Parabole

 

 

Amministratore

La vigna e i due fratelli

Contadino che semina

Tesoro e perla

Vigilanza e responsabilità

 

 

 

 

AMMINISTRATORE

 

IL FATTO DELLA VITA

 

Giuseppe è il tipo d’uomo che non perde tempo. Egli vede lontano. Ha un fiuto tutto speciale per accorgersi delle cose. Sa e persino sente quando è il momento di agire. Non perde mai un’occasione. Per questo se la passa bene. Il suo futuro è garantito.

 

L’ora della fortuna arriva per tutti, ma non tutti sanno accorgersi delle cose e valersi delle circostanze, come Giuseppe. I più furbi dicono: I buoni sono babbei. Si addormentano alla fermata del treno. E, quando si svegliano, il treno è già passato. Per cui, continuano a vivere come prima e non fanno mai un passo avanti.

Tutto ciò succede oggi e succedeva al tempo di Gesù. Egli ne parla nella parabola che ascolteremo tra poco.

 

NOTA: Non bisogna dormire, ma bisogna saper approfittare delle occasioni, nel momento esatto in cui esse si presentano. Era proprio questa la preoccupazione di molti, al tempo di Gesù. Al di là della malizia e della cattiveria, che il più delle volte constatiamo nell’accortezza degli uomini, Gesù vi ha colto qualcosa di positivo, che può illuminarci sul come dobbiamo essere accorti, nel momento in cui nella nostra vita ci si manifesta il momento opportuno di Dio.

Ascoltiamo ciò che dice Gesù.

 

DAL VANGELO DI LUCA 16,1-8 leggiamo e meditiamo

Commento

La parabola del fattore o amministratore scaltro ha sempre suscitato perplessità: com’è possibile che il Vangelo presenti un uomo disonesto quale modello da cui imparare?

Dobbiamo, innanzitutto, tenere presente l’ambiente palestinese e i suoi costumi. I grandi proprietari terrieri, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano anche la possibilità (maggiorando il prezzo) di realizzare guadagni personali.

 

Ed è in questa situazione che il nostro latifondista riceve delle denunce a carico del fattore al quale aveva affidato la contabilità dell’azienda. Di qui il controllo dei conti e la minaccia del licenziamento per l’amministratore truffaldino.

Per comprendere il modo di agire di costui si deve tenere conto del suo ruolo e delle sue condizioni di lavoro. Generalmente, come già abbiamo detto, il fattore di un latifondo godeva di una notevole libertà e responsabilità. Il compenso per la sua prestazione era ricavato dai guadagni che egli riusciva a fare con prestiti ad alto interesse. Così in un momento critico egli agisce con estrema decisione e accortezza valendosi della sua posizione per assicurarsi un avvenire e rifarsi una vita.

 

Il racconto evangelico riporta due soli esempi della manovra di copertura messa in atto dall’amministratore: quella a favore del grossista che ha comperato 100 misure di olio e quella a favore del mercante che ha comperato 100 misure di grano.

In concreto l’amministratore, che tiene tra le sue carte i contratti dei debitori, condona o abbuona circa il 50% al primo e il 20% al secondo debitore. Così facendo si procura amici che lo aiuteranno nella difficoltà, perché lui ha rinunciato alla propria parte di profitto, senza danneggiare il padrone.

 

Tuttavia è inutile porre la questione in questi termini: ladro sì, ladro no! La parabola, infatti, non attira l’attenzione sui mezzi a cui il fattore ricorre per farsi degli amici.

Gesù vuole lasciarci impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui il fattore cerca, senza un attimo di esitazione, di mettere al sicuro il suo avvenire. Appena si accorge che il suo futuro è in pericolo, il fattore si mostra astuto, voltando a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a trovarsi.

 

Ecco, il vero centro della parabola è racchiuso nella constatazione che "i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce".

Ebbene, il cristiano non dovrebbe essere altrettanto pronto, scaltro e risoluto nell’assicurarsi nel tempo presente il Regno di Dio?

E possiamo comprendere perché il padrone dell’azienda abbia parole di elogio per l’abile manovra del suo dipendente, il quale resta comunque un truffatore per il suo modo di approfittarsi.

