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DOSSIER DICO

8 Febbraio 2007
La preparazione del decreto
Ecco il testo del decreto preparato da Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità, e Rosy Bindi, ministro della Famiglia. Il ddl è emendabile, quindi ora si aprirà il consueto iter parlamentare.

ARTICOLO 1 (Ambito e modalità di applicazione)
1. Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il secondo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge.
2. La convivenza di cui al comma 1 è provata dalle risultanze anagrafiche in conformità agli articoli 4, 13 comma 1 lettera b), 21 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, secondo le modalità stabilite nel medesimo decreto per l’iscrizione, il mutamento o la cancellazione. È fatta salva la prova contraria sulla sussistenza degli elementi di cui al comma 1 e delle cause di esclusione di cui all’articolo 2. Chiunque ne abbia interesse può fornire la prova che la convivenza è iniziata successivamente o è terminata in data diversa rispetto alle risultanze anagrafiche.
3. Relativamente alla convivenza di cui al comma 1, qualora la dichiarazione all’ufficio di anagrafe di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, non sia resa contestualmente da entrambi i conviventi, il convivente che l’ha resa ha l’onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’altro convivente; la mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge.
4. L’esercizio dei diritti e delle facoltà previsti dalla presente legge presuppone l’attualità della convivenza.
5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche all'anagrafe degli italiani residenti all’estero. 6. Ai fini della presente legge i soggetti di cui al comma 1 sono definiti «conviventi».
ARTICOLO 2 (Esclusioni)
1. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle persone: a) delle quali l’una sia stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra o sulla persona con la quale l’altra conviveva ai sensi dell’articolo 1, comma 1, ovvero sulla base di analoga disciplina prevista da altri ordinamenti; b) delle quali l’una sia stata rinviata a giudizio, ovvero sottoposta a misura cautelare, per i reati di cui alla lettera a); c) legate da rapporti contrattuali, anche lavorativi, che comportino necessariamente l’abitare in comune.
ARTICOLO 3 (Sanzioni)
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di beneficiare delle disposizioni della presente legge, chiede l’iscrizione anagrafica in assenza di coabitazione ovvero dichiara falsamente di essere convivente ai sensi della presente legge, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 3.000 a euro 10.000.
2. La falsa dichiarazione di cui al comma 1 produce la nullità degli atti conseguenti; i pagamenti eseguiti sono ripetibili ai sensi dell’articolo 2033 del codice civile.
ARTICOLO 4 (Assistenza per malattia o ricovero)
1. Le strutture ospedaliere e di assistenza pubbliche e private disciplinano le modalità di esercizio del diritto di accesso del convivente per fini di visita e di assistenza nel caso di malattia o ricovero dell’altro convivente.
ARTICOLO 5 (Decisioni in materia di salute e per il caso di morte)
1. Ciascun convivente può designare l’altro quale suo rappresentante: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e volere, al fine di concorrere alle decisioni in materia di salute, nei limiti previsti dalle disposizioni vigenti; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie, nei limiti previsti dalle disposizioni vigenti.
2. La designazione è effettuata mediante atto scritto e autografo; in caso di impossibilità a redigerlo, viene formato un processo verbale alla presenza di tre testimoni, che lo sottoscrivono.
ARTICOLO 6 (Permesso di soggiorno)
1. Il cittadino straniero extracomunitario o apolide, convivente con un cittadino italiano e comunitario, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, può chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per convivenza.
2. Il cittadino dell’Unione europea, convivente con un cittadino italiano, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, ha diritto all’iscrizione anagrafica di cui all’articolo 9 del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2004/38/CE.
ARTICOLO 7 (Assegnazione di alloggi di edilizia pubblica)
1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano tengono conto della convivenza di cui all’articolo 1 ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare o residenziale pubblica.
ARTICOLO 8 (Successione nel contratto di locazione)
1. In caso di morte di uno dei conviventi che sia conduttore nel contratto di locazione della comune abitazione, l’altro convivente può succedergli nel contratto, purché la convivenza perduri da almeno tre anni ovvero vi siano figli comuni.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di cessazione della convivenza nei confronti del convivente che intenda subentrare nel rapporto di locazione.
ARTICOLO 9 (Agevolazioni e tutele in materie di lavoro)
1. La legge e i contratti collettivi disciplinano i trasferimenti e le assegnazioni di sede dei conviventi dipendenti pubblici e privati al fine di agevolare il mantenimento della comune residenza, prevedendo tra i requisiti per l’accesso al beneficio una durata almeno triennale della convivenza.
2. Il convivente che abbia prestato attività lavorativa continuativa nell’impresa di cui sia titolare l’altro convivente può chiedere, salvo che l’attività medesima si basi su di un diverso rapporto, il riconoscimento della partecipazione agli utili dell’impresa, in proporzione dell’apporto fornito.
ARTICOLO 10 (Trattamenti previdenziali e pensionistici)
1. In sede di riordino della normativa previdenziale e pensionistica, la legge disciplina i trattamenti da attribuire al convivente, stabilendo un requisito di durata minima della convivenza, commisurando le prestazioni alla durata della medesima e tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali del convivente superstite.
ARTICOLO 11 (Diritti successori)
1. Trascorsi nove anni dall’inizio della convivenza, il convivente concorre alla successione legittima dell’altro convivente, secondo le disposizioni dei commi 2 e 3.
2. Il convivente ha diritto a un terzo dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio e ad un quarto se concorrono due o più figli. In caso di concorso con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri, al convivente è devoluta la metà dell’eredità.
3. In mancanza di figli, di ascendenti, di fratelli o sorelle, al convivente si devolvono i due terzi dell’eredità, e, in assenza di altri parenti entro il secondo grado in linea collaterale, l’intera eredità.
4. Al convivente, trascorsi almeno nove anni dall’inizio della convivenza, e fatti salvi i diritti dei legittimari, spettano i diritti di abitazione nella casa adibita a residenza della convivenza e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla quota spettante al convivente.
5. Quando i beni ereditari di un convivente vengono devoluti, per testamento o per legge, all’altro convivente, l’aliquota sul valore complessivo netto dei beni prevista dall’articolo 2, comma 48, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, è stabilita nella misura del cinque per cento sul valore complessivo netto eccedente i 100.000 euro.
ARTICOLO 12 (Obbligo alimentare)
1. Nell’ipotesi in cui uno dei conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, l’altro convivente è tenuto a prestare gli alimenti oltre la cessazione della convivenza, purché perdurante da almeno tre anni, con precedenza sugli altri obbligati, per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza. L’obbligo di prestare gli alimenti cessa qualora l’avente diritto contragga matrimonio o inizi una nuova convivenza ai sensi dell’articolo 1.
ARTICOLO 13 (Disposizioni transitorie e finali)
1. I conviventi sono titolari dei diritti e degli obblighi previsti da altre disposizioni vigenti per le situazioni di convivenza, salvi in ogni caso i presupposti e lemodalità dalle stesse previste.
2. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, può essere fornita la prova di una data di inizio della convivenza anteriore a quella delle certificazioni di cui all’articolo 1, comma 2. La disposizione di cui al presente comma non ha effetti relativamente ai diritti di cui all’articolo 10 della presente legge.
3. Il termine di cui al comma 2 viene computato escludendo i periodi in cui per uno o per entrambi i conviventi sussistevano i legami di cui all’articolo 1, comma 1, e le cause di esclusione di cui all’articolo 2.
4. In caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere fornita, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, da parte di ciascuno dei conviventi o, in caso di morte intervenuta di un convivente, da parte del superstite, la prova di una data di inizio della convivenza anteriore a quella dell’iscrizione di cui all’articolo 1, comma 2, comunque successiva al triennio di separazione calcolato a far tempo dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale.
5. I diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalle disposizioni vigenti a favore dell’ex coniuge cessano quando questi risulti convivente ai sensi della presente legge. 6. I diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalla presente legge cessano qualora uno dei conviventi contragga matrimonio.
ARTICOLO 14 (Copertura finanziaria)
1. All’onere derivante dall’articolo 11, pari ad euro 4 milioni e 600 mila per l’anno 2008 ed euro 5milioni a decorrere dall’anno 2009 si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma20, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, iscritta all’U.P.B. dello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2007. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio..

