Genesi ( 1-11)

 

Anno Pastorale

2002-2003

 

 

Berèsit “ In Principio”

Uomo custode della natura

Creazione ed evoluzione

Il peccato nel mondo

Dio vide che ciò era buono

 

 

La cosmogonia con cui Mosé apre Genesi spinge la mente verso i confini di se stessa e costringe la ragione e l'immaginazione fino alle soglie dell'intuizione. Essa impone all'amante della Bibbia una resa incondizionata: gli fa toccare con mano la propria piccolezza nel momento in cui si apre il sipario sull'impensabile, l'inimmaginabile: "In principio". Questa paroletta è paralizzante, perché annulla d'un sol colpo tutto il creato: nulla ancora esiste, io non esisto. Ed ecco che l'unica cosa viva è la Bibbia, grazie alla quale sta per nascere qualcosa, essendo essa parola creante. Il Libro era chiuso ed il Silenzio era sovrano. Improvvisamente l'ho aperto, ed ecco Berescit, in principio".

 

Berèsit – In Principio

 

La prima pagina della Bibbia si apre con un titolo: «In principio», cioè nell'inizio assoluto di tutta la realtà, Dio crea il cielo e la terra, i due estremi che raccolgono e riassumono tutto l'essere. Prima di questo «principio» e attorno a Dio non c'è nulla. Ma come esprimere un'idea così "fìlosofìca" com'è quella del nulla? L'autore biblico ricorre a tre immagini negative che avrebbero reso questa idea per il suo ascoltatore o lettore abituato alla concretezza e non all'astrazione; la terra informe e deserta, la tenebra e l'oceano o abisso. Quest'ultimo è per l'antico ebreo una specie di mostro acquatico che vuole divorare la terra. Ecco allora stendersi su di esso lo «spirito di Dio», cioè (a presenza viva del Dio creatore che da quel grembo oscuro e vuoto fa fiorire l'essere e la vita.

 

Il vuoto del deserto, della tenebra e dell'oceano-abisso è squarciato dalla parola divina che dice e fa. Ed ecco sbocciare fa luce, la prima realtà creata. Dio la contempla e, come un artista, ne è soddisfatto:«vide che era buona e bella» (in ebraico un unico termine indica bontà e bellezza). Dio mette quasi una frontiera che separi luce (cioè il giorno) e tenebra (cioè la notte): separare è un primo modo simbolico per descrivere la creazione. Infatti, se il nulla è visto come un caos confuso e disordinato, distinguere una cosa dall'altra, mettendo ogni realtà al suo posto, è la creazione. E alla fine, il mondo ordinato e ben distinto nelle sue parti costituisce il creato uscito dall'opera divina. Si chiude, così, il primo dei sette giorni ideali dell'atto creativo. L'autore di questa prima pagina usa, infatti, come filigrana de! suo racconto, la settimana liturgica.

 

Siamo, così, al secondo giorno. L'orientale pensava all'universo come a una piattaforma sostenuta da colonne e coperta da una volta metallica, il firmamento. Dio, dunque, getta questa immensa cupola e compie la seconda azione dì "separazione" tra le acque delle nubi, cioè la pioggia, e le acque delle sorgenti. È, così, sceso il secondo tramonto. Terzo giorno subito dopo, con la terza "separazione"-creazione: terraferma e mari. Ma a questo punto Dio rivolge la sua attenzione alla terra e la ricopre di vegetazione. È questo un nuovo modo per dipingere la creazione, modo che d'ora innanzi sarà sempre seguito, si parlerà cioè di ornare quello che si è "separato"

 

 La sera del terzo giorno Dio contempla lo splendore ordinato della flora: ogni vegetale è «secondo la propria specie», espressione per indicare l'armonia che la scienza dell'uomo scoprirà e catalogherà. Sorge, così, il quarto giorno in cui il Creatore continua la sua opera di "ornamento" della casa dell'universo che sta creando. Egli appende alla volta del firmamento due grandi lampade, il sole e la luna, a cui si aggiungono le stelle. Nell'antico Vicino Oriente gli astri erano considerati divinità; per la Bibbia sono solo lampade che fungono quasi da orologio cosmico e soprattutto servono a scandire il calendario liturgico.

