La Storia dei Giubilei

 

 

1. ANTIQUORUM HABET FIDA RELATIO


2. JOBEL, JUBILAEUS, JUBILUS

3. «O ROMA FELIX»

4. «APERITE MIHI PORTAS JUSTITIAE»

5. «VORREI VOLER, SIGNOR, QUEL CH'IO NON VOGLIO»

6. SANTI E ANNI SANTI

7. «ANNUS DOMINI PLACABILIS»

8. «OMNES GENTES PLAUDITE MANIBUS»

9. «EXULTABAT SPIRITUS NOSTER IN DEO»


10. PROPERANTE AD EXITUM

11. «INFINITA DEI MISERICORDIA»

12. QUOD NUPER SUB JESU CHRISTI

13. IUBILAEUM MAXIMUM

14. «LA CIVILTÀ DELL’AMORE PREVARRÀ…»

15. «ATTRAVERSO LA PORTA PIÙ AMPIA»

 

 

 

 

 

 

LA STORIA DEI GIUBILEI

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1. antiquorum habet fida relatio

 

 

"Una relazione degna di fede degli antichi afferma che...": con queste solenni parole (riportate in latino nel titolo) si apre la Bolla con cui Papa Bonifacio proclamava il primo anno santo della storia. Era il 22 febbraio 1300,  la festa della Cattedra di San Pietro. Nella data è nascosto un piccolo giallo. Già verso la fine d'ottobre 1299 avevano cominciato ad arrivare a Roma alcuni pellegrini, che volevano essere presenti presso la tomba di San Pietro la notte di Natale, perché l'Apostolo si sarebbe mostrato ai presenti ed avrebbe garantito loro l'ingresso in Paradiso. Col passare delle settimane i pochi pellegrini divennero una folla impressionante, sia perché erano tutti pieni di devozione e di volontà di penitenza; sia perché passavano lungo tempo in preghiera nell'attesa della Grande Notte; sia perché raccontavano dei pericoli e delle fatiche che avevano affrontato per giungere nella Città eterna, attraversando fiumi, foreste e le Alpi con i loro dirupi scoscesi, affrontando  i briganti che abitavano gli Appennini e i boschi intorno a Roma. Raccontavano di molti loro compagni morti durante il viaggio; molti giungevano da terre lontane, anche dall'Irlanda e dalla Danimarca. Tutti dicevano di essersi messi in viaggio perché avevano saputo che a Roma nell'anno che dava inizio al secolo, San Pietro concedeva una "Grande perdonanza", un perdono dei peccati così singolare che, appunto, era concesso ogni cento anni.

 

 

Aspettando la notte di Natale…

 

Papa Bonifacio VIII raccolse informazioni, ma non c'era nessun documento di cento anni prima che attestasse l'esistenza di questa Grande perdonanza, solo alcuni anziani dicevano di ricordare che i loro nonni avevano detto di avere sentito parlare di un grande perdono di San Pietro concesso circa 100 anni prima. Era effettivamente un po' troppo poco, non si sapeva cosa fare. Si decise di aspettare la notte di Natale. A quel tempo l'anno cominciava proprio il giorno di Natale (era quello il Capodanno, che oggi celebriamo il 1° gennaio): era il primo giorno di un nuovo secolo. La folla quella notte fu impressionante, la gente era così pigiata intorno all'altare che custodisce le ossa di San Pietro che i sacerdoti non poterono neppure raggiungere l'altare per la celebrazione eucaristica. Non avvenne nulla, ma la gente non si scoraggiò: ritenne che in qualsiasi giorno dell'Ottava di Natale (= i sette giorni seguenti, che erano considerati un unico grande giorno) San Pietro si sarebbe manifestato e continuò a raccogliersi in preghiera ed in penitenza. Trascorsi anche quei giorni, cominciò a serpeggiare la delusione.

 

 

La fede dei pellegrini

 

Ciò che stupì tutti fu che nei pellegrini non c'erano rabbia o ribellione, ma solo tristezza e amarezza, perché sarebbero tornati a casa privi di quel grande dono che sarebbe stato dato solo dopo altri cento anni; molti aumentarono le loro preghiere e le loro penitenze per tutti i loro amici e parenti che era morti durante il viaggio verso Roma; molti di più si confessarono e fecero penitenza per prepararsi al viaggio di ritorno, che sarebbe stato pericoloso quanto quello d'andata: quanti sarebbero ritornati alle loro case? 

 

 

La decisione del papa

 

Bonifacio VIII ed i cardinali si interrogarono. Avevano davanti agli occhi una folla d'uomini e donne d'umili condizioni, animati da un sincero desiderio di Dio e della salvezza; dal desiderio di poter contemplare il volto di Dio in Paradiso: era giusto lasciarli tornare alle loro case delusi? Non era più giusto onorare tanta fede, tanto coraggio, tanti sacrifici? Essi erano venuti pieni di fiducia verso San Pietro, cui il Signore ha affidato le "chiavi" del Regno: "ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto in cielo". Il dono fatto a Pietro non era limitato a lui, proprio perché era un dono fatto alla Chiesa: il suo successore, il Papa, ne ha raccolto la missione, la responsabilità, il dono; il Papa - dicevano allora in latino - è "Petrus praesens". Bonifacio VIII con i suoi cardinali rifletté su questa sua responsabilità e decise: nel giorno dedicato a San Pietro concesse quel dono che tutti i pellegrini si attendevano da San Pietro: egli lo fece in nome di Pietro, come "Vicario" di Pietro. Nella bolla accolse la "relazione degna di fede" degli antichi e  stabilì che ogni cento anni chiunque si fosse recato a Roma, presso le tombe di Pietro e di Paolo, avrebbe ottenuto "un pienissimo perdono di tutti i peccati". Questo perdono era concesso anche a tutti quelli che erano già venuti a Roma per il Natale 1299 (o primo giorno del 1300) ed anche a quelli che erano morti in viaggio verso Roma.

 

 

A perenne memoria

 

Perché poi non accadesse più quello che era successo, perché non si perdessero quasi due mesi di "Grande perdono", ordinò che il suo decreto (la Bolla) fosse scolpito su lastre di marmo e murato nelle grandi Basiliche romane: ancora oggi una copia si trova nell'atrio della Basilica di san Pietro. Inoltre, perché si ricordasse l'avvenimento anche nel suo svolgersi, Giotto fu incaricato di dipingere la scena del papa che dal balcone consegna la Bolla: lo potrete vedere se andate verso la prima colonna a destra entrando nella basilica di San Giovanni in Laterano.

La cosa più bella di questo primo anno santo è che non fu il papa a volerlo, ma il popolo; non fu concesso dall'alto, ma nacque dal basso, da quel profondo senso di fede che attraversa tutto il popolo di Dio, al quale lo Spirito parla con la sua voce discreta e tenace. Bonifacio VIII fu l'uomo coraggioso che riconobbe nei volti dei pellegrini i segni dello Spirito Santo.

 


2. jobel, jubilaeus, jubilus

 

La gioia

 

Si cominciò dalla caratteristica fondamentale dell’Anno Santo, la gioia, e si recuperò una frase di papa Onorio III che nella bolla del 23 gennaio 1217, con cui invitava alla quinta Crociata, scriveva: «È prossimo un tempo propizio, sta per giungere il giorno della salvezza, perché i peccatori recuperino la libertà perduta nel giubilo del nuovo giubileo». Il papa giocava su due parole simili: «jubilus» e «jubilaeus», usando anche di una citazione di san Gerolamo, che aveva tradotto la parola ebraica Jobel con Jubilaeus o anno di remissione. Jobel indicava l’ariete dalle cui corna si ricava una particolare tromba, di cui parla il libro di Giosuè nell'episodio presso le mura della città di Gerico (6, 5-6): «Quando suonerà il corno dell’ariete … tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà». Anche in Giosuè, dunque, si sottolineava l’aspetto di liberazione e di gioia, quello degli Israeliti che vedono il trionfo del loro Dio e la libertà dai loro nemici.

 

 

Ogni cinquant'anni

 

Lo stesso corno era poi usato per lo Jobil, il richiamo che indicava l’inizio dell’anno dello Jobal, della remissione e dell’emancipazione, l’anno sabbatico, il cinquantesimo, quello che veniva dopo sette settimane d’anni (49+1: Lev 25, 1-7. 8-11). Era sempre stato un ideale per Israele, era il segno della fedeltà di Dio al suo popolo e del cuore stesso dell’alleanza di Dio, che aveva chiamato tutti gli uomini e le donne da lui create alla fraternità universale, creandoci tutti come suoi figli e figlie, tutti figli dell’unico padre Adamo e dell’unica madre Eva. A loro aveva donato la terra e per questo l’anno giubilare diventava anche pace con la terra tutta, che riposava da ogni coltivazione, come gli uomini riposavano dal lavoro in ogni sabato, per dedicarsi alla contemplazione di Dio, al suo amore, che si concreta nell’amore per i fratelli. La liberazione del cristiano diventava non più quella dai popoli che opprimevano Israele, ma dal peccato, che sempre insidia l’essere umano, attirandolo verso il rifiuto di Dio e l’odio verso il fratello. Vittoria dell’uomo è il suo amore, la sua capacità sempre più intensa d’amare Dio ed i fratelli, che nel corso della vita gli sono posti accanto da Dio.

 

 

Un atteso ritorno

 

La conseguenza di questa riflessione e di questo rifarsi alla tradizione biblica fu il desiderio di non attendere cento anni per celebrare il nuovo Giubileo, per comunicare di nuovo la Gioia di Dio, il suo perdono e la remissione d’ogni peccato.

Il papa in quel tempo risiedeva in Francia, ad Avignone, così nel 1342 un’ambasceria del popolo romano, guidata dal famoso Cola di Rienzo, si recò dal papa Clemente VI. Lo pregava di tornare a Roma, perché questa città è la sede naturale del papato: qui riposano i corpi di san Pietro e di san Paolo, le colonne della Chiesa. Il papa promise che sarebbe tornato a Roma dopo aver riportato la pace tra Inghilterra e Francia. Intanto, comunque, concesse il Giubileo, secondo la scadenza biblica dei cinquant’anni.

 

 

Eventi drammatici della vigilia

 

Con l’avvicinarsi della data, il Giubileo sembrò sempre più provvidenziale: nel 1348 si ebbe la terribile epidemia di peste, che ispirò anche il Decamerone del Boccaccio; l’anno dopo, il 9 settembre 1349, un terremoto disastroso sconvolse Roma (si sentì anche in Francia e in Germania) e provocò il crollo del tetto della basilica di S. Giovanni in Laterano e di gran parte di quella di S. Paolo fuori le Mura. A tutti sembrò miracolo il fatto che, invece, la basilica di S. Pietro riportò pochi danni: lo si vide come un segno della potenza dell’Apostolo e della benedizione di Dio su quella chiesa che avrebbe dovuto accogliere i pellegrini perché ricevessero il perdono del Giubileo.

