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Il paradigma platonico

Platone (427-347) è il più diretto discendente di Parmenide, del quale vuole assolutamente salvaguardare la dottrina sulla verità dell'essere. Anche per Platone soltanto nell'essere c'è verità e solo dell'essere si può dare scienza vera (noèsis). E tuttavia egli si allontana decisamente da Parmenide e dal suo paradigma metafisico perché vuole salvare anche i fenomeni (sozem tà phainomena), pur ammettendo che dei fenomeni non ci può essere scienza ma soltanto opinione (pistis, doxa). Si tratta tuttavia di una pistis che merita d'essere presa in considerazione, perché i fenomeni, ancorché carenti di essere, non sono nulla, non sono un non essere (ouk òn), ma un non ente (mé òn): i fenomeni esigono d'essere fondati nell'essere. Ecco allora due piani di realtà: la realtà vera che è quella ideale, immutabile, immobile, eterna, il mondo delle Idee a dei Principi, l'Ipeiruranio; e la realtà apparente del mondo sensibile, materiale, mutevole, il mondo dei fenomeni.

Abbiamo così un nuovo paradigma metafisico, il paradigma di una doppia realtà: di cui una è la realtà forte, originaria, che riguarda i principi ideali, la realtà trascendente, "metafisica"; la seconda è la realtà debole e derivata, che riguarda i fenomeni, i dati sensibili, la "fisica". La seconda è tuttavia manifestazione della prima, è sua copia, sua imitazione (mimèsis). Il ponte che collega i due piani è la partecipazione (methexis) nel senso che il mondo sensibile partecipa del mondo intelligibile.

E con il ragionamento (i logoi) ossia la dialettica che l'anima può risalire dal molteplice all'Uno, dalle bellezze alla Bellezza, dalle cose buone alla Bontà, dagli enti all'Essere, dai fenomeni ai Principi.

L'insegnamento esplicito di Platone sui Principi si trova soltanto nella tradizione non scritta. Ma a un principio unitario della realtà rinviano anche numerosi testi della tradizione scritta. Le Metaidee assiologiche (Verità, Bontà, Bellezza, Santità ecc.) di cui parlano i dialoghi possono, infatti, essere intese come vedute poliedriche della medesima realtà, del medesimo supremo principio.

Il paradigma platonico esercitò un grande influsso e nelle varie epoche della storia della filosofia troverà moltissimi imitatori, di cui i principali saranno Plotino e Agostino.

Il paradigma aristotelico

Aristotele, come abbiamo già rilevato, non è il padre della metafisica, ma indubbiamente lo è della metafisica "scientifica". è colui che l'ha elevata a dignità scientifica, facendo della metafisica una vera scienza (episteme), anzi la più certa e più nobile di tutte le scienze. Egli ha conseguito questo obiettivo fissando con precisione l'oggetto della metafisica, tracciando una lista di tutti i principali problemi (aporie) che la riguardano, e attrezzandola di un metodo rigoroso, quello della dimostrazione, e di un linguaggio preciso, il linguaggio dei concetti e non più quello del mito, al quale aveva fatto ricorso spesso Platone. Perciò anche se si deve riconoscere che la metafisica nasce prima di Aristotele, e che la metafisica trascendentista nasce con Platone, si deve dire che formalmente, in quanto scienza organicamente strutturata, la metafisica vede la luce soltanto con Aristotele. Giustamente spetta a lui il titolo di padre della metafisica.

Gli elementi essenziali del paradigma metafisico aristotelico sono i seguenti.

L'OGGETTO

L'oggetto della metafisica è “ente in quanto ente, la sua essenza e le proprietà che ineriscono ad esso”. La ricerca metafisica si concentra tutta sull'essere, l'ente in quanto tale, e non l'ente in quanto corporeo che costituisce l'oggetto della fisica o in quanto misurabile che è l'oggetto della matematica. Studia l'ente e va alla ricerca dei suoi principi, sia intrinseci che estrinseci.

Negli stessi testi in cui Aristotele stabilisce l'esistenza di una "filosofia prima" distinta sia dalla fisica sia dalla matematica, in quanto possiede un oggetto che non viene colto da nessuna delle due, la definisce sia come studio delle sostanze separate sia come studio dell'ente in quanto ente. Pertanto tutt'e due le definizioni proposte dallo Stagirita per distinguere il terzo ramo della filosofia dalle altre due (dalla fisica e dalla matematica) sono perfettamente legittime e appropriate. La metafisica è in effetti allo stesso tempo una disciplina ontologica e teologica. Tra l'essere e Dio in Aristotele non esiste nessun conflitto, ma Dio, nella sua sublime separazione si trova alla sommità di tutti gli enti, è attuazione piena dell'essere, ed è causa del dinamismo di tutti gli enti.