 

Giunti alla sera del quarto giorno, mentre Dio contempla il cielo, il sole, la luna e le stelle, «opera delle sue dita e da lui fissate», come canterà il Salmo 8, fermiamoci anche noi un istante per dare uno sguardo alle prime opere di Dio. La tradizione che ha tramandato questa narrazione - e che è chiamata "sacerdotale" dagli studiosi perché si riteneva che fosse legata ai sacerdoti ebrei esuli nel VI secolo a.C. a Babilonia, in seguito alle deportazioni, dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor nel 586 a.C. - ha voluto offrirci un disegno non tanto scientifico quanto piuttosto religioso dell'universo e della sua origine. Il testo biblico, infatti, più che a questioni di astrofisica, sì interessa al valore e al significato profondo della realtà creata.

 

Nel vuoto e nel silenzio del nulla, rappresentato coi simboli del deserto, delle tenebre e dell'oceano, è risuonata la voce divina creatrice. La creazione non è frutto di una lotta tra dèi, come si legge negli antichi miti della Mesopotamia, ma deriva dalla volontà e dall'ordine di Dio.

Egli non usa ne materiali preesistenti ne membra di dèi vinti uccisi, gli dèi del nulla e del male, come raccontavano quegli antichi miti. È per questo che luce, firmamento celeste, piogge e sorgenti, terra e mare, vegetazione, sole, luna e stelle sono solo creature sue. Scriverà nel II secolo a.C. un sapiente biblico, il Siracide: «Potremmo dire molte cose e mai finiremmo; ma per concludere: Egli è tutto! Egli è il Grande, è al di sopra di tutte le sue opere» (43,27-28).

 

Giungiamo ora alla quinta giornata di questa ideale prima settimana del mondo. Dio continua a "ornare" il creato, cioè compie ulteriormente la sua opera di creazione. Davanti a lui si stendono le acque marine e gli spazi celesti che vengono popolati di pesci guizzanti, di esseri minuscoli brulicanti, di cetacei e di volatili, sempre nell'ordine armonico delle «loro specie». Su queste creature Dio pronunzia una benedizione che da origine alla loro fecondità e alla loro moltiplicazione. Nella Bibbia, infatti, la benedizione ha come effetto il riprodursi della vita: la parola ebraica (berakah) che indica il "benedire" originariamente rimandava al "ginocchio" (berek), con allusione però all'organo sessuale, sorgente di fecondità e vita.

 

Subito dopo è la volta della terra. Come il cielo e le acque, anch'essa si popola di «esseri viventi secondo la loro specie». L'autore classifica la fauna secondo la catalogazione legale e scientifica di allora: bestiame domestico, i rettili e le fiere selvagge. Ormai siamo giunti al sesto giorno; l'opera divina sta per concludersi; Dio lancia uno sguardo soddisfatto su tutta questa folla di esseri viventi che, come dirà il Salmo 148, sono invitati a celebrare il loro Creatore. Siamo ora al momento più alto e solenne: Dio sta per introdurre nel mondo il suo capolavoro.

 

L'atto è preceduto da un soliloquio divino di grande importanza, aperto da un plurale, «Facciamo l'umanità», che non è solo un plurale "maestatico", cioè di solennità, ne  n'allusione alla Trinità come volevano i Padri della Chiesa (la Trinità verrà rivelata solo nel Nuovo

Testamento). Si tratta, invece, di un dialogo che coinvolge tutta la corte celeste degli angeli, tanto è importante il gesto che ora Dio sta per compiere. L'uomo è definito immagine e somiglianza di Dio a più riprese: i due termini nell'originale ebraico suggeriscono qualcosa di

molto vicino al soggetto imitato ma anche di differente. Possiamo, dunque, affermare che l'uomo è la più alta rappresentazione di Dio che esista sulla terra. Per questo Israele non avrà bisogno di statue o di raffigurazioni per immaginare Dio: nel volto dì ogni uomo, anche se

misero e insignificante, si nascondono in qualche modo i lineamenti di Dio.

