MOSE’ EB.MOSHEH(“tolto[salvato dalle acque]”)

 

 

 

Furioso perché gli Israeliti adorano il vitello d’oro, Mosè spezza le tavole della Legge

(due pannelli dal salterio di Ingeborga del XIII secolo).

 

Mosé, uno dei più importanti personaggi . dell'Antico Testamento, era un uomo schivo e modesto, che cercava di restare nell'ombra. Ma quando il Signore lo scelse perché riscattasse gli Israeliti dalla dura servitù in terra d'Egitto, questo eroe riluttante rivelò il coraggio, la tenacia e la forza morale richiesti per forgiare una nazione da un'indisciplinata orda di schiavi diffidenti che avevano dimenticato il loro passato patriarcale e perso ogni senso della comunità. Sebbene avesse mostrato più di una volta le manchevolezze del suo carattere, Mosè fu il capo spirituale di quel popolo a cui Dio, sul monte Sinai, diede la Legge che avrebbe guidato Israele nel corso dei secoli.

Tutto ciò che sappiamo di Mosè è contenuto nella Torà o Pentateuco - i primi 5 libri della Bibbia - e in pochi altri riferimenti sparsi qua e là nell'Antico Testamento. Non viene citato in nessun'altra fonte importante al di fuori delle Scritture, come nemmeno l'Esodo, la migrazione degli Ebrei da lui guidata. Tuttavia è la personalità di Mosè che unisce Israele per tutta la sua storia, perché egli ricopre molti ruoli fondamentali nella coscienza nazionale: legislatore, condottiero e capo politico, profeta e fondatore della religione della nazione.

Mosè era nato da un levita di nome Amram e da sua moglie Iochebed qualche tempo dopo l'ascesa al trono egiziano di un faraone assai preoccupato per il numero dei discendenti di Giuseppe e dei suoi fratelli che vivevano nel suo regno. In quanto al popolo israelita, il faraone disse: «Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti; altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese» (Es 1,10). Dapprima, il re d'Egitto inasprì il peso del lavoro degli Israeliti, ma essi prosperavano ancora. Quindi, ordinò a due levatrici ebree di uccidere ogni figlio maschio al momento della nascita, ma le donne gli disobbedirono. Infine, poco prima della nascita di Mosè, il sovrano egiziano emise l'infame editto: «Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei lo getterete nel Nilo» (Es 1,22).

 

DESTINATO ALLA GRANDEZZA

La madre di Mosè riuscì a tenerlo nascosto finché ebbe tre mesi, ma poi fu costretta ad abbandonarlo in una cesta di giunchi tra i canneti lungo le rive del Nilo. Sua sorella Maria, rimasta di guardia nei pressi, vide che il piccolo veniva salvato da una figlia del faraone, che lo adottò e lo crebbe come un membro della famiglia reale egiziana. Maria riuscì poi a fare assumere Iochebed come nutrice del bambino. E alquanto significativo ricordare che anche altri grandi eroi nazionali del Medio Oriente antico, come Sargon di Accadia e Ciro II di Persia, sarebbero stati salvati da piccoli in un cesto lasciato a galleggiare nelle acque. Molto probabilmente queste storie folcloristiche, delle quali ci sono giunti più di 30 esempi, intendevano prefigurare la carriera di un individuo che un giorno avrebbe avuto a che fare con eventi carichi di presagi. Nel caso di Mosè, è evidente l'intervento divino che dirige il futuro di Israele. In realtà, il nome stesso Mosè, popolarmente interpretato nella forma ebraica come "tolto dalle acque", potrebbe significare più esattamente che sarebbe venuto il giorno in cui Mosè avrebbe "tolto" il suo popolo dalla schiavitù in Egitto.

Le Scritture non dicono nulla della fanciullezza e adolescenza di Mosè, ma possiamo ragionevolmente presumere che ricevette la migliore istruzione: lettura, scrittura, uso delle armi, equitazione, che lo fecero diventare un nobile egiziano sotto tutti gli aspetti. Questa formazione rigorosa potrebbe averlo ben preparato ai futuri scontri con i suoi avversari egiziani.