Ci si preparò allora con grande entusiasmo e ci si impegnò a stroncare il brigantaggio, che assediava Roma: i briganti infatti depredavano i pellegrini, quando non li uccidevano.

 

 

Il giubilo del canto e della poesia

 

Fu un anno di rinnovata speranza e di ringraziamento a Dio per i pericoli passati. Nacquero, soprattutto, canti bellissimi. Uno è quello cantato dai pellegrini, alla vista di Roma: «O Roma nobilis, orbis et domina, cunctarum urbium excellentissima, roseo martyrum sanguine rubea, albis et virginum lileis candida salutem dicimus tibi, per omnia te benedicimus: salve per saecula». Traduzione: «O Roma nobile, signora del mondo, delle città tutte la più eccelsa, rossa del sangue rosso dei martiri, candida dei gigli candidi delle tue vergini, a te diciamo per tutto salve, te benediciamo: salve nei secoli». Ancor più famoso fu il sonetto composto dal grande Francesco Petrarca, che ricorda il suo pellegrinaggio a Roma, ormai vecchio: «Movesi il vecchierel canuto e bianco…». Credo che lo conosciamo tutti, quindi non lo trascrivo. Ma intanto ci si domandò: il cristiano celebra ogni 50 anni il Giubileo od ogni 33 anni, quanti sono gli anni di Gesù? Non è lui la nostra gioia?

 


3. «O Roma felix»

 

Trentatré o cinquanta?

 

Dopo il secondo Anno Santo della storia, quello del 1350, la riflessione si fece più profonda: questo «Anno di grazia» doveva essere celebrato ogni cinquant’anni, come il «Giubileo» ebraico, od ogni trentatré anni, quanti erano – secondo la tradizione – gli anni di Gesù quando fu crocifisso, morì e risorse?

Le vicende della Chiesa di quel tempo ebbero un peso decisivo. Dal 1305 i papi furono francesi e vissero in Francia. Non era una situazione ottima e col passare degli anni tra i cristiani si fece sempre più forte la volontà che il papa lasciasse Avignone (Francia) e tornasse a Roma, ove riposa il corpo di san Pietro, di cui il papa è successore. Finalmente, anche per le preghiere di molti santi (ad es.: Brigida di Svezia e Caterina da Siena), papa Gregorio XI (1371‑1378) ritornò nella «Città eterna», ma morì poco dopo. Il suo successore, Urbano VI (1378‑1389), volle iniziare una grande opera di riforma della Chiesa, ricordando a tutti il comando del Signore Gesù di «imparare da Lui» e diventare santi. Per questo scopo il papa decise di celebrare il nuovo Anno Santo il 1383 (Anno Santo del 1350 + 33).

 

 

Divisione e riforma

 

L’idea poteva essere buona, ma non lo era il carattere del papa, che esasperò a tal punto i cardinali da spingerli a ritenere non valida la sua nomina e ad eleggere un altro papa francese, Clemente VII (1378‑1394), che tornò ad Avignone. La Chiesa precipitò in una divisione (uno scisma) che durò quasi quarant’anni. Ovviamente l’Anno Santo progettato da papa Urbano VI non si tenne, ma successe un fatto strano. Verso il 1398 cominciò a diffondersi un Movimento, detto dei «Bianchi», per l’abito che indossavano e che indicava il loro desiderio di vivere senza peccato, puri come dopo il battesimo, quando tutti siamo rivestiti proprio di una veste bianca. Il Movimento divenne un Pellegrinaggio, che si andò sempre più ingrossando man mano che ci si avvicinava a Roma … e alla fine del secolo. Il papa, Bonifacio IX (1389‑1404), vedendo (ed un poco temendo) questa esercito di devoti, decise di indire l’Anno Santo nel 1400, secondo la scadenza «ebraica». Così, ancora una volta, il papa decise spinto dal «Popolo di Dio», riconoscendo che Dio parla attraverso i suoi figli.

 

 

L'unità ritrovata

 

Intanto la Chiesa ritrovava la sua unità e il nuovo unico papa, Martino V (1417‑1431), cercò di indire un nuovo Anno Santo alla scadenza di trentatré anni (scadenza «cristica»). Non gli riuscì: il nuovo Anno Santo fu possibile solo nel 1450, sotto papa Nicolò V (1447‑1455), che confermò il rito dell’apertura della Porta Santa. Il papa abbatté a colpi di martello il muro che teneva chiusa la porta, attraverso la quale entravano i pellegrini in gesto di penitenza. Da quel momento i mattoni divennero delle reliquie: essi richiamavano la speranza di salvezza, che i pellegrini invocavano passando attraverso la Porta tenuta sigillata per decenni dagli stessi mattoni. Da allora questo rito suggestivo è rimasto e noi lo vedremo compiere dal papa la notte di Natale 1999.

 

 

Le due città

 

L’Anno Santo del 1450 suscitò grande entusiasmo. Si calcola che a Roma (che contava allora circa 80.000 abitanti) ci fossero ogni giorno 50.000 pellegrini: era come se in quell’anno in Roma ci fossero due città, romani e pellegrini, ed infatti ci furono seri problemi per garantire il cibo per tanta gente. Si curarono molto le liturgie per aiutare la preghiera popolare: in S. Giovanni in Laterano ogni sabato erano esposti i busti con le teste di san Pietro e san Paolo, mentre in S. Pietro ogni domenica era esposto il velo con il quale la Veronica – così diceva la tradizione – aveva asciugato il volto piagato di Gesù, mentre saliva al Calvario: Gesù l’aveva premiata lasciando impresso il suo volto sul telo. Ogni domenica, poi, il papa benediceva il popolo dal balcone (detto: loggia) di S. Pietro: è una tradizione che – come sapete – continua ancora oggi! Quell’Anno fu veramente «Santo», anche perché venne a Roma un drappello di santi: Giovanni da Capestrano, Giovanni della Marca, Pietro Regolato, Diego d’Alcalá, Antonino da Firenze, Rita da Cascia. Chissà chi ne conosce qualcuno!

 

 

Arte e fede

 

Questo Anno d’oro o Anno Santo dei Santi fu arricchito anche da opere d’arte splendide: basterebbe andare a vedere la Cappella Nicolina in Vaticano, dipinta dal Beato Angelico. Anche questa volta fu composto un inno per i pellegrini, «O Roma felix»: «O Roma felice, consacrata dal glorioso sangue dei due principi, resa purpurea del loro vermiglio sangue. Tu sola nel mondo risplendi di tanta bellezza». L’Anno Santo, dunque, ci testimonia il profondo amore che avevano i nostri antenati per la Città dove Pietro e Paolo vennero a portare il Vangelo ed a testimoniarlo con il sacrificio della loro vita, lasciando in testamento ai loro successori la loro missione: annunciare a tutto il mondo che nessuno è più entusiasmante del Signore Gesù e nulla rende più felici del suo Vangelo. Ma molti morivano prima dei cinquant’anni. Papa Sisto IV (1471‑1484), quello della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo, decise di dimezzare i tempi e indisse un nuovo Giubileo per il 1475, perché tutti, per quanto possibile, godessero del dono dello Spirito che accompagna fedelmente la Chiesa.

 


4. «aperite mihi portas justitiae»

 

Questa volta il titolo è tratto dalle parole dette da papa Alessandro VI mentre colpiva con un martello la Porta Santa della basilica di San Pietro, per dare inizio all’Anno Santo del 1500.

Ancora una volta si apriva un secolo. E quale secolo per la Chiesa! Carico di speranze, ma anche di amarezze … e di santità. Pochi anni prima era stato scoperto un nuovo continente, l’America, che subito aveva suscitato l’appetito di molte nazioni, in particolare Spagna e Portogallo, ma insieme aveva già attirato ondate di missionari, desiderosi di diffondere il Vangelo tra i nuovi popoli, che vi si erano trovati. Pochi anni dopo si sarebbero manifestate le terribili conseguenze della lacerazione tra la Chiesa cattolica ed i moti riformatori, coagulati intorno ai nomi di Lutero, Calvino, Zwingli… Accanto a questi sarebbero comparsi, però, alcuni tra i santi più grandi e famosi della Chiesa, da sant’Ignazio di Loyola a santa Teresa d’Avila, a san Filippo Neri, a san Carlo Borromeo, per citarne solo alcuni.

 

 

Le porte sante

 

Alessandro VI non è stato il più santo tra i papi della Chiesa: era schiavo dei suoi vizi, pur essendo sinceramente religioso e pur avendo più volte tentato di convertirsi. Forse proprio per questo, egli desiderò curare con particolare solennità quell’Anno Santo. A lui dobbiamo il rito dell’apertura della Porta Santa, che papa Giovanni Paolo II ripeterà fra pochi mesi, la notte di Natale che ci apre al 2000.

Prima del 1500 forse c’era una «Porta del pellegrino» solo in San Giovani in Laterano. Questa «Porta» indicava l’importanza della penitenza e del perdono, carica come era di riferimenti biblici: il salmo 118, 19 ci parla della «Porta della giustizia»; il Vangelo ci presenta la «Porta stretta» (Mt 7, 13-14; Lc 13, 24-25); l’Apocalisse accenna alla «Porta del Cielo» (Ap 3, 8; 4, 1); lo stesso Gesù – e non è cosa da poco! – si presenta come «la Porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10, 9). Così, l’Anno Santo, l’anno del «Grande perdono», si arricchì di questo simbolo, tanto che si parlava di una «Porta d’oro», murata in San Pietro e in San Giovanni, che veniva aperta solo all’inizio di un secolo, una porta – dicevano le leggende – di marmo ed oro, portata da Gerusalemme a Roma dagli imperatori Tito e Domiziano, perché era la porta attraverso cui era passato il Signore Gesù, carico della croce: è bello vedere quanta fantasia susciti una fede entusiasta. Papa Alessandro VI la fece cercare, e non avendola trovata ordinò di aprirne una nuova, all’estrema destra della basilica, in modo che i pellegrini, entrando in San Pietro potessero venerare il velo della Veronica (nello stesso punto in cui oggi si trova la splendida statua della Pietà di Michelangelo). Il papa volle che fosse una porta piccola e stretta, per richiamare il Vangelo e volle essere lui stesso il primo pellegrino a varcare la soglia di questa nuova «Porta».

