PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO SECONDO - "AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE
STESSO"
Articolo 7
IL SETTIMO COMANDAMENTO
Non rubare ( Es
20,15; Dt 5,19 ).
Non rubare ( Mt
19,18 ).
2401 Il settimo
comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del
prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso
prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del
frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione
universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si
sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo.
I. La
destinazione universale e
la proprietà
privata dei beni
2402 All'inizio,
Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell'umanità,
affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i
frutti [Cf Gen 1,26-29 ]. I beni della creazione sono destinati a tutto il
genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia
garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata
dalla violenza. L'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la
libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri
bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale
appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra
gli uomini.
2403 Il diritto
alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina
l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione
universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune
esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo
esercizio.
2404 "L'uomo,
usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente
possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano
giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri" [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 69]. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un
amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti
con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti.
2405 I beni di
produzione - materiali o immateriali - come terreni o stabilimenti, competenze
o arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a
vantaggio del maggior numero di persone. Coloro che possiedono beni d'uso e di
consumo devono usarne con moderazione, riservando la parte migliore all'ospite,
al malato, al povero.
2406 L' autorità
politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del
diritto di proprietà in funzione del bene comune [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 71; Lett. enc. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis,
42; Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 40; 48].
II. Il rispetto
delle persone e dei loro beni
2407 In materia
economica, il rispetto della dignità umana esige la pratica della virtù della
temperanza, per moderare l'attaccamento ai beni di questo mondo; della virtù
della giustizia, per rispettare i diritti del prossimo e dargli ciò che gli è
dovuto; e della solidarietà, seguendo la regola aurea e secondo la liberalità
del Signore, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" per noi,
perché noi diventassimo "ricchi per mezzo della sua povertà" ( 2Cor
8,9 ).
Il rispetto dei
beni altrui
2408 Il settimo
comandamento proibisce il furto, cioè l'usurpazione del bene altrui contro la
ragionevole volontà del proprietario. Non c'è furto se il consenso può essere
presunto, o se il rifiuto è contrario alla ragione e alla destinazione
universale dei beni. E' questo il caso della necessità urgente ed evidente, in
cui l'unico mezzo per soddisfare bisogni immediati ed essenziali (nutrimento,
rifugio, indumenti..) è di disporre e di usare beni altrui [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 69].
2409 Ogni modo di
prendere e di tenere ingiustamente i beni del prossimo, anche se non è in
contrasto con le disposizioni della legge civile, è contrario al settimo
comandamento. Così, tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti
smarriti; commettere frode nel commercio; [Cf Dt 25,13-16 ] pagare salari
ingiusti; [Cf Dt 24,14-15; Gc 5,4 ] alzare i prezzi, speculando sull'ignoranza
o sul bisogno altrui [Cf Am 8,4-6 ].
Sono pure
moralmente illeciti: la speculazione, con la quale si agisce per far
artificiosamente variare la stima dei beni, in vista di trarne un vantaggio a
danno di altri; la corruzione, con la quale si svia il giudizio di coloro che
devono prendere decisioni in base al diritto; l'appropriazione e l'uso privato
dei beni sociali di un'impresa; i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la
contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero.
Arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche è
contrario alla legge morale ed esige il risarcimento.
2410 Le promesse
devono essere mantenute, e i contratti rigorosamente osservati nella misura in
cui l'impegno preso è moralmente giusto. Una parte rilevante della vita
economica e sociale dipende dal valore dei contratti tra le persone fisiche o
morali. E' il caso dei contratti commerciali di vendita o di acquisto, dei
contratti d'affitto o di lavoro. Ogni contratto deve essere stipulato e
applicato in buona fede.
2411 I contratti
sottostanno alla giustizia commutativa,
che regola gli scambi tra le persone e tra le istituzioni nel pieno rispetto
dei loro diritti. La giustizia commutativa obbliga strettamente; esige la
salvaguardia dei diritti di proprietà, il pagamento dei debiti e l'adempimento
delle obbligazioni liberamente contrattate. Senza la giustizia commutativa,
qualsiasi altra forma di giustizia è impossibile.
