Mons. Roberto Amadei

  Mons. Roberto Amadei
   VESCOVO DI BERGAMO 

   nato a Verdello (BG) il 13/2/1933,
   ordinato sacerdote il 16/3/1957,
   eletto vescovo di Savona-Noli il 21/4/1990,
   ordinato vescovo il 2/6/1990
   da Sua Ecc. mons. Giulio Oggioni,
   trasferito alla sede di Bergamo il 21/11/ 1991

                                                       (Vedi  il sito della Diocesi)

  1. Intervista al Vescovo su Papa Giovanni (26/08/2000)
  2. Messaggio nella festa di S. Alessandro (26/08/2000)
1 26 agosto 2000
Intervista al Vescovo: come possiamo prepararci a vivere l'avvenimento della beatificazione

Papa Giovanni,
lo sguardo di Dio sugli uomini

Domanda: Il papato di Giovanni Paolo II, si sa, è stato ricco di beatificazioni e di canonizzazioni. Se non erro, in questo Anno Santo, il Papa vuol dare a questi eventi, dono per la Chiesa, un particolare spessore. Cosa può rappresentare per la nostra Diocesi, per il modo in cui sta vivendo il Giubileo, una beatificazione che la riguarda da vicino?

Vescovo: Credo che le beatificazioni e canonizzazioni all'interno dell'anno giubilare vogliano continuare la linea tipica di Giovanni Paolo II, ma soprattutto credo che vogliano sottolineare un richiamo presente nella Tertio millennio adveniente, dove il Papa invita a fare memoria della vita della Chiesa universale e locale per conoscerne le ricchezze. I beati e i santi sono evidentemente le espressioni più qualificate di questa opera dello Spirito Santo. Il Giubileo ricorda i 2000 anni della venuta di Cristo in questa storia e guardando i santi noi possiamo vedere alcuni frutti di questa presenza. Quindi credo che per la nostra diocesi l'ormai imminente beatificazione di Papa Giovanni significhi la possibilità di vedere in lui una espressione e, direi, una delle più qualificate, dell'opera dello Spirito Santo in questi 2000 anni di presenza della fede nella terra bergamasca. La beatificazione di Papa Giovanni è quindi un invito a conoscersi e a conoscere ciò che c'è nel profondo dell'anima bergamasca.


Domanda: Come dovrebbe affrontare la Diocesi tale evento? Con quale preparazione e con quali attese?

Vescovo: Dovrebbe innanzi tutto cercare di conoscere maggiormente la figura di Papa Giovanni, perché, a mio avviso, come capita sovente, su figure come la sua si mettono dei cliché, si utilizzano slogan, come quello di "Papa buono", che esprime certamente una profonda verità, ma molte volte ci si ferma alla superficie di questa etichetta e ho l'impressione che la figura di Papa Giovanni non sia molto conosciuta nelle sue profondità spirituali. Il messaggio che lo Spirito Santo ha voluto rivolgere a tutta l'umanità e in particolare alla chiesa bergamasca con Papa Giovanni, noi lo possiamo capire solo attraverso la conoscenza della sua vita, delle risposte che lui ha dato al Signore, delle opere che lo Spirito Santo ha operato in lui. Questa è la prima cosa da fare per prepararci alla beatificazione. Occorrerebbe poi ricordare che una delle sue iniziative più importanti, da papa, è stata la convocazione del Concilio Vaticano II, evento alla base del lavoro che le chiese stanno facendo in questi anni. Non si può dunque celebrare Papa Giovanni e dimenticare che lo Spirito, attraverso di lui, ha suscitato per la Chiesa il Concilio. Di conseguenza occorre chiedersi come è stata e come è l'assimilazione del Concilio nelle nostre comunità.
Queste le due attese: conoscenza maggiore della nostra storia religiosa e delle ricchezze che sono depositate in essa, e una riflessione più profonda su come abbiamo recepito il soffio che è passato e continua a passare nella chiesa mediante l'opera di Papa Giovanni e che si è condensato nel Vaticano II.