IL FONDAMENTO

Il Fondamento: l'indagine intorno all’ “ente per sé” che è la sostanza, porta alla scoperta del suo fondamento, la Causa suprema, che non può essere che la sostanza prima, la prote ousia, la sostanza divina, il Motore immobile. Le sostanze materiali e mutevoli sono radicate e fondate nella Sostanza eterna, immobile, forma senza materia, atto purissimo, e intelligenza contemplativa, contemplativa di se stessa: è pensiero di pensiero (noesis noeseos).

IL METODO

Il metodo: diversamente da quello di Platone che è sostanzialmente dall'alto, e quindi un metodo assiomatico e deduttivo; quello di Aristotele è un metodo dal basso e induttivo, un metodo che va dagli effetti alle cause, dai fenomeni ai principi primi. 

PONTI

I ponti, che collegano il Fondamento con i fenomeni nella metafisica aristotelica non possono essere più quelli della metafisica platonica, vale a dire la partecipazione e l'imitazione. Aristotele li sostituisce con altri due ponti: la teleologia e la correlazione atto-Potenza. La teleologia accompagna il divenire e gli dà un senso: c'è movimento perché c'è una meta, e la meta finale è Dio, il Motore immobile. La correlazione atto-potenza, essenziale per la struttura della sostanza materiale (dove la materia funge da potenza e la forma da atto), è una correlazione che denota imperfezione, perché comporta la limitazione dell'atto da parte della potenza, e va quindi superata, fondando le sostanze composte di atto e potenza nella sostanza che è atto puro e forma semplicissima: così si giunge nuovamente al Principio primo, Dio.

 

Il paradigma agostiniano

Nuovi orizzonti filosofici e metafisici si spalancano col cristianesimo, che rivela all'uomo verità che hanno uno spessore razionale oltre che religioso. Tali sono il valore assoluto della persona, la libertà psicologica e morale, la creazione dal nulla, la divina provvidenza, il male morale ecc. Dal felice innesto di queste verità sull'albero della filosofia greca nasce la filosofia cristiana. I suoi primi artefici furono Clemente Alessandrino e Origene.

Ma il creatore del primo solido paradigma di una metafisica cristiana fu S. Agostino (354‑430). Agostino scopre il platonismo, più precisamente il neoplatonismo e ne rimane affascinato, al punto da ritenere che i platonici siano intrinsecamente cristiani e che i cristiani siano i veri eredi e seguaci di Platone. Nell'ottica di Agostino ciò che divide il cristianesimo dal platonismo non è tanto la metafisica quanto la soteriologia. L'impianto metafisico del cristianesimo coincide sostanzialmente con quello platonico (neoplatonico); ma, mentre i platonici pretendevano di salvarsi con la filosofia (con il distacco dalle cose di questo mondo, con la speculazione e con la contemplazione) e rifiutavano, quindi, qualsiasi aiuto superiore, qualsiasi intermediario e salvatore, il cristianesimo considera la ragione del tutto impotente a procurare la salvezza: l'unico salvatore è Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. Nessuna filosofia, nessuna metafisica può salvare l'uomo. Pertanto la metafisica platonica può essere un ottimo strumento per la comprensione della realtà e anche una buona ancella della teologia, che però non potrà mai condurre al porto sicuro della verità e della pace.

Di fatto, per mano di Agostino il paradigma metafisico platonico subisce alcune importanti e sostanziali modifiche.

La prima riguarda la caratterizzazione del Fondamento, che non è più l'Uno ma la Verità. Infatti Agostino non costruisce la sua metafisica né sull'Essere, né sulle Idee, né sulla Sostanza, bensì sulla Verità. Questa non viene dopo l'Uno o dopo il Verbo ma si identifica con l'Uno e con il Verbo.

La seconda modifica riguarda il principio del mondo sensibile, la materia. Questa da Agostino non è più concepita dualisticamente, come la causa di tutto ciò che è negativo e del male, ma è vista in modo positivo, come un una realtà buona, in quanto creatura di Dio.