 

 

Il rito di apertura

 

Lo fece la notte di Natale del 1599, dopo avervi battuto più volte con il martello ed avere cantato: «Apritemi le porte della giustizia. Entrato in esse, canterò la tua gloria, Signore. Questa è la Porta del Signore, per essa entreranno i giusti. […] Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci ed in esso esultiamo. Entrate al cospetto del Signore con gioia». L’invito alla conversione si fuse con l’inno alla gioia ed il papa, entrando come pellegrino, intonò «Jubilate Deo omnis terra. Alleluia!»: «Acclamate a Dio da tutta la terra, cantate alla gloria del suo nome, date a lui splendida lode. Dite a Dio: “Stupende sono le tue opere!”» (salmo 66). La gioia del «Grande perdono», che ancora una volta veniva concesso, contagiò i cristiani, tanto che giunsero pellegrini anche dall’Abissinia (e allora non c’erano gli aerei…). Tra i pellegrini vennero anche il famoso pittore Pinturicchio e Nicolò Copernico, colui che intuì che la terra ruota attorno al sole e rivoluzionò, così, l’astronomia.

Per ricordare a tutti, poi, che quello era un anno di più intensa preghiera fu ripristinata l’antica abitudine che le campane di tutte le chiese suonassero ogni giorno alle dodici, per invitare tutti alla preghiera dell’Angelus: forse dovremmo tornare anche noi a dirlo e ad impararlo.

 

 

Luci e ombre

 

Purtroppo, non fu il migliore degli Anni Santi. I vizi del papa ripresero rapidamente il sopravvento. Egli non sospese il carnevale, come era tradizione … e a Roma ci si scatenava quasi come oggi a Rio de Janeiro. Inoltre il papa fece collocare delle grandi casse di ferro accanto alle Porte sante, in modo che i pellegrini capissero che, varcando la soglia del perdono, dovevano lasciare un’offerta in denaro. Molti pellegrini, vedendo queste casse ferrate, rimasero disgustati: erano arrivati per chiedere a Dio qualcosa di prezioso come la vita eterna ed il Paradiso e, proprio sulla porta, si sentivano chiedere qualcosa … che non sarebbe andato ad aiutare i poveri – come si era sempre fatto – ma ad arricchire d’oro e pietre preziose gli abiti pontifici. Ma il Signore, se pure permette che la sua Chiesa sia messa alla prova per qualche tempo, non lascia che essa sia travolta e sempre la riconduce sulla strada della carità e della santità: sulla Sua strada.

 


5. «Vorrei voler, Signor, quel ch'io non voglio»

 

 

Questa volta prendo come titolo il primo versetto di un bel sonetto di Michelangelo Buonarroti. Sì, proprio lui, il famoso scultore e pittore.

 

 

Gli anni santi di Michelangelo

 

Egli nacque durante un Anno Santo (6 marzo 1475); in occasione di quello del 1500 nella prima cappella entrando dell’antica Basilica di san Pietro fu posta la statua della Pietà (detta, appunto, «di Michelangelo»). Era tanto bella che fu deciso di conservarla per sempre lì, dove è oggi, perché i pellegrini entrando in basilica potessero vedere (e lo potranno anche nel 2000) quel volto dolcissimo di Maria (volto di vergine-fanciulla con corpo di donna-madre) che offre suo Figlio con volto sereno, perché lei «sa» che quel Figlio morto ha già vinto la morte ed è pronto a risorgere. Maria divenne l’esempio dei fedeli: contemplare con fiducia e speranza il volto di Gesù, che è venuto non per condannare, ma a perdonare; non ad intimorire, ma a dare gioia. Ed il Giubileo porta a tutti proprio questi doni. Nell’Anno Santo del 1525 tutti poterono ammirare estasiati la splendida volta della Cappella Sistina, che Michelangelo aveva completato nel 1512. Tutti abbiamo in mente l’immagine possente di Dio che si slancia verso Adamo per comunicargli la Sua vita, sostenuto da un tripudio di angeli, segno della gioia e dell’entusiasmo incontenibili di Dio. Infine nell’Anno Santo 1550 tutti poterono ammirare lo splendore che rende immortale tra gli uomini il nome di Michelangelo: lo splendido (ed è dir poco!) Giudizio Universale.

 

 

Il Giudizio Universale

 

Nel Giudizio tutta la Chiesa si raccoglie intorno al Signore Gesù, sotto la cui ombra sta sua Madre, quasi ad indicarci come dobbiamo essere: uomini e donne, ragazze e ragazzi che si stringono al Signore, con fiducia. A Gesù san Pietro porge le chiavi, per ricordarci che è Gesù che apre (e chiude) le porte del Cielo. Nel Giudizio ci sono alcune scene splendide: due anime che salgono in Cielo arrampicandosi con la corona del rosario (voi lo dite?). C’è anche una persona che si credeva salva perché aveva tenuto un occhio chiuso, mezza bocca aperta, un braccio solo disponibile: è il mediocre, colui che non si è mai deciso per niente; che ha sempre fatto le cose a metà per interesse o per paura di rimetterci. Dio non ama chi crede di barcamenarsi sempre. Credo che, talvolta, Dio preferisca un peccatore a tanti tiepidi indecisi e pappamolla. Accanto a lui c’è uno che cade dal Cielo verso l’inferno, trascinato dalla sua borsa piena di soldi: gli avari non entrano nel Regno di Dio, ma quelli che condividono generosamente con i poveri le loro sostanze. La carità è un’autostrada per il Paradiso.

 

 

La riforma della Chiesa

 

Questo splendore artistico mantenne vivo l’ideale dell’Anno Santo in quel secolo travagliato. Quello del 1525, infatti, risentì della profonda divisione che si era determinata all’interno della Chiesa dopo la Riforma – così la chiamava – iniziata da Lutero. I pellegrini furono pochi e due anni dopo (1527) calarono a Roma i Lanzichenecchi tedeschi, che posero a ferro e fuoco la città arrestandosi nel 1527, stupiti davanti alla Cappella Sistina. Furono momenti terribili: lo stesso papa si salvò a stento per l’eroica resistenza delle Guardie Svizzere, che si fecero massacrare tutte per difenderlo. Ma non furono momenti inutili: la riforma della Chiesa divenne sempre più decisa – succede sempre così quando lo Spirito si fa sentire con il suo soffio violento – e papa Paolo III (1534-1549) convocò un Concilio a Trento, che durò per diciassette anni, e che rinnovò tutto completamente: i suoi effetti durarono circa quattrocento anni. Al concilio di Trento – ad esempio - dobbiamo la nascita dei Seminari, che ancora oggi formano preti secondo il cuore di Dio. Ed il concilio voleva proprio questo: ricordare a tutti che al centro c’è Gesù, il quale ci chiama ad amarlo, imitarlo, testimoniarlo.

 

 

Secolo di grandi santi

 

Per questo motivo il secolo di Michelangelo, di Lutero, di Paolo III è anche il secolo di alcuni tra i più grandi santi, come già accennavo nella scorsa puntata: sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti (cui appartiene anche il nostro Cardinale); san Filippo Neri, il santo della gioia; san Camillo de Lellis, il santo degli ammalati; san Francesco Saverio, il santo delle missioni; san Giovanni della Croce, mistico come santa Teresa d’Avila; san Luigi Gonzaga, il santo dei giovani e dei ragazzi, come lo fu san Stanislao Kostka. E ho citato solo alcuni! Dovremmo ricordare anche che in questo secolo – anche se un poco alla fine – nacquero san Francesco di Sales, il santo della dolcezza, e san Vincenzo de’ Paoli.

Questa esplosione di santi fu una benedizione per la Chiesa e una ricchezza anche per gli anni santi. San Filippo Neri, infatti, raccogliendo l’esortazione del papa, organizzò numerose Confraternite, per accogliere e ospitare i pellegrini, in modo che non cadessero preda di albergatori e pensionanti usurai, pronti a sfruttare vergognosamente. Gli amici di san Filippo, i soci di queste Confraternite, si impegnavano a fare i turni negli Ospedali, per cambiare la paglia (= i materassi di allora) e le lenzuola; per portare acqua e cibo; per dare vestiti per il giorno e coperte per la notte. I confratelli non dovevano fare questo per ambizione o per farsi vedere e per questo non dovevano farsi riconoscere. Inoltre san Filippo chiedeva che fossero particolarmente sorridenti e cordiali, perché «Dio ama chi dona con gioia». Ed infine: chi ama, prega, perché il primo servizio che possiamo fare per un fratello è pregare per lui.


6. SANTI E ANNI SANTI

 

"State bóni, se potete"

 

È la frase che aveva sempre in bocca san Filippo Neri, un protagonista degli Anni Santi del XVI secolo: nella sua lunga vita (1515-1595) ne vide tre e, se nel primo aveva solo dieci anni, visse intensamente gli altri due, spronando con la sua esuberante carità la popolazione di Roma. Il suo slogan era: «Niente altro che la carità». Ed in effetti per l’Anno Santo del 1550 organizzò la Confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, che giunse ad ospitare fino a mezzo milione di pellegrini: si dovette arrivare a distribuire i buoni-letto, per evitare che qualcuno rimanesse più a lungo del necessario e privasse così altri pellegrini di un posto caldo e sicuro. San Filippo spronava ad accogliere tutti, per quanto era possibile, e quando qualcuno gli diceva che forse si esagerava, rispondeva: «Se volete eccessi, fateli con la dolcezza, la pazienza, l’umiltà e la carità, che di per sé sono cose buone». Credo sia una regola che ogni chierichetto – che voglia essere esageratemente generoso – dovrebbe mettere in pratica.

 

 

… e state allegri

 

Insieme, san Filippo era il santo della gioia, che sapeva anche scherzare con Dio, tanto lo amava. Dovreste provare a dire la sua preghiera: «Signore, state attento a me che vi tradirò e vi farò tutto il male possibile, se voi non mi state vicino e non mi aiutate». San Filippo non si preoccupava di pensare a se stesso, anzi applicava una massima antica: «Spernere seipsum, spernere se sperni». Proviamo a tradurre (ma potreste farlo voi!): «Dimenticarsi di sé; dimenticarsi di essere dimenticati». Non importa quello che gli altri pensano di noi; importa fare tutto il bene che possiamo fare, così come Dio se lo aspetta: amando ogni persona, che ci fa incontrare lungo la nostra giornata.

La carità entusiasta ed allegra di san Filippo fece scuola. Tra i suoi discepoli ci fu Pierluigi Palestrina (1525-1594), un grandissimo musicista (chiedete a don Nicola!), convinto che con il canto l’anima di ogni uomo entra in più profonda comunione con Dio ed avvicina gli uomini agli angeli. Chi ha sentito (o cantato) la Messa di Papa Marcello capirà bene quello che sta leggendo. Dovremmo anche noi chiedere il dono di mettere nel canto, in chiesa e fuori, la gioia di e per Dio.

 

 

In buona compagnia

 

Roma in quel secolo era una «città di santi». Accanto a Filippo Neri, infatti, troviamo sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e il nostro san Carlo Borromeo (1538-1584) e san Camillo de Lellis (1550-1614).