 

Ma c'è qualcosa di più. Non è solo il maschio a incarnare questa similitudine, è l'umanità in quanto fatta di maschi e femmine, come si dice nel canto dei vv. 27-28: «Secondo la sua immagine li creò: maschio e femmina li creò». L'amore matrimoniale e la fecondità della vita sono il riflesso luminoso del Creatore. La storia della salvezza, che è ora agli esordi, si snoderà proprio nella successione delle "genealogie", che sono le generazioni, frutto dell'amore coniugale. Per questo ad essi è data una benedizione solenne, segno non solo di fecondità - come era avvenuto per gli animali - ma anche di signoria, di primato, di grandezza. Purtroppo, come vedremo, la Bibbia sa che quella signoria si può trasformare in tirannide cieca ed egoista da parte dell'uomo peccatore.

 

Da famiglia cristiana –la Bibbia per la Famiglia

 

 

 

UOMO CUSTODE DELLA NATURA

 

Nel corso della sua storia l'uomo ha sperimentato via via la natura come forza sacra da rispettare (religioni orientali) o come potenza minacciosa da esorcizzare (animismo magico), come padrona da propiziare assecondandone i ritmi (civiltà contadina) o come oggetto da manipolare (civiltà tecnologica moderna). Per millenni l'uomo si è sentito dipendente dalla natura e impotente di fronte al suo corso, oscillando tra l'atteggiamento difensivo e quello fatalista. Nell'epoca moderna i progressi della scienza e della tecnica hanno rovesciato l'antico senso di impotenza nell'opposta pretesa di onnipotenza manipolatrice, degenerata in quell'atteggiamento di prepotenza ­ per un presunto diritto di uso e di abuso ­ che è all'origine dell'attuale crisi ecologica.

 

Genesi 1-3 presenta il rapporto dell'uomo con la natura nel contesto dell'antica esperienza del mondo (l'uomo minacciato dalla natura), opposto a quello attuale (la natura minacciata dall'uomo): questo spiega l'accentuazione polemica della dipendenza della natura e la sua aperta desacralizzazione. Il rapporto è prospettato in due quadri distinti. Il primo richiama l'armonia del rapporto del giardino dell'Eden, originario, ideale, che corrisponde al progetto divino e che rappresenta la meta a cui tendere. Il secondo fa riferimento alla conflittualità del rapporto “storico” inquinato dal peccato. Normativo è evidentemente il primo quadro, che vede la natura donata all'uomo e affidata alle sue cure.

 

Questo affidamento viene presentato nel racconto “Sacerdotale” come dominio (Genesi 1,26-30), in quello “Jahvista” come coltivazione e custodia (Genesi 2,15). Particolarmente significativo è poi il contesto ­ la solitudine di Adamo (“Non è bene che l'uomo sia solo”) ­ in cui è collocata la creazione degli animali e l'invito divino a dare a ciascuno di essi un nome (segno di appartenenza). Il “dominio” di cui parla il testo non va equivocato: è quello che l'uomo è chiamato ad esercitare come “immagine” (ad imitazione) di un Dio che ama e cura le sue creature. Non ha quindi nulla di arbitrario e di tirannico.

 

Plasmato dalla polvere del suolo (Genesi 2,7), l'uomo rimane a tal punto solidale con la terra che, per la fede cristiana, la risurrezione finale comporterà una “nuova terra” quale contesto di una salvezza che riguarda non solo l'anima (ciò che nell'uomo trascende la natura), ma anche il corpo (che rappresenta la nostra radicazione nella natura).