Va distinta la
giustizia commutativa dalla giustizia legale, che riguarda ciò che il cittadino
deve equamente alla comunità, e dalla giustizia distributiva, che regola ciò
che la comunità deve ai cittadini in proporzione alle loro prestazioni e ai
loro bisogni.
2412 In forza
della giustizia commutativa, la riparazione dell'ingiustizia commessa esige la
restituzione al proprietario di ciò di cui è stato derubato.
Gesù fa l'elogio
di Zaccheo per il suo proposito: "Se ho frodato qualcuno, restituisco
quattro volte tanto" ( Lc 19,8 ). Coloro che, direttamente o
indirettamente, si sono appropriati di un bene altrui, sono tenuti a
restituirlo, o, se la cosa non c'è più, a rendere l'equivalente in natura o in
denaro, come anche a corrispondere i frutti e i profitti che sarebbero stati legittimamente
ricavati dal proprietario. Allo stesso modo hanno l'obbligo della restituzione,
in proporzione alla loro responsabilità o al vantaggio avutone, tutti coloro
che in qualche modo hanno preso parte al furto, oppure ne hanno approfittato
con cognizione di causa; per esempio, coloro che l'avessero ordinato, o
appoggiato, o avessero ricettato la refurtiva.
2413 I giochi
d'azzardo (gioco delle carte, ecc) o le scommesse non sono in se stessi
contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la
persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui.
La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù. Truccare le
scommesse o barare nei giochi costituisce una mancanza grave, a meno che il
danno causato sia tanto lieve da non poter essere ragionevolmente considerato
significativo da parte di chi lo subisce.
2414 Il settimo
comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione,
egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all' asservimento di
esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a
venderli e a scambiarli come fossero merci. Ridurre le persone, con la
violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro
la loro dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone
cristiano di trattare il suo schiavo cristiano "non più come schiavo, ma.
. . come un fratello... come uomo..., nel Signore" ( Fm 1,16 ).
Il rispetto
dell'integrità della creazione
2415 Il settimo
comandamento esige il rispetto dell'integrità della creazione. Gli animali,
come le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene
comune dell'umanità passata, presente e futura [Cf Gen 1,28-31 ]. L'uso delle
risorse minerali, vegetali e animali dell'universo non può essere separato dal
rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli
altri viventi accordata dal Creatore all'uomo non è assoluta; deve misurarsi
con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella
delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell'integrità della
creazione [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37-38].
2416 Gli animali
sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura [Cf Mt 6,26 ].
Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria [Cf Dn
3,79-81 ]. Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si
ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d'Assisi o san Filippo
Neri, trattassero gli animali.
2417 Dio ha
consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine [Cf Gen
2,19-20; Gen 9,1-4 ]. E' dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere
al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati,
perché aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le
sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente
accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o
salvare vite umane.
2418 E' contrario
alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre
indiscriminatamente della loro vita. E' pure indegno dell'uomo spendere per gli
animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria
degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di
quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone.
III. La dottrina
sociale della Chiesa
2419 "La
Rivelazione cristiana ci guida a un approfondimento delle leggi che regolano la
vita sociale" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. La Chiesa dal
Vangelo riceve la piena rivelazione della verità dell'uomo. Quando compie la
sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la
sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le
esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina.
2420 La Chiesa dà
un giudizio morale, in materia economica e sociale, "quando ciò sia
richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle
anime" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. Per ciò che attiene
alla sfera della moralità, essa è investita di una missione distinta da quella
delle autorità politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene
comune in quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di
inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle
relazioni socio-economiche.
2421 La dottrina
sociale della Chiesa si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca
dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove
strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della
società, dello Stato e dell'autortià, le sue nuove forme di lavoro e di
proprietà. Lo sviluppo della dottrina della Chiesa, in materia economica e
sociale, attesta il valore permanente dell'insegnamento della Chiesa e, ad un
tempo, il vero senso della sua Tradizione sempre viva e vitale [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].
2422
L'insegnamento sociale della Chiesa costituisce un corpo dottrinale, che si
articola man mano che la Chiesa, alla luce di tutta la parola rivelata da
Cristo Gesù, con l'assistenza dello Spirito Santo, interpreta gli avvenimenti
nel corso della storia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 1; 41]. Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli
uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli.