Sant’Ignazio lasciò il segno durante l’Anno Santo del 1550: passava le giornate a predicare e ad accompagnare i giovani, soprattutto, che gli chiedevano di essere guidati nel cammino della santità. Egli raccolse questi consigli, che aveva applicato a sé in prima persona, in un libretto ancora famoso, gli Esercizi Spirituali. È un ottimo esercizio per diventare uomini eccezionali come il nostro Cardinale.

 

 

Un milanese a Roma

 

Anche san Carlo rese eccezionale l’Anno Santo del 1575. La sua fama di santità era diffusa ormai per tutta Europa. Tutti sapevano delle sue penitenze asperrime, dei suoi digiuni e delle notti passate in preghiera. Tutti conoscevano la sua carità ardente verso i poveri, il suo zelo infaticabile per la sua diocesi di Milano, il suo impegno per essere d’esempio ai suoi fedeli ed ai suoi preti; e a chi gli faceva notare che doveva risparmiare un poco le forze, rispondeva: «Per illuminare gli altri, una candela deve consumarsi». Egli si sentiva una candela di Dio, accesa per far luce nella Chiesa di Milano … ed infatti morì consumato dalla fatica a 46 anni!

Proprio per la sua santità, papa Gregorio XIII (1572-1585) volle che san Carlo animasse in Roma l’Anno Santo 1575. E san Carlo fu all’altezza delle attese. Egli cominciò a percorrere Roma ogni giorno a piedi nudi, vestendo l’abito del pellegrino, per recarsi nelle Sette Chiese (chiedere al don quali sono!), ove si poteva ottenere l’indulgenza del Giubileo. Inoltre ospitava ogni giorno a tavola i poveri, servendoli personalmente. Tutti rimasero colpiti ed anche gli altri cardinali romani cominciarono ad imitarlo. Perfino il papa decise di compiere il «giro delle sette chiese» a piedi, come un semplice pellegrino e di accogliere a tavola un giorno alla settimana i primi dodici pellegrini, che fossero venuti in San Pietro, servendoli lui, il papa! Non c’è dubbio: l’esempio trascina.

 

 

Ospitalità agli ultimi

 

L’Anno Santo 1575 vide anche la conversione e l’inizio del cammino di santità di un altro santo famoso, Camillo de’ Lellis (1550-1614). Egli aveva visto quanta sofferenza c’era negli ospedali di allora e quanta gente era dimenticata ed abbandonata nel dolore. Allora si impegnò a curare gli ammalati, anzi gli «incurabili» dell’Ospedale di San Giacomo, ove nacquero poi i Camilliani. Anche per loro toccherà al vostro don spiegarvi chi sono! A me rimane da dire che gli Anni Santi fanno nascere i santi. Chi di voi lo diventerà nel 2000?

 


7. «annus domini placabilis»

 

Con questo titolo comincia la bolla di papa Clemente VIII (1592-1605), con la quale annunciava l’anno santo con cui si apriva un nuovo secolo. Si chiudeva un secolo doloroso per la Chiesa: la Germania e le terre del nord Europa non erano più in comunione con il papa di Roma e non si poteva sperare in una ripresa dei rapporti.

 

 

L’Inghilterra

 

In Inghilterra ormai era ben consolidata una Chiesa anglicana, che re Enrico VIII aveva costituito, imponendo la rottura con il papa di Roma e l’obbedienza alla sua volontà: implacabile egli aveva condannato a morte Thomas More e John Fisher proprio per la loro fedeltà alla Chiesa. Ad Enrico erano succedute due figlie opposte tra loro: prima venne Maria, che era cattolica e perseguitò i seguaci della chiesa anglicana, imponendo con la forza il ritorno al cattolicesimo; poi venne Elisabetta, che ritornò all’anglicanesimo, perseguitando i cattolici. Due regine diverse ma uguali per il numero di vittime che fecero: alla fine l’anglicanesimo divenne religione ufficiale ed i cattolici inglesi persero (per quasi tre secoli) i diritti politici.

 

 

La Francia

 

In Francia non era andata meglio: proprio nel 1598 era finita una lunghissima guerra di successione al trono, nella quale i pretendenti (che erano parenti) usarono anche la religione per massacrarsi tra loro, trascinando nella morte i loro seguaci. Così si ebbero massacri tra cattolici ed ugonotti (così si chiamarono i protestanti in Francia), da una parte e dall’altra: nessuno può dirsi innocente. Alla fine, l’ultimo superstite di quella lotta spietata, Enrico IV, un ugonotto, per divenire re si convertì al cattolicesimo: «Parigi (cioè il regno) vale bene una messa», sembra che abbia detto.

 

 

La Spagna

 

In Spagna non regnava la pace: i re cattolici avevano imposto la loro religione, ma si scopriva ogni giorno che molti musulmani ed ebrei, ufficialmente convertiti, continuavano nascostamente a praticare la loro religione. Inoltre il re cattolico di Spagna, Filippo, voleva vendicare la morte di Maria, regina cattolica di Scozia, che era stata fatta decapitare da Elisabetta, la regina anglicana d’Inghilterra: nella guerra senza quartiere fu distrutta tutta la flotta spagnola e migliaia di poveri annegarono per la follia di qualche potente. Come si vede, si chiudeva un secolo in cui le lotte politiche (o di potere) si erano spesso mascherate – come oggi – di motivi religiosi.

 

 

Speranza e dialogo

 

Qui non possiamo fare lezioni di storia della Chiesa ed allora mi fermo. Ci tengo però a ricordare che neppure allora mancavano i segni di speranza: i cristiani talvolta riuscirono a superare le loro divisioni e riuscirono a salvare la loro civiltà, come avvenne con la battaglia navale di Lepanto, quando sconfissero i Turchi, veri padroni del Mediterraneo, che puntavano alla conquista dell’Europa. Un altro segno di speranza era la ricerca di vie nuove di dialogo: non tutti erano rassegnati alla divisione tra cristiani, ma i tentativi di ripensare la fede sembravano tutti portare a maggiore confusione e qualcuno, forse, ne approfittava per cercare fama ed onori, ma anche oggi c’è gente che parla solo per farsi intervistare e, pur di farsi vedere (in Tv o sui giornali), ogni giorno cambia parere. Alla fine, quante accuse false ed infamanti furono gettate contro la Chiesa, per scaricare la propria coscienza d’uomini superbi di sé e sfruttatori dei deboli.

 

 

La bolla del Papa

 

Tra speranze, dunque, e timori si apriva un secolo nuovo. Veniva un anno «placabile». Ma a chi era rivolto il «placabilis» della bolla di papa Clemente VIII? In latino, infatti, si può riferire a Dio o all’anno: un anno santo, perché Dio è (sempre) placabile, misericordioso e grande nell’amore? O un anno in cui si poteva placare Dio, purificando i cuori, perché potessero regnare pace e concordia tra gli uomini? Credo che il papa intendesse tutte e due le cose insieme (il latino riesce a fare questi miracoli linguistici!), ma lascio libero ognuno di leggersi il testo della bolla (con l’aiuto del don) per proporre un’altra risposta.

 

 

L’accoglienza a Roma

 

L’importante è che l’anno santo 1600 fu uno dei più intensi: a Roma, che contava circa 100.000 abitanti, vennero oltre mezzo milione di pellegrini (forse si arrivò al milione) e gli stessi ebrei di Roma si impegnarono ad ospitarne ogni giorno 500 (un bel gesto di fraternità! Allora ci si dava sempre una mano!). Il papa proibì l’aumento dei prezzi da parte dei negozianti e degli albergatori e lui stesso ogni giorno confessava la gente nella basilica di San Pietro, che finalmente mostrava ai pellegrini la cupola di Michelangelo completata: una vera meraviglia del mondo! Fu un anno d’intensa preghiera e di carità, con il papa alla testa: egli stesso serviva a tavola 12 poveri al giorno (almeno in quaresima) e lavava loro i piedi e partecipava alle Quarantore (ma sapete cosa sono?) con il popolo della Città.

L’anno santo 1600 ci insegna il coraggio della fede, che non si arrende di fronte alle difficoltà; il coraggio di Thomas More, che pregava: «Dammi, Signore, un animo umile, docile, mite e remissivo, paziente e caritatevole, indulgente e sollecito e comprensivo; un amore per Te incomparabilmente più grande dell'amore per me stesso».

 


8. «omnes gentes plaudite manibus»

 

In questa puntata faremo un grande balzo in avanti: presenteremo sette Giubilei, quelli che con regolarità si celebrarono ogni venticinque anni in Roma dal 1625 al 1775. Il titolo è preso dalla bolla con cui papa Urbano VIII (1623-1644) indiceva l’Anno Santo del 1625, uno splendido Giubileo. I pellegrini furono così numerosi (più di un milione, per una città, Roma, che aveva circa 100.000 abitanti), che spesso finivano per litigare per le lunghe file che dovevano fare per entrare nelle basiliche. Li attirava il desiderio di conversione, ma ormai anche la fama delle meraviglie che si potevano vedere durante l’Anno Santo. Ad esempio, tutti poterono ammirare per la prima volta la facciata finalmente completata della Basilica di San Pietro, quella che (dopo il restauro concluso proprio nel mese di settembre 1999) potranno di nuovo vedere i pellegrini del 2000.

 

 

Giubileo di desiderio

 

L’Anno Santo, però, è sempre occasione di conversione ed esprime il desiderio di vivere profondamente la comunione di ogni cristiano con tutti i suoi fratelli e le sue sorelle, con i quali forma la Chiesa, il Corpo di Cristo, il Segno della volontà di salvezza e del desiderio di felicità, che Dio ha per ogni essere umano. Proprio per celebrare questa comunione che tutti i cristiani hanno tra loro in Gesù Cristo, Urbano VIII decise di concedere un Giubileo di desiderio: chiunque non avesse potuto recarsi a Roma, avrebbe potuto lo stesso godere dei doni di grazia del Giubileo. Così, monache e monaci di clausura, anziani, malati, prigionieri furono in comunione con i romei, i pellegrini romani. Come esempio per questi pellegrini di desiderio il papa proclamò santo fra’ Felice da Cantalice, un cappuccino, che tutti a Roma conoscevano come «fra’ Deo gratias», perché diceva così a tutti: ringraziava Dio quando qualcuno gli faceva la carità ed invitava i poveri, cui passava la carità che aveva ricevuta, a ringraziare Dio. Forse potremmo imparare anche noi a dire sempre e in ogni caso: «Deo gratias. Grazie, Dio!».

Gli Anni Santi che seguirono ebbero tutti uno stile simile, che mi piace riassumere così: molta bellezza, qualche fatica, sempre carità.