 

 

 

I DI.CO. per l’Arcigay: "un punto di partenza"

Quando ci raccontavano che i diritti per le coppie di fatto non erano la scusa per equiparare le unioni omosessuali alla famiglia naturale, quella formata da un uomo e una donna, ci tocca specificare, noi non gli abbiamo mai creduto, ma oggi è ancora più chiaro, sul sito dell’arcigay lo spiegano per bene, non sono contenti, ma sanno benissimo che il primo passo è stato fatto:

"La possibilità di una registrazione volontaria tramite atto pubblico per le coppie di fatto gay, lesbiche o eterosessuali è un punto di partenza. - spiega Lo Giudice - Ma i diritti che avevamo richiesto rischiano di essere negati. Infatti reversibilità della pensione, successione, permesso di soggiorno per il partner extracomunitario, diritti sul lavoro sono previsti in una modalità che non corrisponde alle esigenze reali delle famiglie di fatto: tempi troppo lunghi e meccanismi complicati rischiano di produrre una vera e propria gimkana per le coppie e di rendere la legge inapplicabile. I bizantinismi linguistici e procedurali siano sostituiti dalla certezza dei diritti e delle responsabilità."

"Da domani - annuncia il presidente di Arcigay - saremo in piazza per spingere il parlamento a cambiare profondamente questa proposta."

11.2.2007

Ciao a tutti,

dalla proposta di legge riDICOla sulle coppie di fatto - quella che il GR1 venerdì presentava con "i PACS in Italia si chiamano DICO", tanto per chiarire di che si stava parlando - ci salveranno le poste italiane. Il comma 3 dell'art. 1 della suddetta legge, infatti, dice che, se i conviventi non si recano insieme all'anagrafe per registrarsi,  può andare anche solo uno dei due, che deve poi comunicare all'altro la registrazione avvenuta, mandandogli una raccomandata con ricevuta di ritorno.

Già l'idea di affidare l'ambaradam sulle coppie di fatto ad una raccomandata è cosa da brivido, da thriller, da appassionati di sport estremi, insomma. Nel migliore dei casi, va per le lunghe. Già si pensava ai nuovi regali per San Valentino: non più bigliettini con le frasi dei baci perugina, ma fantastici prestampati di moduli per raccomandate, e magari le poste, romantiche, predisporranno ricevute di ritorno azzurre, rosa o arcobaleno, a seconda del tipo di coppie.Ma se ho capito bene quel comma - e chiedo aiuto ad avvocati ed esperti on line - e se la legge venisse approvata così com'è, ne verrebbe fuori un pasticcio esilarante. 

Visto che all'anagrafe ci può andare anche un solo convivente, che poi "ha l'onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente; la mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge", e visto che la ricevuta di ritorno, se convivono, la manda al suo stesso indirizzo, e visto che la ricevuta di ritorno la può firmare chiunque, anche la donna delle pulizie, può benissimo succedere che uno dei due conviventi dichiari la convivenza senza che l'altro lo sappia.

Cioè Tizio e Caia vivono insieme. Caia va all'anagrafe, manda a Tizio la raccomandata, che arriva quando Tizio è al lavoro,  a casa c'è lei - perchè convive - e firma  la ricevuta,  oppure a casa c'è la donna delle pulizie, che dà la raccomandata a lei, e Tizio non sa che ha fatto un DICO.

Qualcuno mi spieghi se ho capito male. Perchè se ho capito bene, potete immaginare da soli cosa significa tutto questo. Insomma: se i due non vanno a registrarsi all'anagrafe, insieme o separatamente, come fanno all'anagrafe ad essere sicuri che quei due vogliono dichiararsi come coppia di fatto? 

La cosa è ancora più riDICOla se si legge l'art. 6 

"1. Il cittadino straniero extracomunitario o apolide, convivente con un cittadino italiano e comunitario, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, può chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per convivenza."

In pratica, Tizio fa venire Caia come badante, dal Kazakistan. Tizio non la mette in regola, ma fa un DICO: va all'anagrafe, le manda una raccomandata - rigorosamente in italiano - con ricevuta di ritorno, e il gioco è fatto. Non le pagherà mai i contributi, ma lei è regolare.

Oppure Tizio, dallo Yemen, viene in Italia a lavorare, e fa venire Caia, dal Pakistan, e fa un DICO. Dopo due anni la manda via, e fa venire Sempronia, e fa un altro DICO. E così via. Tizio deve solo mandare raccomandate - rigorosamente in italiano, a casa sua, a donne pakistane, magari pure analfabete : siamo certi di non coprire una situazione di sfruttamento? siamo certi che la nostra anagrafe potrà controllare che Tizio, Caia, Sempronia, non siano sposati nei loro paesi?

E poi c'è un problema: la legge non spiega come si chiudono, i DICO. Non c'è scritto. Non lo DICOno. 

Ma come, tutta questa canea, e poi neanche si possono lasciare? Coppie di fatto indissolubili? Ma gliel'hanno detto al Vaticano?

Probabilmente si deve dedurre che i due si separano così come si sono messi insieme. Di nuovo con una raccomandata? Ancora con ricevuta di ritorno? Quella che può mandare solo uno dei due, quella che la ricevuta la firma la donna delle pulizie e l'altro non lo sa che si sono lasciati? Come all'inizio,  insomma? E se basta solo uno dei due, per lasciarsi, che si fa, il ripudio? Per lettera? E come saranno, i moduli delle ricevute di ritorno, listati a lutto?

Ci sarebbero tanti altri spunti interessanti - per avere gli alimenti dopo la rottura della convivenza devono passare tre anni, per decidere sulla donazione degli organi no, oppure, due persone che per motivi di lavoro vivono in due città diverse - Braunschweig e Assisi, per esempio - e si incontrano due volte al mese, possono considerarsi conviventi stabili - ? 

Illuminatemi. Spiegatemi, potrei facilmente aver capito male. Ma se ho capito bene, c'è veramente da ridere.....

 

 

 

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE
SUL DIRITTO NATURALE PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

Lunedì, 12 febbraio 2007 E' con particolare piacere che vi accolgo all'inizio dei lavori congressuali, che vi vedranno impegnati nei prossimi giorni su un tema di rilevante importanza per l'attuale momento storico, quello della legge morale naturale. Ringrazio Mons. Rino Fisichella, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, per i sentimenti espressi nell’indirizzo con il quale ha voluto introdurre questo incontro.E' fuori dubbio che viviamo un momento di straordinario sviluppo nella capacità umana di decifrare le regole e le strutture della materia e nel conseguente dominio dell’uomo sulla natura. Tutti vediamo i grandi vantaggi di questo progresso e vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione della natura per la forza del nostro fare. C’è un altro pericolo meno visibile, ma non meno inquietante: il metodo che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice. La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale. Una parola, questa, per molti oggi quasi incomprensibile a causa di un concetto di natura non più metafisico, ma solamente empirico. Il fatto che la natura,  l’essere stesso non sia più trasparente per un messaggio morale, crea un senso di disorientamento che rende precarie ed incerte le scelte della vita di ogni giorno. Lo smarrimento, naturalmente, aggredisce in modo particolare le generazioni più giovani, che devono in questo contesto trovare le scelte fondamentali per la loro vita. E’ proprio alla luce di queste constatazioni che appare in tutta la sua urgenza la necessità di riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare la sua verità comune a tutti gli uomini. Tale legge, a cui accenna anche l’apostolo Paolo (cfr Rm 2,14-15), è scritta nel cuore dell’uomo ed è, di conseguenza, anche oggi non semplicemente inaccessibile. Questa legge ha come suo primo e generalissimo principio quello di "fare il bene ed evitare il male". E’, questa, una verità la cui evidenza si impone immediatamente a ciascuno. Da essa scaturiscono gli altri principi più particolari, che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. Tale è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio. Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona. Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis appunto. E come non menzionare, da una parte, l’esigenza di giustizia che si manifesta nel dare unicuique suum e, dall’altra, l’attesa di solidarietà che alimenta in ciascuno, specialmente se disagiato, la speranza di un aiuto da parte di chi ha avuto una sorte migliore? Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno.La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La conoscenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. E’ questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità. Quanto fin qui detto ha applicazioni molto concrete se si fa riferimento alla famiglia, cioè a quell’"intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie" (Cost. past. Gaudium et spes, 48). Il Concilio Vaticano II ha, al riguardo, opportunamente ribadito che l’istituto del matrimonio "ha stabilità per ordinamento divino", e perciò "questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo" (ibid.). Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società. Sento infine il dovere di affermare ancora una volta che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito. La tecnica, quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente alla tecnica come all’unica garante di progresso, senza offrire nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare violenza alla natura umana con conseguenze devastanti per tutti. L'apporto degli uomini di scienza è d’importanza primaria. Insieme col progredire delle nostre capacità di dominio sulla natura, gli scienziati devono anche contribuire ad aiutarci a capire in profondità la nostra responsabilità per l’uomo e per la natura a lui affidata. Su questa base è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti; tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale. Auspico pertanto che queste giornate di studio possano portare non solo a una maggior sensibilità degli studiosi nei confronti della legge morale naturale, ma spingano anche a creare le condizioni perché su questa tematica si arrivi a una sempre più piena consapevolezza del valore inalienabile che la lex naturalis possiede per un reale e coerente progresso della vita personale e dell'ordine sociale

