Parabole

 

 

 

La trave e la pagliuzza

Gesù e la donna Cananea

Gesù a casa di Marta e Maria di Betania

Gesù in cammino con i discepoli di Emmaus

Gesù e l’adultera

Gesù e Zaccheo

 

 

 

 

 

LA TRAVE E LA PAGLIUZZA

Perché guardi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello?

Luca 6,41- 42; 6,45

La prima tematica riguarda la correzione da parte di uno che ha una trave nell'occhio, paragone in origine diretto contro i farisei, le guide spirituali che sviavano il popolo. Tuttavia nell'attuale contesto di San Luca esso è rivolto contro le false guide della comunità, che pretendono di essere "sopra" il maestro. Uno solo è l'autentica guida, uno solo è "maestro", tutti gli altri sono discepoli.

La seconda tematica parla del legame intimo tra l'intenzione profonda, il centro e la radice della personalità, il "cuore" dice il vangelo, e il comportamento esterno, nell'agire come nel parlare. Ciò che importa non è tanto e solo l'agire esterno conforme ad un codice di norme, ma la verifica del "cuore", In ultima analisi è dal cuore "buono", dalla coscienza illuminata e pulita che un uomo può far scaturire una prassi autentica. Ciò che conta è l'attuazione della sua parola che, posta nel cuore, costituisce il deposito interiore e il fondamento di una vita solida di fede.

Come avete notato e dedotto dai vangeli si potrebbe cogliere una serie di spunti su ognuno degli organi con cui la persona umana opera e comunica con l'esterno: occhi, orecchi, voce, mani, piedi, cuore; e sul linguaggio di ognuno di questi sensi, il suo uso e abuso.

Io mi limito questa volta a raccogliere il messaggio legato agli occhi. San Matteo riporta un detto di Gesù dedicato interamente all'occhio: "La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso" ( Mt.6,22).

L'occhio è davvero la lucerna, o la spia, dell'anima. Le emozioni più intense, le passioni più violente, le gioie e i turbamenti più profondi, quelli che non possono essere tradotti in parole sono comunicati con gli occhi. Lungo il corso dei secoli sono cambiate tante cose, ma non è cambiato l'alfabeto degli occhi: sorriso, lacrime, paura, meraviglia, fiducia…sono uguali dovunque.

Nel mondo vivono circa sei miliardi d'esseri umani, il che significa tredici miliardi d'occhi che guardano, che interrogano, che raccontano, che esprimono. Ma quanti sono veramente gli occhi che funzionano da…occhi? Soltanto una persona psicologicamente matura sa usare bene gli occhi. Gesù è anche in ciò un modello insuperabile. Su tutte le cose egli porta uno sguardo amorevole e attento.

Attraverso i suoi occhi possiamo vedere, come assistendo ad un film, il mondo che lo circondava. Il pastore conta le pecore e corre a riprendersi quella che si è attardata; il contadino mette mano all'aratro, getta il seme, guarda il cielo; se una nuvola sorge da occidente sa che domani verrà la pioggia; se il vento soffia nel deserto sa che vi saranno giorni torridi. Gigli che crescono nel campo e uccelli che volano in cielo. La vecchietta spazza la casa per ritrovare la moneta perduta; la donna impasta il lievito con tre misure di farina e accende la lucerna per porla sul candeliere. Sulla piazza i braccianti attendono chi li assuma alla giornata. I bambini, vispi, fanno il girotondo e, con voci stridule, vanno ripetendo sempre lo stesso ritornello…

Nei Vangeli sono registrati diversi sguardi di Gesù che cambiano l'esistenza delle persone. Ricordo l'episodio della conversione di Matteo (Lc.5,27-28). E' seduto, intento a riscuotere i dazi, a contemplare rapito, le monete che i commercianti depongono sul tavolo…E' al massimo dell'euforia quando tutto ciò che fino a quel momento ha dato senso alla sua vita perde valore, nello sguardo di Gesù. Matteo si alza, abbandona ogni cosa e segue Gesù. Non ha assistito ad alcun suo miracolo, Gesù non è ancora famoso e allora? Osserviamo un particolare del racconto: "Gesù lo osservò". Il suo sguardo si rivela all'istante irresistibile: è penetrante, affascina…Lo sguardo di Gesù non si ferma alla superficie, ma giunge diritto al cuore. Nel suo celebra quadro Caravaggio ha colto l'importanza di due sguardi che s'incontrano e fa ruotare intorno ad essi tutta la scena.

Alla luce dell'importanza che lo sguardo riveste per Gesù, possiamo comprendere meglio anche quello che nel vangelo egli dice circa alcune disfunzioni del nostro occhio. La medicina moderna è giunta a diagnosticare le malattie di una persona osservando il fondo dell'occhio; Gesù fa la stessa cosa per gli occhi del cuore.
La malattia più radicale segnalata è la cecità spirituale: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?" Gesù ammonisce in tal modo gli apostoli e i discepoli a non essere, come gli scribi e i farisei, "guide cieche" (Mt.23,16). La guida cieca è quella che non si lascia guidare dalla luce e dalla parola di Dio, ma solo dalla prudenza, o peggio dall'astuzia umana.

Questo avvertimento è rivolto in particolare alle guide delle varie comunità (è chiaro che Luca pensa certamente al problema dei falsi profeti nella comunità del suo tempo). Sentiamo piuttosto quello che Gesù dice di un'altra malattia della vista che riguarda tutti indistintamente.

" Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello".
Spiritualmente parlando, il difetto di vista più frequente non è la miopia, ma presbiopia. Miopia è vedere bene da vicino e male da lontano; presbiopia, al contrario, è vederci bene da lontano, ma male da vicino. Colui che vede la pagliuzza nell'occhio del fratello e non vede la trave nel suo, è uno che vede lontano, ma non vede vicino. E' un presbite. Il Presbite, a volte, non riesce a leggere uno scritto anche se ha i caratteri grandi come travi e ce l'ha ad un palmo dagli occhi.

Che cosa indica la famosa pagliuzza e la famosa trave? La pagliuzza è il peccato giudicato nel fratello, qualunque esso sia, in confronto al fatto stesso di giudicare che è la trave. Gesù denuncia qui una tendenza innata dell'uomo che i moralisti antichi hanno illustrato con la favola delle due bisacce. Nella rielaborazione che ne fa La Fontane (scrittore di favole) dice: "Quando vieni in questa valle porta ognuno sulle spalle una duplice bisaccia. Dentro a quella che sta innanzi volentieri ognun di noi i difetti altrui vi caccia, e nell'altra mette i suoi"

Siamo strani noi umani, possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri. Dovremmo semplicemente rovesciare le cose: mettere i nostri difetti sulla bisaccia che abbiamo davanti e i difetti degli altri su quella dietro. Dopo tutto, i nostri difetti sono i soli che dipende da noi modificare e correggere.

Ciò che avviene per pregi e difetti avviene anche per diritti e doveri. Noi poniamo il più delle volte i nostri diritti nella bisaccia davanti e i nostri doveri in quella dietro. Viviamo, soprattutto oggi, in una società dove tutti sbandierano diritti, e nessuno sembra avere doveri. Nel momento in cui si vuole procurarsi il favore di qualche settore della società non si fa che mettergli davanti agli occhi i propri diritti, tacendogli i rispettivi doveri. Tanti conflitti sociali dipendono da qui. Si impone, anche a questo riguardo, un bel capovolgimento di bisacce: davanti i doveri, dietro i diritti, oppure, ciò che è lo stesso: davanti i diritti degli altri, dietro i diritti nostri. Tanto, anche se sono dietro, non c'è pericolo che li trascuriamo…

In conclusione, la similitudine trave-pagliuzza, è un'immagine grottesca e paradossale, tuttavia rende palese l'assurdità di colui che si innalza a giudice del fratello. Chi giudica si autogiustifica (rammentate la parabola del Fariseo e il pubblicano al Tempio?), s'illude nella propria ipocrisia, che gli maschera la profonda sfasatura tra la convinzione interiore e il comportamento esterno.

Soltanto una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi.

Amen.alleluia, amen!

 

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GESU' E LA DONNA CANANEA

Vedi letture evangeliche Mc.7,24-36 e Mt.15,21-28

Anche in questa narrazione, come l’intervento di Maria S.S. alle nozze di Cana, sembra che le parole di una donna inducano Gesù a modificare almeno in parte le sue prospettive messianiche e i suoi programmi d’azione.
L’episodio e, su un piano diverso, quello della Samaritana raccontato nel Vangelo di San Giovanni, costituiscono momenti particolari e rilevanti nell’evoluzione dell’autocoscienza di Gesù.

La donna di cui si parla, siro-fenicia o Cananea, è una pagana. La zona di Tiro e Sidone era situata a nord-ovest della Galilea e i suoi abitanti adoravano i Baal e le Ashere. Questi erano culti caratterizzati fra l’altro dai riti di fertilità, in genere di carattere sessuale orgiastico e promiscuo. Questi riti idolatrici, lo sappiamo dall’A.T., attiravano spesso anche gli Ebrei, suscitando lo sdegno e la denuncia dei Profeti (maggior approfondimento dal capitolo “Conquista della terra di Canaan, da “Storia del popolo ebraico”).

Ecco perché i residenti di queste zone erano malvisti, e in Israele la loro cattiva fama aveva un carattere insieme religioso e morale. Come i Samaritani, seppure ritenuti etnicamente bastardi ed eretici in merito al culto, erano almeno in parte d’ascendenza ebraica, innestati sulla comune eredità mosaica. I Cananei al contrario erano i nemici tradizionali contro cui il popolo ebraico aveva dovuto combattere strenuamente per stabilirsi nella terra promessa e la cui religione rappresentava una minaccia costante per la purezza della religiosità israeliana.

Nel racconto poi si tratta di una donna, quindi doppiamente diversa, contaminata ed emarginata. Di una donna che importuna Gesù e i discepoli, rivolgendogli la parola in pubblico. La prospettiva della narrazione sta precisamente nell’incontro e nel dialogo di Gesù con la donna.

La donna non è soltanto una madre pagana che cerca di strappare un miracolo al taumaturgo giudeo di cui ha sentito meraviglie e che ha sconfinato, ma è la rappresentante della comunità dei pagani venuti alla fede. Per questo la risposta ultima di Gesù è il dono della salvezza, la guarigione della figlia, come primizia della salvezza per mezzo della fede.

La Cananea urla la sua supplica, ma Gesù, non le rivolge nemmeno una parola. E a prima vista può apparire sconcertante e sconvolgente il comportamento di Gesù. Ma poi cerca di spiegarle il motivo del suo rifiuto con un linguaggio semplice e ricco d’immagini: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. Secondo l’A.T. “i figli” sono i giudei”, “i cagnolini” sono i pagani. La Cananea insiste e replica prendendo spunto proprio dall’immagine usata da Gesù. Gli dice: “Anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.

Con queste parole la donna pagana chiede, in pratica, di partecipare permanentemente ai beni della salvezza messianica, anche se in un modo limitato, un poco emarginante, raccattando solo le briciole che cadono dalla tavola dei cristiani che, a pieno titolo, possono vivere in comunione con Cristo.