2423 La dottrina
sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di
giudizio, offre orientamenti per l'azione:
Ogni sistema
secondo cui i rapporti sociali sarebbero completamente determinati dai fattori
economici, è contrario alla natura della persona umana e dei suoi atti [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 24].
2424 Una teoria
che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività
economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca
di produrre i suoi effetti perversi. E' una delle cause dei numerosi conflitti
che turbano l'ordine sociale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 63;
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 7; Id. , Lett. enc. Centesimus
annus, 35].
Un sistema che
sacrifica "i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi
all'organizzazione collettiva della produzione" è contrario alla dignità
dell'uomo [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 65]. Ogni pratica che riduce
le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto,
asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla
diffusione dell'ateismo. "Non potete servire a Dio e a Mammona" ( Mt
6,24; Lc 16,13 ).
2425 La Chiesa ha
rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi mo derni, al
"comunismo" o al "socialismo". Peraltro essa ha pure
rifiutato, nella pratica del "capitalismo", l'individualismo e il
primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano [Cf Giovanni Paolo
II, Lett. enc. Centesimus annus, 10; 13; 44]. La regolazione dell'economia
mediante la sola pianificazione centralizzata perverte i legami sociali alla
base; la sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la
giustizia sociale, perché "esistono numerosi bisogni umani che non hanno
accesso al mercato" [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus,
10; 13; 44]. E' necessario favorire una ragionevole regolazione del mercato e
delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista
del bene comune.
IV. L'attività
economica e la giustizia sociale
2426 Lo sviluppo
delle attività economiche e l'aumento della produzione sono destinati a
soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad
accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la potenza; essa
è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo nella sua
integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi,
l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine morale, nel
rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio
sull'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,64].
2427 Il lavoro
umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a
prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la
terra [Cf Gen 1,28; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo
II, Lett. enc. Centesimus annus, 31]. Il lavoro, quindi, è un dovere: "Chi
non vuol lavorare, neppure mangi" ( 2Ts 3,10 ) [Cf 1Ts 4,11 ]. Il lavoro
esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo.
Sopportando la penosa fatica [Cf Gen 3,14-19 ] del lavoro in unione con Gesù,
l'artigiano di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo
coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di
Cristo portando la croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere
[Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27]. Il lavoro può essere
un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito
di Cristo.
2428 Nel lavoro
la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua
natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne è l'autore
e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro [Cf ibid.
, 6].
Ciascuno deve
poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per
quella dei suoi familiari, e servire la comunità umana.
2429 Ciascuno ha
il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri
talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per
raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli
ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32; 34].
2430 La vita
economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si
spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano [Cf Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Laborem exercens, 11]. Si farà di tutto per comporre tali conflitti
attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale:
i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le
organizzazioni sindacali, ed, eventuamente, i pubblici poteri.
2431 La
responsabilità dello Stato. "L'attività economica, in particolare quella
dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale,
giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie
delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e
servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è
quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i
frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con
efficienza e onestà. . . Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare
l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia,
la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi
gruppi e associazioni di cui si compone la società" [Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Centesimus annus, 48].
2432 I
responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità economica
ed ecologica delle loro operazioni [Cf ibid., 37]. Hanno il dovere di
considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti .
Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che
assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.
2433 L' accesso
al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta
discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche
e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati [Cf Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Laborem exercens, 19; 22-23]. In rapporto alle circostanze, la società
deve da parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48].
2434 Il giusto
salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito
può rappresentare una grave ingiustizia [Cf Lv 19,13; 2434 Dt 24,14-15; Gc 5,4
]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia
delle prestazioni di ciascuno. "Il lavoro va remunerato in modo tale da
garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una
vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale,
corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di
ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune" [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo tra le parti a
giustificare moralmente l'ammontare del salario.
2435 Lo sciopero
è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto
meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente
inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano
obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto
con il bene comune.
2436 E' ingiusto
non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle
legittime autorità.
