Scrittura & Preghiera

 

 

 

 

 

 

 

 

Salmo 23

Salmo 50

Salmo 62

Salmo 3

Salmo 4

 

 

 

 

 

 

 

 

SALMO 23

 

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

 

Questo salmo è forse il più famoso e amato fra tutti, ed è stato composto da Davide, "il soave cantore di Israele".

 

Il salmo lo abbiamo cantato tantissime volte nella liturgia delle Messe domenicali o feriali, ed esprime la gioia serena, fiduciosa di un'anima che ha trovato la pace della mente e del cuore nella sua unione contemplativa con Dio, eppure forse non lo conosciamo.

 

Nei molti anni in cui Davide si era preso cura delle pecore, aveva imparato che questi animali indifesi richiedevano un'attenzione particolare, continua, in una terra dove le belve selvatiche vagavano liberamente e pecore e agnelli erano facile preda anche di animali di modeste dimensioni (non scordiamo che stiamo parlando di un periodo di migliaia di anni fa): così egli ha applicato questa conoscenza al nostro rapporto con Dio.

 

Ecco perché il salmo 23 è chiamato il "salmo del pastore", perché parla di un pastore, anzi del Signore sorto a immagine del pastore, e ne sviluppa il simbolo.

 

Non solo, dal v.5 in avanti è delineata un'altra immagine, quella dell'ospite che invita a cena: "Davanti a me tu prepari una mensa...".

Quindi due sono i simboli: il pastore e colui che ci invita a cena trattandoci regalmente e facendoci stare con sé.Tanto da esprimere ottimamente la tensione spirituale, psicologica, umana e teologica del testo, riassumendo tutto con un'espressione di grande fiducia: "Tu sei con me".

 

Cerchiamo ora di capire che cosa in pratica significa.

Dopo il titolo, vediamo di sottolineare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo. Sono due: il Signore e l'individuo, cioè colui che parla.

 

Le azioni attribuite al Signore sono nove: egli è il mio pastore; mi fa riposare; mi conduce; mi rinfranca; mi guida; è con me; mi dà sicurezza; prepara una mensa; cosparge di olio. Nove designazioni che indicano la cura, la premura, l'attenzione, espresse con metafore, con parabole, con simboli: esse definiscono il Signore come colui che si prende cura di ognuno.

 

 

Di fronte a questo soggetto principale, c'é l'individuo che afferma di non mancare di nulla, di non temere alcun male, afferma che il calice trabocca; che sente la felicità e la grazia come compagne di vita, che vuole abitare nella casa del Signore. Come possiamo osservare si tratta di un dialogo affettuoso, fiducioso, familiare tra il Signore e l'individuo: che cosa è lui, che cosa fa per ognuno, che cosa gli diciamo. E' una preghiera semplicissima, che non chiede, in pratica nulla, non ringrazia, non loda, ma proprio per questo è ricchissima.

 

Rileggiamo ora le strofe dal punto di vista delle immagini, come se l'individuo fossimo noi stessi. Abbiamo già parlato delle due fondamentali: il pastore e l'ospite, cioè l'immagine del pascolo e l'immagine della convivialità, dell'ospitalità a mensa.

 

L'immagine del pastore, molto usata nella Bibbia fino al discorso di Gesù sul buon pastore, in Giovanni 10, viene specificata: "su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce". E' la sosta del gregge su pascoli verdi e presso acque tranquille. Chi è stato in pellegrinaggio in Palestina, sa come è difficile trovare un pascolo verde; quindi quando un pastore riesce a scoprirlo, egli è davvero la gioia del gregge; chi ha provato la sete del deserto (siete mai stati nel deserto del Negev?), può comprendere che cosa significa incontrare qualcuno capace di indicare dove c'é una sorgente d'acqua (oggi noi cercheremmo un bar), magari nascosta sotto le pietre.

 

Quindi il pastore del salmo sa fare sostare il gregge nei luoghi giusti. Inoltre sa far viaggiare: c'é infatti l'immagine del gregge in sosta su pascoli erbosi e c'é quella del gregge in movimento, guidato per sentieri giusti, per piste che portano a buon fine (similmente come le guide turistiche che portano a visitare il deserto). In questo viaggio si può anche "camminare in una valle oscura" (pensiamo per un istante al deserto di Giuda e alle sue valli pietrose, incassate, dirupate, molto pericolose se di notte ci si perde e se inciampando, si cade in qualche baratro!), il pastore del salmo sa guidare pure in una valle oscura, di notte.

 

Le immagini si moltiplicano: quella del bastone e del vincastro. Probabilmente per bastone si intende una mazza corta e adatta a difendere il gregge; il vincastro invece, è quello che oggi è il pastorale del Vescovo, un bastone lungo e ricurvo, su cui il pastore si appoggia, che serve per appendervi il sacco o per tastare il terreno, per tenere lontani i cani randagi. Una metafora molto pittoresca, che evoca tutto quanto il pastore fa per amore del suo gregge, per condurlo; ed è ciò che il Signore fa per ognuno.

 

Seguono le immagini conviviali: "davanti a me tu prepari una mensa". Figuriamoci di trovarci sotto una tenda (chi ha fatto campeggio se ne può rendere conto), su una stuoia stesa per terra, e su un tavolo basso vassoi con cibi succulenti, che si prendono con le mani, si mette un poco di focaccia in una salsa e vi si intingono bocconcini di carne; figuriamoci di godere ore e ore in questa cena in comune, fraterna e allegra. Non solo, prima che la cena abbia inizio, l'ospite che ha invitato cosparge di profumo, "cosparge di olio il capo", proprio come ha fatto Maria di Betania quando Gesù entra nella sua casa. Sulla mensa c'é anche una coppa, un calice traboccante di vino spumeggiante, che dà brio e vivacità.

Le immagini conviviali sfociano nell'immagine della casa del Signore: "abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni"; la tenda ospitale diventa, a un certo punto, il tempio, la casa di Dio (dove c'é accoglienza e amicizia, c' é Dio), dove si è veramente a casa.