Ma è proprio questo atteggiamento di totale fiducia e povertà e aridità spirituale che spinge Gesù ad inserire totalmente la donna Cananea nel piano della salvezza cristiana: “Donna davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”.
In pratica Gesù stabilisce che al banchetto messianico della comunità cristiana che è rinnovato nella Mensa Eucaristica, può partecipare anche un pagano che abbia fede (conversione). Anche su questo particolare problema (che Gesù ha risolto), di là della sua importanza storica, può apparire irrilevante per l’esperienza attuale dei credenti, non per questo è privo di significato, ma anzi diventa fondamentale con l’espandersi dei popoli di nazionalità diversa.

Il rischio del razzismo religioso è una tentazione permanente, poiché è la giustificazione religiosa delle divisioni culturali e della stratificazione di potere. Gesù ha cancellato anche questo. Egli non ha fondato la sua Chiesa solo per i giudei, la donna Cananea, simbolo dei pagani, ora può entrare nella Chiesa e beneficiare dei doni del Messia.

L’insegnamento di Gesù, cosa ci comunica?

La Chiesa di Gesù è anche per gli orientali che vivono tra noi, che appartengono a religioni non cristiane. Siamo cristiani di vecchia data: battezzati, cresimati e comunicati perché così vuole la nostra tradizione. Tuttavia questi “titoli” tradizionali non valgono nulla se li abbiamo ridotti ad abitudini senza fede. E’ la fede che ci introduce in Cristo e che ci fa vivere la grazia di salvezza che >Egli effonde nel popolo di Dio Padre.

La fede sincera, fresca ed entusiasta, è il titolo fondamentale e unico per l’appartenenza alla comunità salvifica. E la fede è la possibilità offerta ad ogni uomo di vivere in libertà davanti a Dio.
Oggi viviamo nuove tematiche, sia noi sia la Chiesa, che in realtà sono antiche quanto il mondo. Per questo il vangelo è sempre Parola Viva e guida sicura per risposte secondo Gesù Cristo a situazioni nelle quali ci troviamo immersi.

Amen! Alleluia! Amen!

 

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GESU' A CASA DI MARTA E MARIA DI BETANIA

Luca 10,38-42

“Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella di nome Maria la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua Parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte buona, che non le sarà tolta”.

Commento

Anche in quest’episodio della vita di Gesù ricordato da Luca, il panorama è sempre quello del viaggio, del cammino che condurrà Cristo a Gerusalemme.
Durante quest’ideale itinerario si alternano le scene d’accoglienza e di rifiuto, d’affettuosa ospitalità e d’ambigui inviti.

Nella casa di Marta e Maria Gesù trova quell’accoglienza e ospitalità che gli è stata rifiutata all’inizio del viaggio in Samaria (9,53).

Marta e Maria sono le sorelle di Lazzaro di Betania, sono conosciute e ne parla anche Giovanni. Come dicevo Luca utilizza i dati in suo possesso per ricostruire una scena ideale, in cui sono illustrati due atteggiamenti sull’accoglienza di Gesù, il servizio generoso di Marta per l’ospite gradito e di riguardo e l’ascolto attento di Maria alle parole del Signore.

Marta svolge il ruolo tradizionale, ed è perfetta (Prov. Cap.30), della padrona di casa e della massaia, Maria, al contrario, inaugura un ruolo nuovo ed essenziale per una donna: stare ai piedi del Maestro come un discepolo (At.22,3).

Luca è molto attento non soltanto al servizio e all’assistenza che le donne svolgono nella comunità, ma anche al loro compito per l’edificazione e coesione della Chiesa (At.9,36; 16,14; 18,26). Ma è particolarmente interessato a quello dell’ascolto della Parola. E certamente non si tratta di un ascolto ozioso, inerte, o per un mero fatto culturale e contemplativo; è beato, infatti, chi ascolta la Parola per metterla in pratica.
Fratelli e sorelle, meditiamo insieme il quadro panoramico dell’episodio. Marta accoglie in casa Gesù, sua sorella Maria si siede ai suoi piedi e ascolta la sua Parola. Marta, fattasi avanti, dice a Gesù: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”.

Gesù le risponde: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”.
Come possiamo rilevare, nel racconto si pone l’accento sulla centralità dell’ascolto; in esso l’ascolto significa ascolto di Dio e ascolto del suo Spirito. Notiamo che in Luca quest’episodio della vita di Gesù segue immediatamente quella del cosiddetto “buon samaritano”, la parabola narrata da Gesù a chi gli chiede: “Chi è il mio prossimo?” (vedere meditazione, sezione parabole). E, al termine, lo invita ad agire, a muoversi, ad operare: “Va, e fa anche tu lo stesso” (Lu.10,29-37).

Il tutto perché non sembri che il “fare” sia un “fare” qualunque bensì un “fare” che nasce dall’intimo, Luca riporta subito dopo l’episodio dell’ascolto di Maria di Betania. Posso affermare che si tratta, in pratica, di un unico insegnamento. Luca li ha volutamente collegati per permetterci di cogliere l’unità del fare e dell’ascolto.

Ma ritorniamo alla nostra meditazione. Maria si siede ai piedi di Gesù, si pone pubblicamente alla sua scuola, alla sua sequela, ed è facile immaginare lo scandalo, la carica esplosiva del gesto di sedersi della donna. Per comprendere il gesto rivoluzionario non scordiamo la condizione di allora delle donne, dal retaggio preistorico che esse portavano sulle loro spalle. Pensate al mormorio della gente che l’attorniava: “Come, questa donna, invece di stare in cucina, va a scuola di teologia? Ma che cosa vuole? Che cosa crede di essere? Che cosa vuole diventare? Quali sono le sue ambizioni? Risulta chiaro che il nervosismo dell’ambiente sbocca poi nelle parole di Marta.