Un santo per i nostri giorni

Domanda: Al di là della mitologia del «Papa buono» e della sua facile presa emozionale, mediatica, sulla gente, cosa pensa che ci sia di attuale nella santità di Papa Giovanni? Quali secondo lei gli aspetti salienti della sua santità?

Vescovo: Ciò che mi ha colpito leggendo il Giornale dell'anima sono state le seguenti cose, che ritengo siano gli elementi più qualificanti della sua santità. Un primo elemento: Angelo Roncalli mette senz'altro al centro della sua esperienza cristiana Dio. La cosa diventerà più meditata e più precisata durante il periodo di formazione al seminario Romano, quando il suo Padre spirituale, il padre Pitocchi gli suggerirà il motto: "Dio è tutto e io sono nulla". Una spiritualità centrata su Dio, partendo da Dio e rivolta a Dio. Questo il filo costante della sua esistenza, da seminarista, da prete in diocesi, da delegato apostolico, da nunzio, da patriarca e da papa: leggere le vicende della storia partendo da Dio ed esaminarsi su come è stata la propria risposta agli interventi di Dio. Altro elemento credo sia, partendo appunto da Dio, quello di avere sulla storia e sugli uomini lo sguardo di Dio. E' nota la sua preferenza a guardare gli aspetti positivi, più che quelli negativi, a considerare, nei rapporti con gli altri, ciò che unisce più che ciò che divide (il discorso di apertura del Vaticano II è stato molto eloquente da questo punto di vista). Per Papa Giovanni l'atteggiamento di misericordia è da preferire al metodo delle "fustigazioni e dei fulmini" (così si esprimeva nel diario, commentando il modo di comportarsi di Padre Mattiussi, il gesuita professore di sociologia cristiana, un tipo pugnace e polemico). Lo stile del discorso della montagna è preferibile, per Angelo Roncalli, allo stile dei profeti del Vecchio Testamento. Si deve dire la verità, ma in modo che l'interlocutore capisca senza esserne offeso; occorre avere fiducia nell'uomo, perché in lui oltre la sua miseria c'è anche la presenza dello Spirito Santo. Da qui deriva poi quell'atteggiamento di carità che, a mio avviso, nel Giornale dell'anima si vede in maniera straordinaria: non vi si leggono mai critiche, diciamo, "acide" nei confronti delle persone: c'è sempre un clima di benevolenza, di rispetto, di attenzione, di bontà estrema. Quando è diventato papa questo "vestito interiore", costruito sulle opere di misericordia, sulle beatitudini, si è manifestato in maniera molto spontanea e per questo ha colpito molto la gente, sorpresa e affascinata dalla sua bontà, che però era frutto di questo lavoro quotidiano di obbedienza totale a Dio, che è amore e che chiede amore per gli altri. L'ultimo elemento della spiritualità di Papa Roncalli, che vorrei sottolineare, consiste nel metodo con cui coltivava il suo rapporto con Dio e la lettura della vita quotidiana alla luce di Dio. Nessuna improvvisazione, ma costante fedeltà alla regola di vita che si era dato in seminario e che conservò fino al papato.

 

Domanda: Va bene la carità e la bontà: sono virtù che tutto sommato anche oggi «piacciono», anche se, forse, perché considerate superficialmente. Ma la virtù dell'obbedienza, filo costante della sua vita e custodita nel suo motto episcopale, è apprezzabile oggi? Può avere ancora una valenza?