Inchiesta (09 febbraio 2007)
Coppie di fatto, la tutela che già c'è e quella «fai da te»

di Francesco Riccardi

Se per fare qualsiasi cosa occorre un buon motivo, per approvare una legge occorre un’esigenza sociale. Possibilmente forte. Se non assolutamente prioritaria quantomeno avvertita come non procrastinabile, urgente per rispondere a un bisogno impellente. Dovrebbe essere così anche per la regolamentazione delle unioni di fatto, al centro ieri del disegno di legge approvato dal governo.

Dovrebbe, appunto. Perché più ci si ragiona, più ci si addentra nella materia, si esaminano codici, si cercano lumi nella filosofia del diritto e più si stenta a trovare motivazioni forti che sostengano la necessità di una regolamentazione per legge di questo tipo di rapporti, che hanno una natura essenzialmente privatistica.

D’altro canto quale può essere l’interesse dello Stato, della società, a regolamentare e istituzionalizzare legami che nascono proprio in contrapposizione con tutto ciò che sa di "contrattualizzazione" del rapporto di coppia, di assunzione di responsabilità verso terzi e verso lo Stato? Sono gli stessi conviventi a rivendicare come scelta di libertà il loro rifiuto del matrimonio, con i diritti e doveri conseguenti. Eppure ci si preoccupa di come stendere su di loro una "coperta" legislativa per tutelarli nonostante il loro rifiuto.

E così tra bilanciamenti difficilissimi e mediazioni faticose, è stato varato un testo che oltre a tanti diritti – quasi quanti sono quelli di cui godono i coniugi – contiene anche qualche dovere. Due soli in realtà: alla mutua assistenza durante la convivenza e, nel caso di rottura di una convivenza protrattasi oltre 5 anni, la corresponsione degli alimenti per un periodo limitato al partner che versi in stato di bisogno.

Ma ciò che stupisce – e in parte disvela anche quanto di strumentale ci sia in quest’operazione politica – è che le tutele per i conviventi già esistono: normate dalle leggi o fissate dalla giurisprudenza negli anni, come si può leggere nella tabella che pubblichiamo qui a lato. Quasi tutti quelli che oggi vengono rivendicati come "diritti negati" ai conviventi – dall’assistenza del partner in ospedale al subentro nel contratto d’affitto, passando per le visite in carcere – sono in realtà "diritti già tutelati" dalle leggi approvate dagli anni ’90 in poi. Non solo, esistono poi una serie di strumenti di diritto privato – dalle polizze previdenziali alla nomina dell’amministratore di sostegno, al testamento – che è possibile utilizzare per aumentare ulteriormente il grado di protezione del proprio partner.

Leggi e strumenti, dunque, che rendono ancora più difficile comprendere quali forti esigenze richiedano una specifica regolamentazione delle coppie di fatto. (ha collaborato Ilaria Nava)

 

La tabella (09 febbraio 2007) Coppie di fatto, la tutela che già c'è CONVIVENZE: ECCO COME SONO GIÀ TUTELATE

LE RICHIESTE

LE TUTELE GIÀ PREVISTE DALLA LEGGE

COM’È POSSIBILE TUTELARSI COL PRIVATO

L’assistenza in ospedale

Nessuna legge impedisce di visitare o accudire il convivente in caso di malattia o ricovero. È il paziente che decide da chi farsi assistere.

Le decisioni in materia di salute

Il titolare di decisioni è solo il paziente.

Le donazioni degli organi

Il convivente ha già il diritto di decidere in assenza di indicazioni del diretto interessato (legge 91/99).

Il tutore legale

In caso di incapacità, il giudice nomina un tutore, preferendo il coniuge o il convivente (art. 424 c.c.).

Con atto pubblico o scrittura privata autenticata una persona può designare chi sarà il proprio amministratore di sostegno, in previsione di una propria futura incapacità (art. 408 c.c.).

Gli alloggi e l’affitto

Il convivente subentra nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore. A colui che abbia cessato la convivenza succede il partner qualora vi sia prole naturale (art. 6, L.392/78). Per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, quando l’originario assegnatario abbandona l’abitazione, il convivente affidatario della prole conserva il diritto di usufruire dell’alloggio (Corte cost. 559/89).

I conviventi possono decidere di essere entrambi titolari del contratto di locazione. Cointestando il contratto, il subentro sarà automatico.

Il lavoro

Il convivente, come il coniuge, ha diritto a un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o documentata grave infermità del partner (L.53/00).

Le pensioni e la previdenza

I fondi pensione complementari già prevedono la possibilità di reversibilità a favore del convivente. Diverse Casse professionali private (giornalisti, notai, commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, parlamentari) prevedono l’estensione del diritto alle prestazioni sanitarie a favore del convivente.

Il convivente può stipulare a favore dell’altro contratti di previdenza privata e polizze sanitarie private.

L’eredità

Il convivente può redigere testamento e nominare il convivente proprio erede per la quota disponibile (i legittimari sono i figli, il coniuge e, in assenza di figli, gli ascendenti).

Processi e carcere

Il convivente, come il coniuge, non è tenuto a testimoniare contro il proprio partner. È riconosciuto al detenuto il diritto di avere colloqui anche con il convivente. È attribuito un permesso al condannato in caso di imminente pericolo di vita di un familiare, intendendo anche il convivente (L.354/75). Il convivente può proporre la domanda di grazia.

Risarcimento alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata

Il convivente è destinatario dell’assegno vitalizio in caso di morte del partner (DPR 510/99).

La vita e la famiglia vittime del relativismo etico, constata il Papa
Presenta la legge naturale come criterio oggettivo
CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 12 febbraio 2007 (ZENIT.org).- Senza il rispetto della legge naturale, la vita, la famiglia e la società diventano vittime del relativismo etico, ha spiegato Benedetto XVI questo lunedì. E’ il messaggio che ha lasciato nel corso dell’udienza concessa ai circa 200 partecipanti al Congresso internazionale sul diritto naturale, promosso dalla Pontificia Università Lateranense.
Il discorso del Papa è iniziato constatando le evidenti contraddizioni del momento presente, caratterizato dal progresso tecnologico.
"Vediamo tutti i grandi vantaggi di questo progresso, ma vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione del dono della natura per la forza del nostro fare", ha osservato.
"E c’è un altro pericolo, meno visibile, ma non meno inquietante – ha aggiunto –: il metodo che ci permette di conoscere sempre più le strutture razionali della materia ci rende sempre più incapaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice".
Per questo motivo, il Vescovo di Roma ha sottolineato l’"urgenza" di riflettere sul tema della legge naturale, quale sorgente di norme, che precedono qualsiasi legge umana e non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno.
Il numero 1954 del Catechismo della Chiesa Cattolica spiega che "l'uomo partecipa alla sapienza e alla bontà del Creatore, che gli conferisce la padronanza dei suoi atti e la capacità di dirigersi verso la verità e il bene. La legge naturale esprime il senso morale originale che permette all'uomo di discernere, per mezzo della ragione, il bene e il male, la verità e la menzogna".
In questo discernimento, il Papa ha sottolineato in particolare "il principio del rispetto per la vita umana, dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo, ma dono gratuito di Dio".
"Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona", ha aggiunto.
Il Papa ha denunciato i condizionamenti imposti dall’imperante "positivismo giuridico", in base al quale sono gli "interessi privati" ad essere "trasformati in diritti", quando invece a fare da base a "ogni ordinamento giuridico sia interno che internazionale" è e resta oggi la lex naturalis.
"La legge naturale è in definitiva il solo, valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica", ha segnalato.
"La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubblica, è quindi aiutare perché possa progredire la coscienza morale. Questo è il progresso fondamentale e senza questo progresso tutti gli altri progressi non sono veri progressi", ha continuato.
Le "applicazioni concrete" di quanto affermato Benedetto XVI le individua anzitutto nel rispetto della famiglia, intesa come "quell’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore" e quindi un "vincolo sacro", come afferma il Vaticano II, che "non dipende dall’arbitrio dell’uomo".
"Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società".
"Sento il dovere di affermare ancora una volta che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito", ha osservato.
"La tecnica quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione finisce per abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte".
Per questo motivo, il Papa ha rivolto un appello agli uomini di scienza: "Gli scienziati devono anche contribuire ed aiutare a capire in profondità la nostra responsabilità per l’uomo e per la natura affidatagli". "Su questa base è possibile e necessario sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti, tra teologi, filosofi, giuristi, uomini di scienza che possono fornire anche ai legislatori un materiale prezioso per il vivere personale e sociale", ha concluso.
ZI07021208