Certo, l'uomo non è solo parte della natura. Quale immagine di Dio e depositario dell'alito divino (Genesi 2,7), è signore, centro e vertice di un mondo che solo in lui si fa consapevole del dinamismo che lo sospinge alla propria meta. Questo non significa che egli possa disporre arbitrariamente delle cose. La natura, pur messa nelle sue mani, resta opera di Dio, e, come tale, titolare di una dignità e di un valore “proprio”, che l'uomo deve riconoscere e rispettare.

In quanto frutto della Parola di Dio, la natura ha infatti anche qualcosa da dire e da insegnare al suo custode. Reca le tracce del Creatore e ad esso rinvia (Sapienza 13,1-5; Romani 1,20). Riflesso della sapienza divina, può insegnare un po' di questa saggezza all'uomo, aiutandolo a comprendere e a realizzare la propria missione nel mondo.

 

Nel corso della storia cristiana queste idee sono state riprese nel contesto di culture non sempre del tutto adatte a svilupparne la fecondità. Così nell'Oriente cristiano, sotto l'influsso platonico, la natura è stata vista come segno e allegoria del divino, ma anche come velo e potenziale ostacolo al contatto con la vera realtà, quella trascendente, accentuando più l'inconsistenza che il valore delle cose.

L'epoca moderna vede la natura ridotta ad oggetto che l'uomo plasma con le proprie mani (scienza, tecnologia), producendo un mondo sempre più artificiale. Oggi godiamo, certo, dei notevoli vantaggi della rivoluzione scientifica e tecnologica, ma assistiamo anche al dissesto ambientale prodotto dalla violazione dei diritti di una natura a cui abbiamo tolto la parola.

 

A questo punto la fede biblica nella creazione si ripropone in tutta la sua attualità prospettandoci una natura né da risacralizzare (alla “New Age”) né da manipolare arbitrariamente, ma da considerare come nostro ambiente vitale nel cammino verso la meta a cui Dio ci chiama. Una natura di cui siamo parte (in qualche modo la natura è il nostro corpo comune), con cui siamo solidali. Una natura di cui dobbiamo essere curatori, non despoti arbitrari, che possiede un valore che non deriva da noi ma dal comune Creatore. Una natura che ci è compagna (Francesco d'Assisi la sente addirittura “sorella”) e, per certi aspetti, anche maestra.

 

Giacomo Panteghini

 

Creazione ed evoluzione

 

Del cielo e della terra, delle piante, degli animali e dell'uomo possono parlare lo scienziato, il filosofo, il teologo, ognuno secondo le sue competenze e in base ai metodi che utilizza: le scienze naturali si basano sull'osservazione e sulla sperimentazione, la filosofia sul concetto e sul significato dell'essere, la teologia sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa. Intorno alle origini dell'universo e dell'uomo si pongono tanti interrogativi. Alcuni chiamano in causa direttamente la scienza: quando, come, dove...; altri, come quelli sul perché, sul significato, attendono risposta dalla filosofia e dalla teologia. Non sarebbe corretto dare risposte a domande che esulano dalle proprie competenze.

La Bibbia ­ ha osservato sant'Agostino e con lui Galileo Galilei ­ non ci dice la verità sul corso del sole e della luna, non ci dice che cos'è il cielo, ma ci dice come si va in cielo. Il messaggio della Bibbia, anche quando utilizza “generi letterari”, è essenzialmente religioso, ci offre verità importanti intorno al significato dell'esistenza, non è di tipo scientifico, come pretende una lettura “fondamentalista” della Bibbia.

 

Non si può far dire alla scienza quello che essa non può dirci, perché non rientra nel suo orizzonte conoscitivo, come ad esempio la dimostrazione o la negazione dell'esistenza di Dio o dell'anima. Non si può fare dire alla Bibbia quello che essa non vuole dirci, perché anche quando si porta su oggetti affrontati dalla scienza, lo fa con intendimento religioso, riutilizzando le conoscenze del tempo a cui risale il testo sacro. Sarebbe fuori luogo cercare concordismi con le vedute attuali della scienza.

