LA STAMPA

L'Osservatore Romano
     * La santità è l'anima del grande giubileo
(Crescenzio Sepe)
L'Eco di Bergamo
     * Colmi di gioia (a.spa.)
     * E' tornato a sorridere tra la gente (Ettore Ongis)


dall' Osservatore Romano, 3/9/2000. Prima pagina.

LA SANTITÀ È L'ANIMA DEL GRANDE GIUBILEO

(CRESCENZIO SEPE - Arcivescovo titolare di Grado, Segretario generale del Comitato del Grande Giubileo dell'Anno 2000 e del Consiglio di Presidenza)

Con il rito di Beatificazione di domenica 3 settembre il calendario giubilare ci riporta al cuore di questo Anno Santo: l'incontro con il Cristo dell'Incarnazione, con il Redentore del mondo, «unico Mediatore tra Dio e gli uomini» (TMA, n. 4). Elevando all'onore degli altari e presentando alla venerazione dei fedeli due grandi Papi degli ultimi secoli e tre altri eminenti suoi Figli, la Chiesa indica a tutti la strada da seguire per raggiungere l'ideale cristiano; e non v'è dubbio che il Grande Giubileo sia un momento privilegiato per rinsaldare la nostra volontà di percorrere questo sentiero, che ha segnato la storia della Chiesa e del mondo.

Giubileo e santità sono un binomio strettissimo, inscindibile. Nel corso dell'Anno Santo del Millennio, ha scritto Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio adveniente, i cristiani renderanno grazie a Dio per il dono della Chiesa e per «i frutti di santità maturati nella vita di tanti uomini e donne che, in ogni generazione ed in ogni epoca storica, hanno saputo cogliere senza riserve il dono della Redenzione» (n. 32). Conseguentemente, il calendario giubilare ha previsto i riti di Beatificazione e di Canonizzazione come appuntamenti importanti, autentici richiami all'impegno per la santità che deve animare la vita dei cristiani di oggi, e tali celebrazioni si sono susseguite con cadenza regolare fin dai primi mesi dell'anno in corso. Vorrei ricordare, in particolar modo, la Canonizzazione di suor Faustina Kowalska, il 30 aprile, la quale, prima ad essere stata proclamata santa in questo La santità non è infatti cosa d'altri tempi, da relegare nei libri di storia. Per l'uomo del Terzo Millennio si tratta di un traguardo tanto più cogente, direi quasi obbligatorio, in quanto troppe e troppo frequenti sono le seduzioni che vorrebbero distrarlo dall'obiettivo della perfezione indicato da Cristo stesso.

Giovanni Paolo II, che guida con sapienza e lungimiranza la Chiesa in questo anno di grazia, indica proprio la santità come il coronamento del nostro impegno giubilare. Nei nostri occhi e nei nostri cuori sono ancora nitidamente impresse le immagini e le emozioni del grande incontro romano del Giubileo dei giovani. Ma chiediamoci: che cosa erano venuti a fare presso la Sede di Pietro quei milioni di giovani provenienti da ogni continente? A quale appello avevano risposto, così numerosi, gioiosi e ardenti? Convocandoli, Giovanni Paolo II non aveva usato perifrasi, e nel Messaggio del 29 giugno 1999 aveva scritto: «Iddio ci ha creato per condividere la sua stessa vita; ci chiama ad essere suoi figli, membra vive del Corpo mistico di Cristo, templi luminosi dello Spirito dell'Amore. Ci chiama ad essere "suoi": vuole che tutti siano santi. Cari giovani, abbiate la santa ambizione di essere santi, come Egli è santo».

La santità, dunque, resta il primo degli impegni della Chiesa giubilare, e al tempo stesso il Grande Giubileo è l'occasione storica e privilegiata in cui la santità, la grazia della Redenzione viene messa per così dire alla portata di tutti, in modo che tutti possano farsi «confessori di Cristo alla soglia del Terzo Millennio» (Veglia a Tor Vergata, n. 3). Anche le Canonizzazioni, previste domenica 1 ottobre, ci ricorderanno ancora una volta questo impegno.

Le pagine di calendario che ancora dobbiamo sfogliare ci proporranno la santità che ognuno dovrà vivere secondo il proprio stato e, Giubileo, ha proposto a tutti il messaggio della Divina Misericordia, dono divino di primaria im-

portanza per la vita del mondo e della Chiesa in questo particolare e delicato momento storico.