 

In definitiva Gesù invita i discepoli a impegnarsi nel mondo sociale ed economico, ma con criteri diametralmente opposti a quelli del sistema del peccato, al quale si ispira l’amministratore truffaldino. Essi devono servirsi del "capitale", mammona, che è comunque e sempre iniquo, in quanto frutto di accumulo e fonte di falsa fiducia, per creare una solidarietà che va oltre la sfera e gli interessi mondani. In altre parole devono aiutare i poveri, i quali così diventano loro amici e clienti presso Dio.

E’ questa la decisione saggia e coraggiosa che deve distinguere i discepoli: garantirsi il futuro vero finché ne hanno la possibilità, ma con criteri alternativi rispetto a quelli del sistema mondano.

Amen,alleluia,amen.

 

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LA VIGNA E I DUE FRATELLI

 

Il fatto della vita

 

Era l’alba di una mattina quando il sacerdote sentì che qualcuno batteva alla porta della canonica. Si trattava di un uomo, ebbro a prima vista: "Padre, ieri sera ho fatto festa con gli amici. Abbiamo bevuto molto e,sa com’è, abbiamo finito la serata con alcune donnine simpatiche. Con loro ho perduto la grazia di Dio. Non posso assolutamente andare a casa senza la grazia di Dio. Perciò sono venuto a confessarmi".

 

Il prete gli rispose: "Amico, se hai perso la grazia di Dio con quelle donne, solo da loro puoi ritrovarla, chiedendo perdono alla donna che hai disonorato". Quindi chiuse la porta in faccia all’uomo, che s’incamminò verso casa.

 

Un fatto della Bibbia.

 

Gesù con i peccatori e i pubblicani, "usurai"diremmo noi (Mt.9,10-13; Lc.15,2) si fermava nelle loro case (Lc.19,7), si faceva lavare i piedi da una prostituta (LC.7,37-38) e proponeva al dottore della legge come esempio un samaritano, considerato eretico (Lc.10,25-27), ascoltava le richieste dei pagani (Mt.15,28) e preferiva la gente semplice, maledetta e disprezzata dai farisei (Gv.7,49). Per cui i "bigotti" si sentirono molto scandalizzati. Gesù era accusato di fare queste cose "sbagliate", ma rispondeva: "Non sono quelli che godono di buona salute ad avere bisogno del medico, bensì i malati (Mt.9,12).

 

Gesù arriva perfino a raccontare una parabola, in cui dimostra che il peccatore può essere migliore dei fariseo, che tutti giudicano un uomo devoto (Lc.18,9-14). I più acerrimi nemici dei farisei devoti sembravano buoni amici di Gesù. Perciò Gesù era una persona scomoda per i "bigotti".

Ascoltiamo cosa dice Gesù alla gente del suo tempo su questo problema.

E’ facile dire: "Questo qui è buono. Quello là è cattivo". Ma, così dicendo, forse non stiamo condannando noi stessi?

 

LETTURA VANGELO MATTEO 21,28-32

Commento

La parabola dei due fratelli dà una spiegazione al fatto che coloro che avrebbero dovuto essere i primi ad accogliere il Vangelo, in realtà l’hanno rifiutato. Come spiegarlo?

Sullo sfondo di questa parabola sta lo sconcerto generato da un duplice rifiuto. Gesù è stato rifiutato dai Giudei praticanti e dai rappresentanti della legge, mentre è stato accolto dal popolo, dai pubblicani e dai peccatori; la predicazione del Vangelo è stata rifiutata dai Giudei e accolta favorevolmente dai pagani.

 

Le due situazioni (la prima del tempo di Gesù e la seconda del tempo della Chiesa) si sovrappongono, come spesso succede nelle parabole. E’ una sovrapposizione corretta, perché la logica che sottostà ad ambedue le situazioni è la medesima.

Il discorso di Gesù è ben costruito: egli racconta la parabola, poi provoca il giudizio dei suoi ascoltatori, infine ritorce contro di loro un giudizio che essi stessi hanno formulato.

 

La parabola è strutturata secondo due quadri in perfetto contrasto, descritti allo stesso modo, quasi parola per parola: un no che diventa un sì; un sì che diventa un no.

Quando Gesù racconta la parabola, i suoi ascoltatori sono gli alti sacerdoti e gli anziani che lo interrogano sulla sua autorità. Ma si tratta di una domanda fittizia, senza impegno. Essi hanno già una ferma opinione su di lui.

 

La parabola ha due facce: su quale di esse si deve porre l’accento? Se rivolta ai giusti, li avverte che il loro sì può sempre diventare un no. Se rivolta ai peccatori, li assicura che le loro possibilità sono intatte: il no può diventare sì. Sembra, dunque, di trovarci di fronte a una specie di parabola "girevole".