Penso che nessuno fino allora aveva parlato a Maria della bellezza della sua vita, della fortuna della sua condizione. Ascoltando le parole di Gesù si sentiva privilegiata e percepiva che erano importanti per lei, non soltanto in se stesse, e riflettendo interiormente, pensava: “Queste parole sono vive nel mio cuore, dicono cose veramente grandi e importanti per me, cose a cui non avevo mai pensato, e mi fanno comprendere qualcosa di me stessa che è magnifico, stupefacente, splendido, semplice”.

Fratelli e sorelle, la ricchezza, il valore nutritivo dell’ascolto di Gesù, che Maria di Betania sta vivendo in quegli istanti, è un ascolto che fa fremere, che coinvolge perché ci riguarda, ci spiega. Non si tratta di un ascolto passivo, un sentire annoiato di una cattedratica lezione. Maria di Betania sta realizzando in quel preciso istante la definizione dell’essere umano. Che cosa significa essere uomini o donne? E’ scoprire il mistero di noi stessi nell’ascolto della Parola di uno, più grande di noi, che avendo fatto il nostro cuore, ce ne rivela i segreti.

Maria. È immagine dell’uomo che si autocomprende, che giunge all’autenticità, alla chiarezza del possesso cognitivo di sé ponendosi con umiltà all’ascolto della Parola divina che ci rivela e, nello stesso tempo, ci riempie. A mio parere il mistero dell’ascolto di Maria di Betania è dunque una rivelazione (che siamo chiamati ad accogliere) della condizione umana. Cioè dall’essere aperti al discorso di Dio, gratuito e benevolo, noi impariamo che siamo in ascolto, dono, e ci realizziamo nella gratuità.

A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che Marta non amasse Gesù. Al contrario, lei amava il Maestro, solo che esplicava il suo affetto arrabbatandosi in cucina. In realtà lei dava più importanza all’esteriorità che non all’ascolto di cui aveva perso il senso. Conseguentemente il senso del suo affannarsi: è preoccupata, ansiosa, tesa, incerta, impaziente, pungente ecc… Marta è l’immagine di chi vive momenti di timore, di paura senza sapere più donare un sorriso e senza sapere quale sia esattamente la sua identità (o meglio, solo quella che le hanno appiccicata addosso).

Fratelli e sorelle, l’ascolto di Dio è la roccia della nostra salvezza: “Tu, o Dio, roccia della mia salvezza” (Salmo 89,27). La lieta notizia che deriva dalla meditazione consiste nel fatto che Dio ha una Parola per me, per noi, e possiamo ascoltarla, nel silenzio e nella pace, da tale ascolto siamo nutriti, cresciamo nella fede e ci realizziamo come essere umano, e cresciamo insieme a tanti altri come Chiesa in cammino: “Questa parte migliore non ti sarà mai tolta”.

Conclusione

Il discepolo (credente) che è “in cammino” con il Signore non si deve preoccupare o agitare “per molte cose”. Il tempo urge troppo perché egli si “preoccupi” di cose materiali. La presenza del regno (spesso espresso solo come parola) non può lasciarsi distrarre (portar via) da un troppo esclusivo pensiero delle realtà terrestri.

L’attenzione al Maestro, l’ascolto della sua Parola è per il discepolo la “parte migliore”, che non gli sarà tolta. Ma per Luca, ascoltare la Parola non ha nulla a che fare con la contemplazione oziosa, bensì sfocia nell’azione concreta ed esigente (Lc.8,15). Se questo vale per ogni cristiano, tanto più diventa essenziale per i religiosi che “lasciando ogni cosa per amore di cristo, lo seguono come l’unica cosa necessaria (Lc.10,42, ascoltandone le parole (lc.10,39), pieni di sollecitudine per le cose sue”.

Amen,alleluia,amen.

 

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GESU' IN CAMMINO CON I DISCEPOLI DI EMMAUS

Lc.24,13-35 

Il racconto, strutturato come parabola, relativo all’apparizione di Gesù ai discepoli in cammino verso Emmaus, esercita sempre un certo fascino anche in chi non sa cogliere le sfumature del linguaggio del Vangelo.
Non scordiamo, per comprendere appieno il senso di questa parte del Vangelo di Luca, che Gesù profeta riunisce attorno a sé, con l’efficacia del suo insegnamento e dei suoi prodigi, un gruppo di uomini, per lo più pescatori, associandoli al suo ministero di uomo-Dio. Un progetto di uomo nuovo, alla maniera di Gesù Cristo, è proposto proprio a loro che lo seguono verso Gerusalemme.

Nel Vangelo di Luca, il viaggio storico di Gesù diventa il cammino ideale, la “strada dei discepoli”, che seguono il loro maestro. E rappresenta anche il cammino ideale per ogni credente, proprio perché chi segue Gesù è una persona che ha fatto una scelta radicale, ben ponderata.

Tuttavia, può accadere che nell’arco del cammino possono succedere fatti imprevisti o cose che ci lasciano perplessi, o che nascano dubbi e amarezze. 
I due discepoli lasciano Gerusalemme tristi e delusi per poi ritornarvi commossi, entusiasti, felici e colmi di speranza. Tra l’andare e il tornare c’è di mezzo l’incontro con il pellegrino sconosciuto che sta all’origine del loro mutamento. Noi tutti conosciamo la vera identità del pellegrino, e questo sapere ci crea un clima di attesa e di partecipazione emotiva alla vicenda dei due discepoli.