 

“Fede e scienza”, ha osservato Giovanni Paolo II, “appartengono a due ordini di conoscenza diversi, che non sono sovrapponibili... La ragione può cogliere l'unità che lega il mondo e la verità alla loro origine solo all'interno di modi parziali di conoscenza” (Discorso agli scienziati di Colonia, 15 novembre 1980).

Secondo le attuali conoscenze scientifiche la formazione dell'universo risale a circa 15 miliardi di anni fa. L'origine della terra a 5 miliardi di anni fa. Le prime forme viventi a 3,5 miliardi di anni fa.

Nell'ambito dei primati fossili, intorno a 4 milioni di anni fa si individua in Africa una linea molto interessante, rappresentata dagli australopiteci, i quali già usavano due arti per muoversi, facevano uso della mano per afferrare pietre o bastoni, anche per difendersi da animali predatori, ma avevano un cervello ancora non molto sviluppato. Sono conosciuti in una forma arcaica, più antica, e in due forme, robusta e gracile, che si ritrovano in un arco di tempo fra 3-2 milioni e 1 milione di anni fa.

Due milioni di anni fa esisteva in Africa anche un ominide più evoluto, a cui è stata data la denominazione di Homo habilis a motivo della maggiore capacità cranica, di un certo sviluppo delle aree encefaliche per il linguaggio articolato e della capacità di fabbricare intenzionalmente manufatti (industria su ciottolo o “olduvana”), oltre che di organizzare il territorio attraverso insediamenti temporanei. In seguito si ritrovano forme anche più evolute: è la fase di Homo erectus, che si sviluppa in Africa e si irradia in Europa e in Asia in un arco di tempo che va da 1,6 milioni a circa 150-200.000 anni fa, quando compaiono i più antichi rappresentanti di Homo sapiens (nella forma arcaica e neandertaliana). A partire da 35.000 anni fa si ritrovano ormai soltanto forme moderne (Homo sapiens sapiens) nei vari continenti. Anche se alcuni studiosi sollevano dubbi sul livello umano di Homo habilis, si ammette da tutti una continuità tra le forme habilis, erectus e sapiens. Del resto, l'elemento nuovo che emerge già in habilis è la cultura che anche nelle sue espressioni elementari rivela progettualità e capacità innovative, proprie dell'uomo. In ogni caso la comparsa dell'uomo rappresenta una direzione singolarissima dell'evoluzione (quella di maggiore cerebralizzazione) e segna un evento che trascende la sfera puramente biologica.

 

La teoria evolutiva viene ritenuta la spiegazione più plausibile delle forme fossili preumane e umane, come pure delle piante e degli animali fossili. Un problema ancora aperto è invece la spiegazione delle cause e dei meccanismi dell'evoluzione biologica. Il modello darwiniano, che individua le cause dell'evoluzione nelle variazioni della specie (modernamente intese come mutazioni genetiche) e nella pressione selettiva operata dall'ambiente, che nel corso dell'evoluzione si è sensibilmente modificato, è ritenuto valido da molti studiosi, essenzialmente a livello microevolutivo, ma non sufficiente per spiegare tutto il processo evolutivo, soprattutto le grandi direzioni che si disegnano nel corso dell'evoluzione e ben difficilmente potrebbero spiegarsi, anche per il poco tempo a disposizione, con modalità puramente casuali.

 

Ma a prescindere dalle modalità con cui tutta la realtà viene da Dio e dal suo sviluppo nel tempo, ci si può chiedere quali punti debbano essere tenuti fermi e quindi sono irrinunciabili anche in una interpretazione evolutiva della realtà e dell'uomo. Essi possono essere individuati nei seguenti. Tutta la realtà creata viene da un Dio trascendente e personale. L'evoluzione suppone sempre la creazione, cioè un rapporto di radicale dipendenza da Dio non solo agli inizi delle cose, ma anche nella loro conservazione. Ha osservato Giovanni Paolo II: “Una fede rettamente compresa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso dell'evoluzione non creano ostacoli... La creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una creatio continua ­, in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come il creatore del cielo e della terra” (“Fede cristiana ed evoluzione”, 27.4.1985).