Eppure, da adulto, Mosè non dimenticò le sue origini. Un giorno, quando aveva circa 40 anni, gli capitò di vedere un egiziano che frustava un ebreo. Preso dall'ira, uccise quel compatriota adottivo e ne seppellì il cadavere sotto la sabbia. Il giorno seguente intervenne in una disputa tra due israeliti, uno dei quali gli rispose: «Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'egiziano?» (Es 2,14). Mosè rimase sconvolto, rendendosi conto che il suo crimine era stato scoperto, e fuggì verso la terra di Madian, nel deserto del Sinai, proprio mentre il faraone decideva di punirlo con la morte.

Fedele al suo carattere, Mosè, appena arrivato nella terra di Madian, prese le difese dei più deboli, scacciando alcuni pastori che molestavano le 7 figlie di un sacerdote del posto, di nome Ietro. Riconoscente, costui diede al coraggioso fuggiasco sua figlia Zippora in moglie. E così Mosè, presumibilmente allevato nel lusso, diventò un umile pastore. In quanto discendenti di Abramo e della sua seconda moglie, Chetura, i Madianiti erano parenti alla lontana degli Israeliti. E il Signore in quel momento scelse un posto sacro dei Madianiti, «il monte di Dio» (Es 3,1), conosciuto anche come Sinai od Oreb, per rivelare se stesso e il suo disegno per la liberazione degli Israeliti.

Dopo la fuga di Mosè, il faraone morì, ma il nuovo sovrano - forse il Ramsete II della storia - impiegò ancora più duramente gli Ebrei per realizzare i suoi ambiziosi progetti edilizi. Impietosito dall'oppressione del popolo eletto, il Signore si manifestò a Mosè nel deserto sotto forma di fuoco che ardeva all'interno di un roveto senza consumarlo. Incuriosito dal fenomeno, il solitario pastore si avvicinò, ma si arrestò sentendosi chiamare per nome. Colui che parlava, Dio, gli ingiunse di togliersi i calzari, come in antico era d'uso ogni volta che una persona entrava in un luogo sacro. Mosè, che in precedenza non aveva mostrato particolare pietà o interesse per le questioni religiose, si spaventò e si coprì il volto quando il Signore disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6). Secondo la credenza popolare, vedere direttamente la divinità significava morire.

 

SEGNI DA PARTE DI DIO

La sconvolgente dichiarazione non evitò che Mosè resistesse al comando di Dio di liberare gli Israeliti e di guidarli fuori dall'Egitto e attraverso l'aspro deserto della penisola del Sinai fino in Canaan. Profondamente umile e privo di ambizione, Mosè rispose che non era adatto per una simile responsabilità, non conosceva poi il nome del Signore e non sarebbe stato capace di convincere gli Ebrei a seguirlo. Dio rispose che Mosè avrebbe dovuto spiegare di essere stato mandato da «Io sono colui che sono!» (Es 3,14), un'espressione che in ebraico ha assonanze con il sacro nome israelita di Dio, Yahweh. Poi il Signore diede a Mosè segni del potere divino: egli sarebbe riuscito a trasformare il suo bastone da pastore in un serpente e di nuovo in bastone, e, ancora, gli fece vedere che la sua mano si copriva di lebbra e quindi tornava monda; se necessario, avrebbe trasformato l'acqua del Nilo in sangue.

Tuttavia l'esule era ancora incerto, adducendo che mancava dell'eloquenza necessaria, poiché era «impacciato di bocca e di lingua» (Es 4,10). Esasperato, il Signore concesse che Aronne, il fratello maggiore di Mosè che viveva ancora in Egitto, gli facesse da portavoce.

E così Mosè accettò, e intraprese il viaggio di ritorno verso l'Egitto con la sua famiglia, portandosi appresso il bastone da pastore con il quale avrebbe compiuto prodigi davanti al faraone. Aronne, avvertito dal Signore, venne incontro al fratello nel deserto. La loro missione era cominciata.