Ma questo si può dire unicamente se si legge la parabola in se stessa, strappandola dal suo contesto. Invece, alla luce del contesto in cui Gesù l’ha detta, la direzione è una sola. La parabola è rivolta ai giusti, ma per parlare loro dei peccatori: sono migliori di voi!

 

Che la parabola sia rivolta ai giusti, mettendo però l’accento sui peccatori, è segnalato anche dal fatto che nel primo quadro c’è un importante dato in più: "Ma più tardi, pentitosi, andò".

Dal contrasto tra gli atteggiamenti dei due fratelli si potrebbe ricavare un primo insegnamento: non è il dire che conta, ma il fare.

Tuttavia, si tratta di una lettura incompleta, perché trascura le parole con le quali Gesù conclude la parabola: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno di Dio". Sono parole forti e sconvolgenti che portano l’impronta dello stesso Gesù.

 

Naturalmente, queste parole non significano che tutti i peccatori entreranno nel Regno di Dio e che nessun Fariseo vi potrà entrare. Non esprimono un principio, una verità generale, ma fotografano una situazione di fatto, un’esperienza precisa vissuta dal Battista e da Gesù stesso. Un’esperienza singola, dunque, che tuttavia non è limitata a un solo luogo e a un solo tempo: può ripetersi.

Dopo la parabola e la sua applicazione Gesù racconta ciò che è accaduto a Giovanni Battista: "Infatti è venuto da voi Giovanni sulla via della giustizia e non gli avete creduto. I pubblicani e le prostitute gli hanno creduto".

 

Stiamo attenti. Parlando del Battista, Gesù parla di se stesso. Il Battista gli serve da esempio. Ha incontrato uomini giusti e praticanti, ufficialmente credenti, che lo hanno rifiutato. Ha incontrato uomini ritenuti peccatori, che lo hanno accolto. Gli esempi evangelici sono numerosi al punto da formare una linea costante: da una parte, il pubblicani Levi, Zaccheo, la donna peccatrice, il buon ladrone; dall’altra, i farisei, i sacerdoti, il giovane ricco.

Dicevamo che Gesù parla di sé parlando del Battista. Ma, più profondamente, intende parlare di Dio. Il padre della parabola è senz’altro la figura di Dio.

 

Il Battista, Gesù, il Padre: il comportamento verso il Battista si è ripetuto nel comportamento nei confronti di Gesù; e nel comportamento verso Gesù si trova lo specchio (visibile, senza l’inganno delle parole) del proprio comportamento verso Dio.

Il no a Gesù è un no a Dio.

 

Le ultime parole di Gesù passano al "voi", interpellando direttamente i suoi ascoltatori: "Voi, al contrario, pur avendo visto, nemmeno alla fine vi siete pentiti, così da credere in lui".

A questo punto il contrasto non è più fra i due fratelli, ma tra il primo fratello che "alla fine si pentì" e gli interlocutori di Gesù che invece neppure "alla fine" si sono "pentiti".

Con una sottolineatura, però, che aggrava ulteriormente la posizione degli ascoltatori: "avendo visto".

 

Che cosa hanno visto e tuttavia non hanno creduto? Esplicitamente non è detto, ma certo si tratta della predicazione e della vita di Gesù che ora sta davanti ai loro occhi, con la massima chiarezza. Ci sono, dunque, tutte le premesse per valutarla in modo nuovo, per ripensarci. Ma questo non avviene.

Ecco perché ciò che è accaduto allora può riprodursi oggi (anzi è già avvenuto), questo è il messaggio; e il rifiuto di allora può diventare anche il nostro e per gli stessi motivi.

Amen,alleluia,amen.

 

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CONTADINO CHE SEMINA

 

IL FATTO DELLA VITA

 

Ci sono certe cose nella vita che nascono e crescono, senza che ce ne rendiamo conto.