Vescovo: Io credo di sì, anzi credo che sia il messaggio più importante di Papa Giovanni. Nel clima odierno di soggettivismo, il soggetto è l'unico arbitro del bene e del male: è il singolo che stabilisce che cosa è bene e che cosa è male. In tale contesto io credo che sia quanto mai urgente fare riferimento a una persona che, andando alle radici della vita, ha compreso che la vita viene da un Altro e che questo Altro, in Gesù, si è rivelato come Padre che vuole semplicemente il nostro bene e che, solo, sa qual'è il nostro bene, perché è lui che ci ha creato e quindi conosce qual'è il bene che ci rende pienamente felici. Affidarsi a lui vuol dire essere convinti che le sue parole e le sue vie sono sempre parole di vita e vie di felicità. Non è, quella di Papa Giovanni, l'obbedienza a un dittatore, ma è l'obbedienza di chi accetta di essere figlio, di chi crede di essere pensato, voluto e amato da un Altro: è la spiritualità del "Padre nostro". E' significativo che, alla vigilia del conclave, a chi gli diceva in maniera molto chiara, facendo le congratulazioni, che poteva diventare papa, rispose dicendo che nella vita si era sempre preoccupato esclusivamente del nome di Dio, del regno di Dio, della sua volontà… . Si mostrava così come uomo che aveva compreso che il cuore del Vangelo è la rivelazione che Dio è Padre, un Padre sempre impegnato a realizzare il nostro bene, e che perciò la nostra risposta non può essere che quella di fidarci di lui. Obbedienza è, in sostanza, affidarsi, lasciarsi guidare dalla Parola di Dio nella vita di ogni giorno. Questo è un messaggio di cui abbiamo particolarmente bisogno.


Radici bergamasche


Domanda: Quanto hanno contato, senza essere campanilisti, nella sua vita le origini bergamasche? Si può dire che Angelo Roncalli abbia ricevuto molto dal contesto in cui è cresciuto e che ci abbia poi riconsegnato tutti quei valori, resi ancora più significativi dalla sua vita di pastore e di santo?

Vescovo:
Io credo di sì. Già Giovanni Paolo II, quando venne a Bergamo, in uno dei suoi discorsi aveva accennato a questo: che in fondo era qui, a Sotto il Monte, nella sua famiglia, nella sua parrocchia e nella sua diocesi che egli aveva respirato gli elementi fondamentali della sua spiritualità, che poi sono stati arricchiti e sviluppati anche in altre situazioni. Io ricordo che in occasione dei festeggiamenti della sua elevazione al cardinalato nel 1953, nel saluto, il Vescovo di allora, Mons. Adriano Bernareggi, che era suo amico, rivelò che Roncalli gli aveva confidato che al mattino iniziava le sue preghiere, come si usava allora, dicendo: "Ti adoro mio Dio… ti ringrazio di avermi creato, redento, fatto cristiano, fatto sacerdote, fatto bergamasco…". E, da papa, Roncalli aveva confermato questo, dicendo che pur avendo girato molti paesi del mondo, non aveva trovato da nessuna parte la profondità e l'intensità di fede che aveva potuto respirare a Bergamo. Mons. Capovilla ha rivelato che il papa aveva voluto accanto a sé, ormai sul letto di morte, l'elenco dei 1600 preti bergamaschi che erano morti dall'inizio del secolo fino al 1960, e diceva che tra questi 1600 preti, se fosse stato pittore, almeno di 1500 sarebbe riuscito ad effigiarne il volto, segno di un grande legame con questa realtà. E in una lettera che scrive ai familiari negli anni '30 dice che aveva letto molti libri e molte delle cose lette le aveva dimenticate, ma ciò che aveva ricevuto nella famiglia non l'aveva dimenticato. Credo che gli elementi della sua spiritualità che ho citato prima, come il riferimento a Dio e la vita come vocazione da parte di Dio e la fede come risposta a questa vocazione, li abbia attinti proprio alle radici della fede bergamasca. Nel discorso che tiene al Congresso Eucaristico Nazionale celebratosi a Bergamo nel settembre del 1920 (in sostituzione dell'oratore ufficiale che doveva essere Mons. Grassi), in un passaggio, don Angelo Roncalli afferma che abitualmente si guarda a Bergamo per le sue organizzazioni economiche e sociali e per il movimento cattolico, affermando poi che proprio per queste realtà vi si è conservata la fede, mentre a suo avviso bisognerebbe capovolgere il rapporto - e secondo me aveva ragione - perché, in Bergamo, è dalla fede che sono derivate quelle realtà sociali. Quindi credo che proprio perché ha respirato in profondità la tradizione, cioè la vita vera, che è poi l'esperienza di Cristo tradotta nella storia, Papa Giovanni è stato poi capace di dialogare con le altre esperienze di fede, che ha trovato a Roma, in Bulgaria, in Turchia, a Parigi, ecc. Anche qui vedo un messaggio per la gente bergamasca: se si è fedeli alla tradizione, nella misura in cui non si resta ai suoi aspetti esteriori ma si va in profondità, non si può non essere cattolici, cioè aperti anche alle altre esperienze.