Le recenti dichiarazioni del leader dell'Unione sulle coppie di fatto

© L'OSSERVATORE ROMANO, 13/09/2005

ROMA, 12. Dai convegni, dagli incontri, dai confronti tenuti in questo scorcio di fine estate, si è assistito a dichiarazioni di numerosi leader politici su temi diversi.

Alcuni di questi pronunciamenti sono, occorre credere, frutto di riflessioni articolate e complesse che hanno costituito la base per preparare quella che si preannuncia come una campagna elettorale orientata al procacciamento di tutti i voti rastrellabili sul territorio.

L’ultima dichiarazione in ordine di tempo è quella a fatta dal leader dell'Unione Romano Prodi, il quale ha di suo pugno scritto una lettera al leader dell'Arcigay Franco Grillini, il quale ne ha dato lettura in occasione della riunione della Consulta dei Gay DS.
"Carissimo Franco - ha scritto Prodi – apprendo di aver provocato delusione tra quanti, nell'Arcigay, si attendevano uno specifico riferimento ai Pacs già nel breve testo che riassume solo linee generali del mio programma per le primarie. Voglio perciò rassicurare te e quanti, eventualmente, avessero condiviso un sentimento di tal genere. Da parte mia, come tu stesso ricordi, il problema non è stato affatto cestinato. Ma, al contrario, troverà certamente soluzione nel programma finale dell'Unione".

"Come ho detto più volte nei mesi scorsi, e come sai - ha aggiunto - condivido con gli altri leader dei partiti dell'Unione l'ipotesi di una proposta universalistica che affronti, regolamenti e risolva il tema dei diritti delle coppie di fatto basate su un vincolo diverso da quello del matrimonio. Una proposta avanzata già in Parlamento da 61 parlamentari dell'Unione e che trova la mia condivisione".

E’ una dichiarazione che chiama direttamente in causa nella competizione politica la famiglia, la realtà naturale alla quale sono naturalmente inclini l'uomo e la donna.

Una realtà fondata, come la stessa Costituzione italiana ammonisce, sul matrimonio.

Un tentativo, dunque, di relativizzare e ideologizzare la realtà della famiglia.

Una lacerazione inaccettabile.

 

L'avvocato Annamaria Bernardini De Pace: ecco come utilizzare il diritto privato

Pubblichiamo un contributo di un noto avvocato che, sebbene ricco di contraddizioni e irragionevolezze che abbiamo commentato, è utile a far comprendere come le leggi attualmente vigenti siano sufficienti a regolamentare le cosiddette unioni di fatto.

"Non c'è alcun bisogno di approvare una legge sulle coppie di fatto. Abbiamo già a disposizione una serie di strumenti del diritto privato che possono rispondere con efficacia alle esigenze di tutela dei conviventi. Al limite si può suggerire uno schema-tipo di accordo fra i partner".

Annamaria Bernardini De Pace, avvocato civilista tra i più in vista di Milano, specializzata in diritto di famiglia, separazioni e tutela degli interessi di personaggi famosi, parla a raffica tra un atto da correggere e un cliente da ricevere.

Piano, piano avvocato. Ci faccia capire bene: lei è contraria all'approvazione di una norma che riconosca le convivenze?

Certo, dal punto di vista del diritto non vedo alcuna ragione per farlo. Il dibattito intorno alla questione è viziato dallo scontro ideologico. La Chiesa e i cattolici difendono le ragioni del matrimonio e della famiglia tradizionale. Ma anche da un punto di vista laico il matrimonio è un istituto importantissimo da difendere: è un atto sacrale…

Scusi se sobbalzo, ma sentir parlare di "matrimonio sacro" da un avvocato divorzista del suo calibro suona strano. Qualcuno potrebbe obiettare…

Non c'è contraddizione. Lasciamo da parte le questioni di fede. Anche sul piano laico il matrimonio civile è un atto sacro, con il quale due persone si impegnano solennemente davanti alla comunità e allo Stato, assumono una serie di doveri e, in conseguenza di questi, godono di alcuni diritti particolari. Tanto che "rompere" questo patto comporta una serie di adempimenti onerosi: divorziare non è cosa da poco, si va davanti a un giudice. Non si può svilire il matrimonio prevedendo un altro istituto - un "piccolo matrimonio" o un riconoscimento pubblico delle convivenze - con tanti diritti e nessun dovere, risolvibile con due righe scritte e un "buonasera". Sarebbe uno squilibrio. Più corretto, dal mio punto di vista, sarebbe consentire velocemente il secondo matrimonio a chi vuole tutelare il proprio partner malgrado il divorzio in corso [Naturalmente, questa opinione dell’avvocatessa è contraria ad un’etica secondo ragione, essendo il matrimonio indissolubile per natura, NdR].

L'ho interrotta, stava parlando dello scontro ideologico…

Sì, la mia impressione è che da parte della sinistra ci sia soprattutto una volontà perversa di allargare l'assistenzialismo dello Stato anche alle famiglie di fatto, anche a quei conviventi che deliberatamente, coscientemente, decidono di non assumersi doveri davanti allo Stato. Allora, da un lato un vero Stato liberale deve difendere anche la libertà dei propri cittadini di non assumersi doveri. E dunque non si può attribuire "d'ufficio" dei diritti ai conviventi - in quanto tali - senza una loro espressa volontà. Sarebbe un accanimento garantista verso coloro che hanno rifiutato un'invadenza o comunque un ruolo dello Stato nel loro privato sentimentale. La stessa Corte costituzionale ha sottolineato che si potrebbe configurare "una violazione dei principi di libera determinazione delle parti". Dall'altro, come sostenevo prima, un riconoscimento pubblico tramite un registro o peggio delle "simil-nozze" sarebbe iniquo. E pericoloso: ci sarebbe infatti il rischio di legittimare e tutelare persino i matrimoni poligamici dei musulmani, con tutto quel che ne conseguirebbe in tema di assistenzialismo statale a plurime convivenze.

E siamo al vicolo cieco di sempre: sarebbe sbagliato sia il riconoscimento pubblico sia l'attribuzione di diritti ai partner per il solo fatto che convivono. Come se ne esce?

Usando quel che già c'è. Se si vuole essere garantiti del tutto c'è il matrimonio, altrimenti si possono utilizzare una serie di strumenti come le polizze assicurative, la co-intestazione di beni come la casa o il contratto d'affitto. E poi ci sono i cosiddetti "Contratti di convivenza" che i partner possono stringere per definire alcuni aspetti della loro convivenza: dai lavori domestici alla suddivisione delle spese, alla creazione di un fondo comune da suddividere in caso di rottura del rapporto. Infine una procura per poter rappresentare il compagno in caso di grave malattia o invalidità. Si tratta di contratti privati, che possono essere liberamente stipulati e che non necessitano di un riconoscimento pubblico.

Qualcuno potrebbe contestarle un conflitto d'interessi: ecco un modo per far guadagnare avvocati e notai. Per le coppie di fatto non abbienti potrebbe essere un costo non sopportabile…

I costi sarebbero certamente inferiori a quelli di un banchetto di nozze. Comunque, se si vuole, si può perfino ricorrere a una semplice scrittura privata o rivolgersi a un consultorio familiare. Oppure si può studiare uno schema-tipo da proporre, che ogni coppia possa far proprio adattandolo, portando poi l'atto in tribunale per l'omologa, così come si usa per le società. Ma, al di là delle modalità, conta il principio della responsabilizzazione personale. Lo Stato non può sempre fungere da balia. Se una coppia decide di non sposarsi, non si assume doveri, non cerca di tutelarsi attraverso polizze e contratti privati, la società non può "inseguirla" stendendo sopra di essa una legge, come fosse una coperta, per metterla comunque al riparo. Qui emerge un nodo culturale: le nuove generazioni non sono educate alla responsabilità personale.