 

 

Molta bellezza

 

Roma ad ogni nuovo Anno Santo si preparò con opere rimaste famose. Ne indico alcune: il Baldacchino del Bernini (inizio: 1625), che con le sue colonne tortili sovrasta l’altare, sul quale anche oggi solo il papa può normalmente celebrare; la Fontana di Piazza Navona del Bernini (1650); lo splendido colonnato di Piazza San Pietro (1675), disegnato sempre dal Bernini quasi come un abbraccio della Chiesa ai fedeli che si recavano a pregare sulla tomba di Pietro; la spettacolare Scalinata di Trinità dei Monti in Piazza di Spagna (1725); la romantica Fontana di Trevi (1750); la nuova facciata di Santa Maria Maggiore (1750); l’illuminazione notturna con i primi lampioni ad olio, per rendere più sicura e bella Roma (1775). Quale il motivo di tante opere d’arte? Celebrare la bellezza di Dio con la bellezza delle opere dell’uomo. La bellezza è uno degli attributi di Dio e dunque tutto ciò che è bello ci fa intuire un poco il suo volto; amare la bellezza è onorare Dio, che è la suprema bellezza del creato ed ha fatto «bella» tutta la creazione: tutto ciò che Dio creava – ce lo dice il libro del Genesi – Egli vedeva che era «bello» (lett.: «che era una cosa buona»). Se amiamo una chiesa bella, una liturgia bella, un canto bello, un servizio ministeriale bello … ameremo meglio Dio.

 

 

Qualche fatica

 

L’abitudine gioca qualche volta brutti scherzi e così alcuni approfittarono del Giubileo per mettersi in mostra. È il caso – ad esempio – del re di Spagna, che nel 1650 mandò il suo ambasciatore a Roma a ritirare l’indulgenza (sì, non venne il re, ma il suo ministro!) con un piccolo corteo di 300 carrozze (!), giusto per non dare nell’occhio.

 

 

Sempre carità

 

La cosa più bella, comunque, è l’inno alla carità che si levava ad ogni Giubileo: i pellegrini erano ospitati da 300 Confraternite (chiedere al Don cosa sono!) e la più famosa, la Confraternita della SS. Trinità, accoglieva da sola 200.000 pellegrini. Rimase famoso anche il gesto dei Redentoristi, un ordine religioso dedito al riscatto degli schiavi, che nel 1725 raccolsero offerte per ottenere la liberazione di 365 schiavi, uno per ogni giorno dell’Anno Santo: riuscirono a farne liberare 370 ed il papa (Benedetto XIII) volle accoglierli tutti a Roma, per ricordare che l’Anno Santo è un Anno di liberazione da ogni schiavitù, come ci ricorda papa Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000.

Infine, ogni Anno Santo rilanciava lo spirito missionario: fu entusiasmante per il milione di pellegrini del 1650 sapere che l’imperatrice del Tonchino e suo figlio, l’erede, si erano fatti battezzare con il nome di Anna (la mamma della Madonna) e Costantino (il primo imperatore cristiano). Fu entusiasmante nel 1750 vedere pellegrini provenienti dalle isole Antille, dall’Africa, dalla Siria, dall’Armenia: essi ricordavano a tutti – lo ricordano ancora a noi, oggi – che il meraviglioso segreto del cristianesimo è che rende tutti fratelli; chiede a tutti di amarci l’un l’altro come figli dell’unico Padre.

 


9. «exultabat spiritus noster in deo»

 

 «Esultava il nostro spirito in Dio, nostra salvezza, annunciando a voi … dopo lunghe e funestissime tempeste, dalle quali la santa Chiesa di Dio veniva dovunque travagliata, che finalmente avevano iniziato a risplendere tempi più lieti e fausti». Con queste parole papa Leone XII (1823-1829) estendeva a tutto il mondo le indulgenze dell’Anno Santo 1825. Il papa l’aveva voluto tenacemente, nonostante le forti opposizioni che si erano levate da varie parti, anche tra i cardinali. Ci fu chi parlò di «battaglia del Giubileo», per indicare le pressioni, i lamenti, le minacce che furono fatte al papa, per convincerlo a non aprire la Porta Santa. D’altra parte, i sovrani degli Stati europei avevano buoni motivi per temere l’Anno Santo. Pochi anni prima (nel 1820-1821) erano scoppiate in tutta Europa una serie di rivolte contemporanee, che facevano pensare ad un progetto organico di destabilizzazione delle vecchie monarchie: dal porto di Cadice, in Portogallo, si erano estese in Brasile, in Italia (Nola, Napoli e Palermo), in Grecia. Esse erano state momentaneamente soffocate, soprattutto dall’Austria e dalla Russia, ma il fuoco della rivoluzione covava sotto la cenere e proprio alla fine del 1825 se ne ebbe un segnale in Russia (moto decabrista). In Italia era molto attiva la Carboneria, che operava per l’unificazione della nostra Nazione, ma sembrava - almeno ad alcuni - proporre ideali e metodi contrari alla Chiesa. Ora, era tradizione che non si potessero proibire i pellegrinaggi, ma tra i pellegrini si sarebbero potuti intrufolare proprio carbonari o membri di altre società segrete e Roma poteva diventare il luogo per organizzare nuove rivoluzioni. Di qui gli ostacoli opposti dai sovrani ai pellegrinaggi. In effetti a Roma vennero solo 375.000 pellegrini. Il papa non si lasciò turbare ed accentuò i gesti di carità. Tutti rimasero colpiti quando Leone XII la Domenica in albis (10 aprile) si recò a piedi - come un pellegrino qualunque - a pregare in tutte le basiliche. Tutti si commossero quando nella notte del 28-29 giugno si recò nell’ospedale di Santo Spirito, per visitare gli ammalati e confessare i moribondi.

 

 

E prima? E il 1800?

 

Ma perché il papa parlava di «funestissime tempeste» che si erano abbattute sulla Chiesa prima di quell’Anno Santo? Chi segue questa piccola storia dei Giubilei forse si sarà già accorto che non ho parlato dell’Anno Santo del 1800. In effetti il 15 febbraio 1798 il Governo nato dalla Rivoluzione Francese aveva dichiarato decaduto il Papa, almeno come re, ed aveva proclamato la Repubblica Romana, ordinando di deportare il papa in Francia. Cominciò il triste pellegrinaggio: il papa Pio VI, che aveva già 81 anni, giunse senza forze a Firenze e sembrò sul punto di morire. Passò quasi un anno e il Governo francese ordinò di farlo ripartire. Il viaggio fu avventuroso, anche perché più volte Pio VI fu sul punto di morire, ma la Francia fu inflessibile: il papa fu confinato a Valence come «prigioniero di Stato». Morì il 29 agosto 1799 ed i giornali di Parigi annunciarono che «È finita la Chiesa cattolica. È finito il Papato». Poteva sembrare vero: i cardinali erano stati dispersi e privati del titolo e la Francia minacciò di guerra chiunque si fosse offerto di ospitare il conclave per l’elezione del nuovo papa. Passarono sei mesi. Solo il 14 marzo 1800 la Chiesa ebbe di nuovo un papa, Pio VII. Non era tempo di fare Giubilei, ma di avviare la Chiesa sui nuovi e inesplorati sentieri di quello che si presentava come un difficile futuro. Pio VII voleva iniziare il nuovo secolo «povero, senza ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità», per assomigliare il più possibile al Signore, perché con queste virtù «si conserva l’autentica dimensione della Chiesa». Ci aiuti il Signore a non dimenticarlo. Forse il 1800 fu un Anno di grazia - questo vuol dire Anno Santo - proprio perché la Chiesa non morì e riebbe, piuttosto, il suo pastore (il papa), colui che fa le veci dell’unico e vero Pastore, il Signore Gesù.

 

 

E dopo?

 

Torniamo a Leone XII. Egli sperava che con l’Anno Santo 1825 fosse tornata la pace per la Chiesa. Non fu così. Il suo fu l’unico Giubileo del secolo scorso. Nel 1850 Pio IX (1846-1878) non poté celebrarlo. Ricorderete la prima guerra d’indipendenza italiana del 1848, quando anche il papa aveva detto: «Benedite, gran Dio, l’Italia e conservatele sempre questo dono, di tutti il più prezioso, la fede!». Purtroppo le cose presero un’altra piega ed il papa fuggì da Roma, mentre Mazzini dichiarava di nuovo decaduto il papa come re e proclamava una nuova Repubblica Romana, che durò fino ad aprile del 1850, quando Pio IX ritornò a Roma … protetto dall’esercito francese. Passarono venti anni e ancora - questa volta per sempre - il papa cessò d’essere re: il 20 settembre 1870 i bersaglieri conquistarono Roma, che divenne la capitale d’Italia. Il papa si chiuse in Vaticano, dichiarandosi prigioniero. Fu una reazione dura, ma a quel tempo alcuni affermavano che la Chiesa doveva essere soggetta allo Stato. Pio IX con la sua resistenza salvò la stessa libertà della Chiesa: suo unico Signore è Dio ed essa è serva degli uomini, soprattutto dei poveri e degli infelici, ma mai dei potenti. La gioia e la pace di Dio vengono dallo Spirito Santo, non dal denaro; vengono dal servizio, non dal potere.

 


10. Properante ad exitum

 

Con queste parole papa Leone XIII l’11 maggio 1899 annunziava il nuovo Giubileo. Erano parole cariche di trepidazione (“avvicinandosi alla fine”), perché esse alludevano non solo alla fine del secolo, che sarebbe stata segnata da quel nuovo Anno Santo, ma anche alla morte del Pontefice. Egli guardava all’Anno Santo come all’ultima, la più solenne, impresa del suo pontificato, lungo ormai quanto lo era stata la sua vita: era nato, infatti, il 2 marzo 1810 e, a quasi novant’anni, sapeva che sarebbe venuto presto per lui il momento dell’incontro con il Dio amato: «Dio solo è la vita. Tutti gli altri esseri sono partecipi della vita, ma non sono la vita», esclamerà il 1° novembre 1900. E continuerà: «Cristo è la vita … Tutto ciò che esiste, esiste per lui; tutto ciò che vive, vive per lui». Sono parole piene di giovanile freschezza, che sembrano anticipare quelle che dirà nel 1978 papa Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo! … Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!».

Leone XIII, concludendo il Giubileo, invitò tutti alla preghiera: «Supplichiamo Dio onnipotente che voglia piegarsi a misericordia. Non permetta che periscano coloro, che egli stesso ha liberato, con l’effusione del suo sangue. Guardi propizio a questo secolo che, è vero, molto peccò, ma molto anche sofferse in espiazione dei suoi errori; e, abbracciando amorosamente gli uomini di ogni nazione e di ogni razza, si ricordi della sua parola: “E io, quando sarò innalzato, attirerò tutti a me” (Gv 12, 31)». Leone XIII, dunque, guardava al futuro, all’Anno Santo, al secolo che esso cominciava con speranza, con la fiducia serena di chi poteva altrettanto serenamente guardare al secolo che si chiudeva, portando con sé il carico di tanti dolori.