Il contadino va nel campo e lancia il seme, lo consegna alla terra e poi, aspetta; passano i giorni, passano le settimane e i mesi interi, uno dopo l’altro. Non si stanca di aspettare, perché sa che deve essere così. In casa, la donna prende la pianta, la mette in un vaso, poi, aspetta: giorni, settimane, mesi interi. Non si stanca di aspettare. Da lì nasce una vita nuova: il seme germoglia, il granoturco nasce, la piantina fiorisce, la spiga matura, il fiore sboccia. Possiamo partire, possiamo restare lì a guardarli, possiamo anche dormire. E’ lo stesso. Gli alberi, le piante, i fiori crescono, in virtù di una forza che hanno dentro e che non dipende da noi. Quando arriva l’ora, si fa la mietitura, si raccoglie la frutta, si taglia la canna da zucchero, si sgrana il granoturco, si colgono i fiori. E tutto ciò si ripete sempre, un anno dopo l’altro. E’ così naturale che non ce ne accorgiamo più, perché l’abbiamo sempre sotto gli occhi.

 

NOTA: In Gesù c’è una forza invisibile, la forza di Dio. La stessa forza sta pure nella Chiesa, nei cristiani, in ognuno di noi che abbiamo ricevuto l’effusione dello Spirito Santo, nel quartiere, nell’umanità intera. C’è gente che neppure se ne accorge. Ha occhi per vedere ma non vede. Gesù vuole che l’uomo scopra questa forza amica di Dio, che sta dentro la nostra vita, in continua crescita. Per aiutarci a scoprirla, ci invita a confrontarla con la forza invisibile, che genera la crescita della natura.

Ascoltiamo ciò che egli ci dice.

 

DAL VANGELO DI MARCO 4,26-29 LEGGIAMO LA PARABOLA.

Commento

La realtà del Regno di Dio è confrontata con ciò che avviene quando un contadino ha gettato il seme e poi continua la sua vita ordinaria fino alla mietitura. E’ un piccolo quadro della vita agricola che serve a chiarire un aspetto della situazione dell’uomo di fronte al Regno di Dio. Il punto di confronto è suggerito dal contrasto tra la vita tranquilla del contadino e il misterioso germogliare, crescere e maturare del seme; dal contrasto tra l’intervento iniziale del seminatore e la forza misteriosa della terra che porta il seme a maturazione. In ogni modo il punto culminante è l’arrivo della mietitura che corona l’attesa e il processo di crescita. Così avviene per il Regno di Dio! Avviato il processo con l’annuncio, esso giungerà sicuramente al compimento per la forza irresistibile e misteriosa che lo sostiene.

 

Analizziamolo ora in dettaglio

La breve similitudine descrive la storia in tre tempi: la semina, la crescita e la raccolta.

Il primo è il momento dell’azione del contadino, come un fatto concluso. E la sua funzione è soltanto di porre la premessa per il prosieguo della narrazione.

 

Nel secondo momento si diffonde la descrizione. Gesù vi indugia, desiderando che l’ascoltatore faccia altrettanto. E’ il tempo del seme e della terra, non del contadino. Per quest’ultimo è solo il tempo che passa (dorme e veglia, notte e giorno), durante il quale ignora ciò che sta accadendo (come,egli stesso non sa): Per il seme, invece, è il tempo importante della crescita (germina e si allunga). E per la terra è il tempo in cui essa opera straordinarie trasformazioni: lo stelo, la spiga, il grano nella spiga.

 

Nel terzo momento ricompare il contadino, che però non viene nominato: manda la falce. Proprio così: non i falciatori, ma la falce. Ma l’azione del contadino è inquadrata da due altre, di cui egli non è il protagonista: "Appena il frutto lo consente", e: "Il tempo della mietitura è sopraggiunto". Sono due espressioni da analizzare con cura. Non si dice: "Appena il contadino vede che il frutto è maturo", bensì: "Appena il frutto si concede".

 

L’immagine è bellissima: è il frutto stesso che si dona all’uomo: L’uomo non fa, ma accoglie. E’ il seme che in realtà fa tutto: germina, cresce, matura, so offre all’uomo per la raccolta. Il tempo in attesa della mietitura è un tempo lungo e tuttavia è anche un tempo da afferrare. Le azioni che vi si svolgono richiedono rapidità: appena..subito..Tempo che permane e che è urgente: il tempo compiuto.

 

Fin qui abbiamo rinarrato la similitudine, componendola nelle sue sequenze, nei protagonisti, nelle immagini soprattutto nei tempi. Un risultato è certo: l’attenzione cade sul tempo intermedio, fra la semina e la mietitura. Tuttavia, gli angoli di osservazione sono diversi.