La terza e ancor più significativa innovazione riguarda il vincolo ontologico che collega il Principio primo, Dio, e i suoi effetti. E vincolo (ponte) neoplatonico della emanazione viene ora sostituito con il vincolo biblico della creazione. Questa dottrina diviene il tratto più distintivo e qualificante del nuovo paradigma metafisico. Essa infatti non modifica soltanto i rapporti tra la creatura e Dio, ma esige anche una sostanziale revisione dell'idea di Dio. Il Principio di tutte le cose infatti crea liberamente. Intelligenza e volontà fanno quindi parte della natura stessa di Dio. Perciò le creature non sono il risultato di una necessaria effusione ma di una volontaria decisione. "Dio, l'immutabile Trinità, che ha create tutte le cose per mezzo della Sapienza eterna, le tiene in vita con somma bontà".Conseguentemente Agostino rilegge in chiave creazionistica anche l'importantissima dottrina della partecipazione. Mentre in Platone la partecipazione è fondata sulla somiglianza tra le copie e il modello, e in Plotino è fondata sulla emanazione (i canali partecipano dell'acqua della sorgente), in Agostino la partecipazione diviene una partecipazione per creazione. Con il concetto di creazione (creatio ex nihilo) Agostino respinge sia il dualismo manicheo sia l'emanatismo neoplatonico, e afferma che Dio ha prodotto le cose "non dalla sua sostanza, né da qualche cosa precedente bensì dal nulla". Se Dio avesse creato dalla sua sostanza si avrebbe la generazione, se da qualche cosa già esistente, non sarebbe che un artigiano. Dio ha creato tutto insieme e dal nulla, sia la materia sia le forme delle cose.

Dal punto di vista metodologico ciò che caratterizza il paradigma agostiniano è l'interiorità: per

questo motivo la sua metafisica è stata definita "metafisica dell'interiorità". (Non uscirtene fuori, ritorna in te stesso, poiché è nell'interiorità dell'uomo la dimora della verità) , è il celebre motto di Agostino. Adottando il metodo dell'interiorità egli non si interessa più del mondo materiale né si rivolge ad altri, ma a se stesso: indaga su se stesso, interroga se stesso e trova la risposta nel profondo della propria coscienza.

 

Il paradigma tomistico

Ciò che Agostino di Ippona aveva fatto con Platone e Plotino, Tommaso d'Aquino (1225‑1274) seppe fare con Aristotele. E’ vero che Tommaso ha approfittato anche dell'eredità platonica e neoplatonica, ma il suo principale interlocutore e ispiratore fu Aristotele, del quale, anzi, con tutta probabilità egli riteneva d'essere semplicemente un fedele expositor. Certo tra i meriti più insigni dell'Angelico c'è anche quello di avere commentato con grande acutezza e finezza di intuito quasi tutto il corpus aristotelicum inclusa la Metafisica. Ma, come è stato definitivamente dimostrato dagli storici del secolo XX, quella di S. Tommaso non è una semplice riedizione o trasposizione dentro lo schema creazíonistico della metafisica aristotelica, ma una nuova elaborazione del paradigma della metafisica dell'essere. Per S. Tommaso l'oggetto e il metodo della metafisica restano quelli indicati da Aristotele: “L'ente in quanto ente” è l'oggetto, la “ risoluzione degli effetti nelle cause” è il metodo.Ma poi egli introduce nel paradigma aristotelico alcune importanti modifiche. La prima riguarda il concetto di essere, che non è più inteso in senso debole, come ciò che è più comune a tutte le cose, esse commune, ma in senso forte, come la massima perfezione, che trascende tutte le essenze, tutte le sostanze e tutte le forme.

La seconda riguarda la struttura interna degli enti finiti, che oltre la composizione fisica di materia e forme include anche la composizione metafisica di essenza ed esistenza (= atto d'essere). La seconda composizione è l'unica che si incontra negli angeli che, essendo puri spiriti, non conoscono la composizione di materia e forma.

La terza modifica riguarda la risalita (la resolutio) dagli enti all'Essere che, nel paradigma originale di S. Tommaso, percorre vie ontologiche più che vie teleologiche o cosmologiche (come in Aristotele): sono le vie della composizione di essenza e atto d'essere, della partecipazione degli enti finiti alla perfezione dell'essere, e la gerarchia dei gradi di essere (la perfezione dell'essere è posseduta dagli enti secondo gradi differenziati).  Il nuovo paradigma tomistico della metafisica dell'essere è di una fecondità dottrinale straordinaria. Esso conduce a una più precisa identificazione del Principio primo: è l'ipsum esse subsistens, in lui essenza ed essere si identificano; inoltre tutte le sue perfezioni e attributi non sono altro che determinazioni della perfezione dell'essere. La creazione è essenzialmente una comunicazione e una partecipazione della perfezione dell'essere da parte di Dio alle creature, un dono che solo lui può fare. Con la distinzione reale tra essenza ed essere nelle creature, la metafisica dell'actus essendi riesce a spiegare la finitezza degli angeli senza introdurre nella loro essenza qualche fittizio elemento materiale. Infine, assicura un solido fondamento ontologico alla sostanzialità e immortalità dell'anima, assegnando all'anima stessa un proprio actus essendi, che la rende autonoma ancorché non separata dal corpo.

Tra i paradigmi metafisici - ontologici quello di S. Tommaso offre garanzie di una maggiore solidità e completezza che quello di Aristotele. 

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