GIACOBBE

Eb. YAAQOB ("il mio Dio protegge/Dio ha protetto [lui]")

 

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Giacobbe rimuove la pietra dalla bocca del pozzo per aiutare Rachele ad abbeverare le greggi del padre.

 

 

IL RITORNO IN CANAAN

 

Dopo i 14 anni di servizio pattuiti, Giacobbe decise di continuare a lavorare come pastore per lo zio e fu subito evidente che i due uomini erano degni l'uno dell'altro. Prima Giacobbe chiese di essere pagato con ogni capo di colore scuro tra le pecore e ogni capo chiazzato e punteggiato tra le capre. Labano accettò e fece allontanare dai suoi figli tutti i capi di quel genere. Poi Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, li scortecciò e li mise negli abbeveratoi. La suggestione ottica induceva le capre e le pecore a concepire e partorire capi scuri, striati e punteggiati. Fece anche in modo che tutti i capi più forti e più sani del gregge di Labano si abbeverassero vicino ai rami scortecciati, assicurando così una superiorità genetica alla sua parte di gregge.

Le sue greggi crescevano numerose e forti ed egli diventò più ricco del suo parente, suscitandone l'invidia. Fu anche chiaro che Labano non lo avrebbe rispettato ancora molto a lungo. Dietro suggerimento del Signore, Giacobbe decise di tornare in Canaan. Nei 20 anni trascorsi da quando aveva visto per la prima volta gli occhi di Rachele, aveva generato sei figli e una figlia con Lia, due figli con la schiava di Lia, Zilpa, e due figli con la serva di Rachele, Bila. E, dopo anni di sterilità, l'amata Rachele gli aveva finalmente partorito un figlio, Giuseppe. Di fatto, 11 dei 12 antenati delle 12 tribù di Israele erano nati durante quegli anni di esilio, rendendo tale periodo un momento formativo per lo sviluppo della nazione. Solo il figlio più piccolo di Giacobbe, Beniamino, non era ancora nato allorché il patriarca lasciò Paddan-Aram.

Come era sua abitudine, Giacobbe cercò di evitare ogni possibile disputa partendo mentre Labano era assente per la tosatura delle pecore. Ma quando, tre giorni dopo, suo zio tornò a casa, si infuriò, sentendosi offeso perché Giacobbe era partito di nascosto e non gli aveva consentito di salutare le figlie e i nipoti. Per giunta, i suoi terafim - le statuette che raffiguravano le divinità familiari — erano scomparsi. Dopo 7 giorni di inseguimento, Labano e i suoi raggiunsero il gruppo di Giacobbe sul monte Galaad, nella regione montuosa a occidente del fiume Eufrate, dove zio e nipote ebbero un colloquio tempestoso. L'uomo più giovane era indignato nel sentirsi accusato di furto degli idoli e disse a Labano di frugare a volontà nelle tende della sua famiglia. Nessuno dei due infatti poteva sapere o anche immaginare che era stata Rachele a prendere gli idoli e li aveva nascosti nella sella del cammello. Durante la perquisizione, ella si sedette decisa sulla sella, scusandosi di non potersi alzare, «perché ho quello che avviene di regola alle donne» (Gen 31,35). Così la refurtiva non fu scoperta.

 

A capo di un numeroso clan, Giacobbe parte per Canaan

( Raffello,1483-1520).

 

Dopo le reciproche recriminazioni, i due uomini decisero di fare un patto di pace e, secondo l'uso tradizionale, eressero un cumulo di pietre a ricordo del fatto. Giacobbe chiamò il posto Gal-Ed, o «il mucchio della testimonianza»; il nome, in seguito, fu mutato in Galaad. Una stele e il mucchio di pietre fungevano anche da segno di confine fra le terre delle due famiglie. Dopo queste importanti vicende, la Bibbia fa rari accenni alla Mesopotamia e ai legami di parentela che svolgono un ruolo cosi importante e ricorrente nella storia dei patriarchi fino a questo punto.

Una volta che Labano fu ripartito, dirigendosi verso nord, Giacobbe mandò un messaggio conciliante a Esaù, che viveva in una parte di Edom, il territorio semidesertico di Seir, vicino al Mar Morto. Ma quando il messaggero tornò con la notizia che il fratello maggiore gli veniva incontro con un gruppo di 400 uomini, Giacobbe fu preso dal panico. Anzitutto preparò un ricco regalo per Esaù, comprendente centinaia di pecore e di capre, giovenche e cammelle. Poi, fece attraversare in fretta dalla sua gente e dal bestiame rimasto il torrente Iabbok, affluente del Giordano.

 

UN ANTAGONISTA DIVINO

 

Nel corso di quella notte, solo sulla riva meridionale dello Iabbok, in preda a un grande sconforto, Giacobbe dimostrò il suo coraggio in uno degli episodi più misteriosi della Bibbia.