Gli inizi furono disastrosi. Dopo aver convinto gli anziani di Israele che egli era proprio l'inviato di Dio, Mosè si recò dal faraone e gli disse: «Il Dio degli Ebrei si è presentato a noi. Ci sia dunque concesso di partire per un viaggio di tre giorni nel deserto e celebrare un sacrificio al Signore» (Es 5,3). Il monarca egiziano, che si considerava una divinità tra i molti dei contemplati dalla religione di stato ufficiale, rispose ironico di non aver mai sentito parlare di un Dio di Israele. Sospettando che la richiesta di Mosè fosse un trucco per una fuga definitiva, ordinò che gli Ebrei riprendessero il lavoro. Anzi, accrebbe le loro fatiche, aumentando la quantità di mattoni che dovevano fabbricare e decretando che, da allora in poi, avrebbero dovuto cercarsi da soli la paglia necessaria per impastarli invece di servirsi delle riserve dello stato. Quando gli Ebrei, comprensibilmente, si rivoltarono contro Mosè, egli si rivolse disperato a Dio: «Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato?» (Es 5,22). Con un'affermazione senza precedenti, Dio rinnovò la sua promessa di redenzione e Mosè la riferì poi al suo popolo. Ma essi non vollero ascoltarlo, «perché erano all'estremo della sopportazione per la dura schiavitù» (Es 6,9).

 

PIAGHE SUGLI EGIZIANI

Ispirati da Dio, i due anziani, ma ancora vigorosi fratelli, l'ottantenne Mosè e l'ottantatreenne Aronne, sfidarono il faraone a corte, chiedendogli di lasciar partire il loro popolo. Il Signore aveva già rivelato che il faraone non avrebbe acconsentito. «Ma io indurirò il cuore del faraone», aveva spiegato, rendendo necessario il compimento «di grandi castighi» (Es 7,3;4). Anche dopo una sfida, durante la quale Aronne manifestò poteri soprannaturali per sconfiggere i facili trucchi dei maghi egiziani, il faraone fu irremovibile. Allora Dio colpì l'Egitto con una serie di piaghe, dieci in tutto. Laprima, che mutò tutte le acque del Nilo in sangue, colpì al cuore la nazione, perché il fiume era fonte di vita e di fecondità. Sebbene la Bibbia registri l'intervento di Dio, questa piaga e le altre otto che seguirono - rane, zanzare, mosconi, peste del bestiame, ulcere, grandine, cavallette, fitte tenebre diurne - riflettono altrettanti fenomeni naturali comuni nel Medio Oriente. Per esempio, le acque del Nilo appaiono spesso rossastre durante la grande piena estiva per la presenza di particolari microrganismi e di particelle di terra rossa in sospensione.

La peste del bestiame potrebbe esser stata l'antrace, provocata dai mosconi del flagello precedente. In primavera, nella valle del Nilo, un potente vento caldo conosciuto come khamsin può letteralmente oscurare l'aria con polvere e sabbia portata dal deserto.

A poco a poco, questi eventi terribili che si susseguivano, ma non colpivano mai gli Ebrei, portarono gli Egiziani alla disperazione e piegarono l'intransigenza del faraone. Egli acconsentì a lasciar partire gli Israeliti, ma non le loro greggi. Il Signore non era soddisfatto.

Come aveva predetto per rivelare il suo invincibile potere, Dio preparò l'ultima e più terrificante piaga: a mezzanotte del 14 di Nisan, il primo mese del calendario ebraico, ogni primogenito di uomini e animali sarebbe morto.

Gli Israeliti ricevettero le opportune istruzioni per salvare i loro figli e il loro bestiame, sacrificando un agnello senza difetto la sera prima e segnando con il suo sangue gli stipiti e l'architrave della porta di ogni casa, così il Signore sarebbe passato oltre durante la sua missione punitiva. Il loro atto di obbedienza sarebbe stato ricordato nella festa di Pasqua della nuova nazione. Il comando di Dio per Mosè e Aronne era esplicito: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore; di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).