La similitudine sembra anzitutto sottolineare un contrasto fra i due tempi: quello del contadino, un tempo brevissimo, sia per la semina sia per la mietitura; e il tempo della crescita del seme, un tempo lungo in cui tutto si svolge nel segreto della terra. La similitudine indugia su questo tempo, tanto lungo da costituire per molti un problema: PERCHE’, DOPO CHE E’ CADUTO NELLA TERRA, IL SEME TARDA A MANIFESTARSI? Che significato ha questo tempo che tanto si protrae e in cui tutto pare inerte, nulla si vede e Dio sembra tacere?

 

La similitudine risponde che questo tempo intermedio è il più importante: tempo di crescita e di impensabili trasformazioni, tempo decisivo, tempo dell’azione di Dio, non della sua assenza. E’ inattivo il contadino, non il seme: Che tutto avvenga invisibilmente, misteriosamente, non è segno del silenzio di Dio, ma del suo modo diverso di parlare.

Non delusione, dunque, né turbamento né inutili impazienze, bensì attesa fiduciosa: questa è la lezione. Ma è una fiducia non facile, perché i credenti hanno sempre la pretesa di segni per vedere, per non perdersi d’animo.

 

Oltre al contrasto tra il tempo lungo del seme e il tempo breve dell’uomo, tra il tempo dell’azione visibile e dell’azione nascosta, ce n’è un secondo sul quale Gesù si sofferma: da una parte l’inerzia del contadino, dall’altra l’incessante lavoro del seme e della terra. Dei due lati il più importante è il secondo: la forza del seme. Che il contadino non possa far nulla è il presupposto su cui si fonda la narrazione, non direttamente il suo messaggio.

 

La terra fruttifica automaticamente, cioè da sé e senza causa visibile. Qui si allude non alla forza della natura, bensì al miracolo di Dio. La terra dà frutti a causa dell’azione miracolosa di Dio: questo sembra essere il senso della similitudine: Così è il Regno: un’azione di Dio incessante e prodigiosa, ma nascosta e autonoma.

 

E’ il Regno stesso, già deposto nella storia come un seme, che viene, non sono gli uomini a farlo venire. In tal modo il discepolo viene liberato da un affanno inutile, Non sta a lui garantire il successo del Regno, perché egli deve semplicemente assicurare l’annuncio e la raccolta. A decidere il tempo della mietitura è il frutto, non il contadino.

 

L’atteggiamento prioritario del cristiano nel mondo è l’attesa fiduciosa e non l’impazienza degli zelati o i calcoli degli apocalittici. Ma attenzione, la parabola non è un invito al quietismo o alla pigrizia, ma è una proposta di speranza che si fonda sulla promessa efficace di Dio. Se il seme è gettato, è garantito il raccolto. Ma è anche vero che la realtà del Regno non matura sopra o accanto o al di fuori della libertà e responsabilità dell’uomo e delle sue scelte storiche. Vale a dire che il regno di Dio non è questione di organizzazione oppure di efficienza, ma semplicemente di accoglienza.

Amen,alleluia,amen.

 

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DEL TESORO E DELLA PERLA

IL FATTO DELLA VITA

 

Al tempo di Gesù, non esisteva ancora la lotteria sportiva, ma c’era come ai nostri giorni, molta gente che cercava di essere sempre più ricca. Gente capace di vendere tutto quello che aveva, per possedere quello che cercava. Gesù Parla perfino di un tale che, per arrivare a possedere un tesoro, vendette tutto quello che aveva.

 

E, poco tempo fa, un tizio, quando ebbe la notizia che aveva vinto alla lotteria sportiva, vendette tutte le sue cose, salì su un aereo e se ne andò a Montecarlo con tutto il denaro.

Avere tanto denaro è il sogni di molta gente. Per realizzarlo, sono capaci di fare i più grossi sacrifici. Siamo tutti alla ricerca del tesoro. Ma pochi sono quelli che lo trovano.

Molti lo vanno a cercare nelle varie lotterie. Ogni volta che un fortunato vince un premio di miliardi, gli altri acquistano coraggio e pensano:"Chissà! La prossima volta potrebbe toccare a me!", e continuano a giocare.

 

Nota: C’è qualcosa che ci spinge a giocare. File, a volte lunghissime, davanti ai botteghini del lotto. Che cos’è che spinge la gente a fare così? Il denaro soltanto? Ci deve essere sotto qualcosa di più importante.

 

DAL VANGELO DI MATTEO 13,44-46 LEGGIAMO LA PARABOLA

Commento

Si tratta di due parabole parallele, aventi lo stesso significato e unite alla loro origine ma caratterizzate da alcuni verbi: trovare, andare, vendere e comperare.

