L'Epifania é una festa di luce: una luce che guida a Gesù; una luce che traspare da lui. Lo splendore di una stella attrae a Betlemme genti lontane. Esse sono il simbolo di tutti gli uomini, quindi anche di noi, che vanno verso il Signore guidati dalla fede, e lo adorano. 

Il mistero della manifestazione del Signore si celebra come duplice nella festa di Natale e di Epifania, che sono il frutto del mutuo influsso delle tradizioni orientali ed occidentali. Malgrado l'influsso che le due tradizioni ebbero l'una sull'altra, le due feste non si fusero, ma continuarono a mantenere il loro proprio giorno di celebrazione insieme alle loro particolarità. La festa di Epifania ha le sue origini nell'Oriente Cristiano verso gli anni 120-140 come la commemorazione del battesimo del Signore.

Il ciclo di Natale - Epifania è il ciclo della manifestazione del Signore, manifestazione splendente, perché è la luce di Dio che risplende e illumina il mondo. Questa è l'idea base e fondamentale di questo periodo dell'anno liturgico. Dio si manifesta per mezzo dell'incarnazione del Figlio suo nel seno di Maria per opera dello Spirito Santo. Ma lo scopo dell'incarnazione è la redenzione dell'uomo: per noi e per la nostra salvezza... Questo ci porta in primo luogo non a contemplare l'anniversario della nascita di Cristo, ma a celebrare il mistero della sua manifestazione al mondo per salvare gli uomini nell'umiltà della nostra carne, che egli assunse nel grembo della Vergine Maria per mezzo dello Spirito. 

Dai" Trattati sui salmi" di sant'Ilario, vescovo.

"Su di noi faccia splendere il suo volto Dio, e abbia pietà di noi"(Sal 66,2). Abbiamo bisogno della benedizione di Dio, che il suo volto risplenda su di noi, perché la luce della conoscenza di lui rischiari le tenebre del nostro cuore, lo spirito della sua maestà diradi i dubbi del nostro intelletto e possiamo rendergli gloria dicendo: "Risplende su di noi, Signore, la luce del tuo volto"(Sal 4,7). Questa luce del suo volto che risplende su di noi è dono della sua misericordia, la quale ebbe inizio con la remissione dei peccati. le parole che seguono stanno a indicare a qual fine i profeti e gli apostoli invochino la luce del volto del Signore. "Perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti la tua salvezza"(Sal 66,3). Secondo l'esatta interpretazione del traslato greco, essi chiedono di essere illuminati dal suo volto perché si conosca sulla terra la via di Dio che é la dottrina della vita di fede: per essa, infatti, si giunge a Dio. Ma dottrina della fede é Cristo stesso, che nel vangelo si mostra tale dicendo: " Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me"(Gv14,6). Lo stesso nome di Gesù, nella proprietà del linguaggio significa salvezza: salvezza infatti, in ebraico si dice Gesù. Lo conferma anche l'angelo parlando di Maria e Giuseppe: "Partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21). L'angelo dimostra così che bisogna chiamarlo Gesù proprio perché sarà la salvezza del popolo. Gli apostoli confessano di non essere in grado di predicarlo se non illuminati, se non riescono a irradiare la luce del volto del Signore. Anch'essi, infatti, secondo il vangelo sono "luce del mondo" (Mt 5,14).

 

da:http://www.sanvincenzo.salvestrini.org/

 

Juan Bautista Mayno

 (1611-1617)

“Adorazione dei Magi”

I Magi arrivano a Betlemme

 

I Magi giunti a Gerusalemme, nel chiedere del Messia mostrarono con fermezza la loro fede, affermando di voler conoscere il luogo "dov’era nato il Re dei Giudei”(Mt 2,2).

S. Leone, a questo proposito, dice che non solo con le parole ma anche con i doni, che portavano al neonato Messia, i Magi manifestarono di credere e riconoscere, nella persona di Gesù, la Maestà di Dio, la dignità di Re, la mortalità dell'uomo. L'incenso infatti si adopera nei sacrifici che solo a Dio competono; l'oro è la materia dei tributi che si pagano al re; la mirra è l'aroma che veniva adoperata nell'imbalsamare i corpi dei morti.

Il fatto che i Giudei, mostrassero noncuranza verso il Messia non scosse la fede dei Magi, né il fatto che i sacerdoti della sinagoga, dopo aver loro indicato il luogo della nascita del Messia, non si dessero alcun pensiero di cercarlo essi stessi; né il fatto che la stella, comparsa in Oriente ai Magi e che era stata la loro guida lungo il cammino, sparisse appena essi giunsero in terra di Giudea.

Dio volle che i Magi cercassero il Messia in Gerusalemme per rendere pubblica la verità della nascita del Salvatore. I Magi, afferma S. Agostino, sono vera immagine dell'anima cristiana che cammina guidata dalla fede.

Alle loro persone si contrappone la figura di Erode che, narra il Vangelo, "si turbò e con lui tutta Gerusalemme" (Mt 2, 3). Il turbamento dì Erode fu il turbamento dell'empio che sapeva di non appartenere alla stirpe di Davide, avendo usurpalo il titolo regale. Il popolo di Gerusalemme non poteva prendere coscienza della venuta sulla terra dello stesso Dio, poiché la città era giunta ad un alto grado di corruzione. E tuttavia i Giudei, essendo depositari ed interpreti delle Sacre Scritture, sapevano con certezza che Gesù era il Messia. I Sommi Sacerdoti, interrogati da Erode, rivelarono che Betlemme era il luogo in cui sarebbe dovuto nascere il Messia e risposero con le parole del Profeta Michea: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei la più piccola tra le principali città di Giuda, perché da te uscirà il Re che deve reggere il Mio popolo, Israele” (Mt 2,6),

Per la strage degli innocenti, Erode visse nella memoria degli uomini come oggetto di esecrazione ed il suo nome divenne simbolo di infamia. Un altro importante mistero lo rivelano le seguenti parole: "...prostratisi Lo adorarono" (Mt 2,11); il fatto che i Magi riconobbero ed adorarono Dio nel Bambino che trovarono accanto a Sua Madre sta a testimoniare che Gesù ha realmente assunto la natura umana con un corpo terreno, mortale, passibile.

Poi i Magi: "aperti i loro tesori, Gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2,11). Nei tre doni i Padri hanno sempre visto simboleggiati la regalità, la divinità e la mortalità di nostro Signore.

 

SacroCuore/gennaio 2003

 

 

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