A mezzanotte in punto, il Signore colpì a morte tutti i primogeniti nel paese d'Egitto, compreso il figlio del faraone. Atterrito, questi convocò Mosè e Aronne prima dell'alba e ingiunse loro di lasciare immediatamente il paese insieme a tutto il loro popolo, il loro bestiame e le loro greggi. A causa della partenza così improvvisa, gli Ebrei non riuscirono a far lievitare la pasta per il pane di quel giorno: secondo il racconto biblico, questo episodio è all'origine della festa ebraica degli Azzimi, che dura 7 giorni e ha inizio con la Pasqua.

 

VERSO LA TERRA PROMESSA

Dopo 430 anni trascorsi in un paese straniero, gli Israeliti si misero in viaggio verso la loro patria spirituale, in Canaan. Il libro dell'Esodo afferma che si misero in marcia 600 000 uomini, oltre alle donne e ai bambini. Dal momento che tale cifra porterebbe a un totale di circa due milioni e mezzo di persone, alcuni ritengono che sia esagerata. Secondo gli studiosi di linguistica, il termine tradotto in questo passo come "mille" potrebbe significare anche "clan"; 600 clan, o unità tribali, potrebbero dare un totale di 15 000-20 000 persone che presero parte alla fuga. Quale che fosse il loro numero, gli esuli dovettero affrontare molti pericoli, rappresentati anzitutto dalle truppe egiziane di stanza nelle fortezze di confine e allertate proprio per impedire la loro fuga, e successivamente dalle popolazioni ostili incontrate lungo il tragitto nel deserto verso Canaan. Dio guidò il popolo eletto attraverso quel difficile cammino, sotto forma di una colonna di nubi durante il giorno e di fuoco durante la notte.

Alla fine, gli Israeliti si trovarono intrappolati tra l'esercito egiziano che li inseguiva e una massa di acque, detta in ebraico Mar delle Canne. Probabilmente si trattava di una delle tante zone paludose a nord del golfo di Suez, un prolungamento del Mar Rosso secondo la denominazione usata nelle traduzioni della Bibbia ebraica. Nel frattempo gli Egiziani si erano pentiti per la perdita dei loro schiavi e volevano riportarli indietro. Il faraone li inseguì con le sue milizie e i suoi carri da guerra.

Ovviamente, quando gli Ebrei si resero conto di essere inseguiti dalle forze del faraone si impaurirono, persero la fede e biasimarono Mosè per la loro situazione: «E meglio per noi servire l'Egitto che morire nel deserto!» (Es 14,12).

Allora il Signore disse a Mosè di stendere il, suo bastone da pastore sopra il mare. Allorché la colonna di nubi si interpose, nascondendogli Ebrei ai loro inseguitori, come fosse notte, un forte vento da oriente risospinse indietro le acque, formando un sentiero di terra asciutta tra due muraglie di acque. Gli Israeliti si precipitarono verso la salvezza, mentre i pesanti carri dei loro inseguitori rimasero impantanati nel fondo melmoso. Verso l'alba, Mosè seguì il comando divino di stendere la mano sul mare e liberare le acque. I cavalieri, i cavalli e i fanti del re furono sommersi dalle onde.

Mosè e gli Israeliti, presi da gioia incontenibile, cantarono uno dei salmi più solenni riportati nelle Scritture, che comincia con i famosi versetti: «Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere» (Es 15,1).

Anche se scritto in prima persona, il cantico non cita mai il nome di Mosè. Egli voleva mettere in chiaro che soltanto Dio aveva il merito delle vittorie e dei successi di Israele, rifiutando decisamente di farsi idolatrare come oggetto di eccessiva esaltazione.

