Il MIRACOLO?

 E’ POSSIBILE

di don Pietro Cantoni

Se la natura non è «tutto», come avevano ben compreso i grandi filosofi greci, se oltre la natura c'è un «Altro», che è Dio, allora il miracolo è possibile. Anzi, c'è da aspettarsi che avvengano...

 

 

Che cos'è il miracolo? Il miracolo è «un'interferenza», un'interferenza in que­st'ordine di cose che chiamiamo «natura». Ha senso di parlare di interferen­za nella natura solo se siamo disposti ad ammettere che oltre alla natura ci sia qualcos'altro, altrimenti dobbiamo ritenere che quello che ci appare co­me un'interferenza sia solo qualcosa che non riusciamo a spiegare. Che non riusciamo «ancora» a spiegare, ma che qualcuno - ora o in un futuro prossimo o lontano -, forse, riuscirà a spiegare... È così che ragionano molti prima ancora di esaminare la credibi­lità di un racconto dì miracolo. È una riflessione che si trova sulla soglia del problema del miracolo e che scoraggia a varcarla. Anzi, induce a credere che quella porta sia una porta sul nulla, una finta porta come ce ne sono a volte nelle vecchie case, e quella so­glia non sia nient'altro, in fondo, che una invalicabile barriera di confine.

Io voglio soffermarmi qui e solo qui. Tralascio la pur doverosa e assolutamente interes­sante questione sui miracoli «in concreto», di cui i miracoli di Gesù - quali ci sono riportati nelle narrazioni evangeliche - costituiscono il centro e il modello perché altri in questo stesso numero de Il Timone lo faranno. Mi limito ad osservare che per il cristiano la questione dei miracoli è assolutamente centrale, in una misura non paragonabile a quella per cui valgono anche in altre religioni. Tanto per intenderci: se il Buddha non avesse fatto miracoli o si mettesse il buddista davanti al fatto scientifico che i racconti di miracoli del Buddha non godono di nessuna credibilità storica, il buddismo come si­stema di pensiero non ne risulterebbe sostanzialmente compromesso. Lo stesso si po­trebbe dire anche dell'Islam riguardo ai miracoli di Muhammad. Ma lo stesso non va­le per il Cristianesimo, perché per il cristiano i miracoli non hanno soltanto la funzione di confermare la verità della sua fede, ma si trovano al centro stesso della sua fede. Al centro della fede cristiana sta un evento complesso, che si snoda in una serie di eventi, il quale costituisce esso stesso un miracolo: dobbiamo anzi dire che si tratta del «Mi­racolo» con la «M» maiuscola. Dio si è fatto uomo e in quanto Dio-uomo è morto ed è risorto ad una vita nuova, in modo tale che da questo evento prende il via una «nuova creazione». Chi crede in Gesù Cristo con una fede viva, cioè che comprende l'amore, si aggrappa a Lui e si lascia per così dire «trascinare» nel vortice di questa nuova crea­zione. Se i miracoli non hanno senso, perché non si può dare nessuna interferenza in quest'ordine di cose che è la natura, allora questo miracolo non può essere vero e dun­que neppure la nostra fede e la nostra speranza in una nuova creazione.

 