 

Ma potremmo soffermarci anche su altre metafore.

Per esempio, che cosa significa "acque tranquille"? Evidentemente non soltanto pozze di acqua da cui si beve in pace e senza pericoli; in realtà, è evocato un cammino di pace, un cammino spirituale verso la pace interiore, dove ci si ristora alla fine di un viaggio pericoloso, irto di difficoltà (il mondo e l'efficienza materialistica).

 

E ancora, cosa significa "valle oscura, tenebrosa"? Non si tratta soltanto di un abisso dove non giunge la luce, dove la notte è fonda; nella psicologia della persona umana, è piuttosto la paura del buio,della morte, quella paura che affiora nella coscienza e che non si placa, a meno che non venga una voce dall'alto a portare parole di conforto.

Passando alla meditazione, riformuliamo la domanda iniziale pensando a noi: qual è il messaggio del salmista per me, per te, per noi tutti? Che cosa dice questa poesia religiosa oggi?

 

Cerchiamo ancora una volta le parole chiave del messaggio, che a mio avviso sono quattro:

- non manco di nulla;

- tu sei con me;

- mi dai sicurezza col tuo bastone e il tuo vincastro;

-         abiterò nella casa del Signore.

-          

Ecco il messaggio di fiducia: Signore, io non manco di nulla perché tu sei con me, mi dai sicurezza e abito nella tua casa. Cari fratelli e sorelle, per potere dire sul serio queste parole, è necessario chiederci su chi cadono, e la risposta al quesito per me è ovvia: cadono oggi su cuori sofferenti, sulle nostre ansietà, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze, sulle nostre miserie e debolezze umane che ci rendono schiavi di noi stessi.

Amen, alleluia,amen.

torna

 

 

 

 

 

SALMO 50

 

"Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo grande amore cancella il mio peccato.

Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.

Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha generato mia madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo mi insegni la sapienza.

Purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia; esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe, Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo Santo Spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostiene in me un animo generoso.

Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, Dio, mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode, poiché non gradisci il sacrificio e se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi.

Nel tuo amore fa grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l'olocausto e l'intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare".

 

Davide scrisse il salmo dopo che Natan, il profeta, lo aveva chiamato a rendere conto del suo adulterio con Betsabea e dell'omicidio del marito di lei (2Sam.11-12).

 

Pieno di angoscia, Davide si rivolge a Dio e implorandolo gli chiede misericordia, quell'amore particolare, pieno di dolcezza che è presente nel cuore di Dio e spalanca la porta della riconciliazione con lui. La misericordia è la capacità di Dio di "fare l'impossibile" per offrire il perdono, la salvezza e l'amore al peccatore pentito. Infatti è a questo amore speciale di Dio che Davide fa appello con successo, anche perché se non fosse stato consapevole di questa divina misericordia, avrebbe potuto rimanere schiacciato sotto l'immane peso della sua colpa.

 

Pochi salmi come questo sono serviti ad esprimere i sentimenti dell'essere umano peccatore davanti a Dio. Il riconoscimento del proprio stato di peccato segna l'inizio della conversione interiore. L'interiorità, luogo decisivo per l'uomo nel cammino verso la verità, è la capacità di rientrare in se stessi, di comprendere il senso delle azioni compiute e che si compiono, perché soltanto nell'intimo si possono valutare e giudicare.

 

E l'esperienza attesta che c'é un nesso inscindibile tra la conversione del cuore e la riconciliazione sociale e politica. Non ci può essere una vera, duratura, stabile riconciliazione sociale e politica tra gli uomini, i popoli, le nazioni senza una conversione del cuore (per meglio comprendere questa tematica, rileggere nella sezione meditazioni "L'amore di Dio" e "La salvezza").

 

Generazioni di essere umani (lo scrivente stesso) hanno trovato in esso la via che conduce alla casa del Padre, la grazia di una purificazione che non può venire se non dalla Parola di Dio e la gioia dell'amicizia con il Signore, La preghiera è di una ricchezza inesauribile e attraversa tutta la storia della Chiesa e della spiritualità: costituisce i gradini di una scala che ci porta verso l'alto, vi è in ognuno di essi una grazia soprannaturale che ci sospinge fuori dalle acque stagnanti del peccato verso un'atmosfera spirituale e divina, per farci respirare e vivere in quel modo nuovo che Dio ricrea attorno a noi man mano che lo invochiamo con le parole che egli stesso ci suggerisce.

 

Poche volte, il senso del peccato e della sua intima malizia ha trovato più adeguata espressione. Infatti il primo passo sulla strada della conversione è la conoscenza di sé, e Davide l'ha veramente raggiunta. Non si tratta di un dispiacere momentaneo di chi poi se ne va scordando quello che è successo. Si tratta, come potete ben comprendere, di quel profondo shock causato dalla effettiva conoscenza di se stessi; è lo shock della consapevolezza della propria responsabilità davanti a Dio e nei confronti del prossimo.

 

La prima parte del salmo è il riconoscimento di una situazione. Osserviamo i verbi, sono tutti all'indicativo ed espongono, sottolineano dei fatti: riconosco la mia colpa, contro di te ho peccato, sei giusto quando parli, nell'intimo mi insegni la sapienza.

La seconda parte esprime la supplica. Qui la preghiera cambia di tono e quasi tutti i verbi sono all'imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia, distogli lo sguardo, cancella, crea in me, non respingermi, non privarmi, rendimi la gioia, sostieni in me.

La terza parte tratta di un progetto per l'avvenire e i verbi sono al futuro: insegnerò, la mia lingua esalterà, gradirai.

