Santa Caterina de’ Ricci

 

Per lei Gesù scese dalla Croce

 

Il 23 aprile 1522 il palazzo Ricci, affacciato sulla Piazza dell' Annunziata in Firenze, era in festa per la nascita di una bambina arrivata, dopo tre fratelli, ad allietare la famiglia di Pier Francesco Ricci e Caterina di Ridolfo da Panzano.

Il giorno seguente, nel Battistero di Firenze, il « bel S. Giovanni », la piccola diventava figlia di Dio ricevendo il nome di Alessandra, Sandrina per i familiari.

La famiglia dei Ricci era una delle più notevoli ed influenti della città dominata dalla potente famiglia dei Medici e Pier Francesco si occupava con abilità sia delle attività commerciali che della vita politica. Era l'epoca rinascimentale che osannava all'umanesimo paganeggiante; da pochi decenni la scoperta dell'America aveva aperto un nuovo sbocco alla navigazione e ai commerci; Principati e Signorie si contendevano il dominio nelle città italiane; la dolorosa spaccatura prodotta da Lutero nella cristianità esigeva un intervento energico da parte della Chiesa Cattolica ed esso venne attuato col Concilio di Trento a metà del secolo.

 

L'anima di questo rinnovamento era, come sempre, la vita religiosa che offriva, nei chiostri ed in ogni stato della vita sociale, cuori ardenti di zelo e di amore per Dio e per il prossimo, i quali con la preghiera e le opere di penitenza e di misericordia, erano fari di luce per il popolo di Dio.

Nella schiera di queste grandi anime del secolo XVI occupa un posto singolare Sandrina Ricci che, dopo aver vissuto i primi anni con la famiglia a Firenze, trascorse poi l'intera esistenza nel monastero domenicano di S. Vincenzo a Prato, tanto da essere conosciuta come la         « Santa di Prato ».

Intorno ai quattro anni Sandrina rimase orfana della mamma, ma la donna sposata da Pier Francesco in seconde nozze, Fiammetta Diacceto, tenne degnamente il posto della scomparsa, prodigandosi con uguale amore verso i propri figli e verso quelli nati da Caterina, mostrandosi al pari di lei virtuosa, pia, prudente.Fu per Sandrina un vero angelo custode, perché rispettò la sua disposizione interiore alla preghiera e al raccoglimento, comprese che in quella bambina Dio operava già con particolare predilezione e non ostacolò il disegno divino, anzi aiutò la piccola ad ottenere dal padre il permesso di entrare come educanda nel monastero benedettino di S. Piero a Monticelli, dove era badessa Sr. Lodovica, sorella di Pier Francesco.

 

Festosa e gentile nei suoi rapporti con le compagne, la bambina diventava immobile ed estatica quando s'immergeva nella preghiera, soprattutto quando si poteva fermare davanti al grande Crocifisso della chiesa pendente dalla parete: manifestava la sua pietà amorosa per Gesù sofferente con lacrime e singhiozzi e Lui si animava ed intesseva con lei ardenti colloqui.

Ancora oggi, nella chiesa di Monticelli si può pregare davanti al << Crocifisso della Sandrina>>.

Benché decisa nel suo cuore a consacrarsi tutta a Dio, non chiese tuttavia di essere accolta in quel monastero, dove la vita religiosa non era vissuta nella sua integralità e purezza, e tornò in famiglia nell'attesa che Dio le indicasse il luogo in cui gettare la sua ancora!

Il padre si illuse di poter realizzare i sogni più rosei circa l'avvenire della figlia vedendola in casa, ma presto   ella gli manifestò il suo fermo proposito.

