I NOVISSIMI di Giovanni Zenone

Il Timone novembre 2004

 

 

 

L’uomo non si è mai rassegnato all'idea che la morte abbia l'ultima parola e ha sempre cercato una qualche forma di sopravvivenza. Questo fino a che, a partire dall'illuminismo ateo, non si è cominciato a stendere una coltre di omertà sulla morte, che è divenuta oggigiorno il grande tabù di cui è indecente parlare. La dottrina cristiana insegna in merito ai destini di ogni uomo, in merito cioè ai novissimi, alcune certezze che fanno parte integrante della fede cattolica.

 

 

 

Morte e Giudizio

 

Per sapere qual è il destino dopo la morte bisogna innanzitutto considerare correttamente come sia fatto l'uomo. Esso è composto di un corpo, molto simile al corpo di altri animali, e di un'anima, un principio spirituale sede dell'intelligenza e della volontà, che appunto anima il corpo, e senza la quale non c'è un uomo ma un cadavere che presto va in putrefazione. A differenza dagli animali, l'anima umana è spirituale ed immortale, non si identifica con il corpo, anche se entrambi sono necessari perché ci sia l'essere umano nella sua interezza.

Durante la vita su questa terra l'uomo ha la possibilità, grazie alla ragione e alla volontà, di compiere il bene od il male, ed è sempre in tempo a scegliere, fino all'ultimo istante, tra il Regno di Dio e Satana. Al momento della morte - come insegna la Costituzione Apostolica Benedictus Deus nel 1336 - l'anima abbandona il corpo e non può più decidersi prò o contro Dio, ma viene giudicata in base alle scelte fatte fino ad allora. È il momento della verità, nel quale non si può ingannare il Giudice divino ne se stessi. Dallo stato in cui si viene trovati al momento della morte si decide la nostra sorte eterna: il Paradiso, l'eterna beatitudine di stare al cospetto del nostro Padre, Creatore e Salvatore in comunione con i fratelli, oppure l'infinita sofferenza dell'Inferno, in compagnia di Satana, dei demoni e dei dannati. Un istante dopo la morte avviene il giudizio e la sentenza: o salvati o perduti, senza possibilità di un secondo grado di giudizio. Il Purgatorio non è una via intermedia, perché - come vedremo - è già la dimensione della salvezza. L'idea della reincarnazione, con la quale si toglie la responsabilità e il valore delle scelte morali nella vita, è rigettata come falsa dall'insegnamento cristiano (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1013 ed Eb 9,27). Dovremo rendere conto davanti a Dio, davanti ai fratelli, cui abbiamo fatto del bene o del male, e davanti a noi stessi. Il nostro Giudice sarà Gesù (Gv 5,26-27), che proprio perché ha fatto esperienza della vita umana, conosce la nostra fragilità e meschinità: non lo si potrà

ingannare, ma sarà un giudice benevolo, perché è il nostro Salvatore. Prima del Giudizio Universale i destini sono tre: Inferno, Purgatorio o Paradiso. Dopo il Giudizio universale, il Purgatorio sparirà.

 

 

L'inferno

 

L Inferno, escluso purtroppo dalla predicazione dei nostri tempi da chi si scandalizza della giustizia di Dio e della libertà dell'uomo, svigorito da fantasie teologiche per le quali sarebbe vuoto, è una verità di fede imprescindibile, negando la quale – secondo il Simbolo Atanasiano del IV secolo - si pecca contro la fede e si mette a rischio la propria salvezza (Denzinger 40). Già il Vecchio Testamento ne parla nel Libro della Sapienza, per giungere alla chiarezza tragica e radicale dei Vangeli, delle Epistole e dell'Apocalisse. All'Inferno sono destinati coloro che, al momento della morte, sono trovati nel peccato mortale (fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, invidie, ubriachezze, orge, incredulità, omicidio, menzogna ecc., come elencano Gal 5,21 e Ap 21,8). Le pene dell'Inferno sono eterne, come affermano innumerevoli testi neotestamentari (ad esempio Mt 13,41 eAp 14,11), e magisteriali, tra i quali il magistero infallibile che si è pronunciato nel XII Concilio ecumenico Lateranense IV, presieduto da Papa Innocenze III nel 1215, e Il Credo del Popolo di Dio redatto da Papa Paolo VI nel 1968. La dottrina dell’apocatastasi, divulgata da Origene, per la quale l'Inferno sarebbe solo temporaneo, sia per gli uomini che per i demoni, è condannata come eretica già fin dal Sinodo di Costantinopoli nel 543 (Denzinger 211). Le pene dell'Inferno sono due: quella dei sensi e quella del danno. Nella risurrezione della carne, che avverrà anche per i dannati, i sensi che essi misero al servizio del peccato invece che dell'amore saranno tormentati per l'eternità, secondo la logica teologica del contrappasso, che Dante rappresenta con fantasia magistrale. È quanto esprime la dizione evangelica del fuoco eterno, che non è tuttavia necessariamente un fuoco materiale. La  pena del danno è la perdita eterna della visione beatifica di Dio, per il quale siamo stati creati e al di fuori del quale non vi è possibile felicità.