 

I primi versetti ci introducono con queste parole: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo grande amore cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato". Ecco, vedete, il punto di partenza del cammino di conversione del cuore è dunque l'iniziativa divina di misericordia: Dio è sempre il primo a dare la mano, il piatto della bilancia pende sempre dalla parte della sua bontà. Inoltre si tratta di un'esplosione del sentimento che ogni peccato è un'offesa a Dio, una separazione e un allontanamento da lui, una condanna del peccatore e che Dio solo può purificare il colpevole e ridonargli la vita e la gioia serena della coscienza con l'effusione del suo Spirito (Vedi meditazione "La riconciliazione"), ricreando in lui una nuova esistenza. Emerge anche in questi primi versetti che la riparazione della colpa deve essere compiuta con un atto interiore di umiltà, di fiducia e di contrizione che risani il cuore (vedere in prossima pubblicazione la preghiera del perdono).

 

Ai vocaboli che indicano lo sbandamento dell'uomo, "peccato....colpe", fanno riscontro tre appellativi divini: "Pietà...misericordia...amore". Tutto ciò mette in evidenza che l'insistenza non è sull'uomo colpevole, sulla povertà di ciò che noi tutti siamo, ma è sull'infinità di Dio.

 

"Pietà di me, o Dio". Si chiede a Dio che sia per noi grazia , che prenda interesse a chi sta male, a chi si trova in difficoltà. Dio è l'essenza gratuità e quando diciamo che Egli non può avere alcun interesse a pensare a noi, a occuparsi di noi, riveliamo di avere un'idea falsa di Dio. Dio è felice e gode nel potere donare qualcosa a chi ha bisogno di essere sostenuto, a chi non si sente nessuno, a chi si sente in basso simile a un paria; vuole versare il suo valore in noi e non giudica il nostro.

 

"Secondo la tua misericordia". E' interessante osservare che l'espressione è appunto: secondo la tua misericordia, non "nella tua misericordia" o "perché sei misericordioso". La preghiera ci indica la proporzione infinita della misericordia divina, che l'uomo intuisce senza comprenderla. Sappiamo però che si fa più tenera quando siamo deboli, fragili, peccatori, incostanti, e forse pensiamo che Dio ha ragione a non ricordarsi di noi.

 

"Nel tuo grande amore". Il versetto è profondamente materno e designa la capacità di immedesimarsi in una situazione così da viverla nella propria carne, da soffrirne o goderne di cosa propria. Questo attributo di Dio può essere un poco capito da chi ha amato un'altra creatura con un amore totale, viscerale, coinvolgente, appassionato e per sempre. Potremmo quasi tradurre: "secondo la tua grande passione per l'uomo, abbi misericordia, o Dio".

Queste tre invocazioni e attribuzioni ci danno il tono del salmo 51 (Miserere) che è un inno ad incontrare Dio così com'é; ci invita anzitutto ad avere una giusta idea del volto di Dio.

 

Il riconoscimento della colpa. "Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto......Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo mi insegni la sapienza". Dopo avere considerato le tre attribuzioni di Dio, ci soffermiamo sui tre soggetti che vengono presentati in azione. Il soggetto che appare più di frequente è la stessa persona: l'io. Io riconosco la colpa, io ho peccato contro di te, io ho fatto quello che è male. Un altro soggetto, in terza persona, è il peccato (personale, sociale o collettivo). Il peccato e la realtà del peccato in cui l'uomo si sente inserito: nel peccato sono stato generato, nella colpa mi ha generato mia madre. Il terzo soggetto dell'azione, quello determinante, la chiave per capire tutto il significato del brano è il "Tu".

 

C'é quindi l'io che riconosce, c'é una determinazione generale della situazione di colpa, c'é il Tu che è il punto focale: Tu vuoi la sincerità del cuore, Tu nell'intimo mi insegni la sapienza. Nel testo ebraico l'espressione "Tu vuoi la sincerità del cuore" è più difficile: "Tu ami la verità nell'oscuro", cioè Tu ami la verità, che è la luce, anche là dove l'uomo è perduto nei meandri della sua coscienza. "Tu mi insegni la sapienza nel segreto". La sapienza è una delle realtà più alte e più profonde dell'Antico Testamento: essa è ordine, proposizione,luminosità, calore creativo, progetto divino di salvezza.

 

Ecco la chiave della prima parte del salmo; Dio, nella sua iniziativa di amore e misericordia, proietta nell'oscurità della psiche di ognuno, nel profondo della coscienza, la luce del suo progetto. Così facendo ci porta a scoprire la verità su noi stessi, ci dà respiro, ci aiuta a coglierci rispetto a ciò che siamo chiamati a essere, a ciò che avremmo dovuto essere, a ciò che possiamo essere con la sua grazia.

 

La verità e la sapienza di Dio sono luce autentica, benefica, amichevole che, entrando nelle pieghe dell'anima dove neppure noi stessi ci rendiamo conto di ciò che succede, ci istruisce e ci sospinge alla sincerità e all'autenticità di quello che veramente siamo.

 

Ora, se abbiamo inteso, almeno un poco, la forza di queste parole, possiamo meglio leggere quelle che si trovano poco sopra: "Contro di te, contro te solo ho peccato". Cioè, ho fatto ciò che non va davanti a te. E a prima vista ci pare strana questa espressione, se ben ci pensiamo, soprattutto se la riferiamo a colui che, storicamente, è ritenuto l'emblema della vicenda raccontata nel salmo, ossia Davide e al suo peccato. Altro, si direbbe, che peccare contro Dio soltanto! Davide ha peccato contro un suo fratello, un amico; lo ha fatto morire slealmente, gli ha preso la moglie, è stato dunque omicida e traditore.

 

Eppure l'insistenza è sul rapporto con Dio, che attraverso quelle azioni si è instaurato. Facciamo attenzione, qui si vuole esprimere qualcosa che emerge dalla storia di Davide. In realtà, nessuno conosceva il peccato di Davide, tanto bene era riuscito il suo tessuto di inganni, ed è solo il profeta Natan che glielo rinfaccia. Tuttavia, quando gli vengono apertamente dichiarati gli intrighi che ha fatto, Davide è posto di fronte alla verità terribile della sua coscienza.

