Mons. Roberto Amadei |
1 | 26 agosto 2000 |
Intervista
al Vescovo: come possiamo prepararci a vivere
l'avvenimento della beatificazione |
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Papa
Giovanni, |
Domanda: Il papato di Giovanni Paolo II, si sa, è stato ricco di beatificazioni e di canonizzazioni. Se non erro, in questo Anno Santo, il Papa vuol dare a questi eventi, dono per la Chiesa, un particolare spessore. Cosa può rappresentare per la nostra Diocesi, per il modo in cui sta vivendo il Giubileo, una beatificazione che la riguarda da vicino?
Vescovo: Credo che le beatificazioni e canonizzazioni all'interno dell'anno giubilare vogliano continuare la linea tipica di Giovanni Paolo II, ma soprattutto credo che vogliano sottolineare un richiamo presente nella Tertio millennio adveniente, dove il Papa invita a fare memoria della vita della Chiesa universale e locale per conoscerne le ricchezze. I beati e i santi sono evidentemente le espressioni più qualificate di questa opera dello Spirito Santo. Il Giubileo ricorda i 2000 anni della venuta di Cristo in questa storia e guardando i santi noi possiamo vedere alcuni frutti di questa presenza. Quindi credo che per la nostra diocesi l'ormai imminente beatificazione di Papa Giovanni significhi la possibilità di vedere in lui una espressione e, direi, una delle più qualificate, dell'opera dello Spirito Santo in questi 2000 anni di presenza della fede nella terra bergamasca. La beatificazione di Papa Giovanni è quindi un invito a conoscersi e a conoscere ciò che c'è nel profondo dell'anima bergamasca.
Domanda: Come dovrebbe affrontare la Diocesi tale evento?
Con quale preparazione e con quali attese?
Vescovo: Dovrebbe innanzi tutto cercare di
conoscere maggiormente la figura di Papa Giovanni, perché, a mio avviso, come
capita sovente, su figure come la sua si mettono dei cliché, si utilizzano
slogan, come quello di "Papa buono", che esprime certamente una
profonda verità, ma molte volte ci si ferma alla superficie di questa etichetta
e ho l'impressione che la figura di Papa Giovanni non sia molto conosciuta nelle
sue profondità spirituali. Il messaggio che lo Spirito Santo ha voluto
rivolgere a tutta l'umanità e in particolare alla chiesa bergamasca con Papa
Giovanni, noi lo possiamo capire solo attraverso la conoscenza della sua vita,
delle risposte che lui ha dato al Signore, delle opere che lo Spirito Santo ha
operato in lui. Questa è la prima cosa da fare per prepararci alla
beatificazione. Occorrerebbe poi ricordare che una delle sue iniziative più
importanti, da papa, è stata la convocazione del Concilio Vaticano II, evento
alla base del lavoro che le chiese stanno facendo in questi anni. Non si può
dunque celebrare Papa Giovanni e dimenticare che lo Spirito, attraverso di lui,
ha suscitato per la Chiesa il Concilio. Di conseguenza occorre chiedersi come è
stata e come è l'assimilazione del Concilio nelle nostre comunità.
Queste le due attese: conoscenza maggiore della nostra storia religiosa e delle
ricchezze che sono depositate in essa, e una riflessione più profonda su come
abbiamo recepito il soffio che è passato e continua a passare nella chiesa
mediante l'opera di Papa Giovanni e che si è condensato nel Vaticano II.
Un santo per i nostri giorni
Domanda: Al di là della mitologia del «Papa
buono» e della sua facile presa emozionale, mediatica, sulla gente, cosa pensa
che ci sia di attuale nella santità di Papa Giovanni? Quali secondo lei gli
aspetti salienti della sua santità?