La privazione del
lavoro, a causa della disoccupazione, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima,
un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della vita. Oltre al
danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua
famiglia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18].
V. Giustizia e
solidarietà tra le nazioni
2437 A livello
internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da
provocare un vero "fossato" tra le nazioni [Cf Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14]. Da una parte vi sono coloro che possiedono
e incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i
debiti.
2438 Varie cause,
di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi "alla
questione sociale. . . una dimensione mondiale" [Cf Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14]. Tra le nazioni, le cui politiche sono
già interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa
indispensabile allorché si tratta di bloccare "i meccanismi perversi"
che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti [Cf ibid., 17; 45]. A
sistemi finanziari abusivi se non usurai, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 35] a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa
agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse
verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, "ridefinendo
le priorità e le scale di valori" [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 35].
2439 Le nazioni
ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se
stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state
impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di
solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere
delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.
2440 L' aiuto
diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali,
causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non
basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far
fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni
economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi
con i paesi meno sviluppati [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 16]. E' necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla
ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione [Cf Giovanni Paolo II, Lett
enc. Centesimus annus, 26]. Questi principi vanno applicati in una maniera
tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente
nel Terzo Mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri.
2441 Alla base di
ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e
della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li
mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo
sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e
l'apertura alla trascendenza [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 32; Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 51].
2442 Non spetta
ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e
nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione
dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro
concittadini. L'azione sociale può implicare una pluralità di vie concrete;
comunque, avrà sempre come fine il bene comune e sarà conforme al messaggio evangelico
e all'insegnamento della Chiesa. Compete ai fedeli laici "animare, con
impegno cristiano, le realtà temporali, e, in esse, mostrare di essere
testimoni e operatori di pace e di giustizia" [Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Sollicitudo rei socialis, 47; cf 42].
VI. L'amore per i
poveri
2443 Dio benedice
coloro che soccorrono i poveri e disapprova coloro che se ne disinteressano:
"Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le
spalle" ( Mt 5,42 ). "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente
date" ( Mt 10,8 ). Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto
avranno fatto per i poveri [Cf Mt 25,31-46 ]. Allorché "ai poveri è
predicata la buona novella" ( Mt 11,5 ), [Cf Lc 4,18 ] è segno che Cristo
è presente.
2444
"L'amore della Chiesa per i poveri. . . appartiene alla sua costante
tradizione" [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57]. Si
ispira al Vangelo delle beatitudini, [Cf Lc 6,20-22 ] alla povertà di Gesù [Cf
Mt 8,20 ] e alla sua attenzione per i poveri [Cf Mc 12,41-44 ]. L'amore per i
poveri è anche una delle motivazioni del dovere di lavorare per far parte dei
beni "a chi si trova in necessità" ( Ef 4,28 ). Tale amore per i
poveri non riguarda soltanto la povertà materiale, ma anche le numerose forme
di povertà culturale e religiosa [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 57].
2445 L'amore per
i poveri è inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro
uso egoistico:
E ora a voi,
ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre
ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il
vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si
leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco.
Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi
defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste
dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete
gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati
per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può
opporre resistenza ( Gc 5,1-6 ).
2446 San Giovanni
Crisostomo lo ricorda con forza: "Non condividere con i poveri i propri beni
è defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni che possediamo:
sono dei poveri" [San Giovanni Crisostomo, In Lazarum, 1, 6: PG 48, 992D].
"Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offra
come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia" [Conc.
Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 8].
Quando doniamo ai
poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali,
ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo
un dovere di giustizia [San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21].
2447 Le opere di
misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro
prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali [Cf Is 58,6-7; Eb 13,3 ].
Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia
spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia
corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame,
nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel
visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti [Cf Mt 25,31-46
]. Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri [Cf Tb 4,5-11; Sir 17,17 ] è
una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di
giustizia che piace a Dio: [Cf Mt 6,2-4 ].
Chi ha due
tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto (
Lc 3,11 ). Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, e tutto sarà puro
per voi ( Lc 11,41 ). Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo,
che giova? ( Gc 2,15-16 ) [Cf 1Gv 3,17 ].