 

MANNA DAL CIELO

Tuttavia Mosè continuò ad agire personalmente come strumento terreno della grazia e del potere di Dio, soprattutto quando la fede degli Ebrei veniva meno. Quando si lamentarono che l'acqua nel deserto era amara, il Signore disse a Mosè di gettarvi dentro un tronco e l'acqua divenne fresca e dolce. Allorché protestarono dicendo che sarebbe stato meglio per loro se fossero rimasti in Egitto, dove il cibo era delizioso, Mosè riferì la promessa di Dio che presto uno stormo di quaglie si sarebbe abbattuto sull'accampamento e che un cibo dolce come il miele, la manna, si sarebbe potuta trovare in abbondanza sul terreno dopo la rugiada del mattino ogni giorno, eccetto il sabato. In seguito, mentre si addentravano nel deserto, le riserve d'acqua vennero nuovamente a mancare e ricominciarono le solite mormorazioni: il Signore, allora, diede ordine a Mosè di percuotere la roccia con il suo bastone e ne scaturì acqua dolce in abbondanza.

Nel terzo mese del loro viaggio, gli Israeliti raggiunsero il monte Sinai, il luogo scelto dal Signore per lo scopo ultimo della loro liberazione dall'Egitto: stringere un'alleanza che fosse il fondamento etico e religioso della nazione di Israele. Da allora in poi, per sempre, il popolo avrebbe dovuto mantenere la fede in un solo Dio e si sarebbe impegnato a osservare i suoi comandamenti. Scendendo dal cielo sulla montagna, Dio si manifestò nel fumo e nel fuoco, in mezzo al fragore del tuono, al terremoto e a un suono fortissimo di tromba. Gli Ebrei erano spaventati, mentre Mosè saliva in cima all'aspro picco del deserto per ricevere la summa di ogni condotta morale, ovvero il ben noto Decalogo, i Dieci Comandamenti. Il primo comandamento è la base da cui derivano tutti gli altri: «Non avrai altri dei di fronte a me» (Es 20,3). Questo e i due comandamenti che seguono stabiliscono i rapporti dell'umanità con il Signore; gli altri sette riguardano le relazioni tra gli uomini.

Dopo essere disceso dal monte per riferire al popolo gli ordini del Signore, Mosè tornò sulla vetta e vi rimase segregato in comunione con Dio per 40 giorni e 40 notti. Gli furono comunicati i particolari di norme religiose e morali, e le istruzioni per costruire un santuario con tutte le sue suppellettili, compresa l'arca sacra dell'alleanza. Ricevette anche descrizioni dettagliate in proposito dei compiti e dei rituali riservati ai sacerdoti per istituire un culto degno del Signore; Aronne e i suoi figli sarebbero stati la prima generazione della casta sacerdotale dei leviti.

 

SFIDA CONTRO L'ALLEANZA DI DIO

Nel frattempo, gli Israeliti avevano perso ancora una volta la fede nel loro capo e nel loro Dio. Affermando che Mosè era scomparso, insistettero con Aronne perché facesse loro un Dio visibile che li guidasse, un vitello modellato con l'oro dei loro monili. Forse il fratello di Mosè pensava che quell'immagine fosse solo un simbolo del potere terreno del Signore, tuttavia ciò sfidava apertamente il secondo comandamento: «Non ti farai idolo ne immagine alcuna» (Es 20,4). Sul monte Sinai, Dio riferì a Mosè quanto stava accadendo e, irritato, decise di distruggere gli ingrati, ma il loro capo intercedette, ricordando al Signore la sua promessa di fare una grande nazione dal seme di Abramo, Isacco e Israele. Dio si placò.

Portando due tavole di pietra incise su entrambi i lati con leggi «scritte dal dito di Dio» (Es 31,18), Mosè scese verso l'accampamento israelita, dove trovò il suo popolo infedele che cantava e ballava attorno al vitello d'oro, celebrando entusiasta la sua rottura dell'alleanza con il Signore.

Preso dall'ira, Mosè ruppe le tavole della Legge, che erano simbolo dell'alleanza ormai infranta. Poi bruciò il vitello e lo ridusse in polvere, che fece trangugiare a forza con acqua agli Israeliti. Mandò quindi i leviti rimasti fedeli per l'accampamento affinché punissero tutti i colpevoli; quel giorno circa 3000 peccatori morirono. Dopo la terribile punizione, il Signore mandò un flagello per castigare vieppiù il suo popolo. Infine, allontanò la sua presenza dall'accampamento, mandando un angelo per guidarli verso Canaan al suo posto. Significativamente, prima della sua apparizione sul Sinai, Dio aveva pazientemente sopportato le lamentele degli Israeliti; ma dopo, considerando che si erano impegnati con lui tramite l'alleanza stabilita sul monte, il Signore cominciò a risentirsi delle loro recriminazioni e prontamente punì le ribellioni contro la sua Legge e l'autorità di Mosè.