 

Peccando contro l'amico con il tradimento, con l'infedeltà e con l'adulterio, Davide si è messo contro Dio e contro tutti coloro che Dio difende come cosa sua. Ricordiamo che il re Davide era un uomo profondamente buono, incapace di voler male ai nemici; era profondamente leale, anzi la sua integrità e la sua lealtà sono rimaste proverbiali nella storia di Israele. Al momento del suo incontro con Betsabea, moglie di Urìa, era un uomo maturo, non privo di esperienze affettive e, a questo punto della sua vita, aveva già avuto quello che voleva, conosceva i suoi limiti, la debolezza umana. Nondimeno, attraverso una serie di circostanze, l'eroe Davide diventa sleale, infedele, traditore. Nel secondo libro di Samuele, alla fine del capitolo 11, un capolavoro della letteratura, leggiamo: "Ma l'azione che Davide aveva commesso dispiacque al Signore" (v.27). Il profeta Natan si presenterà e gli racconterà la storia di due uomini, uno ricco e l'altro povero. La parabola a poco a poco ricostruisce la verità in Davide che confessa: "Ho peccato contro il Signore".

 

"Contro di te, contro te solo ho peccato". L'espressione è molto simile alla parola centrale della parabola evangelica del figliol prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te". Tutto ciò che il figlio ha fatto riguarda tante altre cose: la sua vita dissoluta, il suo sperpero, tutti gli errori, tutte le soperchierie da lui commesse, gli illeciti vissuti. Tutto questo però viene riassunto nel suo rapporto col padre; nel suo rapporto con Dio. L'uomo, istruito da Dio, entra nel fondo della propria verità, riconosce il dialogo che il suo sbaglio, in sé e attorno a sé, piccolo o grande che sia, ha leso l'immagine di Dio, ha leso il suo rapporto con Dio.

Il richiamo è importante per noi che siamo giustamente abituati a sottolineare gli aspetti sociali del peccato: il peccato cioè non è soltanto contro Dio, tocca la Chiesa, disgrega la società, ferisce la comunità. Qui ci viene ricordato che Dio sta dietro a ogni uomo, a ogni persona che noi trattiamo male, che inganniamo o disprezziamo. Ci mettiamo contro Dio tutte le volte che respingiamo il fratello o la sorella che ci stanno vicino e che attendono da noi un gesto di carità o di giustizia. Tutti i problemi della storia, il problema etico, il problema della giustizia, della pace, il problema dei giusti rapporti familiari, personali, sociali sono il problema dell'uomo nel suo dialogo con Colui che lo ama, lo conosce e lo aiuta a conoscersi nella sua verità.

 

Non viene, infatti, detto: ho peccato, sbagliato. Viene detto: "Contro di te ho peccato". La personalizzazione della colpa è insieme un atto di profonda verità e un atto di estrema chiarezza perché questo riconoscimento dell'uomo che parla così, che è educato a parlare così, non ha nulla a che fare con il senso deprimente e avvilente della colpa.

 

Tutti noi siamo soggetti a momenti di tristezza senza uscita, di ira, di sdegno, di vendetta contro noi stessi: sofferenze inutili generate dal senso di colpa che non è vissuto in un dialogo con Dio, sofferenze che non possono renderci migliori. Le parole del salmo ci rivelano la differenza tra l'esame di coscienza fatto in dialogo con Dio e tutta l'analisi della colpa, delle debolezze, delle bassezze che ciascuno riconosce in se stesso e che arrivano a deprimere profondamente lo spirito rendendolo ancora più stanco e incapace di lottare. In questo salmo, scritto più di duemila anni fa, noi cogliamo l'uomo che ha trovato la via giusta per il pentimento, la via del riconoscimento di colpe gravissime ma espresso davanti a Colui che cambia il cuore dell'uomo. Notiamo anche il carattere personale, affettivo, delle parole: "Quello che è male ai tuoi occhi". Ai tuoi occhi, al tuo amore che mi ha creato, fatto, amato. progettato. Come è diversa questa realtà da quella dei cosiddetti "pentiti" giudiziari! Il pentimento giudiziario può certamente produrre vantaggi umani per la collaborazione a cui induce, ma non ha la forza di purificare le coscienze dal sangue versato. Il "pentito" dovrà ancora dire: "Il mio peccato mi sta sempre dinanzi". A meno che non entri in quel misterioso processo di trasformazione del cuore umano che fa l'uomo totalmente diverso: "Crea in me, o Dio, un cuore nuovo!"; il processo di trasformazione che è affidato alla potenza di Dio e che permette un'esistenza nuova.

Dobbiamo anche provare dolore per i peccati: "Sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio". La parola dolore può evocare in noi una sensazione di disagio o di insoddisfazione. Eppure, nel campo delle esperienze corporee, il dolore è la più inevitabile, la più evidente, la meno artificiale delle sensazioni: sento un dolore nel corpo, malgrado non lo voglia. Gli stessi dolori morali sono qualcosa di molto reale dentro di noi: a volte ci opprimono fino a toglierci il sonno.

 

Facciamo qualche riflessione generale. Ci sono degli atti, più o meno gravi, che ciascuno vorrebbe non avere compiuto. Ci sono dei comportamenti, magari poco appariscenti, che non corrispondono a come ciascuno vorrebbe essere: modi di fare, di pensare, di rispondere, di agire. Talvolta ci accorgiamo che non dipendono nemmeno da noi, sono piuttosto il frutto di precedenti abitudini, di sorpresa, di inavvertenza. Tuttavia hanno qualche aspetto di cui interiormente sentiamo di non poterci vantare. Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei peccati: ne è la premessa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che insieme è mio e non va, l'ho fatto e non l'approvo.