Vescovo: Ciò che mi ha colpito leggendo il Giornale dell'anima
sono state le seguenti cose, che ritengo siano gli elementi più qualificanti
della sua santità. Un primo elemento: Angelo Roncalli mette senz'altro al
centro della sua esperienza cristiana Dio. La cosa diventerà più meditata e più
precisata durante il periodo di formazione al seminario Romano, quando il suo
Padre spirituale, il padre Pitocchi gli suggerirà il motto: "Dio è tutto
e io sono nulla". Una spiritualità centrata su Dio, partendo da Dio e
rivolta a Dio. Questo il filo costante della sua esistenza, da seminarista, da
prete in diocesi, da delegato apostolico, da nunzio, da patriarca e da papa:
leggere le vicende della storia partendo da Dio ed esaminarsi su come è stata
la propria risposta agli interventi di Dio. Altro elemento credo sia, partendo
appunto da Dio, quello di avere sulla storia e sugli uomini lo sguardo di Dio.
E' nota la sua preferenza a guardare gli aspetti positivi, più che quelli
negativi, a considerare, nei rapporti con gli altri, ciò che unisce più che ciò
che divide (il discorso di apertura del Vaticano II è stato molto eloquente da
questo punto di vista). Per Papa Giovanni l'atteggiamento di misericordia è da
preferire al metodo delle "fustigazioni e dei fulmini" (così si
esprimeva nel diario, commentando il modo di comportarsi di Padre Mattiussi, il
gesuita professore di sociologia cristiana, un tipo pugnace e polemico). Lo
stile del discorso della montagna è preferibile, per Angelo Roncalli, allo
stile dei profeti del Vecchio Testamento. Si deve dire la verità, ma in modo
che l'interlocutore capisca senza esserne offeso; occorre avere fiducia
nell'uomo, perché in lui oltre la sua miseria c'è anche la presenza dello
Spirito Santo. Da qui deriva poi quell'atteggiamento di carità che, a mio
avviso, nel Giornale dell'anima si vede in maniera straordinaria: non vi si
leggono mai critiche, diciamo, "acide" nei confronti delle persone: c'è
sempre un clima di benevolenza, di rispetto, di attenzione, di bontà estrema.
Quando è diventato papa questo "vestito interiore", costruito sulle
opere di misericordia, sulle beatitudini, si è manifestato in maniera molto
spontanea e per questo ha colpito molto la gente, sorpresa e affascinata dalla
sua bontà, che però era frutto di questo lavoro quotidiano di obbedienza
totale a Dio, che è amore e che chiede amore per gli altri. L'ultimo elemento
della spiritualità di Papa Roncalli, che vorrei sottolineare, consiste nel
metodo con cui coltivava il suo rapporto con Dio e la lettura della vita
quotidiana alla luce di Dio. Nessuna improvvisazione, ma costante fedeltà alla
regola di vita che si era dato in seminario e che conservò fino al papato.
Domanda: Va bene la carità e la bontà: sono virtù che tutto sommato anche oggi «piacciono», anche se, forse, perché considerate superficialmente. Ma la virtù dell'obbedienza, filo costante della sua vita e custodita nel suo motto episcopale, è apprezzabile oggi? Può avere ancora una valenza?
Vescovo: Io credo di sì, anzi credo che sia il messaggio più importante di Papa Giovanni. Nel clima odierno di soggettivismo, il soggetto è l'unico arbitro del bene e del male: è il singolo che stabilisce che cosa è bene e che cosa è male. In tale contesto io credo che sia quanto mai urgente fare riferimento a una persona che, andando alle radici della vita, ha compreso che la vita viene da un Altro e che questo Altro, in Gesù, si è rivelato come Padre che vuole semplicemente il nostro bene e che, solo, sa qual'è il nostro bene, perché è lui che ci ha creato e quindi conosce qual'è il bene che ci rende pienamente felici. Affidarsi a lui vuol dire essere convinti che le sue parole e le sue vie sono sempre parole di vita e vie di felicità. Non è, quella di Papa Giovanni, l'obbedienza a un dittatore, ma è l'obbedienza di chi accetta di essere figlio, di chi crede di essere pensato, voluto e amato da un Altro: è la spiritualità del "Padre nostro". E' significativo che, alla vigilia del conclave, a chi gli diceva in maniera molto chiara, facendo le congratulazioni, che poteva diventare papa, rispose dicendo che nella vita si era sempre preoccupato esclusivamente del nome di Dio, del regno di Dio, della sua volontà… . Si mostrava così come uomo che aveva compreso che il cuore del Vangelo è la rivelazione che Dio è Padre, un Padre sempre impegnato a realizzare il nostro bene, e che perciò la nostra risposta non può essere che quella di fidarci di lui. Obbedienza è, in sostanza, affidarsi, lasciarsi guidare dalla Parola di Dio nella vita di ogni giorno. Questo è un messaggio di cui abbiamo particolarmente bisogno.
