SIAMO VINCOLI O SPARPAGLIATI?

 

Avvenire, supplemento "èfamiglia", venerdì 16marzo 2007

 

 

II vivace dibattito sulla famiglia oggi in atto nel nostro Paese non può che essere salutato positivamente da chi si è occupato per lunghi anni di famiglia nel silenzio e nel disinteresse generale della politica, dei media, dei cosiddetti opinion makers ("quelli che fanno opinione", o meglio "quelli che vogliono imporre agli altri la propria opinione"...); oggi la famiglia occupa prepotentemente il centro del dibattito, nelle aule del Parlamento ma anche in quelle dei consigli comunali dei paesi più piccoli, nei salotti televisivi più importanti, a partire dalle poltroncine di Vespa e Costanzo, fino alle redazioni delle televisioni e delle radio locali, per arrivare alle discussioni quotidiane della gente comune, nei posti di lavoro, al bar, nelle scuole. Questa nuova centralità non genera però inevitabilmente il bene della famiglia, perché spesso le argomentazioni sono faziose, i pareri sono eterogenei e a volte paradossali, e nella babele di voci che dicono tutto e il contrario di tutto non è assolutamente garantito che emergano le parole più chiare, i giudizi più adeguati, i punti di vista più realistici; spesso vince chi grida di più, oppure chi buca il video, o peggio ancora chi, semplicemente, è più abile ad organizzare il contesto comunicativo a favore di uno specifico messaggio. La famiglia è infatti un oggetto di conoscenza particolare, che chiede rispetto e ascolto, e che non può essere esposto, filmato dal buco della serratura e poi mostrato in pubblico senza veli; l’intimità, il pudore, il rispetto della sfera privata della persona sono tutti elementi indispensabili per potersi avvicinare alla famiglia "in punta di piedi", ascoltandola e osservandola, e non mettendola in piazza senza mediazioni, o peggio descrivendola a partire dai propri pregiudizi.

Almeno un aspetto però sembra emergere con chiarezza dal frastuono comunicativo che possiamo ascoltare e leggere ogni giorno: la famiglia è diventata il terreno di confronto e di scontro tra due idee di uomo e di persona, tra due modelli antropologici che si trovano inevitabilmente in contrasto: gli "individuali" e i "relazionali”. Per il primo modello la libertà e la felicità dell'essere umano sta essenzialmente nella "libertà da", nell'assenza di vincoli, nella possibilità di poter scegliere in ogni momento cosa fare, senza impedimenti di alcun genere; per il secondo la libertà e la felicità dell'essere umano sta invece proprio nella disponibilità di legami buoni, nella capacità di condividere, nell'esperienza dell'appartenenza e della interdipendenza. Per gli individuali il nemico principale è il legame, qualunque tipo di legame, per i relazionali è invece la solitudine. Evidentemente i progetti di famiglia generati dall'uno o dall'altro modello antropologico saranno radicalmente diversi: la parola legame, che caratterizza inevitabilmente il fare famiglia, nella sua ambivalenza descrive anche l'inevitabile rappresentazione delle relazioni familiari; per i relazionali, ad esempio, un legame di coppia che si rompe è oggettivamente un fallimento, una ferita, mentre per gli individuali la rottura del legame può essere naturale, in un certo senso prevedibile, non traumatica.

Ritroviamo qui la domanda che Pappagone, mitico personaggio della pubblicità un po' ruspante e spesso dialettale della TV in bianco e nero, nei primi anni Settanta, rivolgeva a Totò: "siamo vincoli o sparpagliati? ", siamo uniti o ognuno per conto suo? A ciascuno di noi rispondere, in un mondo che trova, sempre nell'immaginario pubblicitario, il modello ideale nell’ "uomo che non deve chiedere mai ": cambia la società, cambia la pubblicità, ma le domande di fondo rimangono.

 

Francesco Belletti

Direttore Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)