Per almeno due motivi le beatificazioni di domenica ci riportano direttamente al cuore del Grande Giubileo. Giovanni XXIII, indicendo il Concilio, è stato il protagonista e l'iniziatore di una nuova primavera della vita della Chiesa. «Il

Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio», ha scritto Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio adveniente (n. 18), legando così indissolubilmente la celebrazione del Giubileo alla cara figura del Papa di Sotto il Monte. Ma nel cammino giubilare la Chiesa è anche accompagnata da Maria, «La Stella che ne guida con sicurezza i passi incontro al Signore» (TMA, 59).

Lungo questa strada, la Chiesa del Terzo Millennio non poteva non incontrare l'esemplare figura di Pio€IX, che proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione e difese strenuamente il Papato contro i nemici del tempo.

È l'esempio della santità che torna ad essere centrale nella vita della Chiesa: oggi, come ieri e come sempre.

Sono certo, non mancheranno di riservarci uno stupore simile a quello che abbiamo vissuto con i giovani di Tor Vergata.

È lungo questa strada che si ritrova il senso più autentico del Giubileo; così come si è già manifestato in questi 8 mesi e come — ancor più — promette di ancorarsi nell'ultimo, decisivo tratto di cammino.

A chi vive il Giubileo giorno per giorno è chiesto di avere uno sguardo attento per l'oggi, ma soprattutto un cuore per il domani: lasciarsi cioè prendere dalla speranza che l'Anno Santo continui a seminare, in maniera visibile o anche

misteriosa, i tanti frutti di santità che scaturiscono dalla sua vitalissima radice spirituale.

Ecco quindi che — pur distinto in periodi — il Grande Giubileo è come un unico percorso fatto di molte tappe ma segnato da una sola, insopprimibile vocazione, che è poi la stessa di tutta la Chiesa: la vocazione alla santità. E l'Anno Santo, più che mai, con la straordinaria trasferta «fuori porta» a Tor Vergata e con questo ritorno a Piazza San Pietro per le Beatificazioni, sta aiutando tutti a realizzare quell'«anelito» alla santità, che è il più alto tra tutti i traguardi della vita cristiana e che è l'unico che può far rifiorire una nuova primavera nella Chiesa del Terzo Millennio.


L'Eco di Bergamo, 3/9/2000

COLMI DI GIOIA

(A.Spa.)

La nostra gioia di bergamaschi è senza confini. Come quella di tutto il mondo cristiano. Ma fra tutte le campane che salutano con esultanza la Beatificazione di Papa Giovanni XXIII le più felici sono quelle umili della terra che gli ha dato i natali, di questa terra antica di Sant'Alessandro a cui toccò per la prima volta nella sua lunga storia il supremo onore di dare il suo Papa e quale Papa, alla Chiesa, e che oggi lo vede salire agli onori degli Altari. Una gioia ancora più piena se possibile di quella che accolse un pomeriggio di 42 anni fa l'annuncio della sua elezione. La grande confidente letizia di chi lo amava come un Padre soavissimo e che lo conosceva da vicino nella santità di vita, nella vivezza di intelligenza e in quella vastità di cuore che il mondo ha poi visto man mano con una commozione che non finirà mai. E quell'8 dicembre 1958 quando in San Pietro il Papa, con un discorso che resterà il più bell'inno a Bergamo che sia mai risuonato sotto la volta di un tempio, provvide a dare all'incontro con migliaia dei suoi bergamaschi un tono di completa confidenza, di spontaneità, di ineguagliabile amabilità paterna. Dopo secoli di umile fedeltà, Bergamo passava nel ruolo delle terre «oltremodo benedette». Il mondo non avrebbe potuto conoscere Bergamo in un'immagine più amabile e lieta di quella che veniva mostrando il suo grande figlio.