Domanda: Quanto hanno contato, senza essere campanilisti,
nella sua vita le origini bergamasche? Si può dire che Angelo Roncalli abbia
ricevuto molto dal contesto in cui è cresciuto e che ci abbia poi riconsegnato
tutti quei valori, resi ancora più significativi dalla sua vita di pastore e di
santo?
Vescovo: Io credo di sì. Già Giovanni Paolo II, quando
venne a Bergamo, in uno dei suoi discorsi aveva accennato a questo: che in fondo
era qui, a Sotto il Monte, nella sua famiglia, nella sua parrocchia e nella sua
diocesi che egli aveva respirato gli elementi fondamentali della sua spiritualità,
che poi sono stati arricchiti e sviluppati anche in altre situazioni. Io ricordo
che in occasione dei festeggiamenti della sua elevazione al cardinalato nel
1953, nel saluto, il Vescovo di allora, Mons. Adriano Bernareggi, che era suo
amico, rivelò che Roncalli gli aveva confidato che al mattino iniziava le sue
preghiere, come si usava allora, dicendo: "Ti adoro mio Dio… ti ringrazio
di avermi creato, redento, fatto cristiano, fatto sacerdote, fatto bergamasco…".
E, da papa, Roncalli aveva confermato questo, dicendo che pur avendo girato
molti paesi del mondo, non aveva trovato da nessuna parte la profondità e
l'intensità di fede che aveva potuto respirare a Bergamo. Mons. Capovilla ha
rivelato che il papa aveva voluto accanto a sé, ormai sul letto di morte,
l'elenco dei 1600 preti bergamaschi che erano morti dall'inizio del secolo fino
al 1960, e diceva che tra questi 1600 preti, se fosse stato pittore, almeno di
1500 sarebbe riuscito ad effigiarne il volto, segno di un grande legame con
questa realtà. E in una lettera che scrive ai familiari negli anni '30 dice che
aveva letto molti libri e molte delle cose lette le aveva dimenticate, ma ciò
che aveva ricevuto nella famiglia non l'aveva dimenticato. Credo che gli
elementi della sua spiritualità che ho citato prima, come il riferimento a Dio
e la vita come vocazione da parte di Dio e la fede come risposta a questa
vocazione, li abbia attinti proprio alle radici della fede bergamasca. Nel
discorso che tiene al Congresso Eucaristico Nazionale celebratosi a Bergamo nel
settembre del 1920 (in sostituzione dell'oratore ufficiale che doveva essere
Mons. Grassi), in un passaggio, don Angelo Roncalli afferma che abitualmente si
guarda a Bergamo per le sue organizzazioni economiche e sociali e per il
movimento cattolico, affermando poi che proprio per queste realtà vi si è
conservata la fede, mentre a suo avviso bisognerebbe capovolgere il rapporto - e
secondo me aveva ragione - perché, in Bergamo, è dalla fede che sono derivate
quelle realtà sociali. Quindi credo che proprio perché ha respirato in
profondità la tradizione, cioè la vita vera, che è poi l'esperienza di Cristo
tradotta nella storia, Papa Giovanni è stato poi capace di dialogare con le
altre esperienze di fede, che ha trovato a Roma, in Bulgaria, in Turchia, a
Parigi, ecc. Anche qui vedo un messaggio per la gente bergamasca: se si è
fedeli alla tradizione, nella misura in cui non si resta ai suoi aspetti
esteriori ma si va in profondità, non si può non essere cattolici, cioè
aperti anche alle altre esperienze.