 

 

Sguardo all’Ottocento

 

Ed era vero: il secolo XIX era iniziato senza papa, poiché Pio VI era morto prigioniero in Francia. Ed era stato solo l’inizio dei dolori. Nel corso degli anni la Chiesa cattolica si era trovata assediata, se non aggredita, da ogni parte. Napoleone aveva tentato di piegare i vescovi alla sua volontà di dominio, ma lo stesso avevano fatto i principi e gli imperatori dei vari stati europei. L’America Latina si era avviata alla sua indipendenza dal Portogallo e dalla Spagna, ma quella lotta di liberazione, che aveva visto tra i patrioti molti parroci e vescovi, assunse un andamento sempre più decisamente anticlericale: in Brasile si giunse a sequestrare le chiavi del tabernacolo! In Francia si alternavano momenti di protezione e di persecuzione: basti pensare alle sofferenze subite da Bernardette Soubirous quando annunciò di aver visto l’Immacolata Concezione a Lourdes; ed alla fine del secolo un moto di anticlericalismo preparò la confisca di tutte le proprietà della Chiesa francese. Non andava meglio in Italia, dove i moti di indipendenza e per l’unità italiana prima esaltarono poi odiarono il papato. L’acme si raggiunse con papa Pio IX (1846-1878): salutato come un liberatore dell’Italia nel 1848, (aveva detto: «Gran Dio, benedite l’Italia e conservatele il tesoro prezioso che è la fede») fu accusato da Garibaldi di essere «venditore dell’Italia allo straniero»; esaltato come il papa liberale nel 1846 fu accusato di condannare il progresso dopo la pubblicazione del Sillabo nel 1864. Non andò meglio con la Germania, che lanciò contro il papato il Kulturkampf, la lotta per la difesa della cultura germanica. Le cose non migliorarono sotto Leone XIII (1878-1903), eppure questo papa volle in tutti i modi spingere la Chiesa sulle strade della speranza e della fiducia: rinnovò gli studi teologici, cercò il dialogo con le altre chiese cristiane e con gli stati, impegnò la Chiesa nel campo sociale per una migliore condizione degli operai.

 

 

Il nuovo secolo

 

Con tenace speranza, sorella gemella della fede, Leone XIII curò con particolare impegno l’Anno Santo, poiché era convinto – e lo diceva – che il nuovo secolo si sarebbe concluso con una Chiesa più giovane e più viva che mai, capace di essere – come sempre – l’anima del mondo, al di là delle inevitabili sofferenze che avrebbe ancora dovuto sopportare. Ed in effetti non mancarono: proprio durante quell’Anno, il 29 luglio, il re d’Italia, Umberto I, fu ucciso da un anarchico mentre si recava nella villa reale di Monza e il 20 settembre i massoni italiani organizzarono un contro-giubileo, per deridere quello cristiano. Ma la fede della gente comune non si lasciò turbare e Roma vide il pellegrinaggio devoto di circa 400.000 persone, dal re e dalla regina d’Italia a mille sconosciuti. Tutti erano animati dal desiderio di riscoprire che la concordia e la pace sono valori preziosi per tutti; che il Vangelo è fatto non per dividere, ma per unire le persone, anche se questo comporta molta umiltà e amorevolezza e pazienza e perdono. Il segno di tutto questo sarebbe stato il Sacro Cuore, che «è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che sprona a rendergli amore per amore». A Lui il papa, in quell’Anno, consacrò l’umanità e il nuovo secolo. La forza dei cristiani del XX secolo sarebbe stata quel Cuore squarciato dalla lancia del soldato romano. Quel Cuore aperto per amare sarebbe stata la nostra forza.

 


11. «Infinita Dei misericordia»

I tre scopi dell’Anno Santo 1925

 

Spinta dall’«esempio dell’infinita misericordia di Dio», la Chiesa entrava nell’Anno Santo 1925. Così Pio XI intitolò la Bolla d’apertura.

Egli indicava tre scopi per l’anno santo, tutti profetici: la pace, l’ecumenismo, la Terra Santa. Anzitutto la pace, quella «non tanto scritta nei trattati, quanto viva negli animi»: la prima guerra mondiale era finita con un immane olocausto di dieci milioni di morti e venti milioni di feriti. Molto era stato fatto - è vero - per rimarginarne le ferite, ma la miseria e la fame attanagliavano ancora troppe famiglie in Europa. Anche nelle altre regioni del mondo, qualcosa sembrava impazzito: si pensi al crollo dell’impero cinese, lacerato da una tragica guerra civile. Il secondo scopo dell’Anno Santo era la riconciliazione tra i cristiani ed era - pur nel linguaggio del suo tempo - la benedizione solenne dei primi passi sulla via dell’ecumenismo, di cui cominciamo a vedere i primi frutti: come sapete il 30 ottobre 1999 - dopo quasi quattrocento anni - è stato firmata un’importante chiarificazione tra i protestanti ed i cattolici. Il terzo fine dell’Anno Santo era la soluzione del problema palestinese, nel pieno rispetto di tutti. In quel tempo la Palestina, sfaldatosi l’impero turco, era sotto l’amministrazione della Gran Bretagna, che da una parte favoriva il desiderio degli ebrei di ritornare (dopo quasi millenovecento anni di dispersione) nella Terra Promessa da Dio; dall’altra parte, con una politica miope, permise le tensioni e gli odii che ancora insanguinano la Terra della Pace, la Terra del Messia, la Terra di Gesù.

 

 

Cassandre e persecuzioni

 

Ci fu – anche allora - una campagna di stampa per dissuadere dal pellegrinaggio a Roma. Si scrisse che un’orda incontenibile di pellegrini (dagli otto ai dodici milioni) avrebbe tutto distrutto della città eterna, portandovi ogni tipo di violenza che la polizia non avrebbe potuto impedire, ed ogni tipo di pestilenza che le autorità sanitarie non avrebbero potuto debellare. Si annunciò che la cupola di San Pietro non era sicura e poteva crollare sotto il peso dei visitatori; si gridò al danno economico che sarebbe derivato per l’aumento dei prezzi. A quanto pare non successe nulla di tutto questo: purtroppo non mancano mai i profeti di sventura, quelli che credono più nelle statistiche che nella fantasia creatrice di Dio. La campagna di stampa era un pallido segno della ben più feroce persecuzione che la Chiesa subiva in ogni angolo della terra. In particolare voglio ricordare la persecuzione in Messico, iniziata nel 1917, che mandò in esilio tutto il clero, condannando alla fucilazione chi fosse rimasto. L’altro luogo di terribile persecuzione fu l’Unione Sovietica: nel 1917, quando scoppiò la Rivoluzione, c’erano in Russia 77.727 parrocchie, divennero 3.021 nel 1941. Nel solo 1922 furono uccisi 2691 preti, 1962 monaci, 3447 monache (circa 200.000 sparirono nei campi di concentramento). In questo clima Pio XI volle dedicare l’Anno Santo alla speranza, al coraggio della testimonianza in mezzo alle difficoltà.

 

 

L’esempio dei santi

 

Una pista privilegiata per infondere questo fiducia fu per il papa, la proposta delle figure dei santi. Il papa proclamò 125 beati (di cui 119 martiri) e 6 santi che sarebbe bello voi poteste conoscere meglio. Tra i martiri ricordiamo le Suore di Orange, i Martiri del Canada, i 79 Martiri della Corea. Tra i confessori: Giovanni Battista Vianney, cioè il santo Curato d’Ars; Teresa del Bambin Gesù e Bernardette Soubirous, la ragazza che vide la Madonna a Lourdes. Vale ancora quello che disse Pio XI: «Come la cattiva condotta dei singoli si volge in danno comune, così la conversione dei singoli a una vita più santa, porta evidentemente l’intera umanità a convertirsi ed a stringersi sempre più a Gesù Cristo».

 

 

L’Esposizione Missionaria

 

I pellegrini che giunsero a Roma in quell’Anno Santo poterono visitare l’Esposizione Missionaria, che ebbe un tale successo, che il papa decise di conservarla per sempre, trasformandola in un’ala dei Musei Vaticani. Essa avrebbe dovuto non solo celebrare le grandi realizzazione dei missionari, ma anche stimolare verso «quello che c’era ancora da fare».

 

 

Anno Santo Missionario

 

Il desiderio di Pio XI fu di rendere tutti missionari. Vi lascio, perché ne vale la pena, quello che il papa disse ai giovani dell’Azione Cattolica italiana (13 settembre): «L’età nella quale si semina è la vostra. La vostra è l’età del pieno vigore davanti alla quale l’avvenire si schiude radioso. Finché dunque avete il tempo, seminate il buon seme della virtù e delle buone opere. Seminatelo tra voi, così come fate oggi, edificandovi a vicenda, senza altra intenzione, senza altra emulazione, senza altra invidia che quella santa di cercare di fare il maggior bene a gloria di Dio e di Gesù. Siate apostoli nella famiglia, nella professione, in tutta la vostra vita, facendo vedere a tutti, dovunque la Provvidenza vi abbia posti, come si fa ad essere buoni cittadini ed insieme buoni cristiani, buoni cattolici». Il discorso continuò una settimana dopo (19 settembre), quando ricevette l’Azione Cattolica internazionale. Ad essa gridò: «Il vostro apostolato deve essere innanzi tutto l’apostolato della preghiera; perché sul terreno, ove voi lavorate, nulla è possibile che per mezzo della preghiera. All’apostolato della preghiera deve seguire l’apostolato della parola, della propaganda, della propaganda per mezzo di questa parola, che è così dolce sulle vostre labbra, così convincente, cosi irresistibile, quando essa è presentata con la generosità del vostro cuore, con la vivacità geniale della vostra intelligenza. E poi ancora l’apostolato dei fatti, delle opere, della carità individuale, familiare, sociale. E infine il grande apostolato della vostra vita, sempre aperta, sempre esposta alla luce, senza ostentazione, ma anche senza timore, senza timidezza». Questa era la missione «di tutti i giorni e di tutte le ore», che il papa «contento e fiero» affidava loro. La affido ora a voi, contento e fiero anche io di voi.

 


12. Quod nuper sub Jesu Christi

 

Questa volta parliamo di un anno santo straordinario. Straordinario per la data: Pio XI lo indisse tra la Pasqua del 1933 e quella del 1934, per celebrare il diciannovesimo centenario della redenzione. Erano passati diciannove secoli – secondo il calcolo tradizionale – da quella Pasqua, durante la quale Gesù si era donato ai suoi discepoli nell’ultima sua Cena; era stato torturato ed umiliato e crocifisso come un malfattore, ma si era presentato poi vivo ai suoi discepoli, incoraggiandoli a confidare in lui e nello Spirito che avrebbe loro mandato dopo la sua ascensione al Cielo.

