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CREAZIONE ED EVOLUZIONE

 

Enosh - Per noi cristiani la speranza è molto più di un desiderio: trova la sua espressione nella sto-ria della, salvezza e si fonda sul piano originario di Dio sulla creazione. In modo esplicito e con for-za la Bibbia non solo esalta con la potenza creatrice la trascendenza e l'unicità di Jahweh, il Vivente per eccellenza, ma anche l'originaria bontà del creato.

Adam - Un mito affascinante, ma pur sempre un mito.

Enosh - Se alla parola mito intendi dare, come suppongo, un valore puramente negativo, devo farti notare che nel racconto biblico traspare un «potente pathos antimitico», secondo la celebre espres-sione del teologo protestante Gerhard von Rad, che si esprime non solo nella radicale demitizzazio-ne di tutte quelle divinità (umane, animali o astrali) adorate dai popoli dell'antico Oriente, ma an-che, contrariamente al pessimismo che predomina in non pochi miti delle antiche religioni orientali, nell'esaltazione dell'originaria bontà del creato. «E Dio vide che era una cosa buona»: è questo il ritornello che scandisce i giorni della creazione. Il tutto si trasforma in un inno, liturgico di lode a Dio, dove accanto alle finalità di ordine pedagogico-religioso, l'agiografo vuole esaltare le grandio-se e mirabili opere divine, ultima fra tutte, ma prima per importanza, la creazione dell'uomo. L'uomo «fatto ad immagine e somiglianza di Dio» è per dignità superiore all'intero creato.

Adam - Sarebbe stato meglio che Dio si riposasse fin dal primo giorno, o per lo meno al sesto! Così avrebbe evitato di creare l'uomo e l'universo, risparmiandogli lo sconquasso a cui periodicamente sono soggetti: terremoti, malattie epidemiche, disfunzioni genetiche... per non parlare del male che l'uomo infligge all'uomo...

Enosh - In realtà Dio ha creato l'uomo per la felicità, e non per la sofferenza. Il giardino dell'Eden è un'espressione simbolica, o se preferisci mitica, dello stato originario di felicità, quale era nel progetto di Dio. E’ il peccato dell'uomo a sconvolgere non solo la sua esistenza, ma la struttura intera del creato.

Adam - Ecco, risiamo alla leggenda di Adamo ed Eva... Ma la scienza dimostra ben altro: dall'ominide all'homo sapiens sapiens, un'evoluzione che sembra perdersi nella notte dei tempi. Per la scienza il mito biblico dell'origine dell'uomo non ha alcun senso.

Enosh - Potremmo dirla col cardinal Baronio, che in un'epoca scossa da diatribe scientifiche e teo-logiche, con amabile ironia annotava: «E’ l'intenzione dello Spirito Santo d'insegnarci come si va-dia al cielo, e non come vadia il cielo» (espressione che nel 1615 lo stesso Galileo riprendeva a so-stegno dell'autonomia delle conoscenze scientifiche). La Bibbia non è un libro scientifico, ma un li-bro religioso, frutto della rivelazione divina, che narra la storia della salvezza. E’il libro che narra l'evento salvifico dell'intervento di Dio nella vita dell'uomo. D'altro canto Dio, come direbbe Gali- leo, ci ha dato «sensi, discorso e intelletto» proprio perché per mezzo di essi possiamo pervenire a quelle conclusioni naturali ottenibili «o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni». Entro quest'ottica interpretativa, la Sacra Scrittura insegna il perché ultimo dell'universo, il perché ultimo dell'esistenza. Come l'universo si sia formato, e all'intemo di esso l'uomo si sia biologica-mente sviluppato, è lasciato alla nostra intelligenza. Così, secondo quanto insegna l'ermeneutica biblica, il dilemma tra creazionismo, inteso come dottrina secondo cui Dio avrebbe creato diretta-mente ogni singola specie vivente, ed evoluzionismo, secondo cui gli esseri viventi derivano gli uni dagli altri per successive trasformazioni, sono biblicamente un falso problema.

Adam - Non si può comunque negare che la prospettiva evoluzionistica sia ben diversa da quella presentata nel racconto biblico. Le sue intuizioni originarie vengono sempre più arricchite dalle nuove scoperte scientifiche, e tuttavia non è per questo che è stata sostanzialmente messa in discus-sione.

Enosh - Se ti riferisci al modello evoluzionistico darwiniano e neodarwiniano, va detto che non lo si può ritenere un dato scientifico inoppugnabile. Già Engels, al sorgere della teoria, era perfetta-mente consapevole che sarebbe stato necessario integrarla con successive scoperte scientifiche. Anzi, nell'Antidúhring non mancava di scrivere che l'indagine ulteriore avrebbe sicuramente modi-ficato, anche «notevolmente», le idee darwiniane sul processo evolutivo delle specie. Oggi molti studiosi ritengono valido questo modello a livello microevolutivo, ma non sufficiente per spiegare le grandi direzioni dei corso dell'evoluzione. Per quanto riguarda poi l'evoluzione dell'uomo, biso-gna che sia anzitutto chiara la sua specificità. Che non sta nell'intelligenza, non nel linguaggio e nemmeno nella capacità di cultura (tutti aspetti che gli etologi hanno potuto osservare, sia pure in termini enormemente inferiori all'uomo, anche negli animali più evoluti), ma nell'autocoscienza, cioè nella coscienza dei proprio «io», che sta alla base non solo della moralità - per cui l'uomo, e non l'animale, «si sente» responsabile delle proprie azioni -, ma anche di quella gigantesca differen-za quantitativa che contraddistingue la sua cultura. Non è la fabbricazione dei primi elementari utensili o delle prime rudimentali abitazioni, che pare caratterizzare la cultura dell'homo habilis, a renderlo uomo; sono invece la progettualità, la coscienza di scheggiare una pietra, a far sì che l'ominide non sia animale ma uomo. L'intenzionalità cosciente di un'azione è ciò che caratterizza la specificità della stirpe umana; l'esito poi di quest'azione è connesso al progresso culturale: l'Apollo 13 che nel 1969 ha portato il primo uomo sulla Luna non è qualitativamente diversa dalla prima pietra rozzamente scheggiata dall'uomo preistorico: è solo il frutto di un progresso tecnico-scientifico, sia pure grandioso, che differisce solo per quantità.