Domanda: Un Papa che doveva essere di transizione si è
invece, poi, rivelato presenza luminosa e decisiva per il rinnovamento della
Chiesa. Si è parlato al riguardo di semplicità, addirittura di ingenuità o di
poca consapevolezza (nel caso, per esempio, della convocazione del Concilio)
come anche di intelligenza e di lungimiranza: quali considerazioni pensa di
poter fare sul papato di Giovanni XXIII? Quali sono state le sue solide
certezze? Quali le geniali intuizioni? Perché è divenuto così importante
questo Papa già anziano, e perché è così universalmente amato?
Vescovo: Non so perché i cardinali
abbiano scelto lui. Evidentemente non era facile dare un successore a Pio XII,
che aveva occupato la scena, per molti anni, in tempi difficili, e con una
indiscutibile altezza di dottrina. Nello stesso tempo però si avvertiva il
bisogno di cambiare. Presumo che la scelta di un papa già avanti in età sia
stata dettata da queste esigenze. E credo che per la sua spiritualità, proprio
per la docilità a ciò che lo Spirito Santo detta, e per la capacità di una
lettura profonda della storia, Papa Roncalli non si possa definire un ingenuo:
capiva gli uomini, capiva la storia, intuiva ciò che era possibile e ciò che
era conveniente fare in un determinato momento. Ed era uno che aveva anche la
pazienza di gettare il seme aspettando poi che lui o altri ne raccogliessero i
frutti.
Certamente è stato un papa di transizione, nel senso che, in maniera quasi
indolore e fruttuosamente, ha introdotto la Chiesa nell'era conciliare. Ricordo
che quando morì Pio XII ci si chiedeva come fosse possibile sostituirlo. La
grandezza di Papa Giovanni sta in questo: non ha voluto imitare una figura che
era venerata dalla gente, ma è stato se stesso e essendo se stesso ha fatto sì
che gli occhi che prima erano rivolti a Roma in nome di Pio XII, fossero ora
rivolti a lui, e ha aggiunto alla figura del papa aspetti che non erano stati
così sottolineati da Pio XII, il quale ne aveva sottolineati altri. Io credo
poi che Papa Roncalli non abbia tanto voluto essere un innovatore: è stato
semplicemente fedele allo Spirito Santo. Non era "per natura"
innovatore, non lo era mai stato. Non credo abbia previsto cosa sarebbe stato il
Vaticano II, ma credo pure che nessuno in quel momento lo potesse prevedere.
Credo che la sua grandezza sia stata proprio questa. Lo si è potuto notare
anche nei rapporti con l'Europa orientale, segnata dal comunismo: in questo
momento è possibile, secondo lo Spirito, fare questo passo, è opportuno:
cominciamo ad aprire questa porta poi dopo si vedrà. E' un seme che
gettiamo…. Così ragionava. E' stato innovatore proprio perché papa della
tradizione, ma intesa nel senso più profondo della parola. La sua lettura della
storia (ha cominciato ad orientarsi in questo ambito dopo le celebrazioni
dell'anniversario di San Carlo Borromeo, quando il vescovo Radini Tedeschi
decise di pubblicare gli Atti della Visita pastorale dello stesso a Bergamo,
lavoro cui don Roncalli si dedicò con l'amico don Forno) è molto rigorosa dal
punto di vista del metodo critico-storico: in essa era preoccupato di cogliere
l'anima della Chiesa di un determinato momento, come la Chiesa affrontava il
problema di sempre, cioè inscrivere il Vangelo nella storia concreta degli
uomini. Guardando come la chiesa ha affrontato di volta in volta quella che noi
chiamiamo oggi l'inculturazione del Vangelo, senza copiare, possiamo imparare
molto: la storia ci dice come, con quale spirito e con quale atteggiamento noi
dobbiamo fare altrettanto oggi. Quindi appunto perché è risalito, attraverso
la tradizione della Chiesa, studiata nelle sue vicende (è nota la sua passione
per i Padri della Chiesa) alla fonte della verità che è Gesù Cristo, ha
capito che questa tradizione si esprime in determinati modi senza esaurirsi in
essi. Essa può essere e deve essere detta in altri. Papa Giovanni ci dice, in
fondo, che proprio per essere fedeli alla tradizione bisogna essere innovatori.