 Mentre si trovava con la famiglia nella villa di campagna, vicino a Prato, conobbe due suore del monastero di   S. Vincenzo, fondato trent'anni prima ad opera di nove giovani donne che la parola di fra Gerolamo Savonarola aveva conquistato all'ideale della perfezione secondo la vita domenicana: in questo monastero si viveva la vita religiosa sulle orme di S. Domenico con radicalità evangelica, seguendo gli insegnamenti lasciati dal grande riformatore ferrarese, la cui tragica morte rimaneva per le suore l'estrema conseguenza di una vita tutta spesa nell'amore per la Verità.

 

Direttore spirituale di questa comunità era lo zio P. Timoteo Ricci, ma non per questo il fratello Pier Francesco acconsentì alla richiesta della figlia di entrarvi; le concesse solo una breve esperienza di dieci giorni. Invano Sandrina manifestò ripetutamente la sua scelta, finché, ammalatasi per il dolore che le causava il diniego paterno, le apparve Gesù promettendole pronta guarigione e mostrandole l'anello col quale presto avrebbe celebrato i sacri sponsali con lei.

Pier Francesco resisté ancora, finché i familiari stessi lo richiamarono al suo dovere verso Dio e verso la figlia ed allora egli si dichiarò pronto a ricondurla nel monastero da cui l'aveva tolta.

Così a tredici anni, il 18 maggio 1535, Sandrina prese dalle mani dello zio P. Timoteo l'abito domenicano tanto desiderato, insieme al nuovo nome: Caterina, che le ricordava la mamma morta e la grande Santa senese.

Ricevette subito in visione il conforto amorevole di Gesù e di Maria SS., che la  rassicurarono sul grado di perfezione delle religiose tra cui si trovava e la invitarono alla piena sottomissione alla sua maestra e custode: Sr. M. Maddalena Strozzi.

Ma passato quel giorno di intima felicità, cominciarono presto le prove dell'umiliazione. Il suo stato quasi continuo di rapi­mento in Dio, da lei nascosto nel più assoluto segreto, la rendeva distratta, lenta, smarrita nel compiere le incombenze che le venivano affidate e le con­sorelle cominciarono a preoccuparsi per quella novizia che sembrava inadatta ad una vita povera e dura.

 

Lo stesso zio non mancò di manifestare la sua delusione.

Caterina supplicò allora che non le impedissero di legarsi a Dio con i santi voti: era sicura che lo Sposo divino l'avrebbe aiutata a riparare a tutte le sue manchevolezze.

Il 24 giugno 1536 fra Angelo Diacceto, Priore del convento di S. Domenico in Prato e fratello di Fiammetta, accolse la Professione di Sr. Caterina.

Ma nulla cambiò per la giovane suora, perché continuando il Signore a inon­darla di celesti favori, rimasero nel suo comportamento quelle stranezze che alimentavano il malcontento e la disistima nei suoi riguardi.

In seguito fu colpita da una penosissima malattia fisica che la tenne gravemente inferma per due anni, fino a quando la notte della vigilia del 23 maggio 1540 ricevette la grazia della guarigione da fra Gerolamo Savonarola che le apparve coi suoi due compagni di martirio, invitandola ad esercitarsi il più possibile nella virtù dell'obbedienza e a confessarsi e comunicarsi il giorno dopo, anniversario della loro morte. Questa grazia l'avevano chiesta con insistenti preghiere e mortificazioni tutte le monache le quali, dopo la subitanea guarigione, comin­ciarono a vedere sotto una luce diversa la giovane consorella.

Dopo alcuni mesi Sr. Caterina contrasse il vaiolo, che stava decimando gli abitanti di Prato, ed anche questa volta l'intervento soprannaturale dei tre Martiri la salvò da sicura morte.

 

Avendo compreso in parte la causa della strana condotta della nipote, P. Timoteo obbligò Sr. Caterina a manifestargli l'origine di quelli che lei chia­mava i suoi « sonni »  e le ordinò per obbedienza di nulla nascondere in futuro circa le sue esperienze spirituali a Sr. Maddalena Strozzi.

Questo non avvenne senza gravi conflitti interiori per la nostra Santa, continuamente sostenuta dai divini ammaestramenti.