Giovanni XXIII svelava al mondo un lato assai prezioso anche umanamente della nostra anima. La nostra scorza è quella che è, ma l'animo vero era quello che esultava nel sorriso, nel gesto spontaneo, nella signorilità naturale, nella modestia e nella libertà di cuore che Giovanni XXIII non perse mai un attimo neppure nella maestà del più elevato trono della terra. Fu subito chiaro che Papa Roncalli per nulla al mondo era disposto a rinunziare a camminare tra tutti gli uomini, padre di tutti, di chi sta in casa e di chi è fuori, di chi gli desse gioia e di chi l'amareggiasse. Presto fu evidente a tutto il mondo che il Papa misurava la sua carità solo sull'intensità del bisogno, tranquillo nel sapere che la vera carità resta tale anche nel più severo degli eventuali rimproveri che un padre possa dare ad un figlio errante.


Questo fu il filo che corse tra un giorno e l'altro di tutti i gesti di Giovanni XXIII e anche questo spiega perché il mondo gli è andato dietro con tale intensità di gioia. Tornava alla mente nei giorni successivi alla sua morte, davanti all'universale amore per il Papa scomparso, la domanda di Frate Masseo a San Francesco: «Perché a te, perché a te, perché a te tutto il mondo viene dietro e ad ogni persona pare che desideri di vederti, di udirti e di obbedirti?». Per giorni tutto il mondo non pensò che alla sua agonia, alla sua morte. La stampa gli dedicò pagine di dolore sincero come a nessun altro personaggio della terra era mai accaduto in quegli anni. Gli uomini più importanti del mondo si addolorarono sinceramente come gli umili alla sua morte. Accanto ai cattolici si inginocchiarono a pregare protestanti, musulmani, ebrei. Perché? Innanzitutto perché gli uomini, tutti quegli «uomini di buona volontà» ai quali Giovanni XXIII aveva dato credito di una fiducia senza sotterfugi in quegli anni grigi, dovettero riconoscere l'insostituibile autorità spirituale e morale della Chiesa.


Papa Giovanni era il capo di una Chiesa viva che anche in tempi di contrasti terribili si era tenuta dalla parte dell'amore. Certo, Giovanni XXIII si era rivelato anche come una personalità umana ricca di doti e di fascino, ma faremmo un imperdonabile torto alla sua memoria se tutto si riducesse esclusivamente al suo immenso prestigio. La Chiesa è stata il respiro di Papa Giovanni, ogni suo pensiero, il perno della sua azione. In trasparenza a lui gli uomini hanno visto la Chiesa, cioè «il volto splendente di Cristo». Anche in questo mondo di macchine, il mondo crede ancora nella santità. Ricevette da lui due grandissime Encicliche e un Concilio, ma la sua vita è stata l'Enciclica più bella che tutti hanno potuto leggere. Ha dato un esempio di dedizione senza limiti, senza indulgenze per sé, senza calcoli. Nessuno che l'ha visto potrà mai cancellare dal suo spirito il ricordo di come pregava Papa Giovanni. Il grande Manzù scolpì una splendida statuetta tutta d'oro «Papa Giovanni in preghiera» che poi offrì al Vescovo come dono di Bergamo a Papa Wojtyla nell'indimenticabile visita a Bergamo e a Sotto il Monte il 26 aprile 1981. È morto povero. Ha fatto capire al mondo come il Vangelo sia l'unico sorriso capace di rischiarare il mondo. Papa Giovanni ha amato il suo tempo con l'entusiasmo di un giovane. Lo ha capito anche nelle sfumature, a tutto si è interessato, tutto ha ascoltato con attenzione e amore, anche le voci più lontane.


Della vita ha colto con umiltà ogni minima lezione. Papa Giovanni ha confermato come devono essere i Pastori d'anime, semplici e spontanei, senza complessi o timidezze, capaci di parlare un linguaggio accessibile, pronti a dilatare all'infinito il proprio cuore. Tutto il mondo continua ad andargli dietro perché a tutto il mondo ha proposto, appunto, anche una Enciclica non scritta ma incisa in caratteri indelebili, la sua vita nella quale ha raccontato come è stato possibile che un vecchio Papa in meno di cinque anni abbia potuto sollevare con tanta vigoria e slancio giovanile il mondo e portarlo con i pensieri, i gesti e la Fede di un immenso cuore, sulla via e sulla speranza di una società più fraterna, quella del Vangelo.


L'Eco di Bergamo, 4 settembre

È TORNATO A SORRIDERE TRA LA GENTE

(Ettore Ongis)

«Non riesco a immaginarmi Papa Giovanni dentro una nicchia o alla sommità di una chiesa, per me rimarrà sempre quello che amava stare, sorridendo, tra la gente». Monsignor Spada ci ha fatto questa affettuosa confidenza prima della nostra partenza per Roma.