La spinta della tradizione


Domanda: Un Papa che doveva essere di transizione si è invece, poi, rivelato presenza luminosa e decisiva per il rinnovamento della Chiesa. Si è parlato al riguardo di semplicità, addirittura di ingenuità o di poca consapevolezza (nel caso, per esempio, della convocazione del Concilio) come anche di intelligenza e di lungimiranza: quali considerazioni pensa di poter fare sul papato di Giovanni XXIII? Quali sono state le sue solide certezze? Quali le geniali intuizioni? Perché è divenuto così importante questo Papa già anziano, e perché è così universalmente amato?

Vescovo: Non so perché i cardinali abbiano scelto lui. Evidentemente non era facile dare un successore a Pio XII, che aveva occupato la scena, per molti anni, in tempi difficili, e con una indiscutibile altezza di dottrina. Nello stesso tempo però si avvertiva il bisogno di cambiare. Presumo che la scelta di un papa già avanti in età sia stata dettata da queste esigenze. E credo che per la sua spiritualità, proprio per la docilità a ciò che lo Spirito Santo detta, e per la capacità di una lettura profonda della storia, Papa Roncalli non si possa definire un ingenuo: capiva gli uomini, capiva la storia, intuiva ciò che era possibile e ciò che era conveniente fare in un determinato momento. Ed era uno che aveva anche la pazienza di gettare il seme aspettando poi che lui o altri ne raccogliessero i frutti.
Certamente è stato un papa di transizione, nel senso che, in maniera quasi indolore e fruttuosamente, ha introdotto la Chiesa nell'era conciliare. Ricordo che quando morì Pio XII ci si chiedeva come fosse possibile sostituirlo. La grandezza di Papa Giovanni sta in questo: non ha voluto imitare una figura che era venerata dalla gente, ma è stato se stesso e essendo se stesso ha fatto sì che gli occhi che prima erano rivolti a Roma in nome di Pio XII, fossero ora rivolti a lui, e ha aggiunto alla figura del papa aspetti che non erano stati così sottolineati da Pio XII, il quale ne aveva sottolineati altri. Io credo poi che Papa Roncalli non abbia tanto voluto essere un innovatore: è stato semplicemente fedele allo Spirito Santo. Non era "per natura" innovatore, non lo era mai stato. Non credo abbia previsto cosa sarebbe stato il Vaticano II, ma credo pure che nessuno in quel momento lo potesse prevedere. Credo che la sua grandezza sia stata proprio questa. Lo si è potuto notare anche nei rapporti con l'Europa orientale, segnata dal comunismo: in questo momento è possibile, secondo lo Spirito, fare questo passo, è opportuno: cominciamo ad aprire questa porta poi dopo si vedrà. E' un seme che gettiamo…. Così ragionava. E' stato innovatore proprio perché papa della tradizione, ma intesa nel senso più profondo della parola. La sua lettura della storia (ha cominciato ad orientarsi in questo ambito dopo le celebrazioni dell'anniversario di San Carlo Borromeo, quando il vescovo Radini Tedeschi decise di pubblicare gli Atti della Visita pastorale dello stesso a Bergamo, lavoro cui don Roncalli si dedicò con l'amico don Forno) è molto rigorosa dal punto di vista del metodo critico-storico: in essa era preoccupato di cogliere l'anima della Chiesa di un determinato momento, come la Chiesa affrontava il problema di sempre, cioè inscrivere il Vangelo nella storia concreta degli uomini. Guardando come la chiesa ha affrontato di volta in volta quella che noi chiamiamo oggi l'inculturazione del Vangelo, senza copiare, possiamo imparare molto: la storia ci dice come, con quale spirito e con quale atteggiamento noi dobbiamo fare altrettanto oggi. Quindi appunto perché è risalito, attraverso la tradizione della Chiesa, studiata nelle sue vicende (è nota la sua passione per i Padri della Chiesa) alla fonte della verità che è Gesù Cristo, ha capito che questa tradizione si esprime in determinati modi senza esaurirsi in essi. Essa può essere e deve essere detta in altri. Papa Giovanni ci dice, in fondo, che proprio per essere fedeli alla tradizione bisogna essere innovatori. Ma per esser autentici innovatori, per vivere nell'oggi il Vangelo, per essere innovatori in questo senso, bisogna essere fedeli alla tradizione.


