MATTEO

GR.  MATHTHAIOS;Eb MATTAI

(“dono di Dio”)

 

 

 

 I quattro elenchi dei 12 apostoli riportati nel Nuovo Testamento (Mt 10,2-4; Mc 3,16-19; Lc 6,14-16, At 1,13) parrebbero includere sempre il discepolo Matteo. La sua chiamata è descritta nel Vangelo di Matteo: «Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi".

 

Ed egli si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). Questo stesso episo­dio figura nei Vangeli di Marco e di Luca, do­ve però l'esattore delle tasse è chiamato «Levi, il figlio di Alfeo» (Mc 2,14) o semplicemente «Levi» (Lc 5,27). Per questo, molti studiosi concludono che Matteo e Levi fossero la stessa persona e pensano che Gesù possa averlo so­prannominato Levi, come aveva dato a Simone il nome di Pietro. In questo caso, Matteo potrebbe essere anche un fratello di Giacomo, figlio di Alfeo, anch'egli uno degli apostoli; nelle Scritture, però, i due non vengono mai identificati come fratelli.

In quanto esattore delle imposte, Matteo po­teva essere uno degli abitanti del luogo che, ac­cettando di pagare una determinata somma supplementare al governatore della Galilea, Erode Antipa, svolgeva tale incarico: tutto il ricavato in eccedenza poteva finire nelle sue stesse tasche. L'ufficio dell'esattore delle tasse poteva essere situato al confine per raccogliere pedaggi sui beni che venivano trasportati da un distretto all'altro. Comprensibilmente, gli esattori erano malvisti da tutti, non solo per­ché, in fondo, erano indirettamente al servizio degli oppressori degli Ebrei, cioè i Romani, ma anche perché realizzavano i propri profitti ag­giungendo ulteriori carichi a quelli imposti dallo stato. Venivano considerati persone im­pure, con le quali i Giudei pii non volevano avere contatti. Quando Gesù sedette a mensa in casa di Matteo insieme «a molti pubblicani e peccatori», scandalizzò i Farisei. Per Gesù, invece, quel gesto significava che il suo regno includeva tutte le persone, indipendentemente da come erano giudicate dagli altri: «Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i pec­catori» (Mt 9,10;13).

Secondo una tradizione diffusasi nel II seco­lo, l'apostolo Matteo era l'autore del Vangelo che oggi porta il suo nome. Sull'autore del pri­mo Vangelo, sia egli Matteo oppure no, sap­piamo in realtà molto poco. Forse era un giu­deo cristiano con una buona preparazione rab­binica e che probabilmente viveva in Antiochia di Siria. La sua narrazione mette in evi­denza il fatto che Gesù insegnava con un'auto­rità tale da stupire i suoi ascoltatori. Sebbene Gesù fosse in conflitto sempre più aperto con i farisei per la sua interpretazione della Legge mosaica, tuttavia affermava di non essere ve­nuto «ad abolire la Legge o i Profeti [...] ma per dare compimento» (Mt 5,17).

 

Questa enfasi sembrava finalizzata proprio ai presunti ascoltatori di Matteo, un gruppo di giudei-cristiani coinvolti in un intenso di­battito con i membri della locale sinagoga, i quali necessitavano di un'affermazione della loro nuova identità in quanto popolo di Dio separato dai Giudei e incaricato di una mis­sione per tutti i popoli.

Al di fuori della sua chiamata, nel Nuovo Testamento non ci sono altri episodi riguardo a Matteo. Secondo la tradizione, egli predicò in regioni molto lontane, come l'Etiopia, la Persia e la Macedonia, e morì martire.

 

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