Adam - Una differenza che comunque pone seri interrogativi sull'evoluzione della stirpe umana... Enosh - Il lentissimo progresso tecnico-scientifico che ha caratterizzato la lunga preistoria umana non deve destare troppa meraviglia. Ancor oggi in certe zone della Terra esistono tribù che non conoscono l'uso dei metalli, o della scrittura; ma non per questo presentano un'umanità qualitativamente diversa dalla nostra. Non è il progresso tecnico-scientifico la condizione priorita- ria di una civiltà, tant'è vero che scienza e tecnica sono strumenti ambivalenti, e come tali possono essere usati per la vita o per la morte. D'altra parte, anche presso popolazioni a livello etnologico, accanto a manifestazioni da noi ritenute incivili e barbariche si possono trovare espressioni di profonda saggezza e di genuina religiosità, che rivelano l'identica natura umana comune a tutti i popoli.

Adam - Identica natura umana, ma con civiltà un bel po' diverse... Il cammino della scienza nell'ambito dell'evoluzione umana è ancora lungo, e probabilmente riserva scoperte interessanti. La scienza non ha dogmi da difendere... Quel che io difendo è solo l'intuizione originaria dell'evoluzionismo, che Darwin per primo cercò di giustificare con intento scientifico; per quanto poi questa intuizione possa essere notevolmente arricchita e modificata, non posso che concordare con la previsione di Engels. Uno degli obiettivi più ambiziosi che la scienza oggi si prefigge è quel- lo di disegnare l'esatta mappa del genoma umano con i suoi 100.000 geni, per scoprire che cosa sia realmente il DNA, l'acido desossiribonucleico, la sostanza fondamentale del gene attraverso cui viene trasmesso il patrimonio ereditario da un individuo a un altro, e che contiene le informazioni necessarie a dare specificità all'organismo. Leggere l'alfabeto della vita, conoscere il patrimonio genetico tramandato dai nostri progenitori, porterà nuove e più sicure conoscenze sull'origine dell'uomo. Un fatto comunque è certo: l'evoluzionismo, sopportato dalle continue scoperte scientifiche, è in palese contrasto con il racconto biblico.

Enosh - Non sarei così precipitoso. La storia del pensiero filosofico e teologico cristiano mostra una sorprendente liberalità. Già alcuni Padri della Chiesa avevano introdotto una distinzione fra l'atto iniziale della creazione e la successiva formazione di quella che chiamavano l'«exornatio mundi». la formazione degli esseri che ornano il creato. Sulla base di questa distinzione la celebre scuola medioevale di Chartres limitava l'intervento diretto di Dio ai quattro elementi fondamentali della cosmologia classica (acqua, aria, terra, fuoco), lasciando la formazione delle creature alle «causae secundae», leggi naturali garantite nella loro autonome da Dio. Come un tempo i pensatori cristiani dimostrarono grande attenzione alla cosmologia dell'epoca, cercando di conciliare con essa l'ortodossia religiosa, altrettanto è richiesto al credente di oggi. Del resto già sant'Agostino, milleseicento anni fa, commentando il racconto biblico della creazione e ponendo come esempio l'albero nel cui seme «erano già presenti invisibilmente tutti insieme gli elementi che nel corso del tempo si sarebbero sviluppati per formarlo», dice che «allo stesso modo dobbiamo immaginare che l'universo, quando Dio creò simultaneamente tutte le cose, conteneva simultaneamente tutti gli elementi creati in esso e con esso quando fu fatto il giorno»; «in potenza e in germe, prima che comparissero nel corso dei tempi e che noi ormai conosciamo come opere che Dio continua a com- piere fino al presente» .Una formidabile intuizione delle attuali teorie scientifiche, sia pure espressa nell'ambito di una cosmologia metafisica, a ulteriore conferma che l'accettazione dell'evoluzionismo da parte del credente non implica l'accettazione dei materialismo. L'importante è porre al vertice di tutta l'evoluzione cosmica e umana la potenza creatrice di Dio, come fece il celebre geologo e teologo Teilhard de Chardin, che fece parte dell'équipe che nel 1929 scoprì il sinantropo, l'homo erectus cinese. La vera alternativa non è tra evoluzionismo e creazionismo, quanto invece tra la visione di un mondo in evoluzione dipendente dalla forza creatrice di Dio, e la visione di un mondo chiuso in sé stesso capace di generarsi e di trasformarsi in virtù di una potenza intrinseca e immanente.                 Torna a scuola

 

(Pagine tratte da:A. e G. Rimoldi, Cento giorni nell’eternità, Ed. Ares)