Nel volgere di una settimana a Gerusalemme è avvenuto di tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfante, acclamato come un re; ha trasmesso il comandamento dell’amore; durante la cena per festeggiare la Pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando il pane e versando il vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; processato, ingiuriato, torturato, condannato a morte, trafitto su una croce, sepolto…Tutto è finito: sogni, idee, bisogni, certezze, amicizie, progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente durante l’arco di tre anni di sequela fedele a attenta. Tutto è definitivamente sigillato e oscurato dietro la gran pietra rotolata contro l’ingresso del sepolcro scavato nella roccia. Tutta la struttura di quello stupefacente periodo vissuto accanto al Maestro è crollata con la sua crocifissione.

In quello stesso giorno, quello della scoperta della tomba vuota, la domenica della resurrezione, due discepoli delusi e tristi, si mettono in cammino verso Emmaus, un villaggio distante da Gerusalemme una decina di chilometri, conversando di tutto quello che era accaduto. La loro decisione è di abbandonare e scordare la vicenda di Gesù, per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà precedente, al quotidiano di ogni giorno.

Se non conoscessimo l’esito della vicenda è facile intuire le reazioni con gli altri: “Fate come volete…pazienza, è stato bello, è stato un sogno…andiamo…peggio per voi…siete adulti e vaccinati…insomma, arrangiatevi!”

Ma qualcuno non pensa così. Mentre conversano e discutono insieme, Gesù in persona si affianca e cammina con loro facendosi compagno di quella strada. Tuttavia i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. 

E’ a quel punto che Gesù prende l’iniziativa e chiede loro: “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?”
Si fermano un istante, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli dice: “Tu solo sei cos’ forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi accaduto in questi giorni?” Domandò, Gesù: “Che cosa?” Di fronte ad uno così non verrebbe voglia di rispondergli: “Ma scusa, dove vivi? Da dove vieni? Dove hai la testa? A causa della ferita che è forte nell’animo, anzi è talmente bruciante che li rode dentro, e avvertono la sensazione di essere stati ingannati, tanto che avvertono la necessità di sfogarsi. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; nonostante tutto sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi di mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.

Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta facendo in modo che esprimano le proprie ansie, le proprie amarezze e angosce. L’iniziativa dell’incontro, dicevo, parte da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, quasi accettano il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia dell’uomo.

E dice loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” E iniziando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno volge già al declino”. Entrò per restare con loro. Nel momento in cui fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora fu come se si aprisse un sipario, lo riconobbero. Ma Gesù sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc.24,13-22). 

Cari fratelli e sorelle in questo racconto possiamo cogliere quattro esperienze umane fondamentali (come afferma l’autorevole cardinale Carlo Maria Martini): il cammino, l’ospitalità, la frazione del pane, l’apertura degli occhi.

Il cammino: l’esperienza dell’itineranza, dell’andare verso un luogo. Luca parla spesso di Gesù come “colui che fa cammino”, cioè è in cammino. Anche il particolare quando Gesù pone la domanda, i due si fermano e poi riprendono a camminare, rivela che è data molta importanza a questa esperienza sotto la quale può essere vista la storia di ogni uomo. La vita umana è un dinamismo, va avanti, è protesa verso una direzione e Dio viene incontro all’uomo per accompagnarlo e per camminare con lui.

L’ospitalità: l’accoglienza è un altro simbolo centrale e antichissimo dell’uomo che supera l’istintivo timore del viandante che bussa alla porta. Nel racconto è espressa con parole meravigliose e amorevoli: “Resta con noi”, dicono i due a Gesù, non andartene, vogliamo stare insieme. La loro diffidenza iniziale verso lo sconosciuto si scioglie lentamente sino a diventare fraternità: vieni a casa mia, tu che sei mio ospite. Come abbiamo potuto cogliere dalla “Storia del popolo ebraico”, l’ospitalità è uno dei pilastri del costume, è il modo di essere uomini veri: saper accogliere chiunque, a qualunque ora, in qualunque tempo, senza mai irritarsi, preparando subito tutto con gioia, è un preciso dovere tramandatoci dalla Bibbia. Ed è un simbolo che ci interpella, che interpella gli abitanti delle nostre città che, vivendo magari nello stesso condominio, con gli appartamenti sulle stesse scale, si ignorano per anni senza avvertire il bisogno di salutarsi, di frequentarsi, di conoscersi, di accogliersi.

La frazione del pane: il gesto ha una sua simbologia umana e storica: “Mentre si sedevano con lui, prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro”. La partecipazione del medesimo pane è più dell’ospitalità, è la condivisione della mensa che rende veramente fratelli, è come una cerimonia di alleanza, di amicizia: cioè metto in comune il pane che è un mio bene. Luca, con la frase, “spezzò il pane” ha in mente l’Eucaristia, vuole rilevare che Gesù, ormai Risorto e vivo, si dona ai due manifestandosi nella carità perfetta dell’Eucaristia. Ma la condivisione è, di fatto, un simbolo umano e per questo Gesù l’ha scelto come simbolo eucaristico, come segno del dono della sua vita all’uomo.

L’apertura degli occhi: siamo in opposizione al tema della chiusura degli occhi: “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, cioè erano come accecati. Anche Maria di Magdala, in un primo momento, aveva scambiato Gesù per i custode del giardino. Come mai pur conoscendo bene il suo volto, pur essendo suoi fedeli discepoli, non capivano che era Gesù? Gli occhi di Maria erano chiusi dalle lacrime, dal dolore, dalla ricerca sbagliata; i due di Emmaus sono accecati dall’aver perso ogni speranza, dal non aver compreso le parole di Dio contenute nella Scrittura. A un tratto “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”.