Troppe persone, troppe coppie hanno perso il coraggio di affrontare un progetto di vita definitivo, almeno nelle intenzioni. Epperò si pretende per loro delle tutele…

Al di là di altre questioni come l'assistenza in ospedale o gli affitti - facilmente risolvibili se non già risolte nelle prassi - le due problematiche fondamentali riguardano le pensioni di reversibilità e l'eredità, dalle quali oggi i conviventi sono esclusi.
Le pensioni di reversibilità vanno riservate alle vedove. Non abbiamo fondi per le pensioni minime e per quelle future dei giovani, non vedo perché si dovrebbe allargare l'assistenzialismo dello Stato in questo campo. Vi sarebbero poi enormi rischi di abusi, basti solo pensare ai casi di badanti che accudiscono anziani soli… Quanto all'eredità - oltre alla quota disponibile (il 25% nel caso ci siano eredi legittimi) che un convivente può già lasciare all'altro - si potrebbe ipotizzare un intervento "leggero" sul codice civile. Eliminando il coniuge separato e/o i genitori dall'asse ereditario e inserendovi l'eventuale compagno con il quale si sia volontariamente concluso e registrato un contratto di convivenza privato. [Anche in questo caso siamo di fronte ad una grave violazione del diritto naturale: è, infatti, contrario alla ragione escludere dall’asse ereditario il primo ed unico vero coniuge o, addirittura, i genitori, NdR].
Anche in questo caso non ci sarebbe necessità né di riconoscimenti pubblici né di registri né di grandi leggi, foriere di possibili stravolgimenti sociali.

Dietro la battaglia politica per l'istituzione dei pacs o dei registri delle coppie di fatto c'è sicuramente anche la forte spinta degli omosessuali per ottenere un riconoscimento pubblico.

Conosco e tutelo gli interessi di molte coppie gay. Ma istituire per loro un simil-matrimonio rappresenterebbe una risposta sbagliata a un'esigenza legittima. [omissis… L’Avvocatessa prosegue con considerazioni teoriche sui diritti degli omosessuali, che nella realtà dei paesi di antica tradizione cristiana sono però del tutto inutili, in quanto è assente ogni e qualsiasi forma di discriminazione, NdR].
Il matrimonio è, e deve essere, un'altra cosa.

© Avvenire, 19 gennaio 2007

 

MANIFESTO PER L'EGUAGLIANZA DEI DIRITTI

Appello

Al Presidente della Repubblica, ai Membri del Governo, del Parlamento italiano ed europeo, ai Rappresentanti delle Istituzioni locali, alle Associazioni per la difesa e la promozione dei diritti civili e umani, alle Parti Sociali, ai media, alle cittadine e ai cittadini italiani ed europei
 

Noi sottoscritti, consapevoli dell'importanza che i valori e i principi fondamentali di uguaglianza e pari dignità sociale sanciti dalla nostra Costituzione hanno per il libero e pieno sviluppo della persona, riteniamo che il provvedimento del Governo in materia di Unioni Civili non esprima una posizione laica e di respiro europeo e soprattutto non sia compatibile con il nostro dettato costituzionale.

I diritti di cui è questione sono evocati e rivendicati come palliativi di situazioni limite, in altre parole come meri rimedi giuridici nell’emergenza o come strumenti di pura gestione patrimoniale (assistenza ai detenuti, ai malati e ai morenti; subentro in affitto di case, eredità), rimedi peraltro in parte già esistenti nel nostro ordinamento: al contrario, il diritto a realizzare un Progetto di Vita comune, matrimoniale o familiare, è elemento fondante ed essenziale per il pieno sviluppo della persona e, in quanto tale, é garantito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana.

Il provvedimento governativo prevede invece il riconoscimento di alcuni limitati diritti alle persone che abbiano deciso di costituire un'unione di fatto, ma non esaurisce la discriminazione in atto nel nostro Paese in ragione del sesso e dell’orientamento sessuale dei componenti la coppia, restando in ogni caso precluso l’accesso all’istituto del matrimonio civile per la coppia omosessuale e disponendo di conseguenza una sostanziale e inammissibile diversità di accesso al diritto legata alla condizione della persona, cosa che costituisce un vulnus inammissibile verso i Principi Fondamentali della nostra Costituzione.

Noi invece siamo profondamente convinti che a tutti i cittadini e a tutte le cittadine deve essere garantita parità e uguaglianza e pertanto anche il diritto di registrare a tutti gli effetti le loro unioni, indipendentemente dal loro sesso e dal loro orientamento sessuale. 

Occorre affermare che il matrimonio civile è un istituto giuridico non sostituibile, né vicariabile da altri, e che solo con l’accesso anche delle coppie dello stesso sesso a tale istituto è rispettato e pienamente applicato il principio fondamentale di eguaglianza e pari dignità sociale di tutti i cittadini sancito dalla nostra Costituzione.

Il riconoscimento della coppia di fatto, il diritto al matrimonio civile indipendentemente dal sesso dei coniugi e senza alcuna compressione dei diritti di genitorialità e adozione, può e deve essere garantito da una legislazione analoga a quelle della Spagna, del Belgio, dei Paesi Bassi e del Canada. La disciplina normativa dovrà riferirsi ai componenti del nucleo familiare con il termine «coniugi», assicurare parità di trattamento a tutte le coppie indipendentemente dal sesso dei coniugi e riformare le leggi laddove esistono esplicite forme discriminatorie (ad esempio la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita), così come previsto dalla Proposta di Legge n. 1244 (XV Legislatura: primo firmatario Daniele Capezzone). 

Facciamo appello per una affermazione comune di libertà a tutti coloro che condividono aspirazioni inclusive, laiche, fondate sulla parità dei diritti, proprie dell'Europa che vogliamo e che  già esiste, di un'Europa in cui il diritto costituisce l'orizzonte di civiltà dei singoli, delle comunità e delle Istituzioni che li rappresentano, contro il pregiudizio, l'esclusione e contro la discriminazione, che l'art. II 81 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea vieta in qualsiasi forma, compresa quella fondata sull'orientamento sessuale. 

 

Matrimonio tra omosessuali?

FRANCESCO D’AGOSTINO

Ordinario di Filosofia del Diritto

Università degli Studi di Roma Tor Vergata

1. Per quanto teoricamente e storicamente insostenibile (e efficacemente confutata da molti e molti anni), l’immagine del giurista come quella di un tecnico al servizio dell’operato del legislatore, come quella di colui che comincia ad agire solo dopo che tutti i giochi sono stati giocati, quando cioè la volontà normativa di chi detiene il potere legislativo si è definitivamente cristallizzata in un testo di carattere assolutamente formale, è ben dura a morire. Non è facile individuarne la ragione, tanto è riduttiva e obiettivamente poco esaltante questa immagine: a meno che non si voglia pensare che, in un’epoca di crisi come la nostra, il giurista "medio" proprio a questo in realtà aneli con tutto il suo essere, cioè a lavorare all’ombra del potere e ad elaborare di conseguenza un’immagine rassicurante di se stesso, come di colui che, in quanto del potere è servitore, viene in contraccambio efficacemente protetto dal potere stesso (traendone così indubbi, anche se ben poco nobili vantaggi).

2. Questa premessa è indispensabile per capire perché in uno dei dibattiti più accesi del nostro tempo, quello sul riconoscimento giuridico di nuove forme di vita familiare, e in particolare del matrimonio tra omosessuali, i giuristi di oggi sembra che entrino malvolentieri, o che addirittura non vogliano entrare affatto, quasi che stessero rispettosamente aspettando il maturare di una decisione che non a loro competerebbe, ma esclusivamente ai "politici" e che una volta maturata essi sarebbero prontissimi a recepire rispettosamente. Di conseguenza, non c’è da meravigliarsi se a loro volta i politici, deprivati dell’indispensabile sussidio dei giuristi, si muovono male, prestando frettolosissime attenzioni a qualunque istanza ideologica, anche alla più incredibile, che venga elaborata in seno alla società civile, lanciando proposte che il più delle volte durano l'espace d’un matin, e che servono solo a rivelare quanto sia in genere profonda (e colpevole) la loro ignoranza dei vincoli strutturali che tengono insieme il sistema giuridico (con i suoi sottosistemi, primo tra tutti quello dei rapporti familiari); vincoli che, una volta alterati, producono inevitabilmente perturbazioni a catena, dolorosamente laceranti e ben difficilmente sanabili. La situazione è davvero sconfortante.