Ogni visione accresceva in lei l'amore per Dio, tanto che lo supplicava dicendo: « Dammi un cuore nuovo » .

Così avvenne che a diciannove anni, durante un'estasi nel giorno del Corpus Domini, Sr. Caterina si trovò accanto la Vergine Maria col divino Figlio e senti penetrare in sé una vita nuova, un vigore di carità infinita. Quando ne diede relazione a Sr. Mad­dalena disse semplicemente: « Il mio cuore d'ora in poi dovete chiamarlo il cuore della gloriosa Vergine Maria ».

Conformata ai sentimenti della Madre Celeste, la sposa di Cristo era pronta a condividere come Lei tutto il dolore dell'Amato.

Infatti il 1° giovedì di febbraio del 1542 Sr. Caterina, rapita in estasi sul mezzogiorno, non rimase concentrata in se stessa, ma con sguardi, gesti, parole e movimenti, riprodusse l'impressionante Passione del Cristo, cominciando dal comando dato ai disce­poli: « La mia ora è vicina: andate a preparare l'occorrente per celebrare la Pasqua » , fino al momento della morte in Croce: ventotto ore di terribili sofferenze, dove il dramma di Gesù era da lei vissuto minuto per minuto.

Tutto questo si ripeté ogni settimana, per dodici anni.

Subito dopo questa prima estasi della Passione, le apparve la Madonna che le insegnò quel cantico composto soltanto di parole della Sacra Scrittura, conosciuto come « i versetti della Passione »  e che tuttora viene usato in quaresima in alcuni conventi dell'Ordine.

In quello stesso anno Gesù le diede altre prove della sua predilezione, associandola in modo permanente alle sue sofferenze.

 

La domenica di Pasqua celebrò con lei le mistiche nozze, secondo la promessa fattale nell'apparizione prima della sua entrata in monastero; il 14 aprile, durante l'estasi di ventotto ore, sentì le mani e i piedi trapassati da invisibili chiodi e una lama trafiggerle il cuore, lasciandone i segni impressi nella carne: le stimmate. Il 24 agosto, mentre nella cella pregava rivolta al Crocifisso appeso alla parete, vide Gesù staccare le braccia dal legno e protendersi verso di lei che prontamente lo sostenne abbracciandolo.

Questo abbraccio fu veduto anche da Sr. Maddalena e da altre persone.

Infine, nella vigilia del Natale 1542, le fu offerta la corona di spine, che si posò sul suo capo a breve distanza di tempo.

Un altro segno fu visto soltanto dopo la sua morte: un solco livido che scendeva dalla spalla destra a metà del dorso, testimone della pesantezza della croce portata ogni settimana per molti anni. Naturalmente questi fatti eccezionali attirarono l'attenzione e molte persone accorrevano al monastero per vedere la « Santa di Prato» durante l'estasi dal giovedì al venerdì.

Intervennero i Superiori dell'Ordine, dapprima inclini alla diffidenza e alla severità, poi pienamente convinti dell'azione di Dio nella vita di Sr. Caterina.

Volle assistere agli episodi della Passione di Cristo rivissuti dalla Santa anche P. Bartolomeo Las Casas, mentre ricopriva la carica di Maestro Generale, e vi partecipò con intensa compunzione, pronto a vedere la figura del Cristo sofferente nei poveri Indios americani che i    « conquistadores » spagnoli stavano schiavizzando proprio in quegli anni e che lui difese con intrepido coraggio d'apostolo.

 

Per opera di Sr. Caterina avvenivano anche numerosi miracoli e conversioni di cuori, perciò aumentava incredibilmente il numero dei visitatori, che disturbavano l'andamento della vita comune. Sr. Caterina fu eletta sottopriora, così rientrava nei suoi doveri presentarsi alla grata insieme alla Priora e non veniva più distolta da altri uffici.

