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Il primo, dopo l’Unico – introduzione – scheda 1

È molto significativo che il prefazio ambrosiano della memoria liturgica del 29 giugno unisca Pietro e Paolo «in gioiosa fraternità», perché «con doni diversi hanno edificato l’unica Chiesa... e condividono la stessa corona di gloria», quella del martirio. Le due lampade, le due colonne, hanno dato «alla Chiesa le primizie della fede cristiana» (1° Orazione), Già s. Agostino motivava tale accostamento: «Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione» (Discorso 295, 7s: PL 1352). A sua volta, papa Leone Magno ribadirà la loro inseparabilità e reciproca integrazione: «Dei loro meriti e delle loro virtù, superiori a quanto si possa dire, nulla dobbiamo pensare che li opponga, nulla che li divida, perché l’elezione li ha resi pari, la fatica simili e la fine uguali» (In natali apostoli 69, 6-7). Ancora papa Leone ricorderà che, fin dai primi secoli, Pietro e Paolo vennero considerati i fondatori della Chiesa di Roma, come a Romolo e Remo si faceva risalire la fondazione della città: «Sono questi i tuoi santi padri, i tuoi veri pastori, che per farti degna del regno dei cieli, hanno edificato molto più bene e più felicemente di coloro che si adoperarono per gettare le prime fondamenta delle tue mura» (Omelie, 82. 7). (Analoghe espressioni in Giovanni Crisostomo, Commento a Rom., 32). Come quella di Pietro, infatti, la vicenda di Paolo fa corpo unico con la storia del cristianesimo nascente. La comprensione di esso è in larga parte decisa dalla comprensione dell’iniziativa di Paolo e delle reazioni che ha provocato.
Nei 2000 anni che ci separano dal "tredicesimo apostolo", i molti profili che di lui si son tracciati mettono tutti in risalto l’eccezionale figura del "primo, dopo l’Unico"; ma documentano anche la sconcertante possibilità di darne valutazioni contrastanti.

Chi lo esalta come possente genio teologico che coglie per primo l’intero progetto salvifico centrato in Cristo (nelle lettere ai Colossesi e agli Efesini); come l’instancabile missionario dell’Annuncio a tutti i popoli, già nell’arco della prima generazione cristiana (cf. la seconda parte degli Atti degli Apostoli); come il maestro della "sana dottrina" pastorale (nelle lettere a Timoteo e a Tito); come il mistico ispiratore del cristianesimo quale religione della carità e della verginità; come il glorioso martire a Roma (Clemente Romano, Ignazio d’Antiochia); come superiore a molti angeli ed arcangeli (G. Crisostomo, Panegirico, 7, 3) e come incarnazione dello Spirito Santo (l’eretico spagnolo Migezio, sec. VIII); come il "vaso di elezione" (D. Alighieri, Inferno. 2, 28; riferendosi a At 9,15); come il predicatore più audace di ogni tempo (M. Lutero, Tischreden 2, 277). Anche le biografie di divulgazione ricorrono a titoli risonanti: Il conquistatore di Cristo (D. Rops, 1951), La spada santa (J. Dobrawczynski, 1957), Il leone di Dio (T. Caldwell, 1970). Fino ai teologi che ne fanno il vero (o secondo) fondatore del cristianesimo (W. Wrede, Paulus, 1904).
Chi lo avversa accanitamente, facendone l’antagonista di Pietro e del particolarismo dei primi cristiani a Gerusalemme (F.C. Baur, 1860); il portatore di un falso evangelo, di una "cattiva novella" ("disvangelista", così lo bollerà F. Nietzsche, Anticristo, 1890); il primo eretico della storia cristiana (gli ebioniti - per i quali Cristo è soltanto un uomo - e i fedeli alle prescrizioni giudaiche). Verso la fine del secondo secolo, Ireneo di Lione ne difenderà la figura e l’insegnamento, scagionandolo dal sospetto di essere gnostico o seguace di Marcione. È rimasto comunque sconosciuto in non pochi scritti cristiani delle origini, come i vangeli sinottici, l’opera giovannea ed altri ancora.

P. RE