È necessario che in un dibattito estremamente complesso come quello sul matrimonio e sulla famiglia, un dibattito nel quale necessariamente si intrecciano istanze non solo etiche, ma proprie di pressoché tutte le scienze umane, i giuristi tornino a far ascoltare la loro voce. Ne va non solo del matrimonio e più in generale del diritto; ne va, né più né meno che dell’uomo.

3. Che cosa propriamente chiedono coloro che auspicano una riforma così radicale del diritto di famiglia, come quella che dovrebbe aprirlo al riconoscimento formale delle coppie omosessuali? Essi chiedono che l’ordinamento giuridico prenda sul serio il fatto che l’omosessualità non può più essere intesa come una malattia; di conseguenza, che non è possibile continuare a gestire la questione omosessuale come si è fatto fin’ora, cioè attraverso un’attenta miscela di tolleranza privata e disapprovazione pubblica.

Proprio in quanto non sono soggetti malati, gli omosessuali — ma su questo, si noti bene, non c’è chi non sia d’accordo — hanno il diritto a non subire alcuna discriminazione a causa della loro identità. Potrà e dovrà continuare ad essere combattuta l’omosessualità che si manifesterà in forma violenta, ma non diversamente peraltro da come può e deve essere repressa ogni pratica sessuale violenta posta in essere da eterosessuali.

Ma una pratica omosessuale liberamente e consapevolmente accettata deve ormai — così si sostiene — avere lo stesso riconoscimento di una pratica eterosessuale. Poiché dunque esistono serie e rispettabili convivenze omosessuali, che presuppongono nei conviventi profondi impegni reciproci di affettività e solidarietà, bisogna procedere nei loro confronti ad una vera e propria forma di riconoscimento legale, secondo modalità normative sostanzialmente analoghe a quelle che governano le coppie coniugate.

In una prima generica approssimazione, sembra che tutto quindi si condensi in una richiesta che pare avere dalla sua una certa ragionevolezza: la ragionevolezza di chi insiste che bisogna prendere atto di un dato che ormai appartiene alla realtà del nostro tempo. Se però cerchiamo di andare al di là di questa prima approssimazione e vogliamo mettere a fuoco l’essenziale del dibattito in materia quale si è svolto in questi ultimi anni, ci accorgiamo che le cose non possono essere ridotte in termini così semplici.

Infatti, la linea dei "riformisti" (per riunire sotto quest’unica categoria tutti coloro che ritengono giunto il momento di riformare radicalmente il diritto di famiglia) non è univoca: nel loro fronte convivono almeno due diverse linee di tendenza, irriducibili di principio tra loro, che solo occasionalmente si trovano, nel nome della rivendicazione di un modello "pluralistico" di famiglia, ad essere alleate contro la prospettiva giuridica "tradizionale", quella che parla di famiglia "al singolare", come fondata su un concetto univoco di matrimonio, inteso come l’unione stabile di due individui di sesso diverso.

3.1 Da una parte c’è la linea di tendenza che potremmo denominare liberazionista (seguendo l’indicazione di Andrew Sullivan in quello studio a suo modo esemplare che è Virtually normal). Secondo questa linea, la lotta per il riconoscimento delle convivenze omosessuali si inquadrerebbe in una prospettiva politicoprogettuale assolutamente più ampia. È evidente che il riconoscimento di un matrimonio tra omosessuali comporterebbe, nell’immediato, un effetto sociale inevitabile e cioè il depotenziamento della famiglia in generale e in particolare di un istituto giuridico, come quello del matrimonio legale, ritenuto dai "liberazionisti" obsoleto e repressivo (e già questo basterebbe per i suoi fautori a rendere tale riconoscimento auspicabile). Infatti, per ricomprendere in se stesso l’unione tra omosessuali, il matrimonio legale dovrebbe essere "depubblicizzato", reso cioè sempre più simile a un mero con tratto di diritto privato, che per definizione va affidato nei suoi contenuti concreti alla più piena disponibilità dei contraenti. Riconoscendo le convivenze omosessuali, il sistema giuridico si troverebbe quindi obiettivamente costretto a fare un primo, ma deciso passo indietro; il primo di molti, ulteriori passi indietro che dovrebbero condurre se non all’estinzione del diritto di famiglia, almeno alla sua riduzione ai minimi termini. E qui comincia a delinearsi l’ulteriore effetto, destinato a manifestarsi in tempi medio lunghi, dell’auspicato riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali: un effetto dotato di una valenza ancor più significativa di quella appena accennata, perché non si limiterebbe ad alterare radicalmente un capitolo del diritto privato come quello del diritto familiare, ma coinciderebbe sostanzialmente con una lotta politico-sociale di carattere libertario e antigiurista. Il riconoscimento del matrimonio tra omosessuali sarebbe quindi il primo passo di un processo — i cui tempi ovviamente, per chi se ne fa fautore, non sono oggi puntualmente prevedibili — che dovrebbe comunque condurre ad instaurare un modello di convivenza sociale assolutamente nuovo, radicalmente individualistico, liberato insomma dal peso di quel vincolo estrinseco e soffocante che è il diritto.

3.2 Occasionalmente alleato al movimento liberazionista, ma profondamente diverso nei suoi presupposti ideologici e nella sua dimensione progettuale, è il movimento che (sempre seguendo Sullivan) possiamo denominare liberale e che considera il riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali un autentico e specifico obiettivo, privo di qualsiasi carattere strumentale rispetto a finalità ulteriori.

Si tratta evidentemente di un liberalismo secundum quid, perché sposta la sua attenzione dal piano della teoria e della prassi delle forme di governo (quello proprio del liberalismo classico) al piano del vissuto individuale dei cittadini, per come questo vissuto è destinato ad acquistare rilievo giuridico-istituzionale. Effettivamente questo movimento non può che essere definito liberale, perché prende veramente sul serio l’ispirazione più profonda del liberalismo (che è nello stesso tempo quella più problematica): quella ispirazione pluralistica, costitutivamente intinta però di un irriducibile individualismo e relativismo etico, che portò nel secolo scorso i liberali (o almeno i più conseguenti tra essi) a un durissimo scontro con la Chiesa (scontro composto solo nei limiti in cui il riferimento di alcuni liberali a un articolato sistema di positivizzazione dei diritti umani, come diritti invi olabili, ha consentito alla fine, e fortunatamente, di individuare fruttuosi piani di intesa e collaborazione tra cattolici e laici). Diversamente dal modello precedente, quello liberale non si prefigura nessuna palingenesi sociale, né meno che mai si lascia suggestionare da utopie antigiuridiste.

Per i liberali, è semplicemente giunto il momento di riconoscere che è definitivamente tramontato l’ideale (o l’illusione) di un’etica (e in particolare di un’etica sessuale) universalmente condivisa e meritevole quindi di essere tutelata istituzionalmente.

Ciò comporta che andrebbe ritenuta parimenti tramontata l’idea (che per i liberali più propriamente va ritenuta un’illusione) che le forme private di vita — ivi comprese quelle sessuali — siano tutte da ricondurre a modelli univoci, univocamente determinabili sul piano del diritto (come è appunto il caso del matrimonio che esige che i contraenti appartengano a sessi diversi). Esistono — sostengono i liberali — svariate modalità di vivere la sessualità, così come esistono diverse modalità di vivere la fede religiosa o di praticare un impegno politico o di ricercare la propria felicità.