Ma per esser autentici innovatori, per vivere nell'oggi il Vangelo, per essere
innovatori in questo senso, bisogna essere fedeli alla tradizione.
Domanda: C'è nel suo cuore di pastore una grazia
particolare che intende chiedere per l'intercessione del Beato Papa Giovanni
XXIII?
Vescovo: Vorrei chiedere tre cose a
Papa Giovanni.
La prima per
la diocesi. Che capisca la ricchezza che c'è non solo nel suo passato, ma anche
nel suo presente e quindi le responsabilità che ne derivano, perché questa
ricchezza non si trasmette automaticamente. Occorre prenderne coscienza e
trovare i modi per farla rivivere: fedeltà nella creatività.
La seconda
grazia riguarda il presbiterio: Papa Giovanni ha fatto parte del nostro
presbiterio, vi è sempre stato profondamente legato. Quando era lontano si
teneva costantemente informato. Vorrei chiedere la grazia che tutti noi preti
del presbiterio di Bergamo, a cominciare da me, impariamo da lui a vivere il
nostro ministero nella santità, per essere delle persone che come lui si
lasciano guidare sulla strada dell'obbedienza allo Spirito Santo, affrontando le
gioie e le fatiche che si presentano, riscoprendo il valore del nostro ministero
sacerdotale.
La terza
grazia. Che le varie comunità della chiesa bergamasca, guardando Papa Giovanni
e sapendo che il suo nome rimane per sempre legato alle vicende del Vaticano II,
sappiano affrontare con più decisione la rilettura attuale del Concilio e la
sua attuazione.
don Angelo Domenghini
2 | 26 agosto 2000 |
Messaggio nella festa di S. Alessandro | |
Papa
Giovanni |
Quest'anno la celebrazione di Sant'Alessandro introduce nella
preparazione immediata per la beatificazione di Papa Giovanni, espressione
limpida e straordinaria della vita di fede iniziata nel martirio del nostro
Patrono. Con gioia ringraziamo il Signore per quanto ha seminato nella nostra
storia, e in quella dell'umanità, mediante la vita e l'opera di questo grande
figlio della terra bergamasca. Esprimiamo la nostra gratitudine al Signore per i
preziosi e numerosi doni regalati alla Chiesa e al mondo intero durante il suo
breve ma fecondo pontificato. Grazie per la luce di carità e di speranza che ci
viene dalla sua fedeltà al Vangelo, vissuta con impegno, costanza e serenità
nelle diverse fasi del suo ministero. Questo grazie trovi espressione nelle
Celebrazioni eucaristiche del 3 settembre e la gioia delle comunità si esprima
anche nel suono delle campane.
La riconoscenza non deve limitarsi all'ammirazione o a manifestazioni solenni,
pure importanti, ma deve diventare impegno a seguire Papa Giovanni nel suo
cammino di fede. Lui stesso ci suggerisce come stare di fronte ai santi: «Dio
vuole che, seguendo gli esempi dei santi, ne assorbiamo il succo vitale della
virtù, convertendolo nel nostro sangue e adattandolo alle nostre singole
attitudini e speciali circostanze» (16 gennaio 1903). Perciò la preparazione
delle singole comunità, e di ciascuno di noi, alla beatificazione di Papa
Giovanni sia soprattutto accoglienza della Parola che Dio ci ha rivolto, e
continua a rivolgerci, in ciò che Papa Giovanni ha detto e ha operato.