Noi umani, immersi nell’ordinaria quotidianità, non vediamo le meraviglie dell’amore di Dio che ci circondano, non sappiamo leggere la Scrittura nella maniera giusta, temiamo che il Dio di Gesù, di cui sentiamo parlare, ci impedisca di essere felice, di vivere come intendiamo vivere limitandoci la libertà. Quando invece, nel nostro cammino di ricerca faticosa, apriamo gli occhi, per la grazia del Signore Risorto, è in quel momento che scopriamo con stupore e con gioia che Dio ci ama, ci è amico, ci è Padre, che Gesù ci è fratello, che la fede è la chiave della vita veramente umana.

I due discepoli conoscevano le Scritture, ma non ne avevano colto il significato più profondo. Gesù gliele spiega, spiega il mistero dell’uomo, della storia, degli avvenimenti, delle vicende ed ecco che il loro cuore arde: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto…quando ci spiegava le Scritture?”. Il fuoco che brucia produce scuotimento, sconvolgimento interno, emozione forte, inquietudine e tormento; è l’esperienza che nasce dall’ascolto vero della Parola di Dio. Ora hanno compreso che ogni pagina della Bibbia, dal primo all’ultimo Libro, contiene quella Parola vivente che è Gesù morto e risorto.

Ne consegue un insegnamento prezioso: è basilare conoscere la Scrittura per scoprire l’amore di Dio per l’uomo e la sua lunga storia d’amore per noi tutti che si è dispiegata nella storia della salvezza.

Conclusione: nell’insieme, l’apparizione di Gesù ai due discepoli ci rammenta che noi umani siamo esseri in cammino e bisognosi di significati; che in questo cammino siamo chiamati a riconoscere la Parola di Dio che ci incalza, ci interpella continuamente sulla direzione del nostro viaggio per spiegarcene il senso; che la libertà e la felicità di noi umani consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla, nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel mistero del suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo a noi.

Amen,alleluia,amen.

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GESU' E L'ADULTERA

Giovanni 8,3-11

Gli Scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero nel mezzo, bene in vista, e gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè ci ha ordinato nella legge che tali donne siano lapidate: Tu che ne pensi?

Parlarono così per tendergli un'insidia e aver poi un pretesto per accusarlo. Ma Gesù si chinò e col dito si mise a scrivere in terra. E poiché quelli insistevano, egli alzò il capo e rispose: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. Poi si chinò di nuovo e continuò a scrivere in terra.

Udite queste parole, se ne andarono tutti, uno dopo l'altro, cominciando dai più vecchi.

Rimasero soltanto Gesù e la donna che continuava a stare lì, in piedi. Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, va e non peccare più.

 

COMMENTO

Per comprendere appieno il senso di questi episodio, non scordiamo ciò che è scritto in Lv.20,10 e Dt. 22,22. Si precisava che l'adulterio fosse punito con la morte per lapidazione. Questo offre agli Scribi un'occasione per mettere Gesù alla prova. Il brano è molto limpido e non esige una lunga analisi. Basta stare attenti ad alcuni aspetti che emergono dal racconto, suscettibili, di qualche applicazione anche per noi.
Ci troviamo a Gerusalemme, nel tempio. Gesù è ormai conosciuto. Sono molti quelli che lo incontrano. C'è anche questa donna, che probabilmente non l'ha mai visto. O se la visto certamente non è stato per lei un incontro decisivo. Non si era resa conto di quanto poteva essere importante. In lei non era maturato nessun desiderio. Anzi, con ogni probabilità era una donna che non cessava di "cercare" ma in modo sbagliato, su strade diverse, lontano dallo sguardo di Gesù.

Si tratta di una donna che vive una sua storia fatta di bisogni e d'attese ( proprio come oggi). Non le basta quello che ha. Una storia forse che non ha neppure scelto né voluto. Una cosa in ogni caso è certa: non ha trovato quello che cercava con tanta insistenza all'interno di un legame familiare e nell'intimità di uno sposo. Non è riuscita a saziare la sua sete d'amore ricevuto e dato. Ha cercato un incontro. Solo umano. Fatto di sotterfugi. Si accontenta. Si lascia andare in una ricerca di soddisfazione che forse sa già si rivelerà un'altra volta deludente e umiliante. Un incontro che non modificherà la sua esistenza, non la colmerà nella sua sete d'amore.

 

Tuttavia accade l'imprevisto. E' un fatto molto drammatico. Ancora una volta essa prende coscienza di essere stata solo un oggetto. Strumento di piacere di un uomo che, in effetti, ha approfittato di lei per poi abbandonarla al suo destino, senza cercare di difenderla. Strumento nelle mani di coloro che vogliono usarla per scopi reconditi che neppure lontanamente immagina. In pratica lei è la vittima di una violenza, che le toglie l'intimità, l'identità, la dignità, scoprendo l'amarezza e il disgusto.

E' a questo punto e con questo stato d'animo che incontra Gesù. Certamente un incontro altamente drammatico poiché ne va della sua vita. Lei è sola, posta al centro degli sguardi perfidi e perversi dei suoi accusatori: certi nei loro sotterfugi meschini di agire secondo la legge di Dio.