 

L'evoluzione cosmica e l'evoluzione biologica si sviluppano secondo un disegno superiore. Esse corrispondono a un progetto di Dio, in qualunque modo si sia realizzato tale progetto, fosse anche per eventi casuali, che Dio ha preveduto in un quadro di possibilità e di leggi o principi d'ordine insiti nella materia. In tale disegno l'uomo si presenta come il punto culminante del processo evolutivo.

L'uomo ha una trascendenza rispetto alle altre creature in forza del principio spirituale che lo caratterizza, l'anima. Essa non può derivare da altri esseri di ordine materiale, ma richiede un concorso particolare di Dio creatore, analogamente a quanto avviene nella formazione di ogni essere umano. In conclusione, la vera alternativa non è tra evoluzione e creazione, ma tra la visione di un mondo autosufficiente, capace di crearsi e trasformarsi da sé per eventi puramente casuali e la visione di un mondo in evoluzione, dipendente da Dio creatore, secondo un suo disegno.

 

Fiorenzo Facchini

 

 

Il peccato nel mondo

 

L’essere umano non cessa di stupire. Sia nel bene che nel male. Anche se bisogna pur dire che il bene stupisce sempre assai meno del male: i giornali scandalistici, infatti, non fanno fortuna raccontando opere buone, ma omicidi, stupri, frodi e tradimenti. In realtà sembra che nessuno si stupisca del bene. Il bene continua sempre ad avere un certo suo aspetto di normalità, nonostante che il male sia così tanto diffuso. La disonestà, l'inganno e la violenza, invece, continuano a stupire tutti, pessimisti e ottimisti. È che ciascuno lo sente d'istinto come qualcosa che non dovrebbe mai accadere.

 

Da qui viene la grande domanda: perché e come mai ciò che non dovrebbe mai accadere accade? Perché e come mai dall'interno dell'uomo, dai suoi sentimenti, dalle sue passioni e dalla stessa sua intelligenza possono scaturire tante cose così orribili? E ciò che meraviglia di più non sono tanto i gravi delitti commessi da uomini perversi, quanto l'esperienza, drammaticamente descritta da san Paolo, come pure dall'antico poeta pagano Ovidio, dell'uomo normale, che cerca e desidera l'onestà e il bene e poi, in realtà, misteriosamente sopraffatto dal male, commette ciò che non vorrebbe e non fa il bene che avrebbe desiderato compiere.

 

Questa condizione umana ha sempre tormentato lo spirito e l'intelligenza dell'uomo: come mai e perché? Nella tradizione della fede cristiana c'è un termine, ben noto a chiunque abbia frequentato il catechismo, che vuol suggerire una risposta: il peccato originale. Da un lato vuol dire semplicemente il primo peccato commesso dall'uomo nella sua storia. Dall'altro vuol significare una situazione di peccato in cui è rimasta coinvolta la natura umana, nella quale l'uomo si trova ad esistere prima ancora di una sua qualsiasi libera decisione.

La Bibbia ci descrive con meravigliosa finezza e rara penetrazione psicologica il meccanismo perverso della colpa: l'incredibile attrazione che il male, poi da tutti deplorato, esercita sull'uomo sembra essere dovuta ad una potente volontà di indipendenza e alla presunzione di poter essere legge a se stessi, invece di accettare quella di Dio. La grande tentazione viene dal serpente, simbolo di Satana. Però si potrebbe dire che essa è anche inscritta nella stessa natura dell'uomo: Dio ci ha resi veramente padroni del nostro destino, dandoci l'enorme potere dell'intelligenza, della penetrazione dei segreti delle cose e, soprattutto, quella magnifica e tremenda capacità di poter decidere da noi cosa vogliamo fare e come vogliamo essere. Alla suprema grandezza della creatura umana sembra così congiungersi inesorabilmente il più alto dei rischi: essere uomini è come camminare su di una lama di rasoio. Essere esenti, però, dal rischio della libertà significherebbe non essere più uomini, ma animali o automi.