Tre desideri


Domanda: C'è nel suo cuore di pastore una grazia particolare che intende chiedere per l'intercessione del Beato Papa Giovanni XXIII?

Vescovo: Vorrei chiedere tre cose a Papa Giovanni.
            La prima per la diocesi. Che capisca la ricchezza che c'è non solo nel suo passato, ma anche nel suo presente e quindi le responsabilità che ne derivano, perché questa ricchezza non si trasmette automaticamente. Occorre prenderne coscienza e trovare i modi per farla rivivere: fedeltà nella creatività.
            La seconda grazia riguarda il presbiterio: Papa Giovanni ha fatto parte del nostro presbiterio, vi è sempre stato profondamente legato. Quando era lontano si teneva costantemente informato. Vorrei chiedere la grazia che tutti noi preti del presbiterio di Bergamo, a cominciare da me, impariamo da lui a vivere il nostro ministero nella santità, per essere delle persone che come lui si lasciano guidare sulla strada dell'obbedienza allo Spirito Santo, affrontando le gioie e le fatiche che si presentano, riscoprendo il valore del nostro ministero sacerdotale.
            La terza grazia. Che le varie comunità della chiesa bergamasca, guardando Papa Giovanni e sapendo che il suo nome rimane per sempre legato alle vicende del Vaticano II, sappiano affrontare con più decisione la rilettura attuale del Concilio e la sua attuazione.


don Angelo Domenghini


2 26 agosto 2000
Messaggio nella festa di S. Alessandro

Papa Giovanni
indica la strada verso il Signore

Quest'anno la celebrazione di Sant'Alessandro introduce nella preparazione immediata per la beatificazione di Papa Giovanni, espressione limpida e straordinaria della vita di fede iniziata nel martirio del nostro Patrono. Con gioia ringraziamo il Signore per quanto ha seminato nella nostra storia, e in quella dell'umanità, mediante la vita e l'opera di questo grande figlio della terra bergamasca. Esprimiamo la nostra gratitudine al Signore per i preziosi e numerosi doni regalati alla Chiesa e al mondo intero durante il suo breve ma fecondo pontificato. Grazie per la luce di carità e di speranza che ci viene dalla sua fedeltà al Vangelo, vissuta con impegno, costanza e serenità nelle diverse fasi del suo ministero. Questo grazie trovi espressione nelle Celebrazioni eucaristiche del 3 settembre e la gioia delle comunità si esprima anche nel suono delle campane.
La riconoscenza non deve limitarsi all'ammirazione o a manifestazioni solenni, pure importanti, ma deve diventare impegno a seguire Papa Giovanni nel suo cammino di fede. Lui stesso ci suggerisce come stare di fronte ai santi: «Dio vuole che, seguendo gli esempi dei santi, ne assorbiamo il succo vitale della virtù, convertendolo nel nostro sangue e adattandolo alle nostre singole attitudini e speciali circostanze» (16 gennaio 1903). Perciò la preparazione delle singole comunità, e di ciascuno di noi, alla beatificazione di Papa Giovanni sia soprattutto accoglienza della Parola che Dio ci ha rivolto, e continua a rivolgerci, in ciò che Papa Giovanni ha detto e ha operato. Accogliere questa Parola nella nostra mente e nel nostro cuore per approfondire, sull'esempio e con l'aiuto suo, la nostra vita di fede. Per imparare, dal racconto della sua vita, cosa significhi accettare Gesù come «il Signore» dell'intera esistenza, per cogliere, nella sua serenità, la bellezza e la fecondità di una esperienza umana unificata dall'amore di Dio; amore accolto con gioia riconoscente e donato con generosità anche nei momenti duri.
Egli ci ricorda che la fede genuina è ascolto costante e docile del Padre sempre desideroso di dialogare con noi; ed è pure ascolto attento di ogni figlio del Padre celeste. È riconoscere e accettare di avere sempre bisogno della misericordia divina: «È detto bene che le nostre miserie sono il trono della misericordia di Dio. È detto meglio ancora, che il nome e l'appellativo più bello di Dio sia questa misericordia. Ciò deve ispirare fra le lacrime grande fiducia» (26 novembre 1940). La fede è stare nella storia guidati da questa misericordia, osservando la quotidianità e i grandi movimenti storici con l'amore, la speranza e la fiducia che il Padre celeste conserva sempre per ogni suo figlio e per la famiglia umana. Essere sempre, come «il Padre che sta nei cieli», sguardo desideroso di cogliere anche i più piccoli segni del germogliare dei semi di bontà da lui gettati con abbondanza in ogni cuore e nella complicata vicenda dell'umanità.