In questa occasione, cedendo ancora una volta alle suppliche del fedele Mosè, Dio acconsentì a perdonare il popolo israelita per la sua idolatria. Ordinò al suo prescelto di portare in vetta al monte Sinai altre due tavole di pietra tagliata e nuovamente gli dettò i termini dell'alleanza e i Dieci Comandamenti, che Mosè scrisse. Questa volta, quando egli scese a valle, il popolo rimase stupito perché il suo volto era raggiante; era talmente trasfigurato dal riflesso della gloria di Dio che dovette velarsi il volto per non incutere timore a quelli che si accostavano a lui per ascoltare il suo messaggio.

Poi, seguendo le istruzioni divine, Mosè diresse la costruzione del primo santuario dell'alleanza della nazione di Israele. Una volta che fu accuratamente costruito e riccamente addobbato, il santuario ospitò l'arca sacra e le tavole dei Comandamenti: quella struttura sarebbe stata il simbolo della presenza costante del Signore in mezzo al suo popolo, «perché la nube del Signore durante il giorno rimaneva sulla Dimora e durante la notte vi era in essa un fuoco, visibile a tutta la casa d'Israele, per tutto il tempo del loro viaggio» (Es 40,38). In alcuni passi del testo biblico, sembra che il tabernacolo sia sinonimo della cosiddetta "tenda del convegno", che era eretta fuori dei confini dell'accampamento. Lì il Signore appariva a Mosè per dargli istruzioni o ascoltare suppliche. In altri momenti, la tenda e il tabernacolo sono presentati come strutture diverse.

Poco dopo aver lasciato l'Egitto, la potenza del Signore si manifestò in maniera eclatante quando il popolo fu attaccato da una fiera tribù del deserto, gli Amaleciti. Molto probabilmente, quella popolazione seminomade vedeva gli Ebrei come intrusi, che potevano competere per le scarse risorse di cibo, di acqua e di pascoli. Sotto la guida dell'aiutante di campo di Mosè, Giosuè, gli Ebrei combatterono con grande coraggio. Miracolosamente, essi dominavano la battaglia fintante che Mosè, il quale assisteva dall'alto della vicina collina, teneva le braccia alzate. Quando le forze lo abbandonavano e, vinto dalla stanchezza, abbassava le braccia, le sorti della battaglia cambiavano. Infine Mosè si sedette su una grossa pietra e gli furono tenute le braccia alzate fino al tramonto del sole, allorché Giosuè riportò la vittoria.

 

DUBBI E PAURE

Gli Israeliti tendevano a dimenticare con estrema leggerezza ogni intervento divino. Nei successivi 40 anni, mentre le tribù vagavano nell'aspro e implacabile deserto del Sinai, Mosè dovette affrontare continui attacchi alla sua autorità e alla religione nazionale. Il popolo diventava sempre più insofferente verso quel viaggio e cercava di darsi un nuovo capo. La debolezza degli Ebrei e la loro mancanza di fede divennero chiaramente e drammaticamente evidenti quando Mosè mandò 12 esploratori a fare una ricognizione nella terra di Canaan. Intanto che gli Israeliti erano accampati ai confini della terra promessa da Dio da generazioni, 10 degli inviati tornarono con un messaggio ambiguo: «E davvero un paese dove scorre latte e miele [...] Ma il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e immense» (Nm 13,27-28). Subito il popolo si perse d'animo e cominciò a borbottare che sarebbe stato meglio tornare in schiavitù in Egitto piuttosto che essere uccisi lì. Gli altri due esploratori, però, Giosuè e Caleb, cercarono di rincuorare i compagni, affermando che Dio era dalla loro parte. Quando i due coraggiosi giovani stavano per essere lapidati, apparve il Signore e, nella sua collera, decise di spazzar via l'infedele popolo israelita con un'epidemia.