 

La salvezza dell'uomo è la grazia. Cioè il fatto che Dio non l'ha creato così per divertirsi, ma perché solo con una creatura così gli sarebbe stato possibile avere un dialogo e uno scambio d'amore. È grazia, quindi, che Dio, oltre che essere sopra di noi, ci sia vicino. E fu grazia, quella dei primogenitori descritti dalla Genesi, destinata a garantire un futuro per l'uomo, nell'armonia dei suoi rapporti di amore con i fratelli e con Dio. Il peccato dell'origine non fu quindi solamente la caduta nella presunzione di essere i padroni del bene e del male, ma allo stesso tempo ignoranza e rifiuto di una condizione, che potremmo definire di privilegio, nella quale la mano tesa di Dio rendeva possibile all'uomo, in un quadro d'amore, camminare sul filo del rasoio della sua nobiltà, senza scivolare nella follia del suo orgoglio.

 

Secondo la Bibbia così comincia la storia dell'uomo. E tutto ciò che segue ne resta irrimediabilmente segnato. Certamente nessun uomo nasce colpevole, però nessuno nasce in una umanità innocente. La natura umana è rimasta in possesso della ricchezza della sua libertà, ma spogliata del dono che le avrebbe reso possibile goderne gioiosamente, senza il tarlo dell'orgoglio e della ribellione. Ecco perché abbiamo bisogno di Gesù: egli è venuto a riportare nel cuore della natura umana, che ha fatto propria, l'apertura dell'amore e della dedizione. L'aspetto deplorevole della condizione umana non è che l'uomo sia libero, ma che egli tenda nell'esercizio della sua libertà a ripiegarsi su se stesso, a fare di sé la meta dei suoi desideri, a porre se stesso in cima a tutte le cose. La salvezza di Cristo non per nulla è tutta lì, in quell'esito impensabile e conturbante della sua opera messianica che è la sua croce. Gesù, infatti, è l'anti-Adamo: in Adamo l'uomo presume di essere dio, in Gesù il Figlio di Dio si fa uomo; Adamo afferma se stesso mentre Gesù si nega a se stesso per darsi agli uomini e al Padre. Poche sentenze di Gesù sono così cariche di significato quanto questa: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la salverà”. Sembra assurdo eppure è chiaro: è dandosi che ci si ritrova, con Dio e con i fratelli, nell'amore; mentre, cercando se stessi non si può trovare altro che la propria solitudine, come Adamo ed Eva che dopo aver preteso di essere come Dio si ritrovarono nudi.

 

Severino Dianich

 

DIO VIDE CHE CIÒ ERA BUONO

 

II racconto biblico della creazione come abbiamo già detto, non ha intenzioni scientifiche nel senso che noi diamo oggi a questa espressione, ma intenti missionari nel senso che anche oggi noi diamo a questo termine.

Rispecchia le cognizioni del tempo e riflette la rappresentazione cosmologica dell'antichità e in modo particolare degli Assiro-Babilonesi.

 

Occorre perciò distinguere tra « rappresentazione » e « rivelazione ». La rappresentazione riflette fatalmente la cultura dell'epoca. La rivelazione concerne le verità permanenti. La prima è figlia del tempo; la seconda è figlia dell'eternità.

 

Che la terra fosse piatta e il cielo curvo, che l'Oceano contornasse l’arida e il sole pendesse come una lampada, riguarda la rappresentazione del cosmo, e non fa parte della rivelazione religiosa, la quale riguarda invece le credenze mitiche e idolatriche del tempo, contro cui la Bibbia afferma in maniera nettissima resistenza d'un solo ed unico Dio; d'un solo ed unico Creatore.