 

 

La consacrazione al Sacro Cuore

 

Erano passati solo otto anni dall’Anno Santo del 1925, che il papa aveva caratterizzato come un anno santo «missionario», istituendo la Mostra Missionaria e consacrando i primi sei vescovi cinesi. In quegli otto anni la Chiesa cattolica aveva continuato a diffondersi nel mondo, resa forte anche dalla fiducia nell’amore del Signore, che custodisce sempre i suoi figli e li ama «con cuore di carne». Per questo, anzi, il papa aveva voluto che tutte le famiglie del mondo fossero consacrate al Sacro Cuore ed aveva composto una sua preghiera: «Gesù dolcissimo, Redentore del genere umano, … noi siamo tuoi e tuoi vogliamo essere … Molti purtroppo non ti hanno mai conosciuto, molti disprezzando i tuoi comandamenti, ti hanno rifiutato. Dolcissimo Gesù, abbi misericordia di tutti ed attira tutti quanti al tuo Cuore santissimo … Fa’ che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: Sia lode a quel Cuore Divino, da cui venne la nostra salvezza; a lui si canti gloria e onore nei secoli. Amen».

 

 

Dare speranza

 

Perché il papa aveva desiderato quell’anno santo straordinario? Personalmente credo che lo spinse la convinzione che occorreva rinnovare nei cristiani l’entusiasmo, la speranza che nasce dalla fede e rende forte la carità. Quegli otto anni non erano stati per niente tranquilli. Nel 1929 era scoppiata un’improvvisa e terribile crisi economica che aveva ridotto alla fame milioni di persone anche in Europa ed in America. Hitler era arrivato rapidamente al potere in Germania ed aveva già iniziato a realizzare il suo progetto di odio e di sterminio. In Italia, dopo l’entusiasmo seguito alla firma dei Patti Lateranensi (chiedere al don!), non era seguita la pace sperata tra la Chiesa ed il Governo italiano, anzi si era appena concluso uno scontro titanico tra Mussolini e il Papa. Il Duce voleva imporre il suo controllo sulla formazione dei ragazzi e dei giovani e per questo nel 1931 tentò di sopprimere anche l’Azione Cattolica, ma Pio XI si oppose con tutte le forze, scrivendo, tra l’altro, un documento dal titolo efficace: Non abbiamo bisogno … di appoggiarci ai potenti di turno, perché colui che ci dà forza è il Signore Gesù. In Russia continuava con crudeltà scientifica l’eliminazione dei preti e delle suore e nelle scuole divenne obbligatorio studiare l’ateismo.

Proprio in questo clima Pio XI volle che i cristiani celebrassero l’anniversario della Redenzione, con la speranza che esso «portasse la pace agli animi, la libertà alla Chiesa, la concordia ed il progresso a tutti i popoli».

 

 

La risposta dei cristiani

 

Fu un anno santo eccezionale per almeno tra aspetti. Il primo: il mondo intero poté sentire per la prima volta la voce del papa, mentre colpiva con il martello il muro della Porta Santa e questo grazie alla radio, che Guglielmo Marconi aveva perfezionato, proprio in vista dell’Anno Santo.

La seconda novità fu che i romani poterono vedere di nuovo il papa per le vie della loro città. Infatti, dal 1870 il papa non era più uscito dal Palazzo Apostolico. Ora, dopo la firma dei Patti Lateranensi, Pio XI riprese le visite che oggi ci sembrano normali per una papa e si recò in S. Giovanni in Laterano: fu una processione impressionante, ed era solo la prima.

La terza cosa eccezionale fu la risposta dei cristiani: impressionante, a significare che ogni anno santo è questione prima di tutto di popolo, esprime la fede dei credenti e non è mai una cosa imposta dall’alto e il papa può proclamarlo, ma è il popolo di Dio che decide di compierlo. Così avvenne quel 1933: tra aprile e ottobre 1933 erano già arrivati a Roma tanti pellegrini quanti tutto intero l’Anno Santo 1925 e provenivano dalle terre più lontane, persino dalla Nuova Zelanda.

A tutti il papa propose l’esempio dei santi. Posso solo indicare i nomi di quelli che Pio XI canonizzò e vi invito a leggerne la vita: Bernardette Soubirous, Giuseppe Cottolengo, Giovanni Bosco, i primi martiri dell’America Latina, le fondatrici delle Suore di Maria Bambina. Erano tutti santi vissuti in tempi difficili ed impegnati nel servizio dei fratelli più poveri. Ci possono insegnare che non bisogna avere mai paura di testimoniare la propria fede e che il modo migliore per farlo è di farsi servi di chi soffre. Servi per amore.

 


13. iubilaeum maximum

 

 «Quanto più il mondo presente mette dinanzi agli occhi lo spettacolo desolante dei suoi dissensi e delle sue contraddizioni, tanto più stringente è il dovere dei cattolici di dare un luminoso esempio d’unità e di coesione, senza distinzione di lingue, di popoli, di stirpi». Con queste parole il 2 giugno 1948 papa Pio XII (1939-1958), soprannominato Pastor Angelicus, annunziava ai cardinali l’Anno Santo del 1950.

 

 

Le parole del Pastor Angelicus

 

Il papa - come tutti - aveva ancora vivo il ricordo dell’immane tragedia della seconda guerra mondiale con i suoi 56 milioni di morti, con l’orrore dell’Olocausto degli ebrei (5 milioni), dei polacchi (6 milioni), degli zingari, dei portatori di handicap e dei prigionieri. Non si era ancora spenta la luce accecante delle due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki; non erano ancora evaporati i terrificanti funghi atomici che avevano cancellato in pochi istanti e in due riprese (6 e 9 agosto 1945) più di duecentomila persone. Perché fu ripetuto il lancio della bomba atomica, ben sapendo che cosa aveva provocato pochi giorni prima? Quale rispetto dell’uomo o quale follia di dominio ispirò i Capi che ordinarono il secondo bombardamento?

La guerra mondiale, in realtà, non era finita nel 1945: ne era cambiato il volto, tanto che si parlò di «Guerra fredda». Il mondo era diviso in due blocchi contrapposti: in uno dilagava il consumismo sfrenato, pronto a sfruttare le materie prime dei popoli poveri; nell’altro il comunismo con violenza cieca riduceva l’ideale dell’uguaglianza degli uomini a feroce strumento d’oppressione dei popoli, chiusi nell’ottusa dittatura della «Cortina di ferro», com’era chiamata.

Tragicamente, la lotta contro l’uomo che ambedue i fronti facevano - e fanno - era accompagnata dalla negazione decisa della dimensione religiosa dell’essere umano. Il mondo capitalista, infatti, ispirato dal radicalismo massonico educava i giovani, soprattutto, a non avere altra legge che l’edonismo e il piacere egoista. Il mondo comunista, a sua volta, educava all’ateismo, alla negazione violenta di Dio: milioni di uomini sono morti martiri per la loro fede sotto quel giogo. Anche in Italia alcuni giovani furono uccisi per la loro coraggiosa testimonianza tra le file dell’Azione Cattolica.

 

 

Chiamati a farci carico

 

Pio XII volle che l’Anno Santo fosse un inno alla speranza, alla fiducia in mezzo a tanta tormenta: la Chiesa del futuro sarebbe stata ancora più luminosa, proprio per il sangue versato da tanti fratelli. Occorreva, in quell’Anno Santo, l’impegno di tutti i credenti a convertirsi personalmente e farsi carico dei propri fratelli con una rinnovata condotta di vita ed una più coraggiosa testimonianza: «Chi non ha bisogno del perdono di Dio?», domandava il papa e continuava: «Sfilano davanti a nostri occhi i volti addolorati degli orfani, delle vedove, delle madri in attesa di un ritorno che forse non verrà, dei perseguitati per la giustizia e per la religione, dei prigionieri, dei profughi, degli esuli forzati, dei detenuti, dei disoccupati, degli oppressi, dei sofferenti nello spirito e nella carne, delle vittime di ogni ingiustizia». Per tutti costoro il papa chiedeva ai cristiani di rinnovare il proprio impegno di santità.

 

 

Quale cristiano per il futuro?

 

Per ricordare che tutti siamo chiamati ad essere santi e che a tutti è possibile diventarlo, Pio XII durante l’Anno Santo proclamò otto beati e sette santi. In particolare ricordo i due destinati ad essere di esempio ai giovani e di cui sarebbe bello che (con l’aiuto del don) conosceste un poco la vita: Domenico Savio (beatificato il 5 marzo), il santo dell’allegria e del buon esempio, e Maria Goretti (canonizzata il 24 giugno), la santa della purezza e del perdono.

 

 

Il dogma dell’Assunzione

 

Tra tutti i cristiani, una è insuperabile: Maria, la Madre di Gesù, la «Regina dei santi». Proprio il 1° novembre 1950 Pio XII alla presenza di circa 700 mila pellegrini e 623 vescovi proclamò che Maria è già risorta anche con il suo corpo, come un giorno accadrà a noi. Maria - questo voleva ricordarci il papa - è colei che ci indica la meta del nostro cammino sulla terra: il Cielo, dove un giorno la vedremo e con lei gioiremo.

 

 

La tomba di San Pietro

 

Non sapremo mai con esattezza quanti si recarono a Roma: i pellegrini «ufficiali», quelli registrati, furono quasi quattro milioni e mezzo (forse sei milioni e mezzo). Proprio agli ultimi pellegrini Pio XII fece un grande dono: annunciò che sotto la grandiosa cupola di Michelangelo era stata finalmente ritrovata la tomba di san Pietro. Anche questo era un invito alla fiducia, a continuare la missione che Gesù aveva affidato a Pietro, e che egli ha trasmesso a noi.

 

 

Fiducia e pace

 

Ce lo ricordi la preghiera che Pio XII compose per l’Anno Santo: «La tua grazia, o Padre, accenda in tutti gli uomini l’amore verso tanti sventurati, che la povertà e la miseria riducono ad una condizione di vita indegna di esseri umani. Desta, nelle anime di quelli che Ti chiamano Padre, la fame e la sete della giustizia sociale e della carità fraterna nelle opere e nella verità. Da’, o Signore, la pace ai nostri giorni, pace alle anime, pace alle famiglie, pace alla patria, pace fra le nazioni».

 


14. «La civiltà dell’amore prevarrà…»

 

Era mercoledì 9 maggio 1973. Papa Paolo VI (1963-1978) stava parlando ai pellegrini durante la consueta Udienza generale, tenuta allora nella Basilica di San Pietro, quando cominciò a dire: «Vogliamo oggi dare a voi una notizia, che crediamo importante per la vita spirituale della Chiesa». Si creò immediatamente il silenzio attento di tutti. Il papa continuò: «Dopo aver pregato e pensato, noi abbiamo deliberato di celebrare nel prossimo 1975 l’Anno Santo». Si levò un applauso scosciante, come per sciogliere la tensione ed una lunga attesa. Effettivamente da molto tempo sui giornali si andava discutendo sul silenzio del papa: avrebbe fatto ancora l’Anno Santo nel 1975, che si stava avvicinando? Mancava poco più di un anno e mezzo… Ricordate che papa Giovanni Paolo II cominciò a preparare la Chiesa all’Anno Santo del Duemila, che stiamo celebrando, dal 1995, cinque anni fa!