Solo, nelle tenebre, si trovò a lottare con un misterioso straniero. Non riuscendo a mettere a terra Giacobbe, l'avversario lo colpì all'articolazione del femore, provocandogli una slogatura. Quando lo straniero chiese di essere lasciato, perché il sole stava per sorgere, Giacobbe rifiutò di farlo se prima non gli avesse dato la sua benedizione. L'avversario replicò: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» (Gen 32,29). Quando Giacobbe entrò nel nuovo giorno, si rese conto di essere stato faccia a faccia con il Signore e di essere sopravvissuto. Per questo chiamò quel luogo Penuel, ossia "il volto di Dio".

Questa storia strana e avvincente ha affascinato generazioni di ebrei e di cristiani. In termini generali, la lotta misteriosa che riscuote la divina benedizione viene vista come l'eterno conflitto tra gli Israeliti e il Signore. Singolarmente, un'interpretazione cristiana di epoca medievale considera la lotta di Giacobbe con lo straniero come il combattimento che ogni essere umano deve sostenere contro le forze del male. Tuttavia, la stessa arte cristiana primitiva rappresentava Dio come l'antagonista nella mistica competizione.

Nella sfera umana, Giacobbe poté gioire di un altro genere di vittoria, perché la sua paura di Esaù era infondata. Quando si incontrarono, il fratello maggiore gli corse incontro a braccia aperte e lo baciò. Esaù avrebbe addirittura voluto che Giacobbe e i suoi si fermassero con lui in Seir, ma il secondogenito decise di andare in Canaan. Si stabilì per qualche tempo in Succot o "capanne" — luogo così chiamato dalle capanne che vi aveva costruito per i suoi armenti — poi si diresse verso le colline del centro di Canaan, non lontano dalla città di Sichem. Lì comprò un campo dal principe della città, Camor, ed eresse un altare al Dio di Israele. Ma lo stupro della figlia di Giacobbe, Dina, da parte del figlio di Camor, Sichem, provocò un massacro che mise in pericolo gli Israeliti. A quel punto Dio intervenne, ordinando a Giacobbe di spostarsi più a sud verso Betel, il luogo della visione degli angeli sulla scala, dove riedificò l'altare che aveva costruito 20 anni prima. Ancora una volta, Dio gli apparve, rinnovandogli la promessa fatta ad Abramo e a Isacco, e ricordandogli che non era più Giacobbe, ma Israele.

 

UNA NASCITA, DUE MORTI

 

Dopo tutti quegli anni, Isacco viveva ancora in Ebron, nonostante i suoi passati timori di morire subito dopo aver dato la benedizione patriarcale. Giacobbe decise di andare a trovarlo, ma lungo il cammino, non lontano da Betlemme, Rachele fu colta dalle doglie del parto e morì dando alla luce il suo secondo figlio, Beniamino. Secondo il racconto della Genesi venne sepolta vicino a quella località, mentre una diversa tradizione ebraica situa la tomba a nord di Gerusalemme, in un'area assegnata in seguito alla tribù di Beniamino. Isacco, che aveva ormai 180 anni, morì subito dopo e fu sepolto dai suoi due gemelli, che da quel giorno non si rividero più.

La successiva parte della vita di Giacobbe in Canaan, nella zona in cui, secondo il disegno divino, erano vissuti suo padre e suo nonno Abramo, non fu segnata da eventi eccezionali, se non quelli riguardanti il figlio prediletto, Giuseppe. Il primogenito di Rachele non si fece benvolere dai fratellastri più anziani quando raccontò loro i suoi sogni che sembravano attribuirgli un ascendente su di loro. Esasperati per quella che ritenevano un'impudenza, i fratelli cospirarono per uccidere Giuseppe, ma il maggiore, Ruben, li convinse a gettarlo in un pozzo, sperando di poterlo salvare più tardi. In assenza di Ruhen, però, gli altri fratelli vendettero l'odiato Giuseppe a una carovana di mercanti di schiavi.

Per nascondere il crimine, i figli di Giacobbe uccisero un capretto e con il sangue dell'animale imbrattarono la tunica di Giuseppe. Quando la mostrarono al padre, egli arrivò subito alla conclusione che essi speravano: «Una bestia feroce l'ha divorato», disse il vecchio sconsolato, «Giuseppe è stato sbranato» (Gen 37,33). Disperato, Giacobbe si stracciò le vesti e giurò di portare il lutto sino alla fine dei suoi giorni.