Accogliere questa Parola nella nostra mente e nel nostro cuore per approfondire,
sull'esempio e con l'aiuto suo, la nostra vita di fede. Per imparare, dal
racconto della sua vita, cosa significhi accettare Gesù come «il Signore»
dell'intera esistenza, per cogliere, nella sua serenità, la bellezza e la
fecondità di una esperienza umana unificata dall'amore di Dio; amore accolto
con gioia riconoscente e donato con generosità anche nei momenti duri.
Egli ci ricorda che la fede genuina è ascolto costante e docile del Padre
sempre desideroso di dialogare con noi; ed è pure ascolto attento di ogni
figlio del Padre celeste. È riconoscere e accettare di avere sempre bisogno
della misericordia divina: «È detto bene che le nostre miserie sono il trono
della misericordia di Dio. È detto meglio ancora, che il nome e l'appellativo
più bello di Dio sia questa misericordia. Ciò deve ispirare fra le lacrime
grande fiducia» (26 novembre 1940). La fede è stare nella storia guidati da
questa misericordia, osservando la quotidianità e i grandi movimenti storici
con l'amore, la speranza e la fiducia che il Padre celeste conserva sempre per
ogni suo figlio e per la famiglia umana. Essere sempre, come «il Padre che sta
nei cieli», sguardo desideroso di cogliere anche i più piccoli segni del
germogliare dei semi di bontà da lui gettati con abbondanza in ogni cuore e
nella complicata vicenda dell'umanità.
Egli, abituato a leggere la storia con la sapienza evangelica e abitandola con
il cuore di «Cristo artefice della pace», percepì i pericoli e le possibilità
presenti nel momento storico del suo pontificato, le paure e le speranze
dell'umanità, le istanze di pace presenti nel cuore di gran parte dell'umanità.
E ha agito efficacemente per orientare costruttivamente le speranze di dialogo
presenti un po' dovunque e per accettare il superamento delle contrapposizioni
generate dalla guerra fredda. La testimonianza del discepolo fedele del «Re
della pace», vissuta con semplicità e crescente intensità durante l'intera
esistenza, diventava messaggio universale nella sua persona e nel suo
insegnamento.
E ci ricorda pure che la pace, la giustizia sociale, la convivenza pacifica, non
basta gridarle o attenderle da altri. Occorre che siano radicate profondamente
nel nostro cuore per potersi riversare nelle relazioni sociali, diventare
mentalità comune, impegno di tutti: «No, la pace non potrà avere solide
fondamenta, se nei cuori non si alimenta il sentimento della fraternità, quale
deve esistere fra quanti hanno una medesima origine e sono chiamati ai medesimi
destini» (Natale 1959). Quindi ci ricorda che la fede è sentirsi responsabile
davanti al Signore della sorte della sua famiglia, è sentirsi amati
personalmente da Dio che tutto regala con generosità e invita a fare
altrettanto con gli altri suoi figli. È fidarsi di Dio che in Gesù Cristo ci
ha mostrato che la strada della felicità non sta nel curarsi di sé ma nel
prendersi cura della felicità dell'altro, di ogni altro; non sta
nell'accumulare cose ma nel condividersi con gli altri, come ha fatto Papa
Giovanni.
Non c'è bisogno di sottolineare l'urgente necessità di ascoltare e accogliere
questi e altri insegnamenti di Papa Giovanni, profondamente innamorato delle
autentiche ricchezze della nostra tradizione da lui vissuta con intensità
straordinaria. Mettendosi alla sua scuola capiremo meglio come la fede aiuti a
cogliere e promuovere le autentiche ricchezze umane presenti nelle diverse
esperienze e facendo dialogare anche quelle che sembrano molto diverse.
Comprenderemo che la fedeltà alle nostre radici non esiste senza l'apertura
alle altre tradizioni sgorgate dalla medesima radice umana; apertura rispettosa,
attenta, pronta al dialogo costruttivo, come è stata la sua. Il monumento che
egli gradisce di più sta nell'impegno a seguirlo, sia individualmente sia
comunitariamente, in questo cammino.