Comuni ai due brevissimi racconti ci sono motivi essenziali: una scoperta straordinaria, la vendita di ogni cosa, l’acquisto del terreno ove si trova il tesoro e l’acquisto della preziosissima perla.

Inoltre nella prima parabola i verbi che seguono al ritrovamento sono al presente, nella seconda al passato.

 

La prima parabola ha per protagonista un povero contadino che lavora nel campo del suo padrone; arando gli capita di scoprire un tesoro sottoterra.

Nella seconda è invece un ricco mercante di preziosi che va alla ricerca della perla favolosa.

 

Ad una prima lettura di superficie questi due personaggi sembrano i protagonisti dell’avvenimento. Sono infatti il soggetto di tutti i verbi: trovano, vanno, vendono, comprano. Ma più in profondità i veri protagonisti sono il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini.

 

Il contadino e il mercante agiscono, ma solo perché sono talmente afferrati dal tesoro e dalla perla straordinaria. Ed assolutamente fuori luogo sarebbe interrogarsi sulla valutazione morale da dare al gesto del contadino che ricopre il tesoro venuto alla luce e compra il terreno. Non insistiamo neanche sui particolari della scoperta, semplice presupposto necessario della decisione dei protagonisti.

 

Invece non si può trascurare il motivo della preziosità di ciò che viene scoperto, perché esso rappresenta l’elemento che giustifica il loro comportamento.

Nella prima parabola viene inoltre notata la gioia della scoperta fatta dal bracciante, motivo sottinteso nella seconda.

I due racconti sono una implicita provocazione rivolta agli ascoltatori perché giudichino la scelta del contadino e del mercante. Ogni persona di buon senso non può che approvarli e trova saggia la loro decisione di non lasciarsi sfuggire l’occasione propizia e di gettare sul piatto della bilancia tutto ciò che possiedono.

 

Gesù vuol compromettere chi lo ascolta, spingerlo a prendere posizione nei confronti del Regno da lui annunciato come realtà che batte alla porta dell’esistenza umana.

Vedete, il contadino e il mercante vendono tutto quanto possiedono, ma in loro non c’è alcun rimpianto. Non si sottopongono a un sacrificio , ma fanno un affare: un vero e proprio colpo di fortuna che non si lasciano sfuggire.

 

Così è il Regno: capita davanti all’improvviso, e la scelta intelligente è lasciare tutto per entrarne in possesso. Così come hanno fatto i primi discepoli: hanno sentito l’appello di Gesù e "lasciata prontamente la barca e il padre, lo seguirono".

 

Le due parabole evangeliche ci insegnano che la conversione (la quale esige un pronto e radicale distacco) nasce dall’aver trovato, dall’esperienza di un dono inaspettato e sorprendente, da un incontro che allarga il cuore: appunto la lieta notizia del Regno.

 

Per questo dovremmo poter dire in assoluta franchezza non"ho lasciato", ma "ho trovato". Non"ho venduto il campo", ma "ho trovato un tesoro".

Il convertito non parla con nostalgia di ciò che ha lasciato. Parla sempre di ciò che ha trovato. Non invidia nessuno, e si ritiene fortunato.

Il Regno lo si può trovare per caso come il tesoro, oppure lo si va a cercare come la perla con ostinazione.

 

Sta qui la vera nota evangelica delle due parabole: la radicalità del distacco è semplicemente il risvolto di un’appartenenza che la precede; appena fatta la scoperta, il contadino e il gioielliere decidono di "appartenere" interamente al tesoro che hanno trovato.
La nostra misura di discepoli credenti è l’appartenenza, non il possesso. Si lascia tutto perché si è concentrati su altro.

 

Come gli ascoltatori di Cristo, anche noi siamo messi con le spalle al muro. Le parabole si fanno avvenimento per noi. Non possiamo sfuggire alla responsabilità della decisione. Non resta alcun r cagionevole dubbio che anche per noi valga la pena di abbandonare tutto quanto è effimero per aprirci al futuro del Regno che ci viene incontro come dono.

Amen,alleluia,amen.