 

Il cammino della purificazione cristiana presuppone la capacità di giudizio di sé, implica una dissociazione da qualche aspetto di noi che non approviamo. Sapere fare questo è un segno di libertà in cammino, è un segno di maturazione umana e morale. C'é da dubitare di una persona che accusa sempre gli altri e che è soddisfatta di sé in tutto. Se siamo pronti ad accusare gli altri e a scusare noi, riveliamo di non avere compiuto nemmeno il primo passo verso il pentimento cristiano. E d'altra parte è vero che il nostro pentimento è a volte bloccato dal fatto che non siamo convinti fino in fondo di dover imputare a noi stessi qualcosa che in noi non va. Non ci sentiamo di ammettere del tutto che la colpa è nostra.

Più di frequente il pentimento è bloccato perché non siamo per nulla convinti che quello che abbiamo fatto non andava fatto; magari la tradizione e la dottrina dicono che è sbagliato ma interiormente sentiamo che non è vero. In questo caso il dolore, il pentimento diventa faticoso, superficiale, artificiale. Ma allora che cosa dobbiamo fare se ci accorgiamo che il nostro pentimento non si scioglie, che è bloccato da questi motivi che riguardano il giudizio preliminare su noi stessi? E' chiaro che il cammino da compiere è il passaggio da una valutazione frettolosa di noi a una valutazione più realistica e ponderata, attraverso la riflessione e la preghiera.

 

Ma ritorniamo al versetto 6 del salmo: "Sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio".

 

Noi lo interpretiamo spontaneamente mettendo Dio al posto di un giudice; vediamo idealmente due parti convenute in giudizio e Dio nel mezzo. Le due parti sono, nel caso del riferimento storico del salmo, Davide e Uria, il marito di Betsabea ucciso proditoriamente per ordine di Davide. Dio sta nel mezzo come giudice imparziale che dà torto a Davide e lo condanna. Il Re accetta la condanna e allora dice a Dio: Tu sei retto quando giudichi. Nondimeno questa interpretazione non è cogente. Essa pone Dio come arbitro che condanna il peccatore alla morte, senza possibilità d'appello. La realtà vissuta dal salmo è molto più profonda. Dio non è giudice: è la parte lesa. Egli, che è il principio di ogni fedeltà e do ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide, è stato violentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi anche un giudizio di perdono. Dio, come parte offesa, redarguisce Davide perché vuole la sua vita e non la sua morte: se ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole salvare. E' propriamente a questo punto che scatta il pentimento biblico, il dolore dell'uomo: l'uomo si trova davanti Colui che ha leso, di cui ha respinto la fiducia e che di nuovo gli offre la mano destra della sua fiducia.

 

Se noi ci chiediamo in quale maniera l'offesa fatta al prossimo raggiunge e lede Dio, Egli ci risponde con alcune parole dal Libro dell'Esodo, nella visione del roveto ardente. Il Faraone opprime gli Ebrei e Dio, apparendo a Mosé, si costituisce parte lesa e inizia la sua azione contro l'oppressore con queste parole: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono disceso per liberarlo" (Es.3,7-8).

 

Ci risponderà ancora il Vangelo di Matteo, nella scena del giudizio universale, dove Gesù si costituisce parte lesa ovunque un affamato non è nutrito e un carcerato non è visitato: "In verità vi dico.....non l'avete fatto a me" (Mt.25,31-46).

 

C'é anche un brano del Vangelo di Luca che ci può fare cogliere più profondamente l'esperienza del dolore del peccato che abbiamo colto nelle parole di Davide. Si tratta dell'episodio di Pietro che per tre volte ha negato di conoscere Gesù: "In quell'istante mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltandosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E uscito, pianse amaramente" (Lu.22,54-62).

 

Perché Pietro scoppia in pianto? Fino a quel momento aveva una certa coscienza, anche se un po' annebbiata, di avere fatto una cosa sbagliata, di essersi disonorato, di avere tradito un amico. Ma è solo quando Gesù lo incontra e lo guarda che Pietro scoppia in pianto. In quel momento realizza una cosa sola: io ho rinnegato quest'uomo e lui va a morire per me! E' la sovrabbondanza incredibile di fiducia e di attenzione a chi l'ha demeritata, che fa scattare il contrasto. Il dolore cristiano nasce dalla percezione di questo contrasto, nasce dall'incontro con Colui che, offeso in sé e nel suo amore per l'uomo, offre, come contraccambio, uno sguardo di amicizia. La rivelazione della colpevolezza del cristiano viene dall'incontro con Cristo, con la sua Parola e con la sua persona. Questo incontro sblocca la rigidità del giudizio su di noi, giudizio sempre incerto e impacciato, e la scioglie in un vero pentimento, nel dispiacere interiore di avere offeso Gesù nella sua persona; nel dispiacere per la scorrettezza del nostro rapporto di amicizia, per l'infrazione del codice d'onore e di tenerezza, per la disattenzione e il disprezzo di un rapporto prezioso.

 

Dopo la confessione della colpa, come abbiamo analizzato, il peccatore rinnova la domanda della purificazione interiore, che soltanto Dio può concedere, e che arrecherà la gioia di una vita nuova. I termini usati dal salmista per ottenere la purificazione si rifanno al rituale in uso nella liturgia ebraica.

 

In seguito, con la purificazione della colpa, il peccatore chiede a Dio che lo rinnovi interiormente e crei in lui un cuore puro e uno spirito saldo e generoso; perché possa perseverare nel bene. Non solo, egli si impegnerà per far ritornare altri peccatori sulla retta via, proclamerà la giustizia e la lode del Signore e offrirà a lui il sacrificio del suo cuore affranto e umiliato: sacrificio umile, ma certamente più gradito a Dio dell'olocausto di animali.

La preghiera si conclude con la speranza della ricostruzione delle mura di Gerusalemme e per la restaurazione del culto divino. Pare che la supplica finale sia stata aggiunta per l'uso liturgico dopo l'esilio, quando Israele implorava con questo salmo il perdono di Dio sui suoi peccati.