E il giorno solenne di ieri avrebbe meritato i suoi occhi e la sua intelligenza per raccontare quanto il suo amico Angelo Giuseppe Roncalli fosse presente fra l’immensa folla accorsa, dalla Bergamasca e dai quattro angoli della terra, in piazza San Pietro per la beatificazione. Chissà dove s’era cacciato il Papa buono col suo portamento ingombrante, la voce calda e il volto sereno. «C’era un grande stendardo, appeso sulla facciata della Basilica, che lo ritraeva, ma lui non era là; e neppure stava rinchiuso nelle migliaia di immaginette che i pellegrini si giravano tra le mani.

Ma che Papa Giovanni fosse lì, sorridente tra la gente, non ci sono dubbi: troppe lacrime di gioia sono corse perché l’uomo che si festeggiava fosse solo un grande personaggio morto 37 anni fa.

Molti di noi appartengono a generazioni che non hanno conosciuto Giovanni XXIII ed hanno solo sentito parlare del tempo drammatico eppure esaltante nel quale è vissuto. Eravamo, allora, i bambini destinatari della «carezza del Papa» e non capimmo perché i nostri poveri genitori fecero quel gesto, tanto inusuale per la sensibilità del tempo: in alcune famiglie ai padri e alle madri ci si rivolgeva ancora con il «voi» e un pudore antico non permetteva che il cuore si esprimesse fino a diventare un segno.

Papa Giovanni - adesso ci è chiaro - sovvertì quel mondo, insegnando, con semplicità disarmante, la tenerezza di Dio. Ben più che la soluzione della crisi dei missili a Cuba, cui pur diede un contributo importante, fu la sua affabile umanità, capace di vincere il formalismo di certi cerimoniali, a incidere nel costume di tutti. Come si spiegano altrimenti gli occhi lucidi dei nostri vecchi ogni volta che parlavano di lui? Come si spiegano il dolore acuto che provarono il giorno della morte e le ininterrotte preghiere che gli rivolsero in seguito, parlandogli ogni volta dei loro figli, cioè di noi?

Ieri, tra le braccia del colonnato del Bernini, quello spettacolo di umanità commossa si è rinnovato, se possibile, con uguale intensità. Quando s’è alzato il velo sui cinque nuovi beati, e Giovanni Paolo II, con una forza incredibile, ha proclamato davanti al mondo che Angelo Giuseppe Roncalli ha vissuto come un santo e che la Chiesa lo indica a tutti gli uomini come un modello da imitare e un compagno di viaggio al quale rivolgersi nei momenti di difficoltà, un intenso e ripetuto applauso è risuonato in piazza e nelle case.

In Bergamasca le campane a distesa hanno accompagnato la letizia di un’intera provincia.

Certo, si tratta di un destino curioso per un uomo che scrisse di sé: «Il senso della pochezza e del mio niente mi ha sempre fatto buona compagnia tenendomi umile e quieto», aggiungendo di aver lavorato esclusivamente «per le anime e per gli interessi del Regno di Gesù».

Voleva che tutta la gloria fosse riservata al Signore e invece il Padreterno gliene ha restituita una bella fetta, perché tutti avessimo a capire.

Ma adesso dove andrà a finire Papa Giovanni?

In qualche nicchia, alla sommità di alcune chiese o continuerà a camminare sorridente tra la gente? Dipende, ci dice la Chiesa, da quanto ciascuno saprà approfittarne, invocando il suo aiuto.

Eppure alcuni privilegiati, certi della vicinanza del Papa buono, li conosciamo già: sono i bambini che da oggi in poi saranno battezzati nella nostra diocesi. Al Beato Papa Giovanni «la Chiesa che è in Bergamo» chiederà infatti di pregare per loro: un bel vantaggio. Ma Angelo Roncalli, quand’era pontefice, confidò un giorno che nel rosario quotidiano recitava sempre una decina per tutti i neonati del mondo «affinché nessuno si affacci alla vita senza avere avuto una preghiera del Papa». Di quella preghiera e di quella indimenticabile carezza siamo in tanti ad essergli riconoscenti.