Mosè intercedette di nuovo e il Signore acconsentì a perdonare il suo popolo recalcitrante ancora una volta, ma a caro prezzo: nessuno di coloro che avevano più di 20 anni, eccetto Giosuè e Caleh, sarebbe vissuto abbastanza da entrare nella Terra Promessa.

In tutte le circostanze difficili, Mosè non esitò mai a intercedere presso Dio, anche quando era a rischio la sua stessa posizione. Una volta, Core, cugino di Mosè, chiese una parte uguale di autorità religiosa per sé e per i suoi seguaci. La sfida di costoro fu punita in modo esemplare e terribile dal Signore, che fece inghiottire da una voragine i ribelli e le loro famiglie. Dio avrebbe voluto addirittura distruggere l'intero accampamento, risparmiando soltanto Mosè e Aronne. «Dio, Dio degli spiriti di ogni essere,vivente! Un uomo solo ha peccato e ti vorresti adirare contro tutta la comunità?» (Nm 16,22). In un'altra occasione, stanchi per un giro particolarmente spossante attorno alla terra di Edom, gli Ebrei protestarono con tanto risentimento che il Signore li punì con il flagello dei serpenti velenosi. Quando Mosè intercedette ancora, il Signore placò la sua ira e offrì un rimedio: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita» (Nm 21,8). Nel secondo libro dei Re (18,4), si dice che l'immagine rimase nel tempio di Gerusalemme fino alI'VIII secolo a.C., quando re Ezechia la fece distruggere perché il popolo commetteva peccato offrendo sacrifici davanti a essa.

Nel frattempo, attraverso tutte le ribellioni e le mormorazioni, gli anni dell'esilio gradualmente irrobustivano gli Israeliti, forgiando una nazione da una massa amorfa di ex schiavi provati duramente dall'avversità e dalle loro stesse debolezze umane. In tutto questo, com'è ovvio, il Signore era direttamente coinvolto e interveniva ora castigando ora proteggendo il suo popolo. Secoli dopo, vari profeti dell'Antico Testamento si diedero a meditare su quel periodo, che videro come il tempo dell'unità nazionale, di un'impareggiabile intimità con il Signore, di devozione alla religione e alla Legge, e di fede sicura in un comune destino. Mosè, in realtà, seppe approfittare di quei decenni per insegnare al suo popolo come provvedere a se stesso quando lui non ci sarebbe più stato.

Non era geloso della sua autorità personale e seppe preparare la nazione per il futuro, nominando 70 anziani. Egli stesso chiese al Signore di indicare il suo successore; la scelta di Giosuè significava che la capacità, e non i legami di sangue, doveva essere il criterio per eleggere i futuri capi, anche se il sacerdozio era un ufficio ereditario nella famiglia di Aronne.

 

LA TERRA PROMESSA NEGATA

Nonostante tutto il suo impegno etico e civile, però, Mosè non attraversò mai il Giordano e non entrò nella terra della promessa. La spiegazione comunemente accettata si rifà a una storia di difficile interpretazione che potrebbe mostrare un Mosè insolitamente meno pronto a credere. In una delle molte occasioni nelle,quali gli Israeliti si ribellavano al loro destino nel deserto, soprattutto per la mancanza d'acqua, il Signore ordinò a Mosè di impugnare il suo bastone da pastore e comandare alla roccia di far sgorgare acqua. Forse con uno scatto d'ira, il legislatore si accostò alla roccia, si voltò verso il popolo, mentre Aronne stava alle sue spalle, ed esclamò: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?» (Nm 20,10). Poi colpì la roccia due volte con il bastone, e l'acqua sgorgò. Immediatamente il Signore dichiarò: «Poiché non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete questa comunità nel paese che io le do» (Nm 20,12). Sembra, quindi, che Mosè sia stato punito per aver parlato con tanta rabbia, per non avere detto chiaramente che Dio era l'autore del miracolo e per aver battuto la roccia come se lui stesso avesse avuto il potere soprannaturale di farne scaturire l'acqua.