Ciò che spetta al diritto — sempre nell’opinione dei liberali — non è di privilegiarne alcune, ma di riconoscerle tutte, senza operare indebite discriminazioni di alcuna sorta. Regolamentare giuridicamente le convivenze omosessuali non implicherebbe pertanto un dire di no al diritto, ma solo il chiedere al diritto lo sforzo di porsi al servizio del nuovo politeismo etico che si è imposto nel nostro tempo. Per farlo, il diritto deve saper rinnovare se stesso e le sue forme tradizionali, deve inventare nuove risposte alle nuove e profonde esigenze che emergono nella società civile. Nel breve periodo, ciò può di fatto comportare l’adozione di strategie normative non molto diverse da quelle richieste dai liberazionisti; ma nel lungo periodo, il progetto liberale manifesta una sua spiccata identità: esso vede il diritto non come una realtà repressiva, ma come un sistema di difesa dell’unico diritto umano che per i liberali è davvero fondamentale, quello di ciascun individuo di veder riconosciute, protette e potenziate istituzionalmente le proprie insindacabili scelte personali di vita.

4. Credo che il dibattito sul riconoscimento giuridico della convivenza degli omosessuali sia divenuto oggi così complicato proprio a causa dell’intreccio di queste due prospettive fondamentali (che a loro volta si articolano in diverse e complesse sottoprospettive, anche conflittuali tra loro).

La loro occasionale convergenza nella critica al modello tradizionale di famiglia ha generato e genera intricatissime dinamiche dialettiche e ideologiche, oltre tutto potenziate a dismisura (e in genere in modo banalizzante) dai moderni mezzi di comunicazione di massa. Il che, rendendo le diverse tesi di fondo difficilmente percepibili, ne rende ancor più complicata una valutazione lucida e rigorosa.

Peraltro, l’intreccio di queste due prospettive non è privo di una sua ragione, sulla quale è utile riflettere, se non altro perché può aiutarci a giungere più rapidamente a percepire quale esattamente sia la questione essenziale da fronteggiare. Le due diverse prospettive non si intrecciano — lo abbiamo già detto — per la loro specifica portata propositiva: è vero che i sostenitori delle due posizioni si battono perché gli omosessuali possano sposarsi legalmente, ma lo fanno in base a progetti politico-sociali significativamente diversi. Si intrecciano piuttosto perché muovono da un implicito, comune (e tragico) presupposto, nel quale si riassume uno dei tratti tipici della modernità e che ha un carattere fondamentalmente antropologico. Sia i liberazionisti che i liberali non hanno alcuna fiducia nella possibilità di elaborare un discorso obiettivo sulla persona umana, sulle sue spettanze, sulle sue esigenze autentiche e profonde, sui suoi doveri; la stessa categoria dell’identità personale è ritenuta da essi non tematizzabile; la persona è vista sia dagli uni che dagli altri come fondamentalmente inafferrabile, indicibile, evanescente, quindi come fondamentalmente irrelata, avulsa da ogni logica di comunicazione e riconducibile unicamente alla dinamica costitutivamente instabile dei desideri individuali e soggettivi.

Ne segue che del diritto non è più percepita (e quindi gli viene sottratta) la funzione tipicamente propria, quella appunto di essere uno strumento al servizio della comunicazione interpersonale (e rivolto alla difesa della parte che, nella dinamica comunicativa, si rivela come la più debole). Il diritto mantiene una sua (residua) legittimità (e questo peraltro solo per i liberali) unicamente nei limiti in cui lo si riconosca al servizio esclusivo dell’individuo e gli si imponga di omaggiare e di potenziare i suoi (privati e insindacabili) desideri. La battaglia che liberazionisti e liberali combattono contro il modello "tradizionale" (cioè monistico ed eterosessuale) del matrimonio, equivale quindi ad una battaglia contro l’idea che esistano modalità obiettive, o — se così si preferisce dire — naturali di comunicazione interpersonale, modalità che il diritto sia chiamato a formalizzare, a regolamentar e, a garantire.

5. Siamo così giunti al punto essenziale della questione, che, per i giuristi, può essere formulata in termini molto semplici: quella tra omosessuali non può avere riconoscimento giuridico perché non è una comunicazione; o meglio, e più propriamente, non è una comunicazione nel senso, nell’unico senso, che può avere rilievo per il diritto. È evidentemente fuori discussione, infatti, che esistono mille modi per gli uomini di comunicare tra loro, modi che possono anche possedere un immenso rilievo esistenziale, ma che non possiedono, né in linea di principio possono possedere alcun rilievo giuridico: l’amicizia è l’esempio più emblematico che si possa fare al riguardo. L’amicizia non è giuridicizzabile non perché il rapporto che unisce affettivamente due persone amiche non risponda ad una logica comunicativa, ma perché si tratta di una logica comunicativa strettamente privata e di conseguenza insindacabile e non istituzionalizzabile (l’amicizia, in altre parole, non muta natura, se resta nascosta agli occhi di terze persone).

Il matrimonio non istituzionalizza una comunicazione affettiva (che non può che essere privata), ma una scelta, anzi uno stato di vita, che non può non avere rilievo pubblico (e che solo per questo può essere sindacabile da parte di un giudice). Gli status che il matrimonio istituisce, quello del marito e quello della moglie, possono essere attribuiti solo a partire dalla manifestazione di una formale e pubblica volontà in tal senso degli sposi; ma non è propriamente la loro volontà a istituire questi status, bensì il riconoscimento pubblico che questa unione ha un significato umano e sociale che trascende la soggettività stessa degli sposi. L’intuizione secondo la quale il matrimonio sta a fondamento della famiglia, cioè della cellula fondamentale della società — secondo un modo di dire che per alcuni potrebbe suonare antiquato, ma che in realtà è assolutamente insuperato — si basa sulla percezione (se si vuole implicita) che il matrimonio possiede una propria finalità strutturale, cioè la regolamentazione dell’esercizio della sessualità al fine di garantire l’ordine delle generazioni, e che questa finalità non è un dato condizionato culturalmente, o che sia emerso nel corso della storia solo in una determinata fase dello sviluppo economico dell’umanità, ma è un principio che caratterizza costitutivamente l’essere dell’uomo. In quanto esseri sessuati, gli uomini, non diversamente dagli animali, procreano; ma in quanto propriamente esseri umani divengono mariti e mogli, padri e madri, figli e figlie: acquistano cioè la propria identità, grazie all’assunzione di ruoli familiari, resa possibile da quella straordinaria struttura antropologica che è il matrimonio.

Ecco perché, dunque, ogni analogia tra matrimonio e convivenza omosessuale è fallace. In quanto costitutivamente (e non accidentalmente) sterile, il rapporto omosessuale non può rivendicare una autentica pretesa mimetica nei confronti di quello eterosessuale (che può essere sterile di fatto, per volontà delle parti, a causa della loro età o per fattori patologici, ma non è mai sterile nel suo principio).

Questa pretesa è quindi con ogni evidenza oggettivamente infondata, quali che possano essere le ragioni soggettive (che possono anche essere degne di profondo rispetto) che inducono a farla insorgere; ciò è quanto basta al giurista per fargli qualificare la comunicatività di un rapporto omosessuale giuridicamente irrilevante e quindi non formalizzabile.

6. Il giurista che si attesti sulle posizioni descritte verrà certamente a trovarsi in una situazione particolarmente scomoda. In una società, come quella contemporanea, che si è liberata dai pesanti (e nella maggior parte dei casi infondati) pregiudizi secolari contro l’omosessualità, fino al punto paradossalmente di banalizzarla; in una società che ha marginalizzato l’etica, che ha rimosso l’idea che esistano peccati "contro natura" e che cerca di elaborare un’interpretazione della sessualità come di una innocente istintualità polimorfica, che si pone quindi prima e oltre ogni distinzione sessuale; in una società che è divenuta ipersensibile e reattiva nei confronti di ogni, sia pur lieve, forma di criminalizzazione sociale, che non abbia una giustificazione esplicitamente economica, sembra che l’unico no nei confronti dell’omosessualità debba essere il giurista a dirlo. Non c’è quindi da meravigliarsi troppo, se molti giuristi rifiutano di accollarsi questo onere, di cui proprio non riescono a rendersi ragione, per assumere l’atteggiamento prudente e attendista di cui parlavamo all’inizio di queste considerazioni.

Eppure, il compito del giurista oggi è questo. Non perché spetti a lui valutare eticamente, psicologicamente, sociologicamente l’omosessualità, né, meno che mai, perché spetti a lui riflettere su quale possa essere la politica sociale ottimale da adottare nei confronti degli omosessuali (o addirittura se debba esserci una specifica politica sociale al riguardo). Ciò che spetta al giurista è mostrare che il problema dell’omosessualità non è un problema di diritto, ma di fatto; che esso cioè appartiene ad una di quelle dimensioni di mera fattualità che caratterizzano l’esistenza umana, che il diritto è impotente a gestire regolarmente, perché hanno un carattere ed una valenza pregiuridica. Il tentativo di far entrare a forza il diritto anche entro questi ambiti corrisponde all’illusione che una più pervasiva giuridificazione dell’esistenza possa donare agli omosessuali quell’equilibrio interiore della cui mancanza, con ogni evidenza, essi soffrono, e duramente.