Egli, abituato a leggere la storia con la sapienza evangelica e abitandola con il cuore di «Cristo artefice della pace», percepì i pericoli e le possibilità presenti nel momento storico del suo pontificato, le paure e le speranze dell'umanità, le istanze di pace presenti nel cuore di gran parte dell'umanità. E ha agito efficacemente per orientare costruttivamente le speranze di dialogo presenti un po' dovunque e per accettare il superamento delle contrapposizioni generate dalla guerra fredda. La testimonianza del discepolo fedele del «Re della pace», vissuta con semplicità e crescente intensità durante l'intera esistenza, diventava messaggio universale nella sua persona e nel suo insegnamento.
E ci ricorda pure che la pace, la giustizia sociale, la convivenza pacifica, non basta gridarle o attenderle da altri. Occorre che siano radicate profondamente nel nostro cuore per potersi riversare nelle relazioni sociali, diventare mentalità comune, impegno di tutti: «No, la pace non potrà avere solide fondamenta, se nei cuori non si alimenta il sentimento della fraternità, quale deve esistere fra quanti hanno una medesima origine e sono chiamati ai medesimi destini» (Natale 1959). Quindi ci ricorda che la fede è sentirsi responsabile davanti al Signore della sorte della sua famiglia, è sentirsi amati personalmente da Dio che tutto regala con generosità e invita a fare altrettanto con gli altri suoi figli. È fidarsi di Dio che in Gesù Cristo ci ha mostrato che la strada della felicità non sta nel curarsi di sé ma nel prendersi cura della felicità dell'altro, di ogni altro; non sta nell'accumulare cose ma nel condividersi con gli altri, come ha fatto Papa Giovanni.

Non c'è bisogno di sottolineare l'urgente necessità di ascoltare e accogliere questi e altri insegnamenti di Papa Giovanni, profondamente innamorato delle autentiche ricchezze della nostra tradizione da lui vissuta con intensità straordinaria. Mettendosi alla sua scuola capiremo meglio come la fede aiuti a cogliere e promuovere le autentiche ricchezze umane presenti nelle diverse esperienze e facendo dialogare anche quelle che sembrano molto diverse. Comprenderemo che la fedeltà alle nostre radici non esiste senza l'apertura alle altre tradizioni sgorgate dalla medesima radice umana; apertura rispettosa, attenta, pronta al dialogo costruttivo, come è stata la sua. Il monumento che egli gradisce di più sta nell'impegno a seguirlo, sia individualmente sia comunitariamente, in questo cammino.