Amen,alleluia,amen.

torna

 

 

 

 

 

SALMO 62

 

A TE SI STRINGE L'ANIMA MIA

 

O Dio, tu sei il mio Dio. All'aurora ti cerco,
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz'acqua.
Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode.
Cos' ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani,
mi sazierò come a convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Nel mio giaciglio di te mi ricordo,
penso a te nelle veglie notturne,
tu sei stato il mio aiuto;
esulto di gioia all'ombra delle tue ali.
A te si stringe l'anima mia.
La forza della tua destra mi sostiene.

 

Commento

 

L'esclamazione "O Dio, tu sei il mio Dio", ci prefigura colui con il quale iniziamo una relazione personale, l'impegno cioè di un'intimità profonda. Se siamo attenti, inizialmente l'espressione citata è qualcosa di vago, ma nel momento in cui la preghiera si interiorizza, s'intensifica il senso d'appartenenza e d'alleanza a Dio. Ciò comporta come conseguenza l'acquisizione di un sentimento di sicurezza e di fiducia, nella consapevolezza di essere amati personalmente dal Signore. Ed è a questo punto che l'esigenza iniziale dell'orante è riconosciuta come l'ardente desiderio di stare unito a Dio.

Personalmente, mi piace chiamarlo "A te si stringe l'anima mia"; perché tutto ciò che è dell'uomo, anima, spirito e corpo, è assetato del Signore.
"A te si stringe l'anima mia" è un'affermazione visiva, intima, a metà del canto d'Osanna, della preghiera di chi confida nell'unione amorevole del Signore che è vera fonte di felicità, pur tra le vicende di lotte e dei mali della vita terrena. Al contrario, al solo pensiero di essere privato dell'unione divina, rimane sconsolato, avvertendo un senso di vuoto e d'intollerabile tristezza.
E' doverosa una grande grazia poter affermare con sincerità che è Dio, e Dio soltanto, che si desidera. Questo dimostra che la vita è fermamente orientata verso il suo autentico e ultimo fine.
Vediamo di rilevare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo. Sono due: colui che parla e l'azione di Dio.

I primi due versetti rappresentano la supplica individuale i seguenti quattro, esprimono fiducia ed azione di grazie, proprio come negli stadi della preghiera di lode (adorazione, lode e azione di grazie). Infine gli ultimi due rappresentano la risposta del Signore, anche se a dichiararlo è colui che parla.
Le azioni da attribuire a colui che parla, supplicando individualmente, sono sei: "all'aurora ti cerco"; "di te ha sete…"; "a te anela…"; "come terra deserta, arida, senz'acqua"; "ti ho cercato"; "per contemplare". Si tratta di sei designazioni che indicano il desiderio di percepire intimamente il Signore, con metafore e simboli: esse definiscono l'orante come colui che senza il Signore non è nulla.
Non solo, colui che parla, all'esigenza proclamata, afferma: "la tua grazia vale più della vita"; "le labbra loderanno"; "ti benedirò"; "alzerò le mani"; "mi sazierò"; "con gioia la bocca ti loderà".
Colui che parla, al termine della supplica e dell'azione di grazie conferma ciò che il Signore fa per lui: "tu sei stato il mio aiuto"; "sotto le tue ali"; "la forza della tua destra mi sostiene".

Come possiamo notare si tratta di un monologo di speranza, di fiducia, di grazie espressi affettuosamente rivolti al Signore, proprio come fa un bambino col padre o la madre. E' un momento di gioia perché come il pio israelita provava grande felicità nello stare presso il Tabernacolo ed era sotto la potente e soave protezione del Signore, similmente quale e quanta dovrebbe essere quella del cristiano che vive vicino alla sua chiesa , dove Gesù è presente sotto i veli Eucaristici? Che dire poi, quando siamo accanto a Gesù durante la Messa? Oppure durante le lodi e le preghiere giornaliere?
Vedete quali e quanti istanti d'intimità e di felicità, prova colui che parla che, da assetato, è stato riempito dalla presenza del Signore. Cioè dalla presa di coscienza del bisogno di salvezza, la consapevolezza che Gesù è sempre con noi come aveva detto, raggiungendo la comunione con Dio, senza scordare che è sempre opera sua, nel senso che colui che parla si limita a bussare alla sua porta. Non solo, il credente "soffre di una vera fame" del Signore, perché la sua presenza diventa una necessità fisiologica, poiché colui che parla ha piena e totale fiducia di vedere esaudita la preghiera di supplica.

Diversi sono i temi e i punti su cui insiste il Salmo: Amore, veglia notturna. La preghiera considera il tempo che intercorre dal mattino alla notte, dal desiderio al possesso. Vale a dire che il mattino l'anima urla la sua sete; nel momento in cui scende la sera, "essa si stringe al suo Signore". Cioè ha trovato Dio, dopo un lungo cammino. Un itinerario che va dal Santuario (Chiesa), al convito (Eucaristia), all'ombra delle sue ali ("Io sarò con voi fino alla fine del mondo"). Sono tre parole che rappresentano la comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle in Cristo, cioè che vanno dal sacramento a ciò che esso significa per tutti i credenti.

Quante volte nel silenzio della notte, nel segreto della meditazione, colui che parla è unito a Dio come se si trovasse ammesso alla parte più sacra del suo essere, avvolgimento della presenza di Dio che sembra far ardere il cuore di una gioia indescrivibile che vorrebbe gridare al mondo intero.
Potenza, gloria, grazia, tali sono le qualità di Dio che fa concorrere tutte le sue opere al disegno d'amore. La potenza è la capacità di agire; la gloria, l'opera realizzata; la grazia, la fonte inesauribile che alimenta l'azione.
Anima, carne, labbra, mano, bocca: è tutto l'uomo con le sue aspirazioni, le sue debolezze, la sua forza e la sua volontà di comunicare.
Come possiamo notare esiste una profonda intonazione mistica in tutto il Salmo, perché l'orante, pur attraversato dalla crisi del mondo, conserva una grande pace davanti a Dio.