Ecco perché il «simbolo della fe­de» cristiano incomincia con un articolo che ci parla di Dio e di Dio creatore. «Credo in Dio Pa­dre onnipotente, creatore del cielo e della terra». Il fatto della crea­zione è un articolo di fede che ren­de comprensibile, plausibile e cre­dibile l'articolo centrale: Gesù è Verbo di Dio, della stessa sostanza del Padre, che si è incarnato, ha patito ed è morto per noi e per noi è risorto, aprendo un'era nuova in cui agli uomini è data la possibi­lità di entrare in una nuova creazione. L'esistenza di Dio e la creazione del mondo è un articolo di fede ma anche una verità alla portata - in sé e per sé - della ragione umana. Il concetto di Dio come creatore del mondo e quindi di­verso dal mondo, trascendente rispetto a lui, è qualcosa di cen­trale nella fede biblica dell'Antico Testamento. Si può dire che tut­to l'Antico Testamento vuole inculcare questo principio: anche se nel mondo, nella natura, ci sono tante cose meravigliose, che ai nostri occhi appaiono come «divine», esse sono solo il prodotto di un Principio che sta al di là del mondo, al quale soltanto dun­que deve andare la nostra adorazione. Nell'ambito della filoso­fia greca due filosofi sono arrivati a conclusioni che vanno nella stessa direzione: si tratta di Platone e di Aristotele. Questa è la ragione per cui la Chiesa riserva alla loro filosofia un'attenzione privilegiata, quell'attenzione che hanno loro riservata i Padri pri­ma e i grandi scolastici poi, tra cui occupa un posto di assoluto riguardo san Tommaso d'Aquino. Per san Tommaso ci sono cin­que vie che ci portano a dover concludere razionalmente all'esi­stenza di Dio e tutte partono dal rilievo che nelle cose del mondo, al loro livello più profondo che è quello dell'essere, c'è qualcosa che ne denuncia l'insufficienza a star da sole, lo faccio delle espe­rienze che sono particolari, le no­stre esperienze sono sempre particolari: in nessun caso posso dire che «tutte» le cose sono cosi come io le sperimento, perché non sono mai in grado di sperimentarle tutte. Posso però dire che se tutte le cose fossero come io le sperimento, cioè strutturalmente dipendenti, allora il mondo sarebbe assurdo, perché dipen­derebbe... da niente! Ci deve dunque essere da qual­che parte un principio di tutte le cose diverso da esse. Per cercare la spiegazione della natura bisogna uscire dalla na­tura. Le cose della natura sono. Il loro essere non è illusorio: tut­te esercitano quell'attività fondamentale che sta alla base di tut­to il loro agire, esse «sono». Non posso camminare, dipingere, ascoltar musica o leggere Il Timone se «prima» non sono. Que­st'attività però non l'ho sempre esercitata perché ci fu un tempo in cui non ero... e non sono in grado di esercitarla in tutta la sua ampiezza, perché ci sono tante cose che io non sono e il mio es­sere è limitato e condizionato in mille modi che sperimento con­cretamente tutti i giorni. Allora vuoi dire che l'«essere» non ap­partiene alla mia natura, che io non sono l'essere, ma ho l'essere  e se ce l'ho, vuoi dire che esso mi viene da qualche parte. Se tutto ciò che esiste fosse del tipo «ricevo l'essere», allora ci trove­remmo davanti al flusso di qualcosa senza che ci sia la sua sorgente, ci troveremmo davanti all'assurdo. La Bibbia ci dice che «In principio Dio creò il cielo e la terra»: ecco la sorgente dell'essere che cercavamo. Ci dice anche che Dio ha creato il mondo dicendo «sia» e il mondo è sorto: «Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu» (Gn 1,3); «Dio disse: "Sia il firmamento ...". (...) E così avvenne » (6-7); «Dio disse: "Ci siano luci nel firma­mento del cielo ...". E così avvenne» (14-15).  

 

Dio opera me­diante la parola e mediante una parola che è un comando, cioè mediante un atto di assoluta libertà: cioè avrebbe an­che potuto comandare altrimenti o non comandare affatto. Il mondo (la natura) viene da Dio e da lui dipende, senza di lui non potrebbe essere, ma Dio non dipende dal mondo e sen­za il mondo è sempre stato e potrebbe tranquillamente stare. Se Dio «decide» allora è libero e quindi è «Persona». Se non fosse così allora Dio farebbe tutt'uno con la natura, sarebbe un pezzo di natura, il pezzo più bello e più sublime, il nucleo più splendente e più misterioso, ma sarebbe pur sempre una parte di essa, mentre per spiegare la natura bisogna assolu­tamente uscire dalla natura, come avevano ben capito anche i pagani Piatone ed Aristotele.