Sentendosi prossimo alla morte, all'età di 120 anni, ma con la vista e le forze fìsiche ancora intatte, Mosè implorò Dio di perdonarlo e di concedergli di entrare nella Terra Promessa.

Ma il capo che tante volte era riuscito a intercedere per salvare il suo popolo non ebbe successo quando cercò di farlo per se stesso. Il Signore fu irremovibile: «Basta, non parlarmi più di questa cosa. Sali sulla cima del Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente e contempla il paese con gli occhi; poiché tu non passerai questo Giordano» (Dt 3,26-27). Prima di salire a contemplare con rammarico la terra di Canaan, Mosè fece tre lunghe esortazioni agli Israeliti, ricordando i 40 anni delle loro traversie e dei loro trionfi nel deserto, da quando erano usciti dall'Egitto, e ripetendo i punti fondamentali della Legge che aveva portato loro dal Sinai.

Poi salì sulla cima del Pisga o del Nebo, vette che si trovano entrambe in una catena montuosa di Moab che si innalza vicino a Gerico e costeggia la valle del Giordano. Con il Signore al suo fianco, osservò a lungo il vasto panorama della terra generosa che attendeva il suo popolo, tanto provato dalla sofferenza. I geografi odierni saprebbero descriverci quella visione che spazia dal Mare di Galilea a nord, fino all'estremità meridionale del deserto della Giudea, dal Mediterraneo a ovest fino alla valle del Giordano e del Mar Morto a est.

Maria e Aronne, i suoi fratelli, avevano già preceduto Mosè nella morte; il grande legislatore di Israele morì e fu sepolto dal Signore in una tomba segreta, da qualche parte, in una valle di Moab. Dio non rivelò il luogo della sepoltura perché gli Israeliti non commettessero l'errore di trasformarlo in un luogo di culto. In realtà, l'epitaffio per Mosè e l'espressione migliore della tradizionale venerazione del popolo ebraico per lui e per quanto aveva fatto figurano alla fine di tutto il Pentateuco: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè – lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia - per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere» (Dt 34,10-11).

 

AL FIANCO DI GESÙ

Per i cristiani, Mosè - citato nel Nuovo Testamento più spesso di qualsiasi altro personaggio dell'Antico Testamento - è sovente un simbolo del contrasto tra il giudaismo tradizionale e gli insegnamenti di Gesù. A volte, gli scrittori del Nuovo Testamento fanno paragoni con Mosè per spiegare la missione di Gesù. Nel libro degli Atti, per esempio, il rifiuto di Mosè da parte degli Ebrei, quando adorarono il vitello d'oro, è comparato con il loro ultimo rifiuto di Gesù. L'autore del Vangelo di Giovanni argomenta che chiunque accetti l'operato di Mosè deve logicamente accettare il ministero di Gesù e riferisce poi una conversazione durante la quale Gesù fa osservare ai suoi discepoli che fu Dio e non Mosè a dare la manna nel deserto. Per contrasto, Gesù proclama: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,35).

Tra i fatti più memorabili del ministero di Gesù è l'episodio, ricordato in tutti e tre i Vangeli sinottici, in cui Cristo prese i tre discepoli che gli erano più vicini «e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1). Lì si trasfigurò e il suo volto brillò come il sole e i suoi attoniti discepoli lo videro conversare insieme a Mosè e al profeta Elia. Quando quella visione svanì, Gesù ordinò ai tre discepoli «di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti» (Mc 9,9).

La gran parte dei riferimenti a Mosè inclusi nel Nuovo Testamento richiamano il suo ruolo di guida della nazione e di legislatore, spesso fonte di specifiche restrizioni o precetti. E presentato come il precursore di Gesù nell'unica e ininterrotta storia del rapporto di Dio con l'umanità, con la quale interagisce attraverso i secoli. Gesù è poi presentato come il compimento a lungo atteso della promessa divina fatta a Mosè nell'alleanza stretta sul monte Sinai.

 

Indietro