Solo i mistici e coloro che tutto confidano in Dio sanno unire gioia e sofferenza, tribolazione e pace, perché il centro della loro esistenza si trova in Dio. Da lui attingono felicità, pace e la forza di fronteggiare la sofferenza (la beatitudine). La pena più profonda dell'anima umana è il desiderio ardente di Dio, dell'infinito, della fonte ultima della vita e dell'amore. Il dolore intenso e profondo è avvertito da ognuno, più o meno consapevolmente; e la vita di chiunque è indirizzata verso il bene o il male secondo come reagiscono alla sofferenza (sono le due scelte di cui parlava il Papa Giovanni XXIII).

Purtroppo oggi, nella società del consumismo, molte, troppe persone, anche tra coloro che si professano cristiani, non la identificano e anzi soffocano la sete d'infinito, adeguandosi ai piaceri materiali o alla ricerca del successo, del potere, o alla degenerazione di sensazioni insolite che conducono inevitabilmente alla violenza; tuttavia, nulla di tutto ciò soddisfa e riempie il vuoto interiore, quella sete del trascendente che l'uomo non sa placare.
Al contrario, quando l'orante si abbandona a Dio in preghiera, lasciamo Dio libero di manifestare in modo personale il suo amore, la sua attenzione, la sua protezione e,allora, inizia a spegnersi quella sete comprendendo che la vita può essere donata in cambio di un unico istante di quel puro e santo amore.

Ora, fratelli e sorelle, rileggiamo il salmo, provando alla gioia dell'amore personale di Dio per ognuno, così che la lode sorga spontanea dal profondo dell'anima e dello spirito esprimendolo attraverso la felicità interiore, confessando con le labbra e contemporaneamente anche il corpo, che ne è partecipe, perché viene naturale esprimere la gratitudine a Dio innalzando le mani insieme al cuore.
In questo modo viviamo costantemente presso i Tabernacoli Eucaristici, affinché, consolati dalla corporea presenza, e nutriti del suo corpo, perseveriamo sulla via del bene e ci rallegriamo in Cristo Gesù.

Amen,alleluia,amen.

torna

 

 

 

SALMO 3

 

PREGHIERA NEL PERICOLO

Signore, quanti sono i miei oppressori!
Molti contro di me insorgono.
Molti di me vanno dicendo:
"Neppure Dio lo salva!"
Ma tu, Signore, sei mia difesa, tu sei mia gloria e sollevi il mio capo.
Al Signore innalzo la mia voce
E mi risponde dal suo monte santo.
Io mi corico e mi addormento,
mi sveglio perché il Signore mi sostiene.
Non temo la moltitudine di genti
Che contro di me si accampano.
Sorgi, Signore,
salvami, Dio mio.
Hai colpito sulla guancia i miei nemici,
hai spezzato i denti ai peccatori.
Del Signore è la salvezza:
sul tuo popolo la tua benedizione.

Commento

In 2 Samuele 15,7-23 e 30-37, ci è presentato uno dei momenti più drammatici e tormentati dell'esistenza del re David: suo figlio Assalonne capeggiava una rivolta contro di lui, riuscendo nell'impresa di conquistare una parte di Israele. Per impedire l'assalto di Gerusalemme, con gli inevitabili lutti e rovine, giacché la città era rimasta fedele al suo re, egli decise di fuggire coi suoi familiari. Era accompagnata da seicento soldati che si erano rifiutati di unirsi alla rivolta. Durante la fuga raggiunse il Monte degli Ulivi, e David era più simile ad un pellegrino scalzo, piangente e con la testa coperta in segno di lutto, anziché un fiero re.

Tutto ciò era stato profetizzato da Natan, come punizione di Dio a causa del peccato di adulterio commesso con Betsabea e per l'assassinio di Uria l'Hittita, il marito di lei.
David considerava la ribellione come una punizione permessa da Dio, infatti, anche se sotto l'incalzare delle truppe del figlio, non combatté; si rivolse invece a Dio in preghiera, con umiltà e fiducia, consapevole che solo lui poteva liberarlo da quella situazione così grave. Egli pensava che se Dio aveva permesso il dolore e la sofferenza di certo l'avrebbe aiutato a superarla: doveva, in cuor suo, cercare la volontà di Dio e seguirla, così quello che il Signore intendeva compiere in lui e in coloro che erano coinvolti nella vicenda si sarebbe realizzato.

Se analizziamo attentamente la storia, mi viene spontaneo recepire la lezione morale che se ne ricava per tutti noi credenti odierni. Molte persone trovano nel loro stato di peccatori una scusa per allontanarsi maggiormente da Dio, perdendo l'occasione di sperimentare sulla propria pelle quanto misericordioso e pieno d'amore Egli sia.
Ad un'attenta lettura del brano in oggetto (compreso il capitolo 12) qualcuno potrebbe obiettare che tutto ciò è contraddetto dalle parole di Natan, ma non è assolutamente così. La profezia afferma solamente, per usare il nostro linguaggio corrente, che le nostre azioni provocano conseguenze inevitabili.

Il Salmo lo possiamo considerare diviso in tre momenti:

1.       Descrizione della situazione (versetti 2-3);

2.     La sicurezza e la liberazione dalla paura stanno in Dio, nel Dio che risponde (versetti 4-7);

3.     L'orante chiede a Dio di salvarlo (versetti 8-9).

Che cosa ci dice la preghiera? Quali sono i nostri avversari? Se volgiamo lo sguardo attorno a noi ce ne rendiamo conto: TV spazzatura, mass-media che incessantemente ci bombardano in continuazione, materialismo, consumismo…Sembra che tutti cooperino contro il regno di Dio, pare che Dio sia morto nella coscienza degli uomini, realizzando un indifferentismo ed efficientismo ateo che scatena le lusinghe delle tentazioni e dei peccati (vedi meditazioni: "Le tentazioni").