Gli Scribi non ricorrono a Gesù con sincerità di cuore ma per metterlo alla prova. Lo sanno amico di peccatori e di pubblicani, pronto al perdono: perdonerà anche all'adultera, rifiutandosi di applicare la legge mosaica? In tal caso si potrà fare contro di lui una denuncia precisa e procedere di conseguenza. Costoro dunque non cercano la verità. Hanno già condannato Gesù e la donna a priori: cercano soltanto un pretesto giuridico, una copertura legale nei confronti di Gesù...e per la donna la legge mosaica parla chiaro. I sassi della folla battono ritmicamente nelle loro mani pronti per essere scagliati. L'angoscia e il terrore assalgono la donna. L'uomo dal quale l'hanno condotta non la guarda neppure al momento.

 

Addirittura pare che Gesù non abbia intenzione di rispondere. Si comporta come se gli Scribi e la folla, i tentatori, non esistessero: scrive con un dito per terra. Il fatto è che non sono persone da ascoltare, non sono in cerca della verità, ma di un capo d'accusa. Ma ecco che alla loro perdurante insistenza Gesù risponde ponendo la questione in termini completamente capovolti, insospettati: li coinvolge.
Qui sta il nocciolo della questione. Gesù non nega il giudizio di Dio, questo è bene rammentarlo, ma vuole che ciascuno lo rivolga a se stesso. 

 

Adulterio o no, siamo tutti peccatori e bisognosi di conversione, di perdono, di misericordia. Inoltre Gesù vuole che il giudizio di Dio provenga da Dio, non degli uomini. Soltanto Dio può giudicare (vedere nel sito, sezione meditazioni, "Non giudicare"): come possono farlo gli uomini se sono essi stessi peccatori?

Infine Gesù esprime il giudizio. Il suo atteggiamento di fronte alla donna non esclude il problema, non è un disimpegno. Gesù è il Figlio di Dio e non è peccatore, quindi pronuncia il giudizio, ma è un giudizio fatto di perdono e di invito alla conversione.
E' VERAMENTE IL GIUDIZIO DI DIO.

 

E' a questo punto che Gesù scacciato il sofferente silenzio, dietro le loro insistenze, alza lo sguardo verso la donna, un sussulto di infinita tenerezza e dolcezza. Egli sente di doverla riconsegnare a se stessa, liberarla dalla mano degli assassini.

Con una frase terribile Gesù la isola, la libera. Si abbassa e scrive: i nomi dei peccatori sono scritti nella polvere: "Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".

Se ne vanno tutti. Finalmente sono soli lui e la donna. Avviene l'incontro nella dignità, nella libertà, nasce il desiderio dell'incontro salvifico.


La donna lo guarda in modo interrogativo e al tempo stesso affascinata. Dice S.Agostino: "Relicti sunt duo, misera et misericordia"
La donna si rende conto di essere stata salvata da quell'uomo: ma perché? Si rasserena. Una domanda: Nessuno ti ha condannata? Una domanda evasiva, scontata. Un ponte gettato tra lui e lei. Finalmente vi può essere l'incontro che riconsegna la donna a se stessa rimettendola in cammino nella sua dignità.

Una sola parola le dice ancora Gesù: Va e non peccare più".
Un invito a non continuare a sbagliare il bersaglio della sua ricerca di vita e d'amore.

 

CONCLUSIONE

La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità da Gesù Cristo. In pratica due ere e due concezioni diverse della giustizia, che dominano l'episodio che abbiamo meditato. Cristo non nega la legge ma ne supera gli inevitabili limiti. La legge giudica soltanto gli atti, non le persone: Gesù invece giudica le persone e sa che al di là dello stato di giustizia legale o di peccato si può inserire in loro un dialogo con Dio nella pura fede. In tutt'altra posizione sono gli accusatori: dalla loro interrogazione emerge la mentalità legalista, priva di pietà e di umanità, ed è evidente l'intenzione di accusare Gesù. Ma egli non si cura di loro: scrive per terra, avrebbe potuto apostrofarli, ma cerca il bene anche dei suoi nemici; pressato perché si pronunci risponde: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" Gli incensurati eccoli sul banco degli accusati. La donna rimasta merita la grande parola: "Neanch'io ti condanno; va e d0ra in poi non peccare più"
L'adultera rappresenta i membri della Chiesa: al di là dei nostri peccati noi accettiamo l'incontro e il dialogo di fede con Cristo che deve sfociare nel "non peccare più", non per sola obbedienza alla legge, ma per rispondere alle esigenze di una coscienza che ha incontrato l'Amore.

Amen, alleluia, amen!

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GESU' E ZACCHEO

 

Incontro e salvificio di un peccatore

Luca 19,1-10

Entrato in Gerico, Gesù attraversava la città. Ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, che era sovrintendente degli esattori del fisco e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non ci riusciva a causa della folla perché era piccolo di statura. Corse dunque avanti e per poterlo vedere salì sopra un sicomoro, perché doveva passare di là.

Quando Gesù arrivò sul posto, alzò lo sguardo, e gli disse: Zaccheo, presto, vieni giù perché oggi debbo fermarmi a casa tua. Egli discese in fretta e lo accolse con gioia in casa. E tutti, vedendo ciò, incominciarono a mormorare dicendo: E' andato ad alloggiare in casa di un peccatore. Ma Zaccheo, fattosi avanti, disse al Signore: Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo. Disse allora Gesù a lui: Oggi in questa casa è entrata la salvezza, perché anche lui è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Non ci fa meraviglia che il tema della misericordia ritorni con tanta frequenza nella Liturgia perché Dio è misericordia infinita, inesauribile e perché noi uomini siamo massimamente bisognosi di misericordia. Dio che ci ha creati in un atto d'amore, ci ricrea giorno per giorno in un incessante atto di misericordia col quale ripara la nostra debolezza, perdona le nostre colpe, ci redime dal male.
"Hai compassione di tutti, perché puoi tutto, dimentichi i peccati degli uomini perché si convertano. Poiché tu ami tutte le cose esistenti, non disprezzi nulla di quanto hai creato" (Sp.11,23-24).