L’Inferno scandalizza chi non ha fede, perché sembra in contrasto con l'infinita misericordia di Dio. In realtà esso è la suprema manifestazione dell'infinitudine dell'amore di Dio, che ama talmente l'uomo da lasciarlo assolutamente libero, essendo così disposto a ratificare - pur a malincuore - il rifiuto volontario e cosciente che i malvagi Gli oppongono. Il dogma dell'Inferno rivela quindi il carattere altamente drammatico della libertà umana, ed è al contempo un «appello alla responsabilità» e un «pressante appello alla conversione» (CCC 1036).

 

 

Il Paradiso

 

Il Paradiso è il cuore stesso di Dio, per il quale Egli ci ha creati; è l'amore eterno, la felicità e realizzazione piena della creatura. In Paradiso quella sete di felicità che mai si compie appieno nemmeno nelle cose più belle e più vere, e che spesso viene cercata nelle soddisfazioni sensuali e peccaminose, trova la sua perfetta estinzione. È un rapporto d'amore con Dio e fra di noi rappresentato dalle immagini bibliche del banchetto di nozze, nel quale si beve il vino nuovo e si mangiano cibi succulenti, serviti da Cristo. La gioia del Paradiso può essere già parzialmente sperimentata su questa terra quando si è in intimità con Gesù e in grazia di Dio, nelle azioni e nelle intenzioni (1Gv15,11). La dottrina cattolica e la Bibbia insegnano che in Paradiso c'è una distinzione di gloria, a seconda del grado di santità personale che ciascuno ha realizzato nella propria vita. Altro è lo splendore di san Francesco o di un martire che ha effuso il proprio sangue per amore di Dio, altro quello di chi- come il cosiddetto buon ladrone - è stato salvato per misericordia dopo una vita spesa nel peccato. In ogni caso, sebbene ci sia una gerarchia di santità - ribadita dal Concilio di Firenze del 1438-1445 (Denzinger 693) - nessuno è insoddisfatto del proprio posto, perché è il massimo che gli compete, è la volontà di Dio, cui il beato si adegua appieno e nella quale trova la propria beatitudine. Si fa in proposito spesso l'esempio di un bicchiere che, piccolo o grande che sia, è pieno, ne potrebbe desiderare di contenere più acqua. Dal Cielo i beati non cessano di amare e quindi pregare ed intercedere per coloro che hanno amato su questa terra.

 

 

Il Purgatorio

 

La terza realtà escatologica è il Purgatorio. La sua esistenza è confermata dalla Bibbia (2Mac 12, 43 e 1 Cor 3, 12-15) già fin dal Libro dei Maccabei (che i protestanti escludono dal canone biblico, rifiutando così l'esistenza del Purgatorio). È una dimensione temporanea delle anime che durerà solo fino al Giudizio Universale, prima cioè della resurrezione della carne. In esso le persone che sono morte senza peccati mortali, ma che hanno mantenuto una sorta di affetto liberamente accolto per il peccato veniale, si purificano da

questa imperfezione. Se la beatitudine paradisiaca è la totale conformazione della propria volontà a quella divina, il Purgatorio è un tempo nel quale, pur essendo già salvi, non si può contemplare Dio perché ancora non lo si desidera ed ama con tutto se stessi, perciò è necessario abbandonare ogni volontà che non sia indirizzata a Lui. Taluni parlano del Purgatorio come di un inferno temporaneo, ma è un errore. Se all'Inferno c'è la disperazione ed il tormento (il fuoco) per la lontananza eterna dalla felicità divina, in Purgatorio invece c'è sì la sofferenza motivata dalla mancata partecipazione alla visione beatifica, ma anche la gioia per la certezza di vederLo e di essere nella Sua volontà purificatrice. Il fuoco qui è un fuoco d'amore, simile alle gioiose sofferenze di chi sa che si congiungerà all'amato, ma deve aspettare il momento dell'incontro. Il Concilio ecumenico di Firenze (1438-1445) definisce come verità di fede non solo l'esistenza del Purgatorio, ma anche la possibilità che le anime purganti possano essere liberate anzitempo grazie ai suffragi dei fedeli viventi (la Santa Messa, preghiere, indulgenze, elemosine ed altro, secondo le istituzioni della Chiesa) (Denzinger 693). Anche questa possibilità ha un fondamento biblico: il sacrificio espiatorio che Giuda Maccabeo offrì per l'assoluzione dei morti che avevano peccato di idolatria (2Mac 12,46) e la comunione mistica in Cristo, sia nel bene che nel male, di tutti gli uomini (Col 1,18). Lo stesso San Giovanni Crisostomo ribadisce e conferma la pia pratica (Omelia sulla prima lettera ai Corinzi, 41,5). Il Concilio di Trento (1545-1563) ordina poi che questa sacra dottrina sia diligentemente trasmessa ai fedeli (Denzinger 983; 940; 950).

 

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