Ecco perché il Salmo 3 è attuale e ci viene in aiuto confortandoci. Similmente ci troviamo nella stessa situazione del re David, la differenza sta nell'oppressore, oggi più sottile e astuta. Il fatto è che quando percepiamo che il peccato ci soverchia, accusiamo un senso di terrore, d'impotenza e di malessere. Non sappiamo più cosa fare e come agire. Se confidassimo i nostri sentimenti a persone non giuste, correremmo il rischio di sentirci affermare che non c'è più scampo, che tutto è finito. Invece, la parola fine, nei confronti dell'uomo, solo Dio la può dire.

Ma come il re David, in virtù della grazia che c'è stata donata, ci riaccorgiamo del male che ci accerchia opprimendoci, ed è allora che fiduciosi nel divino aiuto, ci rincuoriamo perché il Padre celeste ci sostiene tramite Gesù, facendoci trionfare e liberare dalla schiavitù delle nostre debolezze e paure umane. Infatti, quando il regno degli uomini ci abbandona ai nostri problemi, è in quell'istante che scopriamo chi è il nostro unico e vero amico, fratello sempre fedele. E' allora che sgorga spontanea la preghiera dell'intimo, con lacrime di disperazione, e troviamo ad attenderci a braccia aperte Lui, il nostro Signore: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò".

Il Padre celeste, in Cristo Gesù, non si allontana dalla "lebbra" delle nostre miserie, dei nostri peccati, ma, anzi, ci accoglie sempre con amore.
Ed è in quella circostanza che ritroviamo la speranza abbandonandoci al sonno ristoratore, in pace, così che al risveglio ci sentiamo confortati dalla presenza viva di Dio, non temendo più l'avversità del tentatore e delle sue malizie.
Noi non preghiamo contro nessuno (se mai è il contrario), l'umanità non è nostra nemica. Il nostro avversario non è fatto di carne e di sangue, ma sono le potenze occulte delle tenebre in opposizione al regno di Dio.
Come il re David, noi dobbiamo cercare la volontà di Dio e scolpirla nel nostro cuore, quindi dobbiamo lottare contro il peccato e le sue manifestazioni sociali nella nostra vita, in modo che il regno di Dio prenda stabile dimora (vedi meditazioni:"Conversione e regno").

Non scordiamo inoltre un fatto molto importante, non siamo soli. La nostra preghiera si unisce a quella della moltitudine dei fratelli e sorelle sparsi nel mondo. Ed è in questo modo che il Dio della salvezza benedice il suo popolo donandogli la pace.

Amen, alleluia, amen!

 

torna

 

 

SALMO 4

 

PREGHIERA DEL GIUSTO

 

Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia:
dalle angosce mi hai liberato;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.
Fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore?
Perché amate cose vane e cercate la menzogna?
Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele:
il Signore mi ascolta quando lo invoco.
Tremate e non peccate,
sul vostro giaciglio riflettete e placatevi.
Offrite sacrifici di giustizia e confidate nel Signore.
Molti dicono: “Chi ci farà vedere il bene?”
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.
Hai messo più gioia nel mio cuore
Di quando abbondano vino e frumento.
In pace mi corico e subito mi addormento:
tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.

Commento

Il salmo esprime la fiducia in Dio che tranquillizza lo spirito, l’anima e il corpo dell’uomo. E’ così suddiviso:

·        Versetto 2 : La fiducia presente è basata sulla preghiera esaudita nel passato;

·        Versetti 3-6 : Reprimenda seguita da un comando:

·        Versetti 7-9 : Descrivono la gioia e la pace che nulla può scuotere.

Questa preghiera sfugge ad una classificazione precisa per il suo carattere particolarmente personale e spontaneo: tuttavia il suo tema principale è quello della confidenza con Dio il quale va incontro a chi lo cerca con fede e ascolta la supplica dei suoi fedeli.

Il salmo è meraviglioso e si rivolge a quanti sono demoralizzati, delusi. Depressi, disperati, impauriti, insoddisfatti a causa della difficile situazione sociale e nazionale. L’orante raggiunge la vera pace dell’anima, dello spirito e la tranquillità del corpo grazie alla sua incrollabile fiducia in Dio.

Come gli Ebrei dell’Esodo avevano imparato e capito di elevare suppliche a Dio affinché li salvasse, anche Davide, insidiato dal figlio Assalonne, scongiura Dio di vendicare il suo giusto diritto. Già confortato dal Signore, lo prega di essere esaudito. Il ricorrere a Dio per ottenere giustizia è gradito a Dio. Infatti, Egli non vuole che ci facciamo giustizia da noi stessi.

Pregato e supplicato Dio, Davide si rivolge ai principi e ai potenti che, invece di parteggiare per la giustizia, si sono schierati dalla parte del ribelle Assalonne. Davide inveisce mettendoli in guardia. Devono stare attenti poiché Dio, come nel passato, correrà in sua difesa. Quindi evitino di macchiarsi di qualsiasi delitto. Al contrario meditino giorno e notte sulla giustizia di Dio, e offrano sacrifici d’espiazione. Soltanto in quel modo potranno sperare nella divina misericordia.
Il comportamento degli Ebrei dell’Esodo e di Davide, fortifica la nostra fede e ci permette oggi, nei momenti di crisi, d’aridità, di nutrire la più completa fiducia in Dio, certi di un esito giusto.

Il salmo inizia con un’accorata invocazione a Dio come Redentore, come colui che ha manifestato la sua profonda giustizia attraverso il suo progetto di salvezza. I malvagi, i perversi, tutte le invenzioni dell’uomo tendenti a cancellare dalla memoria l’esistenza del divino, non conoscono le meraviglie che Dio compie per i suoi figli, specialmente per quelli che gli sono fedeli. Nulla sanno della gioia e della pace del cuore, e neppure della pienezza di una vita ricca di frutto e d’amore. Ignorano l’intima comunione con Dio, in Cristo Gesù, e della felicità di ottenere risposta alle proprie preghiere.
La maggior parte dell’umanità è ignara del fatto che Dio padre desidera instaurare un’intimità amorevole con ogni essere umano. La prima fase di questa unione consiste nel temere Dio (=rispetto di Dio)

torna

 

*torna a: Scrittura & Preghiera