 

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VIGILANZA E RESPONSABILITA'

Luca 12,35-48

Restate in tenuta da lavoro e con le vostre lucerne accese come uomini che attendono il loro signore al suo ritorno dalle nozze, per essere pronti ad aprirgli appena arriva e bussa alla porta.
Beati quei servi che il Signore al suo arrivo troverà vigilanti. Vi assicuro che egli si metterà in tenuta da lavoro e passerà a servirli.
E se arriva a notte fonda o prima dell'alba e li troverà così, beati loro!
Voi lo sapete: se il padrone di casa conoscesse a che ora il ladro viene, non si lascerebbe scassinare la casa.
Anche voi dunque state preparati, perché non sapete a quale ora il Figlio dell'uomo verrà.
Gli domandò Pietro: Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?
Rispose il Signore: Chi è dunque l'amministratore fedele e avveduto che il padrone di casa metterà a capo della sua servitù per distribuire a tempo debito le razioni di cibo?
Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così.
Vi assicuro che egli lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare e bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui non s'aspetta e nell'ora che non conosce e lo punirà severamente assegnandogli la sorte degli infedeli.
Ora il servo che, pur conoscendo la volontà del suo padrone, non dispone né fa secondo il volere di lui, riceverà molte percosse; quello invece che non la conosce e fa cose degne di castighi, ne riceverà poche.

Commento

Cari fratelli e sorelle direttissime, la vita di noi credenti è caratterizzata da due atteggiamenti: la vigilanza e la responsabilità. Tutti noi discepoli di Gesù Cristo siamo persone rivolte al futuro dal quale attendere la salvezza. Per questo stiamo all'erta, sempre pronti come per un viaggio e in tenuta da lavoro, perché sappiamo che il futuro salvifico non è una chimera anonima, ma un nome e un volto preciso: è il Signore nostro Gesù Cristo.

Da quanto sopra ne consegue che il periodo dell'attesa è il tempo della responsabilità, della vigilanza e della fedeltà.
Se seguiamo attentamente la lettura delle parole iniziali del Vangelo, ci accorgiamo che la sezione della Parola si apre in sostanza con tre parabole appena accennate (quella del padrone, del ladro, del maggiordomo); che svolgono il tema della vigilanza ( che indica il modo di essere pulito, onesto, sveglio), ma noi analizzeremo solo la terza per il momento.

Questa parabola è costituita da un quadro positivo (il maggiordomo fedele) e da uno negativo ( il maggiordomo che si atteggia a padrone). Vi devo confessare che stabilire a quale dei due quadri vada attribuito il peso maggiore non è facile. Gesù sembra indugiare su entrambi. Il tema è sempre, come nelle parabole precedenti, l'arrivo improvviso del Signore, ma non è più richiesto "lo stare svegli", bensì il compimento fedele degli incarichi ricevuti. In tal modo la vigilanza è arricchita di un'ulteriore sfumatura: l'impegno nello svolgimento del proprio lavoro, l'assunzione delle proprie responsabilità. Ovviamente, la parabola è per tutti i fedeli, tuttavia, la figura del maggiordomo si applica in particolare a coloro che svolgono funzioni di servizio come dirigere, insegnare, profetare, guarire, benedire, discernere, ecc...

Ma c'è un'altra cosa importante che emerge dalla Parola, nulla si dice dei loro diritti e dei loro poteri: semplicemente sono richiamati allo svolgimento corretto del loro compito. Non è certamente un caso che l'esempio scelto da Gesù fra i molti possibili riguardi la distribuzione del cibo agli altri servitori. Preoccuparsi degli altri è il compito fondamentale che il padrone affida al suo maggiordomo.
Il rovescio del maggiordomo "saggio e fedele" è la figura del servo che calcola il ritardo del ritorno del suo Signore per approfittarne, spadroneggiare sugli altri, conducendo una vita dissoluta e tradire la sua fiducia.

L'applicazione di questa parabola alla vita della comunità cristiana, se in origine era forse una critica severa di Gesù ai capi giudei, è stata favorita dall'immagine della Chiesa come "casa di Dio" e dalle sentenze di Gesù sul comportamento dei capi. Poiché la vera comunità cristiana ha un solo capo e Signore, mentre tutti gli altri sono servi e fratelli.

Noi tutti siamo esseri umani aperti al futuro, nell'attesa vigile del nostro Signore Gesù Cristo e per questo seriamente impegnati ad essere servi fra i servi, senza rivendicare per noi stessi dinastie, caste di potere, perché uno solo è il Signore, cui noi siamo preposti temporaneamente con una responsabilità e fedeltà più obbliganti che non per gli altri.

Amen,alleluia, amen!

 

 

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