A trent'anni fu eletta Priora, carica che le fu rinnovata altre sei volte, con i dovuti anni di interstizio, secondo le norme di quel tempo.

Disimpegnò questo incarico di grande responsabilità e sacrificio ogni volta con vero spirito di servizio e dedizione.

La sua profonda spiritualità era una luce per tutta la casa; l'osservanza della regola sotto la sua direzione era scrupolosa; nella vita comune non erano ammessi né il rilassamento né il falso rigore, ma era praticata la carità con schiettezza e finezza nel tratto, con l'attenzione particolare per le ammalate e l'assistenza amorosa verso le morenti, con l'incoraggiamento e il sostegno per chi era in momentanea difficoltà.

Provvedeva, solerte ed ingegnosa, alle necessità del monastero e di ciascuna monaca: compito non facile, poiché le religiose erano arrivate al numero di 160.

Manifestò una disinvolta accortezza nel disbrigo delle faccende pratiche, sia a favore della comunità, sia nel procurare aiuti a chi si rivolgeva a lei nel bisogno, tramite gli amici laici, divenuti suoi figli spirituali.

Svolse un intensissimo apostolato per mezzo delle lettere da lei scritte a persone d'ogni ceto: se ne conoscono più di mille! In questo ricchissimo epistolario non sono mai nominati i doni mistici, ma c'è tutta la freschezza e la spontanea affettuosità dell'animo femminile, che sa consigliare con prudenza, trattare con amorevolezza, adattarsi con fine intuito alla psicologia del destinatario e alla sua realtà di vita; fu un apostolato d'amore, che scendeva nell'anima come una voce celeste, la purificava e consolava, sollevandola verso Dio.

Restò sempre in affettuoso contatto con i familiari (quattro sorelle entrarono nello stesso monastero) e li seguì nelle varie vicende della vita, spronandoli ogni volta ad essere fedeli al volere di Dio.

Ebbe spesso a soffrire per le incomprensioni di quanti diffidavano delle sue grazie mistiche ed in un certo periodo subì calunnie e denunce presso le autorità pontificie per una questione riguardante la clausura del monastero: tutto si risolse grazie alla sua virtù paziente fondata nell'esclusivo aiuto di Dio, e al suo raro equilibrio.

 

Giunta vicino ai settant'anni, la figlia di Pier Francesco Ricci manteneva intatto il suo giovanile entusiasmo, il suo spirito arguto, il suo tratto affabile, la sua intima unione con lo Sposo Crocifisso.

Era però ormai prossima la chiamata definitiva di Dio a possedere per sempre il suo Amore ineffabile.

Il 23 gennaio 1590 fu assalita da violenti dolori che la costrinsero a letto.

Il 1° febbraio le fu recata in forma solenne la SS. Eucaristia e alla sera ricevette l'Unzione degli infermi, poi chiamò al suo letto le religiose, le novizie e le postulanti e lasciò loro gli ultimi ammaestramenti.

Nella notte il suo pensiero fu solo per Dio, finché all'alba del 2 febbraio lasciò questo mondo per l'eterno fulgore del Cielo.

Fu canonizzata da Papa Benedetto XIV nel 1746 e il suo corpo, posto in un'urna d'argento nel piccolo coro del monastero, è meta di un continuo pellegrinaggio di fedeli.

 

La storia registra anche la visita di tre Pontefici: Pio VII, Pio IX e Giovanni Paolo II, recatosi questi a Prato nel 1986; in quell'occasione egli affermò di lei: « La sua profonda esperienza contemplativa le ottenne il dono della sapienza che la portava ad offrire una parola di luce e di speranza con animo aperto ai veri bisogni delle più diverse categorie di persone, grazie all'ispirazione di una carità ardente e generosa».

 

Questo non è altro che il carisma domenicano sintetizzato da S. Tommaso nel motto: «Contemplata aliis tradere ».

 

Sr. M. Carla Bertaina

 

 

 

 

 

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