Negli anni seguenti, Giuseppe, che era stato acquistato dalla famiglia del dignitario egiziano Potifar, riuscì a raggiungere l'alta carica di governatore. Quando scoppiò una delle carestie periodiche, Giacobbe mandò i suoi 10 figli maggiori in Egitto a comprare cereali, tenendo presso di sé l'unico figlio sopravvissuto di Rachele, Beniamino. Stranamente non emigrò lui stesso verso la valle del Nilo, come aveva deciso di fare suo nonno in circostanze simili, ma si recò in Egitto soltanto quando venne a sapere che il figlio prediletto, da lungo tempo creduto morto, viveva in quel paese.

 

UNA RIUNIONE IN GOSEN

 

Durante il viaggio verso sud, l'anziano Giacobbe, che aveva ormai 130 anni, sostò a Bersabea per offrire sacrifici a Dio sull'altare che ricordava suo padre Isacco. Nella notte, Dio gli apparve in sogno per rassicurarlo: «Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare» (Gen 46,3-4). I suoi discendenti sarebbero sì tornati in Canaan, ma circa quattro secoli dopo, quando Mosè li fece uscire dalla schiavitù in cui erano caduti.

Il gruppo familiare di Giacobbe che stava migrando era formato da una settantina di persone, appartenenti a tre generazioni, senza contare i servi. Il gruppo con i suoi armenti e i suoi beni certamente seguì la pista lungo la costa per raggiungere Gosen, l'area assegnata loro da Giuseppe, nella regione orientale del fertile delta del Nilo. Quando giunsero a destinazione, Giuseppe accorse sul suo cocchio per incontrarli, si gettò al collo di Giacobbe e pianse. Giacobbe, commosso, disse che ora poteva morire, avendo rivisto il volto del figlio perduto da tempo. In realtà, visse ancora 17 anni nella terra di Gosen; altri figli del rispettato patriarca, su suggerimento di Giuseppe, ottennero cariche pubbliche presso la corte.

Sul letto di morte, Giacobbe, che aveva raggiunto la veneranda età di 147 anni, circondato dai 12 figli, pronunciò la sua famosa, struggente e poetica benedizione, quasi un compendio delle caratteristiche peculiari di ciascun figlio. Tradizionalmente, quelle caratteristiche vennero associate alle tribù israelite che presero il nome da ciascun figlio, e alcune suonano più come un rimprovero che come una benedizione. Per esempio, Ruben fu elogiato per la forza e il coraggio, ma anche biasimato perché «bollente come l'acqua» (Gen 49,4). Simeone e Levi furono descritti come crudeli e iracondi, Aser come bravo agricoltore e Beniamino aggressivo come un lupo. Il commento più  lungo è, ovviamente, dedicato a Giuseppe, benedetto da Dio Onnipotente e dall'affezionato padre.

Per svariate ragioni, gli studiosi oggi suppongono che questa presunta benedizione paterna fu composta molto tempo dopo la morte di Giacobbe. Le frasi relative a ogni figlio (o tribù) sembrano risalire a periodi diversi: l'uso del linguaggio varia da espressioni semplici a frasi oscure e contorte, e vengono usati più tipi di forme poetiche. Tuttavia questo straordinario documento è inestimabile come fonte storica e teologica, fornendo le uniche informazioni reperibili su alcune tribù durante i tempi biblici.

Giuseppe fece imbalsamare dai medici egiziani il corpo di Giacobbe e prese parte con i suoi fratelli e importanti dignitari della corte egiziana al grande corteo funebre che portò il cadavere fino a Ebron. Lì Giacobbe fu sepolto accanto alla prima moglie, Lia, ai genitori, Isacco e Rebecca, e ai nonni, Abramo e Sara, nella caverna di Macpela che era stata acquistata da Abramo stesso. Da allora, le 12 tribù discendenti dai suoi figli furono collettivamente conosciute come i figli di Israele o la casa di Giacobbe. L'importanza del patriarca per la religione nazionale risulta evidente dai molti riferimenti delle Scritture al Signore come Dio di Giacobbe. L'identificazione con i suoi discendenti è ulteriormente sottolineata in successivi confronti tra il suo personale carattere, pieno di difetti ma fedele a Dio, e l'altrettanto contraddittorio comportamento, in molte occasioni, degli Israeliti stessi.

Inoltre, le sue lotte personali divennero simbolo dei conflitti tra gli Israeliti e i loro principali antagonisti; vale a dire che Esaù, Labano e persino il misterioso straniero della lotta notturna furono considerati come rappresentanti dei nemici semiti, dei Romani e in seguito anche dei cristiani. Secondo gli scritti rabbinici, Giacobbe fu l'unico dei tre patriarchi a essere coinvolto personalmente nel destino dei suoi discendenti, anche dopo la morte. In base a una credenza tradizionale, Giacobbe, come la stessa nazione israelitica, era immortale. Nei tempi moderni, il nome attribuitegli da Dio riapparve nel 1948, quando gli ebrei della Palestina proclamarono la loro indipendenza e chiamarono il loro nuovo stato Israele.

 

 

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dai patriarchi alle dodici tribù