La rivelazione perciò riguardava non l'astronomia, che faceva parte della « rappresentazione » del tempo, ma il « monoteismo »,che è verità permanente di tutti i tempi, e doveva essere stabilito dinanzi a tulle le false credenze mitologiche e idolatriche.

Le mitologie orientali infatti narravano fantastiche storie di divinità in lotta fra di loro: di un dio della Luce e di una dea dell'Oceano ; di potenze celesti e terrestri ; di geni del bene e del male,

che si contendevano il dominio del mondo, ognuno col proprio nome, ognuno con una propria sovranità, ognuno con un proprio dominio.

 

Il libro della Genesi, in polemica con tutte queste credenze, affermava che tutta la creazione era opera d'un solo Creatore, e che a lui solo appartenevano ciclo e terra, da lui solo dipendevano la luce e gli astri, il giorno e la notte, la vita delle piante e quella degli animali; e che nessuno, al di fuori di lui, aveva potere sull'universo.

Questo è il significato del primo libro della Genesi, che narra in maniera < rappresentativa > i giorni della creazione, facendo giustizia di tutte le mitologie, di tutte le idolatrie, di tutte le superstizioni, e affermando l'esistenza d'un unico Dio, spirituale, trascendente ed eterno, le cui opere erano tutte « buone ».

« In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era disadorna e deserta, c'erano tenebre sulla superficie dell'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque».

 

Già in queste parole e affermata la spiritualità di Dio, che non aveva nulla di materiale o di umano come nelle altre mitologie.

« Dio disse i — Sia luce !  - E la luce fu. E Dio vide che la luce era buona. E Dio separò la luce dalle tenebre. E Dio chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre. Poi venne sera, poi venne mattino : un giorno ».

 

Il procedimento narrativo è addirittura poetico, e volere dare alle parole della Genesi conferme o smentite scientifiche sarebbe come commentare Omero con la fisica nucleare e Dante con l'astronautica.

Le strofe di questo poema sono scandite in giornate. Poco importa se le giornate della Genesi debbano intendersi di 24 ore o di anni, di secoli o di millenni.

 

« Dio disse : — Vi sia il firmamento in mezzo alle acque e separi le acque dalle acque. — E così avvenne. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. Dio chiamò cielo il firmamento. Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera; poi venne mattina: un secondo giorno ».

 

Qui sono evidenti gl'influssi dell'antica cosmologia, che « rappresentava » la terra come una vasta platea, popolata di piante e d'animali, sorretta da pilastri, immersi nelle acque dette      « inferiori ».

Sopra la terra s'incurvava la volta celeste, a protezione delle acque dette « superiori ». Gli astri pendevano da quella volta come lampadari accesi di giorno e di rotte.

 

«Dio disse: — Le acque, che sono sotto il cielo, si ammassino in una sola massa, e appaia l'asciutto --. E, così avvenne. E, Dio chiamò terra l'asciutto e chiamò mare le masse delle acque. E Dio vide che ciò era buono ».

 

«Dio disse: —La terra verdeggi di verdura... —E così avvenne...

E Dio vide che ciò era buono, Poi venne sera, poi venne mattina : un terzo giorno ».

 

« Dio disse : — Vi siano luminari nel firmamento del cielo per separare il giamo dalla notte, e divengano segni per le feste, per i giorni e per gli anni. E così avvenne. Dio fece i due luminari maggiori: il luminare grande per il giorno; il luminare piccolo per la notte; e le stelle. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi venne mattina : un quarto giorno ».

 

Per ogni strofa della durata d'un giorno, scandita da mattina a sera, un ritornello sempre uguale : « E Dio vide che ciò era buono ».

Il Creatore riconosce come buona la propria opera. Egli ispira lo scrittore sacro a rendere testimonianza alla creazione, che non rinnega, anzi difende ed esalta come opera buona, da rispettare ed amare.

 

Da: Il racconto della Bibbia, di Piero Bargellini

 

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