2448 "Nelle
sue molteplici forme - spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie
fisiche e psichiche, e infine la morte - la miseria umana è il segno evidente
della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo
peccato, e del suo bisogno di salvezza. E' per questo che essa ha attirato la
compassione di Cristo Salvatore, il quale ha voluto prenderla su di sé, e
identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli". E' pure per questo
che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte
della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei
suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a
liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono
sempre e dappertutto indispensabili" [Congregazione per la Dottrina della
Fede, Istr. Libertatis conscientia, 68].
2449 Fin
dall'Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di
remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno,
obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori
giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con
l'esortazione del Deuteronomio: "I bisognosi non mancheranno mai nel
paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al
tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese" ( Dt 15,11 ). Gesù fa sua
questa parola: "I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre
avete me" ( Gv 12,8 ). Non vanifica con ciò la parola veemente degli
antichi profeti: comprano "con denaro gli indigenti e il povero per un
paio di sandali. . . " ( Am 8,6 ), ma ci invita a riconoscere la sua
presenza nei poveri che sono suoi fratelli: [Cf Mt 25,40 ]
Il giorno in cui
sua madre la rimproverò di accogliere in casa poveri e infermi, santa Rosa da
Lima senza esitare le disse: "Quando serviamo i poveri e i malati,
serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l'aiuto al nostro prossimo, perché
nei nostri fratelli serviamo Gesù" [P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain
1668].
In sintesi
2450 "Non
rubare" ( Dt 5,19 ). "Né ladri, né avari,... né rapaci erediteranno
il Regno di Dio" ( 1Cor 6,10 ).
2451 Il settimo
comandamento prescrive la pratica della giustizia e della carità nella gestione
dei beni terreni e dei frutti del lavoro umano.
2452 I beni della
creazione sono destinati all'intero genere umano. Il diritto alla proprietà
privata non abolisce la destinazione universale dei beni.
2453 Il settimo
comandamento proibisce il furto. Il furto consiste nell'usurpare il bene altrui,
contro la volontà ragionevole del proprietario.
2454 Ogni modo di
prendere ed usare ingiustamente i beni altrui è contrario al settimo
comandamento. L'ingiustizia commessa esige riparazione. La giustizia
commutativa esige la restituzione di ciò che si è si è rubato.
2455 La legge
morale proibisce gli atti che, a scopi mercantili o totalitari, provocano
l'asservimento di esseri umani, il loro acquisto, la loro vendita, il loro
scambio, come fossero merci.
2456 Il dominio
accordato dal Creatore all'uomo sulle risorse minerali, vegetali e animali
dell'universo, non può essere disgiunto dal rispetto degli obblighi morali,
compresi quelli che riguardano le generazioni future.
2457 Gli animali
sono affidati all'uomo, il quale dev'essere benevolo verso di essi. Possono
servire alla giusta soddisfazione dei suoi bisogni.
2458 La Chiesa dà
un giudizio in materia economica e sociale quando i diritti fondamentali della
persona o la salvezza delle anime lo esigono. Essa si interessa del bene comune
temporale degli uomini in funzione del suo ordinamento al Bene supremo, ultimo
nostro fine.
2459 L'uomo
stesso è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale. Il
nodo decisivo della questione sociale è che i beni creati da Dio per tutti, in
effetti arrivino a tutti, secondo la giustizia e con l'aiuto della carità.
2460 Il valore
primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, il quale ne è l'autore e il
destinatario. Mediante il lavoro, l'uomo partecipa all'opera della creazione.
Compiuto in unione con Cristo, il lavoro può essere redentivo.
2461 Il vero
sviluppo è quello dell'uomo nella sua integralità. Si tratta di far crescere la
capacità di ogni persona a rispondere alla propria vocazione, quindi alla chiamata
di Dio [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 29].
2462 L'elemosina
fatta ai poveri è una testimonianza di carità fraterna: è anche un'opera di
giustizia che piace a Dio.
2463 Nella
moltitudine di esseri umani senza pane, senza tetto, senza fissa dimora, come
non riconoscere Lazzaro, il mendicante affamato della parabola? [Cf Lc 17,19-31
] Come non risentire Gesù: "Non l'avete fatto a me" ( Mt 25,45 )?