Ma se fuori dalla natura c'è la Persona onnipotente e libera di Dio che questa stessa natura conosce bene, per la sempli­ce e buona ragione che l'ha fatta lui..., perché mai ci dovrem­mo stupire se si danno delle «interferenze»? O meglio esse - quando si danno - sono certamente delle cose che «stupi­scono» ed è per questo che si chiamano «miracoli», ma que­sto stupore non è una irruzione dell'assurdo nella nostra ordinaria e tranquilla razionalità, uno stordimento sentimentale ed emotivo che scacciamo subito come un brutto sogno non appena torniamo a «ragionare», perché è proprio ragionan­do che ci rendiamo conto che si tratta di eventi non assurdi, anche se non «normali», cioè non conformi alle leggi ordina­rie della natura. Se però le leggi dicono sempre riferimento ad un legislatore, cioè ad una mente, allora, anche se i «mira­coli» non sono conformi alle leggi della natura - che non è «il tutto» -, essi saranno però conformi ad altre leggi più elevate, tratti geniali di quella progettualità senza limiti che è propria alla mente infinita da cui è venuta anche la natura, quella pro­gettualità o «logica fantasia» che in linguaggio biblico possia­mo chiamare divina «Sapienza». I miracoli non sono gesti arbitrari e dispotici, ma «segni» del progetto di Dio sulla natura. Segni che rimandano al «Segno» per eccellenza, al «Miraco­lo» che è l'incarnazione del Verbo e - in definitiva - alla sua Risurrezione. Il progetto di Dio in atto è il suo «Regno», ecco allora che i miracoli stessi di Gesù sono posti in relazione al Regno di Dio che viene e si afferma nel mondo a partire pro­prio dal Cristo. I discepoli di Giovanni Battista vanno da Gesù e gli chiedono «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo at­tenderne un altro?». Cioè: sei tu il Messia che inaugura il Re­gno di Dio? «Gesù rispose: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udi­to, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novel­la..."» (Mt 11,3-5).

Dire che i miracoli sono possibili, anzi c'è da aspettarsi che avvengano anche se con quella «straordinarietà» e quindi re­lativa rarità che è loro caratteristica (altrimenti che «miracoli» sarebbero?) non vuoi dire che non si debba prestare la dovu­ta attenzione a riconoscerli, a «discernerli». Nella teologia cri­stiana si riserva il nome di miracoli alle «interferenze» di Dio, perché si sa che sono possibili altre «interferenze». Se questa natura non è «il tutto», niente impedisce che altri «siste­mi», anch'essi voluti da Dio e da lui creati - sempre però con il suo permesso - interferiscano con la nostra natura. La Bib­bia ci dice che esiste una natura angelica, molto diversa dalla nostra perché puramente spirituale. Così diversa che faccia­mo fatica a concepirla e, posto che in conformità alla nostra natura corporea dobbiamo sempre accompagnare il nostro pensiero con immagini, esse per così dire «disturbano» l'ade­guatezza delle nostre idee rispetto a dei «puri spiriti». La Bib­bia ci dice anche che all'interno di questo mondo si è prodot­ta una scissione («Scoppiò ... una guerra nel cielo» Ap 12,7) per cui le interferenze di questa natura con la nostra possono essere di carattere sia buono che malvagio. Possono esiste­re cioè «prodigi» diabolici, che la teologia definisce di ordine «preternaturale» per distinguerli dai miracoli che sono di or­dine «soprannaturale».

Davanti a un racconto di miracolo dobbiamo chiederci: « è successo per davvero?». Non è stata una allucinazione, una stranezza che però - a ragion veduta - può avere una spie­gazione naturale? Non si tratta, più semplicemente, di un'in­venzione? Se questa indagine fattuale da esito positivo, allo­ra dobbiamo chiederci: «È opera di Dio o di qualche spirito malvagio?». Potrebbe anche essere opera di uno spirito buo­no - di un «angelo santo»; gli angeli di Dio però, i suoi «mes­saggeri», agiscono sempre in perfetta obbedienza e confor­mità con il piano di Dio e quindi il loro operare si può riporta­re all'agire del Creatore. Qui la considerazione da storica e filosofica si fa teologica: l'agire di Dio è sempre coerente con il suo progetto al cui centro sta Gesù Cristo, la sua vita, la sua dottrina e la sua opera. Il miracolo divino opera il bene, pro­duce pace e conduce a Cristo, mentre il prodigio diabolico è spesso insensato, porta confusione e distoglie dalla vera fe­de nel Figlio di Dio. Ma non sarà che quello che ora mi appare strano e mi stupi­sce e non riesco proprio a spiegare un domani la scienza lo spiegherà? Questo ragionamento, da cui siamo partiti, ripo­sa su un atto di fede: che «la Scienza» un giorno spiegherà tutto. In questo assomiglia alla nostra fede. Ma, a differen­za della nostra, si tratta di fede irrazionale, perché parte dal presupposto che la natura sia «il tutto» e che quindi in essa - sempre e solo in essa - si debba cercare la spiegazione, quando la natura, da sola, non spiega neppure se stessa. Anche a proposito del miracolo il conflitto non è tra «fede» e «ragione», perché una ragione senza fede, senza una qual­che fede, non ci può essere, ma tra fede razionalmente fon­data (cfr 1Pt 3,15) e fede irrazionale.

 

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