Prima di entrare in Gerico, Gesù aveva incontrato un cieco che si protendeva in mezzo alla folla e gridava verso di lui invocando il dono della vista. La conversione di Zaccheo a Gerico è l'ultimo episodio del viaggio di Gesù a Gerusalemme. Dobbiamo sapere che Gerico era la sosta obbligata per i pellegrini che provenivano dal nord attraversando la Perea. Vale a dire una cittadina di frontiera e di collegamento per il commercio con i paesi sud-orientali. 

E' in questa realtà che prosperavano i funzionari della dogana e del dazio. Zaccheo è appunto un esattore capo e di conseguenza ricco. Le due qualifiche, funzionario del fisco e ricco, fanno di Zaccheo un caso disperato. Non solo egli appartiene alla categoria dei peccatori, ma è anche ricco. E sappiamo dall'episodio del notabile ricco che è impossibile che un ricco si salvi (Lc.18,24-25). Tuttavia nell'incontro con Gesù capita l'imprevedibile. Pare quasi che San Luca si sia divertito un poco e con una certa simpatia l'espediente cui ricorre Zaccheo per vedere Gesù. E' curiosità quella che lo spinge o interesse indefinito?

Qui dobbiamo fare subito una prima breve riflessione. San Luca non fa la psicologia della conversione, ma descrive le grandi tappe del cammino salvifico secondo un modello ideale. Ecco Zaccheo, piccolo di statura, che sfida la calca della folla e si arrampica su un albero (sicomoro) desideroso anche lui di vedere: vuol conoscere il Maestro di cui ha sentito parlare e forse anche descrivere la bontà proprio verso i pubblicani. Era una cosa inaudita, infatti, che un maestro di Israele si occupasse di questi uomini sfuggiti e odiati da tutti per la loro professione di impiegati dell'impero romano e ritenuti nemici del popolo. Zaccheo è il loro capo e quindi più malvisto degli altri; e poiché è ben conosciuto non può passare inosservato. Ma lui non si preoccupa della gente né teme di esporsi al ridicolo, alle beffe, vince ogni complesso di dignità e di prestigio; gli preme soltanto di vedere il Signore e attende il suo passaggio spiando dall'alto dell'albero.

"Or quando giunse sul luogo, Gesù guardò in alto e gli disse: "Zaccheo, scendi in fretta perché oggi devo fermarmi a casa tua". Gesù sa molto bene chi è Zaccheo: un pubblicano arricchito con soldi estorti al popolo; tuttavia non lo disprezza e neppure lo rimprovera, anzi si rivolge a lui con un simpatico gesto di amicizia: vuole andare a casa sua.  A questo punto s'innesca la seconda parte della scena nella quale Gesù prende l'iniziativa. Gesù entra di prepotenza nella vita di quest'uomo, solidarizzando con lui senza mezze misure, sfidando le critiche dei benpensanti. 

Da parte sua Zaccheo non avrebbe mai sognato una simile proposta, scende in fretta dall'albero e lo accoglie pieno di gioia. Ovviamente, la gente mormora scandalizzata; lui lascia dire; ha cose ben più importanti da trattare col Maestro che ormai gli ha toccato il cuore.  Davanti a Gesù Zaccheo decide un cambiamento radicale. Conversione per un ricco significa dire nuovo modo di usare i beni e nuovi rapporti di giustizia sociale. "Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dono ai poveri; e se ho commesso frodi ai danni di qualcuno restituisco il quadruplo".

E' il segno di una conversione coraggiosa, piena, totale; è bastata la presenza e la bontà misericordiosa del Signore per illuminare la coscienza di un uomo senza scrupoli, impelagato nei soldi, avvezzo ai guadagni ingiusti.Ma da parte di Zaccheo c'è stata una buona disponibilità che lo ha aperto alla grazia: il desiderio sincero di vedere, di incontrare Gesù. Ed ora si sente dire: "Oggi la salvezza è giunta in questa casa...; il Figlio dell'uomo è venuto infatti a cercare e salvare quello che era perduto".
Al pubblicano considerato dai farisei un peccatore irrimediabilmente perduto, è stata offerta la salvezza ed egli l'ha accettata aprendo la sua casa e il suo cuore al Salvatore. La medesima offerta Gesù Cristo non cessa di farla anche oggi ad ogni uomo: "Ecco, sto alla porta e picchio. Se uno sente la mia voce e apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui e lui con me" (Ap.3,20). Dio, nella sua infinita misericordia, non si accontenta di convertire gli uomini e di perdonarli, ma offre ad ognuno la sua amicizia, invitando ognuno alla comunione con lui.

Cari fratelli e sorelle, se anche noi non saliamo sopra un sicomoro, non significa sottrarsi al rischio che questo momento di grazia, questa possibilità, passi inutilmente accanto a noi? Dobbiamo correre avanti, appostarci per rendere possibile l'incontro. Lui rispetta moltissimo la nostra libertà: se non vede il nostro desiderio di incontrarlo passa oltre: ne soffrirebbe troppo ma passerebbe oltre, lasciandoci così come siamo.
Dobbiamo fare di tutto per identificare il nostro sicomoro: la natura? Il silenzio? Un amico? Una chiesa? La comunità? La preghiera? I sacramenti? Un prete? Una suora? O quant'altro ancora...Con una certezza però, che il nostro atto di volontà è la via per l'incontro che cambia l'esistenza tutta.

Amen, alleluia, amen!

 

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