 

 

Anno santo non più attuale?

 

Al tempo di Paolo VI c’era chi pensava che l’Anno Santo fosse una «cosa da Medio Evo» (effettivamente era nato nel 1300) e senza riferimento alla Bibbia, che era stata posta di nuovo al centro della vita della Chiesa dal Concilio ecumenico Vaticano II. Si sosteneva che fosse una pratica devozionale, perché si affidava alle indulgenze, che davano l’idea che ci si salvasse non per l’amore misericordioso di Dio e per l’impegno di ognuno alla conversione della vita e del cuore: «Non basta baciare le reliquie di un santo – dicevano alcuni – per diventare santi. Il Paradiso non si guadagna con le preghiere, ma con le opere e la vita impegnata». Potevano avere ragione: nel mondo dilagavano la fame, la guerra, la violenza.

 

 

Mali nuovi o forse troppo antichi

 

La fame: milioni di uomini morivano in India ed in Africa; milioni vivevano in miseria nell’America Latina. Il papa ne era rimasto talmente impressionato che aveva donato la sua «tiara» (la corona che un tempo portavano i papi), perché fosse venduta ed il ricavato fosse usato per sfamare i poveri. Non era bastato ed allora aveva fatto fondere tutti gli «ex voto» dei santuari e delle chiese; infine, fondò quella che oggi chiameremmo una «Banca etica»: essa avrebbe prestato denaro senza interesse ai contadini poveri dell’America Latina, perché potessero comperare le terre da coltivare e sfuggissero così all’oppressione dei latifondisti.

La guerra: il mondo era sconvolto dalla guerra del Vietnam. Era una cosiddetta «guerra per procura»: le grandi potenze di allora (Stati Uniti, Unione Sovietica, Cina) sostenevano le diverse fazioni della popolazione vietnamita (e non solo) nella loro guerra civile. Era un modo iniquo per evitare di combattersi a viso aperto, ma mandando a morire centinaia di migliaia di poveri. È una delle grandi tragedie del Novecento: in tutto il mondo c’erano «guerre per procura», la guerriglia e il terrorismo insanguinavano città e Nazioni. Paolo VI scongiurava di cercare e costruire la pace, tanto che istituì la Giornata della Pace il primo giorno di ogni anno, per pregare e parlare e meditare sul dono prezioso della pace, che è un dovere per gli uomini, visto che siamo tutti fratelli.

La stessa Chiesa sembrava scossa da una misteriosa crisi, quasi che «il fumo del diavolo» vi fosse entrato per metterla alla prova. Non era questo il frutto che ci si attendeva dal grandioso concilio Vaticano II, concluso proprio dieci anni prima (1962-1965).

 

 

Ogni uomo è mio fratello

 

Paolo VI era rimasto a lungo incerto se fare l’Anno Santo: quanti lo avrebbero contestato! Ma alla fine si decise, perché esso era un dono prezioso di grazia per la Chiesa, per tutti i cristiani, anzi per tutto il mondo, ed il papa preferì lasciarsi prendere in giro piuttosto che privare il mondo di una nuova Pentecoste: questo è l’Anno Santo! Egli voleva che tutti fossero chiamati a rinnovare il loro cuore e per questo lanciò uno slogan, prezioso ancora oggi: «Ogni uomo è mio fratello» e per questo devo cercare «Riconciliazione e Penitenza».

Ebbe ragione Paolo VI. L’inizio del Giubileo avvenne quasi in sordina, fu un poco snobbato, ma decollò misteriosamente (o per influsso dello Spirito Santo!) ed i pellegrini accorsero sempre più numerosi: alla fine furono 8.700.000 (ottomilionisettecentomila!).

 

 

Tre immagini per un Giubileo

 

Di tutto l’Anno Santo vorrei ricordare un gesto e due parole, per farne tesoro anche noi. Il 14 dicembre 1975 Paolo VI stava uscendo dalla Cappella Sistina, quando vide il rappresentante del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli. Fermò il corteo; si tolse la mitria e si inginocchiò a baciare i piedi del metropolita Melitone. Era la prima volta nella storia che un papa baciava il piede ad un vescovo! Paolo VI in quel tempo faceva fatica a camminare, ma non ebbe paura di piegare le ginocchia davanti ad un fratello, cui voleva chiedere perdono per la divisione della Chiesa cattolica dagli ortodossi. Forse richiama anche noi ad avere sempre il coraggio di chiedere perdono!

La prima parola è l’Inno alla gioia che egli fece il giorno di Pentecoste, con l’enciclica Gaudete in Domino! Egli volle ricordare a tutti che «la gioia è il gigantesco segreto del cristiano». Non dimentichiamolo mai!

La seconda parola giunse alla fine dell’Anno Santo: l’8 dicembre pubblicò l’Esortazione Evangelii Nuntiandi studium. Era il messaggio che il vecchio papa (morì tre anni dopo) consegnava alla Chiesa: «L’impegno di annunciare il vangelo agli uomini è un servizio reso a tutta l’umanità». Paolo VI ne era certo e lo ripeté anche in quell’ultimo giorno: «La civiltà dell’amore prevarrà». Non dimentichiamolo mai!

 


15. «attraverso la Porta più ampia»

 «Con lo sguardo fisso al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa si appresta a varcare la soglia del terzo millennio». È con queste solenni parole che papa Giovanni Paolo II annuncia solennemente il Grande Giubileo del 2000.

 

 

Papa “di un paese lontano”

 

«Con lo sguardo fisso al mistero». Il Papa aveva tenuto fisso il suo sguardo su questo Grande Anno Santo, sin dall’inizio del suo pontificato, sin da quella sua misteriosa elezione il 16 ottobre 1978, quando, dopo quasi cinquecento anni, veniva eletto un papa non italiano, anzi il primo papa slavo. Quella sera diventava papa un uomo che «veniva da lontano», da quelle terre dove si era tentato, anche con terribili persecuzioni, di cancellare il nome di Dio e di Gesù Cristo dalla storia. Ma era stata più forte la fede del popolo, di milioni di uomini e donne, di giovani e anziani, di operai e studenti, di tutta la gente umile che il Potere aveva cercato di schiacciare. Questo papa era uscito dalle catacombe del XX secolo, dalla Chiesa del silenzio ed aveva cominciato a gridare fin dal suo primo discorso: «Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! […] Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!».

Giovanni Paolo II guardava al Duemila ormai vicino con enorme fiducia. Egli sapeva che Dio in Gesù Cristo ha già «vinto» il mondo, lo ha riempito del Suo amore e della Sua misericordia: la storia dell’umanità è un cammino di salvezza, incontro al Signore della Gloria e della Gioia.

 

 

L’anno santo straordinario del 1983

 

Per questo il papa nel 1983 ha voluto celebrare un Anno santo straordinario, per i millenovecentocinquant’anni della redenzione. Allora aveva detto: «Tutta la vita della Chiesa è immersa nella Redenzione, respira la Redenzione. Per redimerci, Cristo […] ha offerto se stesso sulla Croce in un atto d’amore supremo per l’umanità, lasciando alla sua Chiesa il suo Corpo e il suo Sangue in sua memoria, e facendola ministra della riconciliazione col potere di rimettere i peccati». Anche allora aveva gridato: «Aprite a Cristo le porte della nostra difficile età moderna, di questa civiltà dai crescenti contrasti; permettetegli di innestare in essa la Redenzione e la civiltà dell’amore. Verrà il giorno in cui quest’impresa sarà definitivamente compiuta. Chi crede lo sa […] all’uomo, a tutti gli uomini, Cristo vuole comunicare la vita conquistata sulla croce. […] Si lasci al Redentore di guidare l’umanità verso un futuro migliore al di là della soglia che separa il secondo dal terzo Millennio».

Già in quell’Anno Santo era prefigurato il Grande Giubileo del Duemila. Per questo il papa volle cominciare l’Anno Santo della Redenzione il 25 marzo 1983, il giorno dell’Annunciazione. Era da quel giorno, da quando la giovane donna, Maria, aveva detto di «sì» con entusiasmo alla voce di Dio, che era cominciata la redenzione. Gesù risorto, quando apparve ai suoi discepoli, disse loro: «Pace a voi!». È lo stesso augurio cantato dagli angeli la notte in cui Gesù nasceva: «Pace in terra agli uomini, perché Dio li ama». La croce, il sepolcro vuoto hanno le loro radici nella casa di Nazaret, nella grotta di Betlemme.

 

 

Il futuro è speranza

 

Da allora il futuro per un cristiano è sempre carico di speranza. Il cristiano è sempre ottimista e guarda con fiducia in avanti. Per questo il papa ci ha preparati al Grande Anno Santo, pubblicando uno splendido libro, Varcare la soglia della speranza. Vi scriveva: «L’anno duemila segna una specie di sfida. Bisogna guardare all’immensità del bene che è scaturito dal mistero dell’Incarnazione del Verbo e, insieme, non lasciarsi sfuggire il mistero del peccato, che si espande in continuazione». Il papa non è un ingenuo, sa che il male esiste, ma ricorda con san Paolo che «dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20) e per questo sollecita tutti alla preghiera. Essa, infatti, è «il modo più semplice (ed io aggiungerei: quello possibile a tutti) per rendere presente nel mondo Dio e il Suo amore salvifico». Non a caso il papa ci ha chiesto di iniziare il Grande Giubileo cantando: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo».

 

 

Il perdono, il debito internazionale e i nuovi martiri

 

Da questa gioia di sapere che Dio ama tutti gli uomini, viene il desiderio di chiedergli perdono a nome di tutti: forse io non ho offeso Dio, ma se lo ha offeso mio fratello, io per lui Gli chiederò scusa. Chi ama non pensa mai solo a se stesso. Tutti siamo un poco colpevoli, come tutti siamo fratelli e diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Cancellare i debiti, anche quelli economici, fa parte dell’essere fratelli e sorelle. Allora impareremo ad amarci. E se ci sembrerà difficile, potremo sempre prendere l’esempio delle migliaia e migliaia di martiri di questo Millennio: «Essi sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore». Non sono parole mie, ma del papa.

Congedandomi, vi auguro di poter cantare ogni giorno della vostra vita l’inno di gioia: «Noi ti lodiamo, o Dio, ti proclamiamo Signore. Tutta la terra ti adora». Dio vi aiuterà ad essere missionari del suo amore.