Creatore della terra, Costruttore dei mondi) o la sua dimora in cielo o qualche suo attributo (Colui che abita in cielo, l'Onnipotente, l'Eterno, ecc.).
Il concetto elevato di Dio e della morale dei popoli primitivi dimostra che primitivo non è sinonimo di barbaro e che la loro inferiore cultura materiale e semplicità di vita non è effetto di degenerazione o decadenza; essi sono la vivente confutazione della teoria evoluzionistica nei riguardi dell'uomo.

3) I grandi uomini

Il fatto cresce di importanza se si considera il consenso degli uomini più grandi e delle menti più elevate di tutti i tempi. Essi formano la parte eletta della società ed hanno il diritto di rappresentare l'umanità stessa. Ricordiamo alcuni nomi. Nell'antichità, per es., Socrate, Platone, Aristotele e Cicerone, che hanno scritto pagine immortali sopra la divinità. Nell'epoca cristiana, oltre tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Filosofi e Teologi cristiani, geni sublimi dalla vita intemerata e dagli studi profondi, bisognerebbe ricordare i nomi di quasi tutti gli scienziati dal XVI al XIX secolo, che credettero in Dio: Copernico, Galileo, Bacone, Keplero, Newton, Leibnitz, Réaumur, Buffon, Linneo, Jussieu, Eulero, Herschel, Cauchy, Faye, Laplace, Ampère, Oerstedt, Fresnel, Faraday, Liebig, Biot, Becquerel, Gay-Lussac, Secchi, Hermite, Cuvier, Agassiz, Pasteur, Marconi, ecc. Si veda l’opera del Farges L’idea di Dio, e specialmente quella, bellissima, del Kneller: Il cristianesimo e i naturalisti moderni.

 Concludiamo ancora una volta con le parole di un pagano, Cicerone: «Se quello che la ragione dimostra lo confermano i fatti, lo proclamano i popoli civili e barbari, antichi e moderni, lo hanno creduto i filosofi e i poeti e gli uomini più sapienti che hanno governato stati e che hanno fondato città, aspettiamo forse che gli animali parlino e ci dicano che esiste Dio, non contenti del consenso universale degli uomini?»

 

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