Un diritto che sappia reagire contro queste illusioni non è un diritto insensibile o crudele; è semplicemente un diritto che sa restare fedele alla verità delle cose, anche e soprattutto quando il solo riconoscerla implica uno sforzo etico e psicologico non indifferente.

 

"Quando ho incontrato Cristo, mi sono scoperto uomo" (M. Vittorino)

Luigi Negri

 1. La Chiesa italiana non ha bisogno né di essere maggioranza, né minoranza, non spera in nessuna di queste condizioni che sono situazionali; essa ha bisogno di essere missionaria, presenza globale nella vita della società. Questo popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non per sé ma per Cristo, si incontra con gli uomini che vivono le circostanze della loro vita, viene a contatto con le strutture di esercizio del potere. L’espressione grave "Non possumus" viene utilizzata quando ci sono in gioco grandi principi teorici: in questo momento la vicenda dei "DI.CO" non esprime l’aggiustamento di problemi di convivenza, ma il confronto di due antropologie, di due visioni della vita, di due modelli: la famiglia e questa altra forma di convivenza difficilmente identificabile nella sua identità. La Chiesa dice: "La famiglia E’ questa, non la famiglia cattolica in senso riduttivo, ma la famiglia nella sua struttura e natura profonda, definita da Benedetto XVI: ‘Unicità irripetibile’". E’ quindi un valore non di parte, ma di tutti. Sarebbe stato più leale aprire un confronto su queste due concezioni, ad es. con un dibattito in Parlamento.

2. Perché questa "intransigenza" della Chiesa proprio in Italia, mentre l’Europa sembra scivolare su una china molto più ripida rispetto a queste tematiche? Bisogna rifarsi al discorso di Benedetto XVI a Verona: anche in Italia il fenomeno della cristianizzazione, della secolarizzazione è forte, ma non ha ancora completamente dominato la vita della società. Qui la Chiesa ha ancora risorse di radicamento nel popolo, di cultura popolare, di tradizione morale che le permettono di vivere l’evangelizzazione come straordinaria battaglia al servizio dell’umanità: in questo paese, ma non solo. Il Papa ha legato sorprendentemente questa possibilità della Chiesa italiana al futuro della fede in Europa e nel mondo.

3. Di fronte al pensiero debole della politica, alla mancanza di elaborazione e di tradizione culturale dei partiti (mancanza riconosciuta pacificamente dai due interlocutori laici della serata), perché pensare che una proposta di pensiero forte della Chiesa sia necessariamente legata ad una volontà di potere? Non si tratta piuttosto di un servizio che la Chiesa fa per alzare il livello del dialogo, del confronto culturale, perché anche il pensiero debole si paragoni con questa misura più alta? Perché non riconoscere che la denuncia attuata da parte della Chiesa del liberalismo radicale prefigurava e metteva in guardia dalle conseguenze tragiche del totalitarismo? Giovanni Paolo II chiamava questo: "servizio alla verità".

4. Che dire dei "cattolici democratici" che si ergono a paladini della laicità? Da un lato è evidente che la mediazione politica deve essere fatta a partire dalla piena responsabilità dei singoli o dei gruppi; d’altro canto però il politico cattolico deve tenere presenti le preoccupazioni fondamentali della Chiesa, non può agire a lato, prescindendo o svincolandosi da una appartenenza alla Chiesa. Spesso invece il singolo obiettivo ha finito per valere più della appartenenza alla Chiesa. Se un merito ha avuto in questi anni il Card. Ruini, è stato quello di ridare al popolo cristiano la coscienza della propria identità, della dinamica culturale e dell’intervento politico caratteristici della comunità cristiana. E’ finita la delega in bianco della Chiesa ai politici e agli intellettuali cattolici, che meccanicamente la rappresentino.

5. Il "pensiero forte" della Chiesa ha origine in fenomeni reali della società: il punto di partenza non è una questione di potere e quindi di egemonia, è la testimonianza del grande "sì" alla vita detto da Dio in Gesù Cristo e che vive nell’esperienza del popolo cristiano. La Chiesa si trova di fronte ai bisogni dell’umanità, che sta vivendo un momento delicatissimo per la scomparsa dei criteri di riferimento fondamentali. Di fronte all’incertezza assoluta e ai rischi che la accompagnano, la Chiesa sente la responsabilità di far vedere che c’è un modo più umano di vivere la vita. Diceva Manlio Vittorino, un retore romano dopo la sua conversione: "Quando ho incontrato Cristo mi sono scoperto uomo". La Chiesa non può non testimoniare la misura alta della vita di cui fa esperienza, e questo deve arrivare anche al tentativo di influire sulla legislazione degli Stati, proprio perché è in gioco una modalità più umana di vivere.

Nessuna mediazione sui Pacs o si azzera tutto o è scontro"

Mons. LUIGI NEGRI
Vescovo di San Marino e Montefeltro 

"Non vedo la possibilità di una "sintesi" tra il progetto di una legge sulle coppie di fatto che si sta portando avanti e le preoccupazioni dei cattolici. Secondo me o si azzera tutto e si riparte dando priorità ai bisogni della famiglia tradizionale e poi ci si occupa del caso particolare delle unioni senza matrimonio, oppure si va a uno scontro molto pesante tra due concezioni antropologicamente non assimilabili»: è questo il commento del Vescovo di San Marino e Montefeltro, Luigi Negri, al dibattito di questi giorni.
Eccellenza, non è proprio dei politici cercare l'incontro a metà?
"Sarà che io non sono un politico, ma da come si sono messe le cose i margini per un incontro stento a vederli. Ha sentito il papa a mezzogiorno, che ha parlato di "unicità irripetibile" della famiglia? Avendo questa convinzione come possiamo metterle accanto un'altra aggregazione sociale che le fa concorrenza e la oscura?»
Ma le altre aggregazioni ci sono già e si tratta solo di riconoscere i diritti delle persone coinvolte...
«Questa è la visione minimalista che si vorrebbe accreditare, ma ben più decisa è la rivendicazione di un pieno riconoscimento da parte delle componenti radicali e continuando sulla strada imboccata non si potrà non arrivare al riconoscimento di un'entità concorrenziale alla famiglia, aperta anche alle unioni omosessuali. Ha visto che cosa è successo a Padova con il registro delle coppie non sposate aperto presso l'anagrafe? La seconda coppia che si è presentata, giusto ieri, era una coppia omosessuale!»
Esistono anche le coppie gay...
«E perciò dobbiamo adoperarci per introdurre nell'ordinamento il matrimonio omosessuale? Mi pare che si stia andando a un riconoscimento comunque mascherato delle coppie di fatto che implicherà un riconoscimento, magari non dichiarato, di quelle omosessuali. È accettabile che si costruisca sull'equivoco, sul non detto? Era necessaria questa legge? Risponde al vero interesse della collettività?»
Secondo lei che si doveva fare?
«Riconoscere la sostanziale inerzia di tutti i governi precedenti nell'aiuto alla famiglia tradizionale e impostare una vera politica di sostegno. Quella sì che sarebbe stata una priorità nazionale riconoscibile da tutti. Nell'ambito poi di una tale strategia si poteva prestare attenzione anche alle esigenze delle situazioni marginali, che forse interessano il 2% della popolazione».
Per queste situazioni che cosa ritiene si possa fare?
«Alcuni dei bisogni delle coppie di fatto sono già soddisfatti dalle leggi in vigore, specie per quanto riguarda la presenza di figli. Per altri bisogni forse si può prevedere un ampliamento di attenzione, magari con modifiche del Codice civile. Ma trovo del tutto inopportuno aver dato centralità ed esclusività di attenzione ai casi marginali invece che all'intero popolo delle famiglie fondate sul matrimonio».

intervista di Luigi Accattoli
Corriere della Sera 05.02.2007 

TITOLO II

RAPPORTI ETICO-SOCIALI

 

Art. 29.

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Art. 30.

È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art. 31.

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.

Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Art. 32.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

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